rw •
i ♦ * .. 7-. V' '- •• M--h
** <h0BR^’
^ . -jL . i ..il'
4 -■.•
■
♦
.4
^ .
* ^
- - .*'1
<■
BID.
ilAVAL.S./
/
\
Digilìzed by Google
4f
\
i
' I
I
I
t
!
f
%
»
DIgitized byGoogle
i
fir. ;
Digilized by Google
OPERE COMPLETE
DEL CAVALir.ni;
IPPOLITO PINDEMONTE
VOL. I.
ODISSEA DI OMERO
VOLUME UNlpO
tSLlOWÈOUE S.Ì
ies Foftoinei
60 - CHANTIU.Y
Digitized by Google
Digitized by Google
ODISSEA
I OMERO
traduzione
BEX. CAVALIERE
IPPOLITO PINDEMONTE
CON NOTE
NAPOLI
R. MAROTTA E VANSPANDOCH
1833
Digilized by Google
Digitized by Google
-Eoli è usanza di molli , che pubblicano le lor fatiche , il dar conto della
strada, che credettero dover tenere; e massimamente, ove trattisi di traduzioni,
rispetto alle quali son varie non poco le strade, che tenere si possono. Avendo io
parlato di quella, ch’io prender credetti, nella Prefazione ai due primi libri
dell’oDissEA da me già pubblicali, parmi superfluo il ripetere ora le stesse cose,
ponendo in luce tradotto l’intero Poema. Sarebbe più presto da considerarsi, se
con fiducia d’esscr letto con piacere da molti presentar si possa oggidì un Poema
antichissimo, le cui bellezze son diverse oltremodo da quelle, che oggidì piac-
ciono comunemente; in cui frequenti son que’ racconti, che or sembrano inutili,
frequenti quelle ripetizioni, che or pajono soprabbondanti; ed ove si discende
spesso alle particolarità più minute della domestica vita, nelle quali è assai
diillcile non riuscir triviale ai nostri di, c in lingua nostra: lingua certo bel-
lissima tra le moderne, ma che non toglie, che di lei eziandio si dica, avere
i Greci innalzale le lor fabbriche in marmo, c i traduttori copiarle in mattoni;
comecbè usciti fossero questi dalla migliore, per dir cosi, delle fornaci d’Europa.
È vero, che, oltre la maestà, e l’armonia della Greca favella, l’antichità sua
medesima conferisce non poco alla elevatezza, e nobiltà della narrazione, atteso
che ogni cosa, quanto è più fuori dell’uso, tanto più dalla volgarità s’allontana;
e però, supponendo ancora, che le parole del nostro idioma fossero egualmente
rotonde, e sonore in sè , apparirebbero meno illustri, e poetiche per questa
ragione soltanto, che si trovano continuamente sopra ogni bocca. Comunque
sia, la diillcoltà, sotto cui affaticasi un moderno volgarizzatore, rimane la stessa;
e ch’io non l’esagero ad arte, ne chiamo in testimonio tutti coloro, che leggono
il Greco, e quelli tra loro principalmente, che, facendo Italiano l’un passo, o
l’altro dell’oDissEA, assaggiato avessero le forze in si fatto arringo, c tentato
anch’essi di tendere quest’acro d’ Ulisse. Ma perchè dunque tradur I’odissea,
domanderanno alcuni, e perchè, soggiungeranno, stamparla? Quanto al tradurla,
traslatali dame, come per una certa prova, i due primi libri, piacquemi far
lo stesso di alcuni altri , traduccndo a salti or questo, cd or quello, e non
sapendo bene, se volgarizzati tutti gli avrei , finche mi trovai averli quasi tutti
a poco a poco volgarizzati. Non era egli cosa naturale, ch’io compiessi l’opera
totalmente? Si levò intanto, ed or vengo alla ragione dello stamparla, una
Digitized by Google
*
o!5pcUazIoTi favorevolissima , per cui non mi fu più lecito di lasciar nelle tenebre
il mio lavoro; espetlazionc nel resto, di cui altri forse compiacerebbesi , e che
in me produce una confusione grandissima, veggendo io chiaro, non potersi da
me corrispondere a quella , e non bastandomi l’indulgenza , con cui furono
ricevuti i due primi libri, perche io debba sperare, che tutti i ventiquattro con
pari indulgenza sien ricevuti. Potrei anche aggiungere, essermi andato per la
mente questo pensiero, che opportuno fosse il richiamare in qualche maniera
l’attenzione sovra un Poema, nel qual s’imita sì scrupolosamente, e con tanto
di maestrìa la natura, in un tempo, che alcuni dipingono, c con grande applauso,
iic’ versi, non già l’uomo di lei, ma quello bensì, che lor piace più, della fan-
tasìa loro; si che par quasi, che dove i poeti si contentavano di rappresentar la
più nobile delle creature, come la natura sin qui formella, questi volessero,
che la natura formassela da ora innanzi, com’cglino la rappresentano. È pro-
babile, che la prima non cangerà stile; e che non anderà dietro ai secondi
chiunque brama ottenere un seggio stabile sul Parnaso.
I
Digitized byGoogle
ODISSEA DI OMERO
LIBRO PRIMO
aiigome.nto
Froposuiune del Poema. Coiurllio degli Dei, ove »i detcruiiua il ritorao d'Uliue. Minerva discende in Ilaoi ;
e sotto la figura di Mente Re dc’Tafj , conforta Telemaco di condursi a Pilo , ed a Sjwti» , per salare del
padre ) e per farsi anchVgli nel terniK» stesso conoscere. Banchetto dc'PiXKÙ, cioè di coloro, che richiedon Penelope
in me glie. Femio vi canU il funesto ritorno de’ Greci daTrojaj e Pcneloi»c, che ode il canto dalle sue stame,
ne cala giù con due ancelle, c prega Femio di prendere un altro tema. Telemaco parla om h rmeraa aUa uudre,
cd ai Proci, intima un parlaoKntu pel giorno seguente, c nella sua staiua ritirasi a ri[X>sare.
]\IusA, quelPuom dì moUìrorme ingegno
Uiinmi, che molto errò , poich’ebbe a terra
Gittate d'ilion le sacre torrij
Che città vide molle, e delle genti
I/indol conobbe; che sovr’esso il mare
Molti dentro del cor sofi'erse afi'anni,
Mentre a guardar la cara vita intende,
B i suoi compagni a ricondur: ma indarno
Ricoiidur desiava i suoi compagni,
Che delle colpe lor tutti jieriro. io
Stolti! che osaro violare i sacri
Al Sole Iperioo candidi buoi
Con empio dente, ed irritaro il Nume,
Che del ritorno il dì lor non addusse.
Deh parte almen di sì ammirande cose
Narra anco a noi, di Giove iigUa, e Ulva.
Già tutti i Greci, che la nera Parca
Rapiti non avea, ne’loro alberghi
Fuor dell’arme sedeano, e fuor dell’onde.
Sol dal suo regno, e dalla casta duuua 2o
Rimanea lungi Ulisse: il riteuea
Nel cavo sen di solitarie grotte
La bella venerabile CaIii>so,
Che unirsi a lui di maritali nodi
Bramava pur, Ninfa quantunque, c Diva.
R poiché giunse al fm, volveiido gli anni,
La destinata dagli Dei stagione
Del suo ritorno in Itaca, novelle
Tra i fidi amici ancor pene durava.
Tutti pietà ne risentian gli Eterni, 3ti
Salvo Nettuno, in cui l' antico sdegno
Prima non si stancò, che alla sua terra
Venuto fosse il pellegrino illustre.
Ma del Mondo ai confini, e alla remota
Gente degli Etiopi in duo divisa,
Ver cui quinci il sorgente, ed il cadenlo
Sole gli obliqui rai quindi saetta,
Nettari condotto a un’ecatombe s’era
Dì pingui lori . e di montoni; ed ivi
Rallegrava i pensieri a mensa assiso. ^o
In questo mezzo gli altri Dei raccolti
Nella gran reggia dell’Olimpio Giove
Stavansi ; e primo a favellar tra loro
Fu degli uomini il padre, e de’Celesli,
Che il bello Egisto rimembrava, a cui
Tolto avea di sua luau la viu OrcsU,
L’inclito figlio del più vecchio Atride.
Poh! disse Giove, incolperà l’uuui dunque
Sempre gli Dei? Quando a se stesso i mal*
Fabbrica, de’suoi mali a noi da carco, òo
K la stoltezza sua chiama destino.
Così, non tratto dal destino, Egisto
Disposò d’ Agamennone la donna,
E lui da Troja ritornato spense;
Benché conscio dell’ ultima ruina,
Che i’Argicida esplorator Mercurio,
Da noi mandato , prediceagll. Astienti
Dal sangue dell’Àtride, ed il suo letto
Guardati di salir : chè aita vendetta
Ne farà Oreste , come il volto adorni 6o
Delia prima laiuiggiiic, e io sguardo
Verso il retaggio de’suoi jiadri volga.
Ma questi di Mercurio utili avvisi
Colui nell’alma non accolse: quindi
Pagò il fio d’ognì colpa in un sol punto.
Di Saturno figliuoi, padre de* Numi,
Re.de'Reg»anti «così a lui rispose
L* occhiazzurra Minerva, egli era dritto,
Che colui non vivesse: in simì! loggia
Pera chiunque in simil foggia vive. 70
Ma io di doglia per l’egregio Ulisse
Mi struggo. Lasso! che da 'suoi lontano
Giorni conduce di rammarco in quella
Isola, che del mar giace nel cuore,
£ di selve nereggia: ìsola, dove
Soggiorna entro alle sue celle secreto
L'imuiortal figlia dì quel saggio Atlante,
Che del mar tutto i più riposti fondi
Conosce, e regge le colonne immense,
Che la volta supportano del cielo. 80
Pensoso, inconsolabile, l’accorta
Ninfa il ritiene , e con soavi e molli
Parolette carezzalo, se mai
Potesse Itaca sua trargli del petto:
IVIa ei non brama, che veder dai tetti
Sbalzar della sua dolce Itaca il fumo,
K poi chiuder [>er sempre al giorno i lumi.
Nè commuovere, Olimpio, il cor ti scuti?
Grati d’Ulisse i sacrifici al Greco
Navile appresso ne’Trojani campì 90
Non t'eran forse ? Ondo raitcor si fiero.
Giove, ooutra lui dunque iu te s'aiklta?
Digitized by Google
4 ODISSEA
Figlia ) qual tl lasciasti uscir parola
Dalla chiostra de’denti? allor riprese
L^eterno delle nubi addensatore,
lo Fuom preclaro disgradir , che in senno
Vince tutti i mortali , e gFlmmortali
St»mpre onorò di sagrifici opimi?
JCettuno, il Nume, che la terra cìnge,
D^inl'urxar non resta pel divino loo
Suo Folifemo, a cui lo scaltro Ulisse
Deirunic’occhio vedovò la fronte,
Benché possente più d’ogni Ciclopo:
Pel divìn Folifemo, cheToósa
Partorì al Nume, che pria lei soletta
Di Forco , Re degl’infecondi mari,
IN^elie cave trovò paterne grotte.
Do scuoti tor della terrena mole
Dalla patria il desvia da quell’istante,
K, lasciandolo in vita , a errar su i neri no
IMutti lo sforza. Or via , pensiam del modo,
Che l’infelice rieda, e che Nettuno
3. 'ire deponga. Fognerà con tutti
Gli eterni ei solo? il tenterebbe indarno.
Di Saturno figliuol, padre de’ Numi,
De’Regi Re, replicò a lui la Diva,
Cui tinge gli occhi un’azzurrina luce,
Se il ritorno d'Ulisse a tutti aggrada.
Che non s’invia nell’isola d’Ogige
D’ambascia^or Mercurio, il qual veloce lao
Rechi alla Ninfa dalle belle trecce,
Cnm’è fermo voler de’Seropiterni,
Che UlLs.se al fine il natio suol rivegga?
Scesa in Itaca intanto , animo e forza
Nel figlio io spirerò, perch’ci, chiamati
Gli Achei criniti a parlamento, imbrigli
t^hie’Froci baldi , che nel suo palagio
3/inlero gregge sgozzangli , e Tarmento
Dai piedi torti , e dalle torte corna.
Ciò latto, a Filo io manderollo, e a Sparta, i5o
Acciocché sappia del suo caro padre,
udirne gli avvenisse in qualche parte,
Pd anch’ei fama, viaggiando, acquisti.
Detto cosi, sotto l'eterne piante
Si strinse i bei talar, d’oro, immortali.
Che lei sul mar, lei su l’immensa terra,
Col sofiio trasportavano del vento.
Poi la grande afferrò lancia pesante,
Forte, massiccia , di appuntato rame
Guernita in cima, onde le intere doma 240
Falangi degli croi, con cui si sdegna,
F a cui sentir fa di qual padre è nata.
Dagli alti gioghi del beato Olimpo ,
Rapidamente in Itaca discese,
termo all’atrio del palagio in faccia,
Del cortil su la soglia, e le sembianze
Vestì di Mente, il conduttier de’Tafj.
Xa forbita in sua man lancia sfavilla.
Nel regale atrio , e su le fresche pelli
Degli uccisi da lor pingui giovenchi i5o
Seueauo, e trastullavansi tra loro
Con gli schierati combattenti boss»
Della Regina i mal vissuti drudi.
Trascorrean qua e là serventi, e araldi
Frattanto: altri mescean nelle capaci
Vrne l’urnor dell’uva, e il fresco fontej
Altri le mense con forata, e ingorda
Spugna tergeano , e le metteauo innanzi,
E le molte partian fumanti carni.
Simile a nn Dio nella beltà , ma lieto 160
Non già dentro del sen , sedea tra i Proci
Telemaco: mirava entro il suo spirto
L’inclito genitor, qual s’ei, d'alcuna
Parte spuntando, a sbaragliar si desse
Per l’ampia sala gli abborriti Prenci,
E l’onor prisco a ricovrare, 0 il regno.
Fra cotali peusier Pallade scórse,
Nè soffrendogli il cor, che lo straniero
A cielo aperto lungamente stesse,
Dritto uscì fuor, s’accostò ad essa, prese )70
Con una man la sua , con l’altra l’asta,
E queste le drizzò parole alate:
Forestier , salve. Accoglimento amico
Tu avrai , sporrai le brame tue : ma prima
Vieni i tuoi spirti a rinfrancar col cibo. •
Ciò detto , innanzi andava, ed il seguia
Minerva. Entrati nell’eccelso albergo,
Telemaco portò l’asta , e appoggìolla
A sublime colonna, ove in astierà
Nitida molte dell'invitto Ulisse ibo
Dormiano arme simili. Indi a posarsi
Su nobil seggio con sgabello ai piedi
La Dea menò , stesovi sopra un vago
Tappeto ad arte intesto } e un variato
Scanno vicin di lei pose a se stesso.
Così, scevri ambo dagli arditi Proci,
QueU’improntofrastuon l’ospite a mensa
Non disagiava j e dell’assente padre
Telemaco potea cercarlo a un tempo.
Ma scorta ancella da bel vaso d’oro iqo
Purissim’onda nel bacii d’argento
Versava , e stendea loro un liscio desco
Su cui la saggia dispensiera i pani
Venne a impor candidissimi , e di pronte
Dapi serbate generosa copia;
E carni d’ogni sorta in larghi piatti
Recò l’abile scalco , ed auree tazze,
Che del succo de’grappoli ricolme
Lor presentava it banditor solerte.
Entrano i Proci , ed i sedili, e i troni 200
Per ordine occupare : acqua gli araldi
Diero alle mani , e dì recente pane
I ritondi canestri empier le ancelle.
Ma in quel che i Proci all’imbaudito pasto
Siendean la man superba , incoronaro
Di vermiglio licor i’urne i donzelli.
Tosto che in lor del pasteggiar fu pago.
Pago del bere il naturai talento,
Volgeano ad altro il core: al canto, e al ballo,
Che gli ornamenti son d’ogni convito. 21h>
Ed un'argentea cctera l’araldo
Porse al buon Femio, che per forza il canto
Tra gli amanti scìogUea. Mentr’ei le corde
Ne ricercava con maestre dita,
Telemaco, piegando in ver la Dea
Sì , che altri udirlo non potesse, il capo,
Le parlava in tal guisa: Ospite caro,
ri sdegnerai , se l’alma io t apro? In mente
Non han costor, che suoni , e canti. Il credo.
Siedono impune agli altrui deschi, ai deschi 220
Di tal, le cui bianche ossa in qualche terra
Giacciono a imputridir sotto la pioggia,
O le volve nel mare il negro flutto.
Afa s’egli mai lor s'afiàccìasse un giorno.
5
L I B K 0
Ben più, che in dosso ì ricchi panni, e l’oro,
Aver l’ali vorrebbero alle piante.
Vani desiri ! Una iunesta morte
Certo ei trovò , speme non resta , e invano
Farelleriami alcun del suo ritorno:
Del suo ritorno il di più non s’accende. 200
via, ciò dimmi, e non m’asconder nulla:
Chi? di che loco? e di che sangue sci ?
Con quai nocchier venistu , e per qual modo,
E su qual nave , in Itaca? Tedone
Giunto per alcun patto io non ti credo.
Di questo ancor tu mi contenta: nuovo
Giungi, o al mio genitor t’unisce il nodo
Deli’ospitalità? Molti stranieri
A’suoi tetti accostavansi : chè Ulisse
Voltava in sè d’ogni mortale il corc. 240
Tutto da me, gli rispondea la Diva,
Che ceruleo splendor porta negli occhi,
T’udrai narrare. Io Mente esser mi vanto,
Ficliuol d’Auchialo bellicoso , e ai vaghi
Da trascorrere il mar Tal'j comando.
Con nave io giunsi, e remiganti miei,
Fendendo le salate onde ver gente
D’altro linguaggio, e a Temesa recando
Ferro brunito per temprato rame,
Ch’io ne trarrò: Dalla città lontano 2Òo
Fermossi , e sotto il Neo rromlichiomoso,
Nella baja di Ketro il mio naviglio.
Si, d’ospitalità vincol m’unisce
Col padre tuo. Chieder ne puoi Tantico,
Ristringendoti seco, eroe Laerte,
Che a città , com’è fama, or più non viene:
Ma vita vive solitaria e trista
NV campi suoi con vecchierella fante,
Che, quandunque tornar dalla feconda
Vigna, per dove si trae a stento, il vede , 2C0
Di cibo il riconforta, e di bevanda.
Me qua condusse una bugiarda voce,
Fosse il tuo padre in Itaca , da cui
Stornanlo i Numi ancor ; chè tra gli estinti
L’ illustre pellegrin , no , non comparve.
Ma vivo , e a forza in barbara contrada,
Cui cerchia un vasto mar, gente crudele
Rattienlo : lo rattien gente crudele
Vivo, ed a forza in barbara contrada.
Pur , benché il vanto di profeta , o quello 270
D’augure insigne io non m’arroghì , ascolta
Presagio non fallace, che su i labbri
Mettono a me gli Eterni. Ulisse troppo
Non rimarrà della sua patria in bando,
Do stringessero ancor ferrei legami.
Da quai legami uom di cotanti ingegni
Disvilupparsi non sapria? Ma schietto
Farla : sei tu vera sua prole ? Certo
Nel capo , e ne’leggiadri occhi ad Ulisse
Molto arieggi tu. Pria , che per Ti»ja. 280
Che tutto a sè chiamò di Grecia il fiore,
Sciogliesse anch’ ei su ie cavate navi,
Io , come oggi appo il tuo , cosi sedea
Spesse volte al suo fianco, ed egli al mio,
D’allora io non più lui, nè me vid’egU,
E il prudente Telemaco: Sincero
Risponderò. Me di lui nato afTerraa
La madre veneranda. E chi fu mai,
Che per se stesso conoscesse il padre?
Qb foss’ io figlio d’un, che una tranquilla aqo
PRIMO.
Vecchiezza còlto ne’suoi letti avesse!
Ma , poiché tu mel chiedi , al più infelice
Degli uomini la vita, ospite, io deggio.
Se ad Ulisse Penelope , riprese
Pallade alior dalle cilestre luci,
Ti generò , vollero i Dei , che gisse
Chiaro il tuo nome ai secoli più lardi.
Garzon , dal ver non ti partir : che festa.
Che turba è qui ? Qual ti sovrasta cura?
Convito? Nozze? Genial non parmi 5oo
A carco di ciascun mensa imbandita.
Parmi banchetto sì oltraggioso e turpe ,
Che mirarlo , e non irne in foco d’ira, ,
Mal può chiunque un’alma in petto chiuda.
Ed il giovane a lui : Quando tu brami
Saper cotanto delle mie vicende,
Abbi , che al Mondo non fu mai di questa
Nè ricca più, nò più innocente casa,
Finché quell’uomo il piè dentro vi tenne.
Ma piacque altro agli Dei , che , diviiando 5io
Sinistri eventi , per ie vie più oscure,
Quel , che mi cuoce più , sparir mel fero.
Piangerei , sì, ma di dolcezza voto
Non fora il lagrimar, s’ei presso a Troja
Cadea pugnando , o vincìtor chiudea
Tra i suoi più cari in Itaca le ciglia.
Alzato avriaiigli un monumento i Greci,
Che di gloria immortale al figlio ancora
Stato sarebbe. Or lui le crude Arpie
Ignobilmente per lo del rapirò: 3? »
Perì non visto, non udito , e al figlio
Sol di sturbi , c di guai lasciò retaggio.
Chè lui solo io non piango: altre, e non pfrhr
Mi fabbricaro i Numi acerbe cose.
Quanti ha Dulichio , e Same , e la boscosa
Zacinto , e la pietrosa Itaca Prenci,
Ciascun la destra della madre agogna.
Ella nè rigettar può , ne fermare
Le inamabili nozze. Intanto i Proci,
Da mane a sera banchettaudo , tutte 5." j
r.e sostanze mi struggono, e gli averi;
Nè molto andrà, che struggerai! me stesso.
S’intenerì Minerva, e , Oh quanto , disse,
A te bisogna il genitor, che metta
La ultrice man su i rhieditori audaci !
Sol ch’ei con elmo , e scudo , e con due lance
Sul limitar del suo palagio appena
Si presentasse, quale io prima il vidi,
I Che , ritornato d’EHra , alla nostra
Mensa ospitai sì giocondava assiso 5^0
{Ratto ad.EHra andò chiedendo ad Ilo,
Di Hermero al figliuol , velen mortale,
Onde le frecce unger volea , veleno,
Che non dal Mermeride, in cui de’Numi
Era grande ii timor, ma poscia ottenne
Dal padre mio, che fieramente amuìlo)
Sol ch’ei così sì presentasse armato,
De’Proci non saria , cui non tornasse
Breve la vita , e il maritaggio amaro.
Ma venir debba di si trista gente 3io
A vendicarsi , o no, su le ginocchia
Sta degli Dei. Ben di sgombrarla quinci
Vuoisi l’arte pensare. Alle mie voci
Porrai tu mente ? Come il ciel s’inalbi,
De’Greci i Capi a parlamento invita,
Ragiona franco ad essi , c al popol tutto.
Digitized by Coogic
ODISSEA
6
Chiamando i Numi in testimoalo j e ai Proci
Nelle lor ca:>e rìeutrare iiigiuogi.
madrCj uve deaiu di nuove uoz£e
Nutra ) ripari alia magioii d'Xcariu, 36o
Che ordinerà le «poiualizie, e ricca
Dote apparecchierà, quale a diletta
l'igUuoia è degno , che largisca un padre.
Tu poi, 60 non ricusi un saggio avviso^
Ch'io ti porgo , seguir , la meglio nave
Di venti, e torli remator guernisci,
D , del tuo genitor moU'aiini assente
Novelle a procacciarti, alza le vele.
Troverai torse chi ten parli chiaro,
O quella udrai voce fortuita , in cui 5'jo
Spesso il cercato ver Giove nasconde.
Pria vanne a Pilo , e interroga l’aulico
Nestore: Sparla indi t’accolga, e il prode
XUenelao biondo , che dall'arsa Troja
Tra i loricati Achivi ultimo giunse.
Vive t ed è Ulisse in sul ritorno ? Un anno,
Denchè dolente, sosterrai. Ma dove
Lo sapessi tra l’Ombre, in patria riedi,
D qui gli ergi un sepolcro, c i più solenni
Kendigli, qual s’addice, onor iunèbri, 3So
D alia madre presenta un altro sposo.
Dv>po ciò , studia , per qual modo i Proci
C>)u inganno tu spegna, o alla scoperta:
Che de'trastulli il tempo e de'balocchì
Passò, ed uscito di pupillo sei.
Non odi tu levare Oreste al cielo,
Dappoi che uccise il fraudolento Egisto,
Cile il genitor famoso aveagli morto?
Me la mia nave aspetta, e i miei compagni.
Cui forse incresce questo indugio. Amico, 3go
Di te stesso a te caglia , e i miei sermoni
Converti in opre: d'ua eroe l'aspetto
Ti veggio, abbine il core -, acciò risuoni
Forte ne'di futuri anco il tuo nome.
Voci paterne son , non che benigne,
D’Ulisse il figlio ripigliava j ed io
Guarderolle nel sen tutti i miei giorni.
Ma tu per fretta , che ti punga , tanto
Fermati almen , che in tepidelto bagno
Plntri , e conforti la dolce alma , e lieto 400
Con un mio dono in man torni alla nave:
Don ]»rcziosu per materia , ed arte ,
Cile sempre in mente mi ti serbi j dono
Non indegno d* uii ospite , che piacque.
No , di partir ini tarda , a lui risposo
D'occhicerulea Diva. 11 bel presente
Allor l'accetterò , che, questo mare
Kioavigaudo , per riponili in Tafo,
T’ollViiò uudoito ancli’io , che al tuo non ceda.
Così la Dea dagli occhi glauclil-, e, forza 410
Infondendogli , e ardire , c a lui nel petto
La |>er sè viva del suo padre imago
Kavvivando piu ancora , alto levossl,
E veloce , com'aquila , dis^mrve.
Da maraviglia, poiché seco tu mente
Ripetè il tutto , e s'avvisò del Nume,
Telemaco fu preso : indi, già fatto
Di se stesso maggior , venne tra i Proci.
Taciti sedean questi , e nell'egregio
Vate conversi teiiean gli occhi ^ e il vate 4^'’
Quel difiìcil ritorno , che da Troja
Paliado ai Greci de&linò crucciala,
Della cetra d'argento al suon cantava.
Nelle superne vedovili stanze
Penelope, d’icario la prudente
Figlia, raccolse il divin canto , e scese
Per Palle scale al basso , e non già sola:
Che due segulanla vereconde ancelle.
Non fu deTroci nel cospetto giunta,
Che s'arrestò della Dedalea sala 43o
L'ottima delle donne in su la porta,
Lieve adombrando l'una e l'altra gota
Co’bei veli del capo, e tra le ancelle
Al sublime cantor gli accenti volse.
Femio , diss'ella, e lacrimava, Femio,
Bocca divina , non hai tu nel petto
Storie infinite ad ascoltar soavi,
Di mortali, e di Numi imprese altere,
Per cui toccali la cetra i sacri vati ?
Narra di quelle, e taciturni i Prenci 44<>
Le colme tazze votino: ma cessa
Canzon molesta , che mi spezza il cuore,
Sempre che tu la prendi in su le corde;
Il cuor , cui doglia , qual non mai da donna
Provossl , invase , mentre aspetto indarno
Cotanti anni un eroe, che tutta empieo
Del suo nome la Grecia, e cli’è il pensiero
De'giurni miei, delle mie notti è il sogno.
0 madre mia, Telemaco rispose,
Lascia il dolce cantor, che c’innamora,
Là gir co’versi , dove l'estro il porla.
I guai, che canta, non li crea già il vate:
Giove li manda , ed a cui vuole , e quando.
Perchè Femio racconti i fristi casi
De'Greci, biasmo meritar non panni:
Che quanto agli uditor giunge più nuova,
Tanto più loro aggrada ogni canzone.
Udirlo adunque non ti gravi , e pensa,
Che del ritorno il dì Troja non tolse
Solo ad Ulisse : d’altri eroi non pochi 4^°
Fu sepolcro comune. Or tu risali
Nelle tue stanze, cd ai lavori tuoi,
Spula , e conocchia , intendi; c alle fantesche
Commetti , o madre, travagliar di forza.
II favellar tra gli uomini assembrati
Cura è dell'uomo , e in questi alberghi mia
Più , che d’ogni altro ; però ch’io qui reggo.
Stupefatta rimase , e, del figliuolo
Portando in mezzo Palma il saggio detto,
Nelle superne vedovili stanze 470
Ritornò con le ancelle. Ulisse a nome
Lassù chiamava , il fren lentaiido al pianto:
Finché iiiviolle Pocchiglauca Palla
Sopitor degli aiianni un sonno amico.
1 drudi , accesi via più ancor , che prima,
Del desio delle nozze a quella vista,
Tumulto fean per l'oscurata sala.
E Telemaco ad essi : O della madre
Vagheggiatori indocili e oltraggiosi.
Diletto dalla mensa or sì riceva, 4^
Nè si schiamazzi , mentre canta un vate,
Che uguale ai Numi stessi è nella voce.
Ma , riapparc^a la bell' Alba , tutti
Nel Foro uduiierciiici , ov’io dirovvi
Senza paura , che dì qua sgombriate;
Che gavazziate altrove ; che i’mi l'altro
Inviti alla sua volta , e il suo divori.
Che se dLUre impanemeute un solo
Digitized by Google
LIBRO
Vi par meglio > segnitc. Io dell’Olimpo
Gli abitatori inrocherò, oè senza 49^
Fiducia , che il Saturnio a colpe tali
Un giusto guiderdon renda , e che inulto
Tinga un di ijuesle mura il vostro sangue.
Morser le labbra , ed inarcar le ciglia
A 81 franco scrmon tutti gli amanti.
E Antinoo , il ligiiuot d’Eupilc : Di fermo
A ragionar, Telemaco, con sensi
Sublimi , e audaci t'impararo i Numi.
Guai , se il paterno scettro a te porgesse
Nella cinta dal mare Itaca Giove ! 5oo
Benché udirlo, Telemaco riprese,
Forse, Antinoo, Rincresca, io noi ti celo:
Riceverono dalla man di Giove.
Farriati una sventura ? Il più infelice
Dal mio lato io non credo in fra i mortali
Chi Re diventa. Di ricchezza il tetto
Gli splende tosto , e più onorato ei vanne.
Ma la cinta dal mare Itaca molti
Si di canuto pel, come di biondo,
Chiude, oltre Antinoo, che potran regnarla, 5io
Quando sotterra dimorasse il padre.
Non però ci vivrà chi del palagio
La signoria mi tolga, e degli schiavi,
Che a me solo acquistò l’invitto Ulisse.
Eurimaco di Folibo allor surse:
Qual degli Achei sarà d’Itaca il Rege,
Posa dc’Numi onnipossenti in grembo.
Di tua magion tu il sei; nè de’tuoi beni,
Finché in Itaca resti anima viva,
Spogliarti uomo ardirà. Ma dimmi, o buono: 620
Chi è quello stranier? Dond’ei partissi?
Dì quai terra si gloria , e di qual ceppo 7
Del padre non lontan forse il ritorno
T’annunzìa ? o venne in questi luoghi antico
Debito a dimandar? Come di.spnrve
Ratto ! come parea da noi celarsi!
Certo d’uom vile non avea l’aspetto.
Ah , ripigliò il garzon , del genitore
Svanì, figlio di Folibo , il ritorno !
PRIMO. 7
Giungano ancor novelle, altri indovini 53o
L’avida madre nel palagio accolga.
Nè indovin più , nè più novelle io curo.
Ospite mio paterno è il forestiere,
Di Tafo , Mente, che iigììuo) si vanta
Del bellicoso Anchialo , e ai Tafj impera.
Tal rispundea : ma dei suo cor nel fondo
La calata di ciel Dea riconobbe.
I Proci al ballo, ed al soave canto
Rivolti trastullavansi , aspettando
11 bujo della notte. Della notte .*>40
Lor sopravvenne il buio, e ai tetti loro
Negli occhi il sonno ad accettar n’andaro.
Telemaco a corcarsi , ove secreta
Stanza da un lato del cortll superbo
Per lui construtta si spiccava all’aura,
Salse, agitando molte coso in mente.
B con accese in man lucide faci
11 seguiva Euricléa, l’onesta figlia
D’Opi di Pisenòr , che un dì I.acrte
Col prezzo compeiò di venti lori, 55o
Quando fioriale giovinezza in volto:
Nè cara men della consorte IVhbe,
Benché , temendo i conjiigali sdegni,
Dei toccarla giammai non s’attenlusse.
Con accese il seguia lucide faci:
Più gii portava amqr, che ogni altra serva.
Ed ella fu , che il rallevò bambino.
Costei gli aprì della leggiadra stanza
La porta : sovra il letto egli s’assise.
Levò la sottil veste n sè di dosso, 56o
E all’amorosa vecchia in man la pose.
Che piegolla con arte, e alla caviglia
I/appese accanto il traforato letto.
Poi d’uscire afTrettavasi : la porta
Si trasse dietro per Panel d’argento,
Tirò la fune, e il chiavistello corse.
Sotto nn fior molle di tessuta Una
Ei volgea nel suo cor per quell’infera
Notte il oammiu, che gli additò Minerva.
Digilized by Coogle
LIBRO SECONDO
ARGOMENTO
C<>iwoc»»ione del Parlaiucnlo. Telemacn si ricliiama de’Prnci al popolo, e agli ottimati. Aotinno, capo di
(|ucUi , c il più temerario, ritorce l'accusa coutra ia madre, e vuole, cLei la costringa di scegliersi un nuovo
uuirito tra essi, mercecclie il ritorno d'Lilìsse nto è piu da sperarsi. Ma il figlio gli rÌs|v)Dde, non dover far
ciò, nè potere. Giove manda due aquile; donde il veedìio Aliterse pronostica vicino il ritorno d'Olisse; e n’è
inginriaU) da Eurimaco, Taltn) Ca|M> di>'Froci, ma nim ribaldo. Dimanda, ebe Telemaco fa, d'una nave per
andare a Pilo, otl a Sprta. Mentire si studia di eccitare il popolo contra i Proci; e I..eocrito il minaccia, e
scioglie il Parlaiuento. Telemaco, ritiratosi in riva del mare, priega Mìuerva , che gli aji[nre sotto la figura
.di Menli'rc, e Ijisistenia sua gli prumette. Egli rientra nel |alagi(», e richiede la nutrice Eurieb^ del viatico.
Dolun: di questa {vr la parteuia. Giunta la duUc, il giovinetto iiuLaroisi con liliuerva, che, pur sotto la figura
di Mentore, l’accumjeigJU.
Come la figlia dol mattin , la bella
Palle dita di rose Aurora surse,
Surse di letto anche il hgliiiol d’Ulisse,
I suoi panni vesti , sospese il brando
Per lo pendaglio all’omero , i lei^giadrì
Calzari strinse sotto i molli piedi,
£ delta stanza usci rapidamente
Simile ad un drgl’Immortalì in volto.
Tosto agli araldi daU’arguta voce
Chiamare impose i capelluti Achivi, io
H questi', al gridar loro accorsi in fretta,
Si ragunaro , s’uifoUaro. Ei pure
Al parlamento s’avviò: tra mano
Stavagli un’asta di polito rame,
£ due bianchi il srguian cani fedeli.
Stupia ciascun , meiitr’ci mutava il passo,
£ il paterno sedil , che dai vecchioni
Gli fu ceduto , ad occupar sen già:
Tanta in quel punto , è si divina grazia,
Sparse d’intorno a lui Fallade amica. 20
Chi ragionò primiero? Egizio illustre.
Che il dorso avea per l’età grande in arco,
£ di vario saver ricca la mente.
Su le navi d’Ulisse alla feconda
DI nobili destrier ventosa Trcja
Andò il più caro de’fìgliuoti , Anlifoj
£ a lui diò morte nel cavato speco
II Ciclope crudcl , che la cruenta
S’imbandi del suo corpo ultima cena.
Tre figli al vecchio rimanean; l’un, detto 5o
Eurinomo, co'Proci erasi unito,
£ alla coltura de’paterni campi
Frescdeanglialtfidue.MainqiiellOjìn quello,
Che più non ha , sempre s’anìsa il padre.
Che nel pianto ì di passa, e che si latte
Parole allor , pur lacrimando , sciolse:
O Itacesi , uditemi. Nessuna,
Dacché Ulisse le^ò nel mar le vele,
Qui si tenne assemblea. Chi adunò questa ?
Giovane, o veglio?!? a che? Primo udì forse 40
Dì estrania gente , che s’appressi armata?
O d’altro, da cui penda il ben comune,
Ci viene a favellar? Giusto , ed umano
Costui, penso, esser dee. Che che s’aggiri
Per la sua mente , il favorisca Giove \
Telemaco gioia di tali accenti.
Quasi d'ottimo augurio , e sorto in piedi,
Che il pungea d’arringar giovane bruma,
Trasse nei mezzo , dalla man del saggio
Tra gli araldi Pìsenore lo scettro 5o
Prese , e ad Egizio indi rivolto , O, disse,
Buon vecchio, non è assai quinci lontano
L’uom , che il popol raccolse : a te dinanzi,
Ma qual, cui punge acuta doglia, il vedi.
Non di gente , che a noi s’appressi armata,
Nè d’altro da cui penda il ben comune,
10 vegno a favellarvi. A far parole
Vegno di me , d’un male , anzi dì duo,
Che aspramente m’investono ad un’ora.
11 mio padre io perdei ? Che dico il mio? 60
Popol a’itaca , il nostro : a tutti padre
l^iù assai, che Re, si dimostrava Ulisse.
K a questa piaga ohimè l l’altra s’arroge,
Che ogni sostanza mi si sperde , e tutta
Spiantasi dal suo fondo a me la casa^
Nojoso assedio alla ritrosa madre
Poser de’ primi tra gli Achivi i figli.
Perchè di farsi a Icario , e di proporgli
Trepidan tanto, che la figlia ei doti,
E a consorte la dia cui più vuol bene? 70
L’intero dì nel mio palagio in vece
Banchettai! lautamente , e il fior del gregge
Struggendo , e dell'armento, e le ricolme
Della miglior vendemmia urne votando,
Vivon di me : nè v’ha un secondo Ulisse,
Che sgombrar d’iufra noi vaglia tal peste.
Io da tanto non son , nè uguale all’opra
In me si trova esperienza , e forza.
Oh cosi le avess'io, com’io le bramo!
Poscia che il lor peccar varca ogni segno, 80
£ , che più m’ange, con infamia io pero.
Deh s’accenda in voi pur nobil dispetto:
Temete il biasmo delle genti intorno,.
Degl’immortali Dei , non forse cada
Delle colpe de’Proci in voi la pena,
L'ira temete. Per rolimpio Giove,
Per Temi, che i consigli assembra , e scioglie,
Costoro , amici , d’a'izzarmi contro
Restate, e me lasciate a quello in preda
Cordoglio sol , che il genitor mi reca. yo
Se non che forse Ulisse alcuni offese
De’prodi Achivi , ed or s’intende i torti
Vendicarne sul figlio. E ben , voi stessi
Stendete ai beni la rapace destra.
Meglio fora per me , quando consunti
Suppellettil da voi fossemi , e censo,
Da vo! , dond’io sperar potrei restauro.
Vi assalirei per la città con blande
Digitized by Googic
9
LIBRO S
Parole ad uno ad un , nè cesaerei, ^
Che tutto in poter mìo pria non tornasse, loo
E dì nuovo adergesse in piò il mio stato. ^
Ma or dolori entro del |>etto , a cui
Non so rimedio alcun , voi mi versate.
Detto cosi , gittò lo scettro a terra, i
Ruppe in lagrime d'ira , e viva corse i
Di core in cor nel popolo pietade. j
Ma taciturni , immuti , e non usando i
Telemaco ferir d’una risposta,
Tutti stavano i Proci. Antinoo solo I
Sorse , e arringò : Telemaco a cui bolle i io '
Nel petto rabbia , che il tuo dir sublima, l
Quai parole parlasti ad onta nostra ? |
Improntar sovra noi macchia sì nera ?
Non i migliori degli Achei: la cara
Tua madre , e Parti , ond'^è maestra , incolpa.
Già il terzo anno si volse , e or gira il quarto ,
Che degli amanti suni prendesi gioco,
Tutti (li speme, e d'impronies.se alletta,
Manda messaggi a tutti , ed altro ha in core.
Questo ancor non pensò novello inganno? 120
Tela sottile , tela grande , immensa,
A oprar si mise , e a sè chiamoniie , e disse:
Giovani , amanti miei, tanto vi piaccia,
Poiché già Ulisse tra i defunti scese.
Le mie nozze indugiar , ch’io questo possa
Lùgubre ammanto per Peroe Laerte,
Acciò le fila inutili io non perda.
Prima fornir, che Piiiclemeute Parca
Di lunghi sonni apportatrice il colga.
Non vo*, che alcuna delle Achec mi morda, i3o
Se ad uora , che tanto avea d’arredi vivo,
Fallisse un drappo , in cui giacersi estinto.
Con siinil fola leggiermente vinse
(rii animi nostri generosi. Intanto, 1
l'inchè il giorno splendea , tessea la tela
Superba ^ e poi la distessea la notte
Al complice chiaror di mute faci.
Così un triennio la sua frode ascosce,
£ deluse gli Achei. Ma come il quarto
Con le volubili ore anno sorvenne, 140
Noi, da un’ancella non ignara ìnstruttì,
Penelope trovammo , che la bella
Disciogliea tela ingannatrice: quindi
Compierla dovè al fin , benché a dispetto.
Or, perchè a te sia noto, e ai Greci , il tutto,
Ecco risposta , che ti fanno i Proci.
Accommiata la madre, e quel di loro,
Che non dispiace a Icario , e a lei talenta,
A disposar constringila. Ma dove.
Le doti usando , onde la ornò Minerva, i5o
Che man formolle cosi dotta, e ingegno
Tanto sagace , e accorgimenti dielle,
Quali non s’udir mai nè dclPantiche 1
Di Grecia donne dalle belle trecce.
Tiro, Alcinena, Micene, a cui le menti
Di sì fini peusier mai nmi fiorirò:
Dove creciesse lungo tempo a bada
Tenerci ancor , la sua prudenza usata I
Qui Pabbandoneria. Noi tanto il figlio |
Consumerem , quanto la madre in core 160
Serberà questo suo , che un Dio le infuse, |
Strano proposto. Eterna gloria forse
A fé procaccerà , ma gran difetto
Di vettovaglia a te ^ mentre noi certo
ODISSEA.
E C O N D O.
Da te pensìam non istaccarcì, s'ella
Quel, che le aggrada più, pria non impalma.
lo, rispose Telemaco, di casa
Colei sbandir, donde la vita io tengo?
Dal cui lattante sen pendei bambino ?
(rcave in oltra mi fora , ov’io la madro 1*
Dipartissi da me, sì ricca dote
Tornare a Icario. Cruccieriasi un giorno
L’amato genitor, che forse vive,
Benché lontano, e puniriaiimi i Numi|
Perch’ella , alontanandosi , le odiate
Imploreria vendicatrici Erinni.
Che le genti dirian ? No , tal congedo
Non sarà mai , ch'io liberi dal labbro.
L’avete voi per mal ? Da me sgombrate;
Gozzovigliate altrove; alternamente 180
L’un Paltro invili , e il suo retaggio scemi.
Cile se disfare impunemente un solo
Vi par meglio, seguite. Io dell’Olimpo
(ìli abitatori invocherò, nò senza
Speme , che il Saturnide a tai misfatti
La debita mercè renda , e che inulto
Scorra nel mio palagio il vostro sangue.
Si favellò Telemaco , e dall'alto
Del monte due volanti aquile a lui
Mandò Pelerno onniveggente Giove. igo
Tra lor vicine , distendendo i vanni,
Fendean la vana regì'on de’venti.
Nè prima far dell’assemblea sul mezzo,
Che si volsero in giro , e, Pali folte
Starnazzando , e mirando a tutti in faccia,
Morte auguraro : al fin , poiché a vicenda
Con Punghie il capo insanguinato e il collo
S’ebber , vularo a destra , e dileguarsi
Delia città su per gli eccelsi tetti.
Maravigliò ciascuno ; e ruminava 300
Fra sè , quai mali promettesse il fato.
Quivi era un iiom di molto tempo, e senno.
Di Masturc figlino), detto Aliterse,
Che nell’arte di trar dagli osservati
Volanti augelli le futuie cose.
Tutti vinceva i più canuti crini.
Itaccsi, ascoltatemi, e più ancora
M’ascoltin , disse , i Proci , a cui davante
S’apre un gran precipizio. Ulisse lungi
Da cari suoi non rimarrà inolt’anni. 3io
Che parlo? Ei spunta, e non ai soli Proci
Strage prepara , e morte : altri, e noù pochi
Che abitiam la serena Itaca, troppo
Ci accorgerem di lui. Cìonsultiam dunque.
Come gli amanti , che pel meglio loro
Ossar dovrian per sè , noi ralTrtniamo.
Uom vi ragiona de’presagi esperto
Per lunghissima prova. Ecco maturo
Ciò , ch’io vaticinai, quando per Troja
Scioglievano i Greci, eUlisse anch’ei sarpa va .320
Molti , io gridai , patirà duoli , e tutti
Perderà i suoi: ma nel ventesim’anno
Solo, e ignoto a ciascun, farà ritorno.
Già si compie l’oracolo : tremate.
Folle vecchiardo , in tua magioQ ricorra,
Eurimaco di Polibo rispose,
E oracoleggia ai figli tuoi , non forse
(ìl’incolga un dì qualche infortunio. Assai
Più là di te ne’vaticini io veggio.
Volaa, rivolun mille augelli e mille 23o
3
ODISSEA
10
Per Taere immenso , « non dibatton tutti
Sotto i raggi del Sul penne fatali.
Quinci lontano peri Ulisse. Oh fossi
Tu perito con lui ! Che non t’udremmo
Protetare in tal guisa , e il furor cieco
Secondar di Telemaco , da cui
Qualche don , credo, alle tue porte attendi.
Ma oraeoi più verace odi. Se qualità
D’espei lenza il bianco pel t’addusse,
A sedurre il fanciullo, e a più inliammarlo a4<>
L’adopri , tu gli nuoci \ a'tuoi disegni
Non glori , e noi tale iniporremti multa,
Che morte iiati il sostenerla. Io poi
Tal consiglio al fauciul porgo: la madre
Bimandi a Icario , che i sponsali , e ricca,
Quol dee seguire una diletta fìgiìa,
Dote apparecchierà. Prima io non penso,
Che da questa di nozze ardua tenzoue
I figli degli Achei vorrai! giù torsi.
Di nessuno temiam , non, benché tanto 33o
Loquace , di Telemaco^ nè punto
Drl vaticinio ci curiam , che indarno
T’uscl , vecchio, di bocca , e elle frutlarti
Maggiore odio sol può. Fine ì conviti
Non avr»n dunque , e non sarà mai calma,
FiMchè d’oggi in doman costei ci maudj.
Noi ciascun di coutenderem per lei,
Nò ad altre donne audrem , quali ha l’Acaja
Degne di noi , percliè cagioti primiera
Dell'illustro contesa è la virtude. 260
Eurimaco , e voi tutti, il giovinetto
Soggiunse allor , competitori alteri,
Non più: già il tutto sanno uomini , e Dei.
Or noti vi chiedo , che veloce nave
Con dicci e dieci poderosi remi.
Che sul mar mi trasporti. All’arenosa
Pilo , ed a Sparla valicare io bramo,
Del padre assente [ler ritrar , s’io mai
Trovar potessi chi meii parli chiaiO|
O quella udir voce fortuita , in cui 270
Spesso il cercato ver Giove nasconde.
Vivrà ? ritornerà ? Benché dolente,
Sosterrò un anno. Ma se morto , e fatto
Cenere il risapessi , al patrio nido
Kiederò senza indugio -y e qui un sepolcro
011 alzerò, renderogli i piu solcuui,
Qual si coiivien, iùnebri ouorì, e uii altro
Sposo da me riceverà la madre.
Tacque , e s’assise ; e Mentore levus^i.
Del padre il buon compagno, a cui su tutto 280
Vegghiar , guardare il tutto , ed i comandi
Seguitar di Laerte, Ulisse ingiunse,
Quando per l’alto sai mise la nave.
O Itacesi , tal parlava il saggio
Vecchio , alle voci mie l’orecchio date.
Nè giusto più , nè liberal , nè mite,
Ma iniquo , ma inflessibile, ma crudo
D’ora innazi un Re sia , poiché tra genie,
Su cui steiidea scettro paterno Ulisse,
Più non s’incontra un sol, cui vìva in core. 290
Che arroganti rivali ad opre ingiuste
Trascorrati ciechi della mente , io taccio.
Svelgono, è ver . sin dalle sue radici
La casa di quel Grande, a cui disdetto
Sperano il ritornar , ma in rischio almeno
Poiigon la vita. Ben con voi m’adiro,
Con voi , che muti , ed infingardi, c vili
Vi state 11, nè d’un sul motto il vostro
Signore inclito aitate. Ohimè ! dai pochi
Restano i molti soverchiati e vinti* 5oo
Mentor, noti so qual più, se audace, o stolto,
Leocrito d’Kvenore rispose,
Che mai dicestu ? Centra noi tu ardisci
11 popolo eccitar? Non lieve impresa
Una gente assalir , che per la mensa
BranHisca l’arinì ; e i piacer suoi difenda.
Se io stesso He dTtaca tornato
Scacciar tentasse i banchettanti Proci,
Scarso del suo ritorno avrìa diletto
Questa sua donna ,che il sospira tanto, ^10
È morire il veJria morte crudele,
Benché tra molti ci combattesse : quiudi
Del tuo parldr la vanità sì scorge.
Ma , su via , dividetevi , e alle vostre
Faccende usate vi rendete tutti.
Mentore , ed Aliterse , che fedeli
A Telemaco son paterni amici,
Gli metteraii questo viaggio in punto;
Beuch’ci del padre le novelle, in vece
Di cercarle sul mar , senza fatica 320
Le aspetterà nel suo palagio , io credo.
Disse, e ruppe il concilio. I cittadini
Sciuglieansi l’un dall'altro , c alle ior case
Qua e là s'avviavano : d’Ulisse
Si ritiraro alla magione i Proci.
Ma dalla turba solitario c scevro
Telemaco rivolse al mare i passi,
Le mani asterse nel canuto mare,
K supplicò a Minerva : O Diva amica,
Che degnasti a me jer scender dal ciclo, 33o
K fender l’onde m’imponesti , un padre
Per rintracciar ,chc uoii ritorna mai,
Il tuo solo favor puummi davante
orincìampi tor , che m’opporranno i Greci,
E più, che altr’uomo in llaca , i malvagi
Proci , la cui superbia ognor più munta.
Cosi pregava ; e se gli pose alialo
Con la faccia di Mentore, e la voce,
Palla , e a nome chiamollo , e feo tai detti:
relemaco , uè ardir giammai , nè senno 3^0
Ti verrà men , se la virtù col sangue
Trasfuse in te veracemente Ulisse,
Che quanto impreso avea , quanto avea detto
Conipiea mai sempre. Il tuo viaggio a vóto
Non andrà , qual temer , dove tu figlio
Non gli fossi , io dovrei. Vero è , che spesso
Dal padre il figlio non ritrae: rimano
Spesso da lui lungo intervallo indietro,
R raro , è assai , che aggìimgalu , od il passi.
Ma sellilo a te non veri à meu , nè ardire, 35o
Ed io vivere Ulisse in te già veggo.
Lieto dunque degli atti il fiue spera:
Nè Cauga il vauo macchiuar de’ Proci,
Che non sentono incauti , e ingiusti al paro,
La nera Parca , che gli assai da tergo,
Ed in un giorno sol tutti gli abbranca.
Io , d’Ulisse il compagno , un tale ajuto
Ti porgerò , che partirai di corto
Su parata da me celere nave,
K con me stesso al fianco in su la poppa. 56o
Orsù , rientra nel palagio, ai Proci
Nuovamente U mostra, cd apparecchia
Digitized by Coogl
Il
LIBRO SECONDO.
Quanto al TÌaggio si , c il lutto
Riponi : il bianco nelle dense pelli
Gran macinato , ch'è deU’uom la vi'a,
E neirurne il licer , che la rallegra.
Compagni a radunarti in fretta io movt),
Che ti segnano allegri. Ila su Tarena
IVIolte rundicerchiata Itaca navi
Novelle , e antiche : ne’salatì flutti 670
Noi lanrcrem .senza ritardo armata
Qual miglior mi parrà velcggiatrice.
Cosi di Giove la celeste figlia:
Kè più , gli accenti della Diva uditi,
S’indugiava Telemaco. Al palagio,
Turbato della mente , ire alTrettossi,
E trovò i Proci , che a scojar capretti,
E pingui ad abbronzar corpi di verri,
Nel cortile intendeano. 11 vide appena,
Che gli fu incontro sogghignando,e il prese 58o
Per mano Àntinoo , e gli parlò in tal guisa:
O molto in arringar , ma forte poco
Nel dominar te stesso , ogni rancore
Scaccia dal petto , e , qual solevi , adopra
Da prode il dente , e i colmi nappi asciuga.
Tulio gli Achei t’allestiran di botto ;
Nave , e remigi eletti , acciò tu possa,
Batto varcando alla divina Pilo,
Correr del padre tuo dietro alla fama.
£ Telemaco allor: Sedermi n mensa oQ"
Cou voi , superbi , e una tranquilla gioja
Provarvi , a me non lice. Ah non vi basta
Ciò , chede’miei più preziosi beni
Nella prima età mia voi mi rapiste ?
Irta or ch’io posso dell’altiiii saggezza
Giovarmi , o sento con le membra in petto
Cresciutami anco l’alma, io disertarvi
Tenterò pure , o ch’io qui resti , o parta.
Ma parto, e non invan , spero, e su nav«
Parto non mia, quando al figliiiol d’Ulisse, 4o<>
Nè ciò sembravi sconcio , un legno maina.
Tal rispose crucciato, e destramente
Dalia nian d’Antinuo la sua disvclse.
Già il convito appreatavano , ed acerbi
Motti scoccavan dalle labbra i Proci.
Certo, dicea di que’prolcrvi alcuno,
Telemaco un gran danno a noi disegna.
Da Pilo ajuti validi, o da Sparta
Menerà seco, però ch'ci non vive,
Che di SI fatta speme : o al suol fecondo
D’Elira condurrassi, e ritrarranne
Fiero vclen, che getterà nell’uriie
Con man furtiva j e noi berem la morte,
E un altro ancor de’pretendenti audaci :
Chi sa, ch’egli non men, sul mar vagando,
Dagli amici lontano un di non muoja ,
Come il suo genitor ? Carco più grave
Su le spalle ne avremmo : il suo retaggio
Partirci tutto, ma la casta madre,
’E quel di noi , ch'ella scegliesse a sposo , 4‘2o
Nel palagio lasciar soia con solo.
Telemaco frattanto in quella scese
Di largo giro, e di .sublime volta
Paterna sala, ove raì biondi, e rossi
L’oro mandava, c l’ammassato rame ;
Ove nitide vestì, e di fragrante
Olio gran copia chiudean ì’arche in grembo ;
E presso al muro ivano intorno molte
Di vino antico , saporoso, degno
Di presentarsi a un Dio, gravide botti , 43o
Che del ramingo travagliato Ulisse
Il ritorno aspettavano. Munite
D’opportuni serrami eranvi, e doppie
Con lungo studio accomodate iinpusle;
Ed Euricléa , la vigilante figlia
D’Opi di Pisenorre, il di e la notte
Questi tesori custodia col .senno.
Chiamnlla nella sala , c a lei tai voci
Telemaco drizzò: Nutrice, vino, 4'|0
Su via , m’attigni delicato, e solo
Minor di quel , che a un infelice serbi,
Se mai . scampato dal destiti di morte.
Comparisse tra noi. Dodici n'empi
Anfore, c tutte le suggella. Venti
Di macinato gran giu.<ite misure
Versami ancor ne’ledeli otri, « il tutto
Colloca in un: ma sappilo tu sola.
Come la notte alle superne stanze
La madre inviti, e al solitario ietto,
Per tai cose io verrò: cliè l’arenosa 4.'io
Pilo visitar voglio, e la ferace
Sparta, e ad entrambe domandar del padre.
Diè un grido, scoppiò in lagrime, c dal petto
Etiriclèd volar feo queste parole:
Donde a te, caro figlio, in mente cadde
Pensiero tal? Tu, l’unico rampollo
Di Penelope, tu, la nostra gioja,
Pertanto Mondo raggirarti ? Lunge
Dal suo nido peri l’inclito Ulisse
Fra estranie genti; e perirai tu ancora. 4G0
Sciolta la fune non avrai, che i Proci
Ti tenderanno agguati , uccideranti,
C tutte partiraniiosi tra loro
Le spoglie tue. Deh qui con noi rimani,
Con noi qui siedi, e su i marini campì,
Che fecondi non son che di sventure,
Lascia , che altri a sua posta errando vada.
Fa cor, Nutrice, ci le risponde tosto ;
Senza un Nume non è questo consiglio.
Ma giura, che alla madre, ov’aiira allronde 470
Non le ne giunga prima, e ten richiegga,
Nulla dirai, che non appaja in cielo
La dodicesm’Aurora ; onde col pianto
Al suo bel corpo ella non rechi oltraggio.
L’ottima vecchia il giuramento grande
Giurò de’Numi; e a lui versò ne’cavi
Otri, versò nell’anfore capaci,
Le candide farine, c il rosso vino.
Ei, nella sala un’altra volta entrato,
Trai Proci s’awolgea : nè in questo mezzo 480
-Stavasi indarno la Tritonia Palla,
Vestite di Telemaco le forme,
Per tutto si mostrava, ed appressava
Tutti, e loro ingiungea, che al mare in riva
Si raccogliesser nottetempo, e il ratto
Legno chiedea di Fronio al figlio illustre,
A Noemòn, cui non chiedealo indarno.
S'ascose il Sole, e in Itaca ornai tutte
S’inombravan le vie. Minerva il ratto
Legno nel mar tirò, l’armò di quanto 49^
Solfre d’arnesi un’impalcata nave,
E al porto in bocca Tarrcsiò. Frequenti
Si raccogUeano i reniator forzuti
Sul lido, e iuanimavalì la Dea
Digitized by Googlc
1»
ODISSEA
Dallo sguardo assurrin, che altro disegao
Concepì in mente. La magion d’Ulisse
Kitrova, e sparge su i beenti Proci
Tal di sonno un vapor, che lor si turba
L'intelletto, e contondesi, e dì mano
Casca sul desco la sonante coppa. 5oo
Sorse, e mosse ciascuno al proprio albergo,
fu più nulla del sedere a mensa :
l'al pondo stava su le lor palpébre.
Ma ì’occhiglauca Dea, ripreso il volto
Di Mentore, e la voce, e richiamato
Puor del palagio il giovinetto, disse:
Telemaco, ciascun ae' tuoi compagni,
Che d’egregi schinier veston le gambe,
Già siede al remo, e, se tu arrivi, guarda.
Ciò detto , la via prese , ed il garzone 6oo
Seguitavane Torme. Al mar calati,
Trovar sul lido i capelluti Achivi,
Cui di tal guisa favellò la sacra
Di Telemaco possa : Amici, in casa
Quanto al cammin bisogna, unito giace.
Trasportarlo è mestieri, Nè la madre
Sa. nè, fuor che una, il mio pensier le ancelle.
Tacque, e loro entrò innanzi; e quelli dietro
Teneangli. Indi con Tanfore, e con gli otri.
Come d’Ulisse il caro fìglio ingiunse, 610
Tornaro, e il carco cella salda nave
Deposero. Il garzon sopra vi salse
Preceduto da Fallade , che in poppa
S’assise ; accanto ei le sedea : la ione
I remiganti sciolsero, e montaro
I#a negra nave anch’essi, e i banchi empierò.
Tosto la Dea dalle cerulee luci
Chiamò di verso l’Occidente un vento
Destro, gagliardo, che battendo venne
Su pel tremolo mar l’ale sonanti. Cao
Mano, mano agli attrezzi, allor gridava
Telemaco; ov'é l'albero? 1 compagni
1/udiro, e il grosso, e lungo abete in alto
Drizzaro, e Timpiantaro entro la cava
Base, e di corda l’annodaro al piede:
Poi tiravano in su le bianche vele
Con bene attorti cuoi. Gonliò nel mezzo
Le vele il vento; e forte alla carena
L’azzurro mar romoreggiava intorno,
Mentre la nave sino al iin del corso C5o
Su l’elemento liquido volava.
Legati ì remi del naviglio ai fianchi,
ineuronaro di vin maschio l’urne,
E a ciascun degli Dei sempre viventi
Libaro, ma più a te, figlia dì Giove,
Che le pupille di cllestro tingi.
II naviglio correa la notte intera,
£ del suo corso al fìn giungea con l’Alba.
Digilized by Google
LIBRO TERZO
ARGOMENTO
Arrivo di Tvlemaco t Pilo, mentre Nestore saf^lìcava «ilenDemente a Nettuno. E Re Io accof^Re enrtetemeate.
Telemaco k gli dà a conoscere , e dimandagli nuvella del judre. Nestore racconta ciò, che nel ritorno daTroja
è avvenuto a se, e ad altri eroi della Greria, fermandosi più a lungo sopra Agamennone. Ma d'Ulisse nulla sa
dirgli. Bensì lo consiglia di andare a Sparta, e richietlcruc Menelao, die giunse di fresco dopo on luogo vùggio.
Sparizione di Miner>*a, che sotto la figura di Mentore avea accompagnato Telemaco. Nestore, che la riconobbe,
le fa il dì appresso un sagrifizio solemte| e coimuelle a i’ìsisLrato, uu de'suoi figli,diamdurre a S|iarta Teieiuaco
sovra un coódùu. Parteuxa de' due garzoni m TAlba del gioriio .seguente.
XJsciTo delle salse acque Termìgllc
Montava il Sole per l’eterea volta
Di bronzo tutta, e in ciclo ai Dei recava,
£d agli uomini Ì1 dì sulTalma terra:
Quando alla forte Pilo, alla cittade
Fondata da Keléo, giunse la nave.
Stavano allor sagrilìcando i Pilj
Tauri sul lido tutti necri al Dio
Dai crini azzurri, che la terra scuote.
Nove d’uomini squadre, e in ogni squadra io
Cinquecento seduti, e per ciascuna
Svenati nove buoi , di cui, gustate
Le interiora, ardean le cosce al Nume.
La nave intanto d’uguai fianchi armata
Se ne venia dirittamente a proda.
Le vele ammainar, pigliaro il porto,
Nel lido si gittaro. Ei pur gittossi
Telemaco , e Minerva il prcccdea,
La Dea dagli occhi di ceruleo tinti,
Che gli accenti al garzon primiera volse:
Telemaco, depor tutta oggi c d’uopo
La pueril vergogna. Il mar passasti,
Ma per udir, dove s’asconda , e a quale
Destin soggiacque il generoso padre.
Su, dunque, dritto al domator t’avvia
Di cavalli Nestorre, onde si vegga
Quel, ch’ei celato nella mente porta.
Il ver da lui, se tu nel chiedi , avrai :
Poiché mentir non può cotanto senno.
Il prudente Telemaco rispose: 3n
Mentore, per qual modo al Rege amico
M’accosterò? Con qual saluto? Esperto
Non sono ancor del favellar de’ saggi :
Nè consente pudor, che a far parole
Cominci col più vecchio il men d’etade.
Ma di tal guisa ripigliò la Dea,
Cui cilestrino lume i rai colora:
Telemaco, di ciò, che dir dovrai.
Parte da aè ti nascerà nel core.
Parte nel cor la ti porranno i Numi: 40
Chè a^lspetto di questi in luce, io credo,
Non ti mandò la madre, e non ti crebbe.
Così parlando, frettolosa innanzi
Palla si mise, ed ei le andava dopo.
Pur tosto in mezzo all’assemblea de’ Pilj,
Ove Nestor sedea co’ figli suoi,
Mentre i compagni, apparecchiando il pasto.
Altre avvampavan delle carni, ed altre
Negli spiedi infilzavaule. Adocchiati
Ebbero appena i forestìer, che incontro 5o
Lor si fero in un groppo, e gli abbracciaro,
E a seder gTiovitaro. Ad appressarli
Pisjstrato fu il primo, iin de’ figliuoli
Del Re. Li pre.se ambi per mano, c in molli
pelli, onde attappezzata era la sabbia,
.\ppo la mensa gli adagiò tra il raro
Suo padre, e il germano Trasimede:
Delle viscere calde ad ambi porse;
E, rosso vin mescendo in tazza d’oro,
K alla gran figlia dell’Egioco Giove 60
Propinando, Stranier, dissele, or prega
Dell’acque il Sir, nella cui fe.sta, i nostri
Lidi cercando, t’abbattesti appunto.
Ma, i libamenti, come più s'addice,
Compiuti, e i prieghi, del ticor soave
Presenta il nappo al tuo compagno, in cui
Pur s’annida, cred'io, timor dc’Niimi,
Quando ha mestier de’Numi ogni vivente.
Meno ei corse di vita, e d’anni eguale
l’armi con me : quindi a te pria la coppa. 70
£ il soave licor le pose in mano.
Godea Minerva che l’uom giusto pria
Offerto il nappo d’oro avesse a lei,
E subito a Netlun così pregava:
Odi, o Nettuno, che la terra cingi,
E questi voti appagar degna. Eterna
Gloria a Nestorre, ed a’ suoi figli in prima,
E poi grata mercede a tutti i Pilj
Dell’inclita ecatombe. Al mio compagno
Concedi in oltre, e a me, che, ciò fornito, -So
Perchè venimmo, su le patrie arene
Con la negra torniam rapida nave.
Tal supplicava; e adempiere intendea
Questi voti ella stessa. Indi al garzone
bella offrì gemina coppa e tonda,
Ed una cgual preghiera il caro figlio
D’Ulisse alzò. S’abbnistolaro intanto
Le pingui cosce, degli spiedi acuti
Si dispiccato, e si spartirò : al fine
L’alto 6) celebrò prandio solenne. qo
Giunto al suo fin , così principio ai detti
Dava il Gerenio cavalier Nestorre:
Gii ospiti ricercare allora è bello,
Che di cibi, e di vini hanno abbastanza
Scaldato il petto, e rallegrato il core.
Forestieri, chi siete? £ da quei lidi
Prendeste a frequentar l’umide strade?
Traflìcate voi forse? O v’aggirate,
Come corsali, che la dolce vita,
Per nuocere ad altj'ui, rischiari su] mare? 100
Telemaco, a cui Palla un nuovo ardire
Spirò nel seno, acciò del padre assente
Nestore interrogasse, e chiaro a un tempo
Di sè sparge.sse per le genti il grido.
Dìgitized by Coogle
ODISSEA
i4
O Acliei, rispose, ìlìastre vanto,
Di satisfare ai desir tuoi son presto.
(riungiam dalla seduta a piè del Neo
Itaca alpestre, cd è cagtoti privata,
Ch'j a Pilo ci menò. Dr-l padre io movo
Dietro alla fama, che riempie il Mondo, ilo
Del magnanimo TTtisse, onde racconta
Pubblica voce, che i Trojani muri,
Coinlxittendo con teco, al suol distese.
Df*gli altri tutti, che co’Troi pugnato,
Non ignoriam, dove finirò i giorni.
Ma di lui Giove anco la morte volle
Nasconderci; nè alcun sin qui poteo
Dir , se in terra , o sul mar . se per nemico
Brando incontrolla, o alle irateonde in grembo.
Eccomi or dunque alle ginocchia tue, 120
Perchè tu la mi narri, o vista Pabbi
Con gli occhi propr) , o dalle labbra udita
D’uri qualche pellegrin: però che molto
Disventurato il partorì la madre.
Nè timore, o pietà, del palesarmi
Quanto sai, ti ritenga. Ahi se l’egregio
Mio padre in opra, o in detto unqua ti feo
Bene, o commodo alcun, là ne’Trojani
Campi, che tinse Ìl vostro sangue, o Greci,
Tel rimembra ora, e non tacermi nulla. i3o
Kd il Gtffcnio cavalier Nestorre;
Tu mi ricordi, amico, i guai, che molti
Noi prole invitta degli Achei patimmo,
O quando erranti per le torbia’onde
Ce ne andavam sovra le navi in traccia
Di preda, ovunque ci guidasse Achille^
O allor che pugnavam sotto le mura
Della cittade alta di Priamo, dove
Grecia quasi d’eroi spenta rimase.
Là cadde Achille, e il marziale Àjace, 140
Là Patroclo nel senno ai Dei vicino,
Quell’Antiloco là forte, e gentile,
Mio diletto figliuol, che abil del pari
La mano ebbe ai conflitti, e al corso il piede.
Se tu, queste sciagure, ed altre assai
Per ascoltar, sino al quint’anno, e al sesto
Qui t’indugiassi, dalla noja oppresso
Leveresti di nuovo in mar le vele,
Ch’io non sarei de! mio racconto a riva.
Nove anni, olFese macchinando, a Troja l5o
Ci travagliammo intorno; e, benché ogni arte
Vi s’aduprasse, d’espugnarla Giovo
Ci consentì ne! decimo a fatica.
Duce col padre tuo non s’ardia quivi
Di accorgimento gareggiar: cotanto
Per inventive Ulisse, c per ingegni
Ciascun vincea. Certo gli sei tu figlio,
E me ingombra stupor, mentr’io ti guardo:
Chè i detti rassomigliansi , e ne’ detti
Tanto di lui tenere uom, che d’etade iCo
Minor tanto è di lui, vero non parmi.
L’accorto Ulisse, ed io, nè in parlamento
Mai, nò in concilio, parlavam diversi:
Ma, d’tina mente, con maturi avvisi
Quel, che dell’oste in prò tornar dovesse^
Disegnavamo. Rovesciata l’alta
Città di Priamo, e i Greci in su le ratto
Navi saliti, si divise il campo.
Così piacque al Saturnio; c ben si vide
Dì queU’isUnte, che un ritorno infausto 170
Ci destinava ìl Correttor del Mondo.
Senno non era, nè giustizia in tutti :
Quindi il malanno, che su molti cadde.
Per lo sdegno fatai deli’Occhiglauca
Di forte genitor nata, che cieca
Tra i duo figli d’Atréo discordia mise.
\ parlamento in sul cader del Sole
Cliiamaro incauti, e centra l’uso, i Greci,
Che intorbidati dal vapor del vino
Gli Atridi ad ascoltar trassero in folla. iBo
Menelao prescrivea , che l’oste tutta
Ce vele aprisse del ritorno ai venti :
Ma ritenerla in vece Agamennóne
Bramava, e odrir sacre ecatombe, il fiero
Sdegno a placar dell’oltraggiata Diva.
Stoltol che non sa|\ea, ch’erano indarno:
Quando per fumo d’immolati tori
Mente i Numi non cangiano in un punto.
Così, garrendo di parole acerbe,
Non si movean dal lor proposto. Intanto 190
Con insano clamor sorser gli Achivi
Ben gambierati; c l’un consiglio agli uni,
L’altro agli altri piacea. Funeste cose
La notte m mezzo al sonno agitavamo
Dentro di noi : chè del disastro il danno
Giove ci apparecchiava. Il dì comparso,
Tirammo i legni nel divino mare,
B su ì legni velivoli le molte
Robe imponemmo, e le altocinte schiave.
Se non che mezza l’oste appo l’Atride luo
Agameonón rimanea ferma : l’altra
Dava ne’ remi, e per lo mar pescoso,
Che Nettuno spianò, correa veloce.
Tenedo preso, sagrifici offrimmo,
Anelando alla patria: ma nemico
Dagli occhi nostri rimoveala Giove,
Che di nuovo partì tra loro i Greci.
.\lcuni , che d'intorno erano al ricco
Di scaltrimenti Ulisse', e al Re de’ Regi
Gratificar volean , torsero a un tratto 2so
Le quinci e quindi remiganti navi:
Ma IO de’ mali, che l’avverso Nume
Divisava, m’accorsi, e con le prore.
Che fide mi seguian, fuggii per l’alto.
Fuggì di Tideo il bellicoso figlio,
Tutti animando i suoi. L’acqiie salate
Solcò più lento, c in Lesbo al fine Ìl bionda
Menelao ci trovò, che della via
Consigliavam : se all’aspra Chio di sopra,
Fiiria lasciando dal sinistro lato, 220
0 in vece sotto Chio, lungo il ventoso
Mimanta, veleggiassimo. D’un segno
Me ttunpregammo:ei mostrò un sogno, e il mare
Noi fendemmo nel mezzo, e dell’Éubéa
Navigammo alla volta, onde con quanta
Fretta si potea più, condurci in salvo.
Sorse allora , e soffiò stridulo vento,
Che volar per le nere onde, e notturni
Sorger ci feo sovra Geresto , dove
Sbarcammo, e al Nume degli azzurri crini, 200
Misurato gran mar, molte di tori
Cosce ponemmo m su la viva brace.
Già il dì quarto splendea, quando i compagni
Del prode ne’ cavalli Diomede
Le salde navi riposaro in Argo;
> Rd io ver Pilo sempre il corso tenni
LIBRO
Con quel vento, cui pria mandato in poppa
M'aveano i Numi , e che non mai s’estinse.
Così, mìo caro figlio, ignaro io giunsi,
Nè so uulla d^Greci o spenti, o salvi. 240
Ciò poi, che intesi ne' mici tetti assiso,
Celare a te certo non vuoisi. £ fama,
Che felice ritorno cbber gli sperti
Lelia lancia Mirmidoni, che il degno
Figliuol guidava dell'altero Achille.
Felice l'ebbe Filottetc ancora,
L’illustre prole di Peante^. In Creta
Kimenò Idomenéo quanti compagni
Con la vita gli uscir fuori delrarme:
Un sol non ne inghiottì l'onda vorace. 25o
L’Àgamennòn voi stessi, e come venne,
Benché lontani dimoriate, udiste,
£ qual gli tramò £gUto acerba morte.
Ma già il fio ne pagò. Leh quanto è bello,
Che il figliuol dell'estinto in vita resti!
Quel deirAtridc vendicossi a pieno
Lell'omicida fraudolento e vile,
Che morto avcagli sì famoso padre.
Quinci e tu, amico, però ch'io ti veggio
Li sembiante non men grande, che bello, 260
Fortezza impara, onde te pure alcuno
Benedica di quei , che un dì vivranno.
Nestore, degli Achei gloria immortale,
Telemaco riprese, ci vendicossi,
£ al ciclo i Greci innalzeranlo, e il nome
Nel canto se n'udrà. Perchè in me ancora
Non infuser gli Lei tanto di lena,
Che dell'onte de* Proci, e delie trame
Potessi a pieno ristorarmi anch'io?
Ma non a me, non ad Ulisse, e al figlio, 270
Tanta felicità dagl'immortali
Fu destinata^ e tollerar m'è forza.
Poiché lai mali, ripigliò Nestorre,
Mi riduci alla mente, odo la casa
Molti occuparti a forza, e insidiarti,
Vagheggiatori della madre. Dimmi:
Volontario piegasti ai giogo il collo?
0 ili odio, colpa d’uii oraeoi forse,
1 cittadini t'hanno? Ad ogni modo,
Chi sa , che il padre ne’ suoi tetti un giorno 2S0
Non si ricatti o solo, o con gli Achivi
Tutti al suo fianco, di cotanti oltraggi?
Se te così Pallade amasse , come
A Troja, duol de' Greci, amava Ulisse
( Sì palese favor d'un Nume, quale
Li Pallade per luì, mai non si vide )
Se ugual di te cura prendesse, ai Proci
Leila mente uscirian le belle nozze.
£ d’Ulisse il figliuol : Tanto io non penso,
Che s'adempia giammai. Troppo dicesti, 290
Buon vecchio, ed io ne maraviglio forte:
Che ciò bramar, non conseguir, mi lice.
Non. se agli stessi Lei ciò tosse in grado.
Qual ti sentii volar fuori de' denti,
Telemaco , parola? allor soggiunse
La Lea, che lumi cilestrini gira.
Facile a un Dio, sempre che il voglia, uom vivo
Ripatriar dai più remoti lidi.
Io per me del ritorno anzi torre!
Scorgere il dì dopo infiaiti guai, 5oo
Che rieder prima, e nel suo proprio albergo
Cader, come d'BgUto, e deU’ùihda
TERZO. i5
Moglie per frode il miserando Atride.
La morte sola,comun legge amara,
Gli stessi Lei nè da un amato capo
Distornarla potrian, quandunque sopra
Gli venga in sua stogiun l'apportatrice
Li lunghi sonni disamabìl Parca.
E temo io ben, Telemaco rispose,
Che una morte crudel, non il ritorno, 3io
Prefissa gli abbia, o Mentore, il destino.
Ma di questo non più : benché agli aillitti
Parlare a un tempo, e lagrimar sia gioja.
Io voglio d’altro dimandar Ne»torre,
Che vede assai più là d'ogni mortale,
E l’età terza , qual si dice , or regna.
Tal che mirare in lui sembrami un Nume.
Figlio di Neleo, il ver mi narra. Come
Chiuse gli occhi Agamennone, il cui regno
Stendeasi tanto? Menelao dov'era? 320
Qual morte al sommo Agamennóne ordia
L'iniquo Egisto, che dì vita uom tolse
Tanto miglior di sè? Non era dunque
Nell'Argo Acaica Menelao? Ma forse
Lontano errava tra straniere genti,
£ quei la spada, imbaldanzito, strinse.
Ed il Gcrcnio cavalicr Nestorre:
Figlio, quant’io dirò, per certo il tieni.
Tu ferisii nel segno. An! se Tillustre
Menelao biondo, poiché apparve in Argo, 53o
Nel palagio trovava Egisto in vita.
Non si spargea sul costui morto corpo
Un pugno scarso di cavata terra:
Fuor delle mura sovra il nudo campo
Cani, e augelli voravaulo, nè un solo
Delle donne d’Acaja occhio il piangea.
Noi sotto Troja, travagliando in armi,
Passavam le giornate; ed ei nel fondo
Della ricca di paschi Argo tranquilla
Con detti aspersi di dolce veleno 640
I.a moglie dell'Atrìde iva blandendo.
Rifuggia prima dall’indegno fatto
La vereconda Clitennestra, e retti
Pensier nutria, standole a fianco il vate.
Cui di casta serbargliela l'Atride
Molto ingiungea, quando per Troja sciolse.
Ma sorto il dì , che cedere ad Egisto
La infelice dovea, quegli, menato
A un'isola deserta il vate in seno,
Colà de' feri volator pastura 55o
Lasciollo, e strazio; e ne'suoi tetti addusse
Non ripugnante l'infedel Regina.
E molte cosce del cornuto armento
Su Tare il folle ardea , sospendea molti
Di drappi d'oro sfavillanti doni,
Compiuta un'opra, che di trarre a fine
Speranza ebbe assai men, che non vaghezza.
Già partiti di Troja, e d’amistade
Congiunti, battevam Io stesso mare
Menelao, ed Io : ma divenimmo al sacro 36o
Promontorio d'Ateue, al Sunio, appena,
Che il suo nocchicr, che del corrente ìeguo
Stava al governo, un'improvvisa uccise
Di Febo Apollò mansueta freccia,
L'Onetoride Fronte, uom senza pari
Co'marosi a combattere, c co'veiiti.
L'Atilde, benché in lui gran fretta fosse.
Si fermò al Sunio, ed il compagno pianse,
Digitized by Google
i6 O D I S
E d'esequie onorolìo, c di sepolcro.
Poi, rientrato in mare, e al capo ecccUo 670
Giunto della Maléa, caiitmin ielicc
Non gli donò l^onniveggciite Giove.
Venti stridenti, e smisurati flutti,
Cile ai monti non cedeau, contro gli mosso,
E ne disgiunse i legni, e parte a Creta
Kc spinse là , 've albercaiio i Cidonj
Alle correnti del Giordano in riva.
Liscia, e pendente sovra il losco mare
Pi Gortiiia al conlin sorge una rupe,
Contro alla cui sinistra, e non da lesto 58o
Molto lontana punta, Austro i gran flutti
Caccia : li frange un pìccoletto sasso.
Là percotendo si flaccaro i legni,
Scampate l'alme a gran fatica, e sole
Cimpie altre navi dalTazzurra prora
Portò sovra l’Egitto il vento, e l’onda.
Mentre con queste Menelao tra genti
D'altra favella s’aggirava , e forra
Vi raccoglieva di vettovaglia, e doro,
Tutti ebbe i suoi desir Tiniquo Egislo: Sqo
Agamennòne a tradimento spense,
Suggettossì gli Argivi, ed anni sette
Della ricca Micene il freii ritenne.
Mat’ottavo anno ritornò d’ Atene
Per sua sciagura il pari ai Numi Oreste,
Cile il perfido assassin de) padre illustre
Spoglio di vita, e la funebre cena
Agli Argivi imbandì per l’odjosa
Madre non meii, che per l’imbelle drudo.
lx> stesso giorno Menelao coni parve, 4' ' '
Tanta ricchezza riportando seco,
Che del pondo gemean le stanche navi.
Figlio , non l’imitar, non vagar troppo,
Lasciando in preda le sostanze ai Proci,
Che ciò tra lor, che non avran consunto,
Fartansi, e il viaggiar ti torni danno.
Se non ch’io bramo, anzi t’esorto, c stringo,
Che il Re di Sparta trovi. Ei testé giunse,
Donde altri, che in quel mar furia di crudo
Vento cacciasse, perderla la speme 4*'‘
Di lieder più :mur cosi immenso, e orrendo,
Che nel giro d’uii anno augel noi varca.
Hai nave, ed hai compagni. £ se mai fosse
Più di tuo grado la terrestre via,
Cocchio io darotti, e corridori, e i mici
Figli, che guìderanti alla divina
Sparta, ove il biondo Menelao soggiorna.
Pregalo, e non temer, che le parole
Re sì prudente di menzogne involva. |
Disse*, c tramontò il Sole, c bujo venne, 4^' 1
Qui la gran Diva dal ceruleo sguardo
Si frappose così: Buon vecchio, tutto
Dicesti rettamente. Or via, le lingue
Taglinsi, e di licor s’empiaii le tazze.
Poscia, fatti a Nettuno, e agli altri Numi
1 libamenti, si procuri ai corpi
Riposo, e sonno, come 11 tempo chiede.
Già il Sol s'ascose, e non s’addice al sacro
Troppo a lungo seder prandio solenne.
Così Palla, nè indarno. Acqua gli aialdi 4^'^’
Dier subito alle man, di vino l'uruo
Coronaro i donzelli, ed il recaro,
Con le tazze augurando, a tutti in giro.
1 conrìtati s’alzano, e le lingue
SFA
Gittan sul fuoco, e libano. Libato
Ch’ebbero, e a voglia lor tutti bevuto,
Palla, e d’Ulisse il deiforme figlio
Ritirarsi voleano al cavo legno.
Ma Nestore ff-rrnolli, e con gentile
Corruccio, Ab! Giove tolga, egli altri, disse, 440
Non morituri Dri, ch'ire io vi lasci,
Qual tapino mortale, a cui la casa
Di vestimenti non abbonda, e coltri,
Ove gli ospiti suoi, non ch’egli, avvolti
Mollemente s’addòrniiiio. Credete,
Che a me vesti non sieno, e coltri belle?
Nu^su palco di nave il figlio caro
Di cotaiit'uum non giacerà, me vivo,
E vivo un sol de* figli miei, che quanti
V'erraniio alle mie case ospiti accolga. 480
O vecchio amico , replicò la Diva,
Cui sfavilla negli occhi azzurra luce,
Motto da te mm s’ode altro che saggio.
Telemaco, ubbidire io ti consiglio.
Glie meglio puoi? Te dunque, o Nestor, siegua,
K s’adagi iti tua casa. Io aver la nave
A confortar rivolgonii, e di tutto
Gli altri a informar: jierò ch’io tutti vinco
Que’ giovani d’età, che non maggiori
Di Telemaco sono, e accompagnarlo 4flo
Voiler per aniislade. la sul naviglio
Mi .stenderò : ma, ricomparsa l’Alba,
Ai Caucòni magnanimi non lieve
Per ricevere andrò debito antico.
E tu questo garzoii , che a te drizzossi,
Nel cocchio iiumda con un figlio, e al cocchio
De* corridori, che in tue stalle mitri,
1 pili ratti gli accoppia, e più gagliardi.
Qui fine al dir pose la Dea, cut ride
Sotto le ciglia mi azzurrino lume, 470
E si levò, com’aquila, e svaiiio.
Stupì chiunque v’era , ed anco il veglio,
Visto il portento, s’ammirava; e, preso
Telemaco per man, nomollo, e disse:
Reo conusc’ora, che dappoco e imbelle,
Figliuol mio, non sarai, quando compagni
Così per tempo tì si fanno i Numi,
Degli abitanti deli'Oiimpie case
Chi altri esser porria, che la pugnace
l'iglia di Giove, la 'JTitonia Palla, 480
Che l’egregio tuo padre in fra gii Achiv»
Favorì ognor? Propizia, o gran Regina,
Guardami, e a me co’ figli, e con la casta
Consorte gloria non vulgar concedi.
Giovenca io t’ofl’rirò di larga fronte.
Che vide un anno solo, e al giogo ancora
Non sottopose la cervice indoma.
Questa per le cadrà con le vestite
, Di lucid’oro giovinette corna.
Tal supplicava; e l’ndì Palla. Quindi 490
Generi, e figli al suo reale ostello
Nestore precedea. Giunti, posaro
Su gli scanni per ofdiiie, e su i troni.
Il Re canuto uii prezioso vino,
Che dalla scoverchiata urna la fida
Custode attinse uell’undecim’aiino,
Lor niescea nella coppa, e alla possente
Figlia libava dcirEgioco Giove,
Supplichevole orando. E gli altri ancora
Libare, e a voglia lor bcbbeio. Al ime 5oo
>7
LIBRO
Tras5er« per chiuder gU occhi | ai tetti loro.
Ma nella sua magione il venerato
Nestore vuoli che del divino Ulisse
La cara prole in traforato letto
Sotto il sonanJe portico s’addormaì
E accanto a lui Pisìstrato, di gente
Capo, e il sol de'Hglìuoi , che sin qui viva
Celibe vita. Ei del palagio eccelso
Si corcò nel più interno; e la reale
Consorte il letto preparògli; e il sonno. 5io
Tosto che del mattin la bella figlia
Con le dita rosate in ciclo apparve,
Surse il buon vecchio, uacl dei tetto, e innanzi
S’assise aU’alte porte in su i politi,
Bianchi, e d'unguento luccicanti marmi,
Su cui sfidea par nel consiglio ai Numi
Neleo, che, vinto dal destin di morte,
Nelle case di Fiuto era già sceso. ^
Nestore allora , guardìau de' Greci,
Lo scettro in nian, sedeavi. 1 figli» usciti 620
Di loro stanza maritale anch'essi,
Fret|ueiiti al vecchio si stringeano intorno,
Echefròne , Perséo , Strazio , ed Aréto,
E il nobil Traslmede, a cui s’aggiunse
Sesto Tcroe Pisistrato. Menaro
D’Ulisse il figlio deiforme, e al fianco
Colloiàrlo del padre, che le labbra
In queste voci aprì t Figi» diletti,
Senza dimora il voler mìo fornite.
Prima tra i Numi l’Atenéa Minerva 55o
Non degg'io venerar, che nel solenne
Banchetto sacro manifesta io vidi?
Un di voi dunque ai verdi paschi vada,
Perchè tirata dal bifolco giunga
Ratto la vaccherella. Un altro mova
Dell’ospite olla nave, e, salvo due,
Tutti i compagni mi conduca. E un terao
Laerce chiami, l'ingegnoso mastro,
Della giovenca ad inaurar le corna.
Gli altri tre qui rimangano, e all'ancelle 640
Facciali le mense apparecchiar, sedili
Apportar nel palagio, e tronca selva,
E una pura dal fonte acqua d’argento.
Non indarno ei parlò. Venne dal campo
I.a giovinetta fera, e dalla nave
Dell’ospite i compagni; il fabbro venne,
Tutti recando gli strumenti, e l’armi,
L'incude, il buon martello, e le tenaglie
Ben fabbric^ite, con che l’ór domava:
Nè ai sacrifici suoi mancò la Diva. 55o
Nestore diè il metallo; e il fabbro, come
Domato l’ebbe, ne vestì le corna
Della giovenca, acciocché Palla, visto
Quel fulgor biondo, ne gioisse in core.
Per le conia la vittima Echefròne
Guidava , e Strazio : dalle stanze Aréto
Purissim'onda in un bacile a vaghi
Fiori inragliato d’una man portava,
Orzo deU’altra in bel canestro, e sale:
11 bellicoso Trasimede in pugno 56o
Stringea l’acuta scure, die stil capo
Scenderà della vittima; ed il vaso,
Che il sangue raccorrà, Perseo teiica.
Ma de' cavalli il domator, l’antico
Nestore, il rito cominciò: le mani
S'asterse, sparse il salat’orzo, e a Palla
ODISSEA.
TERZO.
Pregava molto, neU’ardenfe fiamma
Le primizie gittando, i peli svelti
Dalla vergine fronte. Alla giovenca
S’accostò il forte Trasimede allora, 670
E con la scure acuta, onde colpilla,
Del collo i nervi le recise, e tutto
Svigorì il corpo: supplicanti grida
Figliuole alzare, e nuore, e la pudica
Di Nestor donna, Euridice, che prima
Di Climèn tra le figlie al Mondo nacque.
Poi la buessa, che giacca, di terra
Sollevar nella testa, e in quel, che lei
Reggean così, Pisistrato scannolla.
Sgorgato il sangue nereggiante, e scorso, 58o
K abbandonate dallo spirto Possa,
La divisero in fretta : ne tagliaro
Le intére cosce, qual comanda il rito,
D. doppio le covrirò adipe, e i crudi
Brani vi adattar sopra. Ardesie il veglio
Su gli scheggiati rami, e le spruzzava
Di rosso vin , mentre abili donzelli
Spiedi teneau di cinque punte in mano.
Arse le cosce, e i visceri gustati,
Minuti ptzzi fer dell’altro corpo, 5qo
Che rivolgeano, ed abbrostiano infissi
Negli acuti schidoni. Folicasta,
La minor figlia di Nestorre, intanto
Telemaco lavò, di bionda Punse
Liquida oliva, e gli vesti ima fina
Tunica, e un ricco manto; ed egli emerse
Fuor del tepido bagno agl'lmmorialì
Simile in volto, e a Nestore avvìossi
Pastor di genti, e gli s’assise al fianco.
Abbrostite le carni, ed imbandita, 600
Sedeansi a banchettar : donzelli esperti
Sorgeano, e pronti di vermiglio vino
Ricolmavan te ciuttole delPoro.
Ma poiché spenti i naturali furo
Della fame desiri e della sete,
Parlò in tal guisa il cavalier Nestorre:
Miei figli, per Telemaco, su via,
I corridori dal leggiadro crine
Giungete sotto il cocchio. Immantinente
Quelli ubbidirò, e i corridor veloci 610
Giunser di fretta sotto il cocchio, in cui
Candido pane, evin purpureo, e dapi,
Quai costumano i Re di Giove alunui|
T.a veneranda dispensiera pose.
Telemaco salì, salt l'ornata
Biga con lui Pisistrato, di gente
Capo, e accanto assettossigiì; e, le briglie
Nella man tolte, con la sterza al corso
1 cavalli eccitò, che alla campagna
Si gittàr lieti: de’ garzoni agli occhi 6ao
Di Pilo s’abbassavano le torri.
.Squassavano i destrier tutto quel giorno
Concordi il giogo, ch’era lor sul cullo.
Tramontò il Sule , ed imbrunian le strade:
E i due giovani a Fera , e alla magione
Di Dìónle arrivar, del prode figlio
Di Orsiloco d’Alféo, dove riposi
Ebbcr tranquilli, ed ospitali doni.
Ma come del mattin la bella figlia
Comparve in ciel con le rosate dita,
Aggiogaro i cavalli, e la fregiata
Biga salirò; e del vestibol fuori
63o
3
Digitized by Coogic
jb ODISSEA
ì,a spinsero» e del portico suDaiite.
Scosse la sto za il Nestoiide, e quelli
Iw.ietamente volaro. 1 pingui campi
Di ricca messe biondeggianti indietro
Fuggiaii l*uii dopo raltro^ e sì velot i
Gli alienati destrier movean le gambe,
Che ritacense, e il Pilì'ese al bue
Del viaggio pervennero, che d’onihra,
li Sol caduto, si copria la terra.
640
LIBRO QUARTO
A U G O M E K r O
Tclemaru, e Pìsistratu {giungono a S|nrU iieiraUo, che Menelao celebrava le ooxte del figlio Megapente, e
dell» figbuola Eruiioue. Mcnclau, ed Elena il rict>uoiic«>oo agevolmente {irr figlio d’Llisse. Encomj di questo, c
coimmixÌKue io Telemaco, e negli altri ancora, sino alle lagrime; c artiCxio d’Klena per raffrenarle. Tulli vanno
a doruiirc. Cimiparsa l'Aurora, Menelao ode da Telemaco eoo isd^nu la insolenza de’Proci; cd a lui narra il
tuo viaggio in Egitto, e ciò, ch'ivi intese da Proteo iolorau ad Agamennone, ad Ajace d'Óilén, c<l anche ad
I Jisse. 1 Prt<i intanto ristJvonu d’iusirliare Telcuiaro al suo ritorou, « d’uixidcrlo. Angoscia di Pcoelo[»e, che
u'i- infoi luaU, e cui Pallade £h>ì cou un sogno piacevole ricuulorta.
Ctiunseho alPanipia, che tra ì mouli giace,
tubile Sparla , « le regali case
Dei glorioso Menelao trovare.
Questi del tiglio, e della figlia insieme
EValeggiava quel di le doppie iioz^e,
E molti amici banchettava. L'una
Spedia d’Achille al bellicoso figlio,
Cui promessa l’uvea sott’llio un giorno,
Ed or cooipieaiio il maritaggio i Numi:
Quindi cavalli e cocchi alla famosa 10
Cittade de’Mirmidoni condurla
Doveano, e a Firro, che su lor regnava.
E alla figlia d’Alettore Spartano
D’altro, il gagliardo Megapente, unìa.
Che d’una soltiava sua tardi gli nacque; i
Poiché ad Eléoa gl’immortali Dei j
Piote iiou coucedeai) dopo la sola |
D’Aiuor degna Ermióue, a cui dell'aurea >
Venere la beltà splendca nel volto.
Così per Fallo spazioso albergo 20 ;
Pallt^gravansi assisi a lauta mensa I
Di Menelao gli aiutct, ed i vicini; I
^lentie vale divin Ita lor cantava, >
I.’argeiitea cetra peicotendo, e due
Ditiizaturi agilissimi nel mezzo l
Contempiavanu al canto i dotti salti. i
Ncll'atno imantu s’aneslaro i figli
Di Nestoie, c d'Ulisse. Eteunéo,
Dii vigli servo del secondo Atride,
Primo adoccbiolli, e con l'aimuiizio corse 5o
De' popoli al pastore, ed all’uiecchio
Gli susurrò così : Due luresticri
Nell’atrio, o Meuclau dì Giove alunno,
Copiiia d’eroi , che dei Saturnio prole
Sembrano in vista. Or di’ ; sciorre i cavalli
Dobbiamo, o i forestieri a un altro forse
Mandar de’Greci , che gli accolga, e onori?
D’ira iuliuminossi, e in colai guisa il biondo
Meiielao gli rispose: O di Eoéte
Figliuolo, Eteonéo, tu non sentivi 40
Già dello scemo negli andati tempi,
£ or sembri a me bamboleggiar co’detti.
Non ti sovvieu, quante ospitali mense
Spognuumio di vivande àum clic posa
Qui trovassimo al fin, se pur vuol Giove
Privilegiar dopo cotante pene
J.a nostra ultima età? Sciogli i cavalli,
£ al mio convito i forestier conduci.
Batto fuor della stanza Eteonéo
Lanciossi ; c tutti a tè gli altri chiamava 5o
Fidi conservi. Distaccaro i forti
Di sotto il giogo corridor sudanti,
E al presepe gli avv'insero , spargendo
Vena soave di biaiic’orzo mista,
£ alia parete lucida il vergato
Cocchio appoggiaro. Indi per l’ampic stanze *
Guiderò i novelli ospiti, cne in giro
D'inusitata maraviglia carche
Le pupille movean ; però che grande
(iettava luce, qual di Sole, o Luna, 60
Del glorioso Menelao la reggia.
Del piacer sazj, che per gli occhi entrava,
Nelle terse calar lepide conche;
K come fur dalle pudiche ancelle
Lavati, di bioiid’olto unti, e dt molli
Tuniche cinti , e di vellosi manti,
Si collocaro appo l’Atride. Quivi
Solerte ancella da bell’aureo vaso
Nell’argeuteu bacile un’onda pura
Versava, e stendea loro un liscio desco, 70
Su cui la saggia dispensiera i pani
Venne ad impor bianchissimi, e di pronte
Dapì serbate geiierc>sa copia;
E u’ogni sorta carni in larghi piatti
Beco L’abile scalco, e tazze d’oro.
Il Be, òtriijgeudo ad ambidue la roano.
Pasteggiate, lor disse, ed alla gioja
Schiudete il cor : poscia , chi siete, udremo.
De’vustri ]>adri non b’estinse il nome,
E da scettrati Be voi discendete. 80
Piante colali di radice vile,
Sia loco al vero, germogliar non ponno.
Detto così, l’abbiustolato tergo
Di pingue bue, che ad onor grande innanzi
Messo gli aveaii, d’in su la mensa tolse,
E innanzi il mise agli ospiti, che pronte
Steser le mani all’imbandita fera.
Ma de’cibi U dcsii psgo, e de tini,
Digitized by Google
>9
LIBRO QUARTO.
Telemaco, piegando in ver l’amico
^>i, che altri udirlo non potesse, il capo, 90
Tale a lui favellò ; Mira, o diletto
Dtill’alma mia, figlio di Nestor, come
Di rame, argento, avorio, elettro, ed oro
L’echeggia n te magion risplende intorno!
Sì fatta, io credo, è dell’Olimpio Giove
L'aula di dentro. Oh grinfiniti oggetti!
Io maraviglio più, quanto più guardo.
L’intese il Re di Sparta, e ad ambo disse:
Figliuoli miei, chi gareggiar mai puote
De’ mortali con Giove? 11 suo palagio, 100
Ciò, ch’ei dentro vi serba, eterno è tutto.
Qnanto all'umana stirpe, altri mi vinca
Di beni, o ceda, io so, che molti aftanui
Durati, e molto navigato mare,
Queste ricchezze l’ottavo anno addussi.
Cipri, vagando, e la Fenicia io vidi,
£ ai Sidonj , agli Egizj , e agii Etiopi
Giunsi, e agli Ercmbi, e in Libia, ove le agnclle
Figlian tre volte nel girar d’un anno,
E spuntan ratto gli agneilin le corna; ito
Kè signore, o pastor giammai difetto
Di carni paté, o di rappreso latte.
Ridondano di latte ognora i vasi.
Mentr’io vagava qua e là , tesori
Raccogliendo, il tratello altri m’uccise
Di furto, aH’improvvista, e per inganno
Delia consorte maladetta : quindi
Non lieto io vivo a questi beni in grembo.
Voi , quai sieno, ed ovunque, i padri vostri.
Tanto dalla lor bocca udir doveste. lU'»
Che non soffersi? Ruinai dal fondo
Casa di ricchi arredi, e d’agi colma.
Onde piacesse ai Dei , che sol rimasta
Mi fosse in man delle tre parti l’una,
E spirasser le vive aure que’ prodi,
Che lungi dalla verde Argo ferace
Ne’lati campi d’Iliòn perirò!
Tutti io li piango, ft li sospiro tolti.
Standomi spe.sso ne’ miei tetti assiso,
E or mi pasco di cure, or nuovamente i5<<
Piglio conforto: chè non puote a lungo
Viver l’uom di tristezza, e al fin molesto
Torna quel pianto, che fu io pria si dolce;
Pure io di tutti in un cosi non ni’ango,
E m'ango assai , come d’un sol , che ingrato
Mi rende, ove a lui penso, il cibo, e il sonno
Poiché Greco nessuno in tutta l'oste,
O il bene oprando, o sostenendo il male,
Pareggiò Ulisse. Ma dispose il fato,
Ch’ei tormentasse d’ogni tempo, e ch’io i/,o
Mesti per sua cagion traessi i giorni.
Io, che noi veggio da tanti anni, e ignoro.
Se viva, o morto giaccia. Il piange intanto
Laerte d’età pieno, e la prudente
Penelope’, e Telemaco, cne il padre
Lasciò lattante ne’ suoi dolci alberghi.
Disse; e di pianto subitana voglia
Risvegliossi in Telemaco, che a terra
Mandò lagrime giù dalle palpébre.
Del padre udendo, ed il purpureo manto i5o
Con le mani s’alzò dinanzi al volto.
Menelao ben comprese; e se a lui stesso
Lasciar nomare il padre, o interrogarlo
Dovesse pria, nè serbar nulla. in petto,
Sì, e no tenzonirvangll nel capo.
Mentre così fra due stava l’Atrido,
Elena dall’eccelsa, e profumata
Sua stanza venne con le fide ancelle.
Che Diana parea diiU’arco d’oro.
Bel seggio Adrasta awicinolle, Alclppe j6o
Tappeto in man di molle lana, e Filo
Panier rec.ava di forbito argento,
Don già d’Alcandra, della moglie illustre
Del fortunato Polibo, che i giorni
Nella ricca menava Egizia Tebe.
A Menelao due conche argentee, due
Tripodi, e dieci aurei talenti ei diede.
Ma la consorte ornar d’eletti doni
Elena volle a parte : mia leggiadra
Conocchia d’òr le porse, ed il paniere 170
Ri tondo .sotto , e di forbito argento.
Se non quanto le lablira oro giieriiia.
Questo ricolmo di sudato stame
L'ancella Filo le recava, e sopra
Vi riposava la conocchia, a cui
Fini si ravvolgean purpurei velli.
Ella raccolta nel suo seggio, e posti
Sul pulito .sgabello i molli piedi,
Con questi accenti a Menelao si volse:
Sappiam noi, Menelao di Giove alunno, 180
Chi sieno i due, che ai nostri tetti entraro?
Parlar m’è forza, il vero, o il falso io dica:
Però ch’io mai non vidi, e grande tieniiui
Nel veder maraviglia, uomo, uè donna
Così altrui .somigliar, come d’Uli.s.se
Somigliar dee questo garzone al figlio.
Ch’era bambino ancor, quando per colpa
Ahi! di me svergognata, o Greci , a Troja
Giste, accendendo una sì orrenda guerra.
Tosto l’Atride dalla bionda chioma: 190
Ciò, che a te, donna, a me pur .sembra. Quelle
Son d’UlI.sse le mani, i piè son quelli,
E il lanciar degli sgnarai, e il capo, e il crine.
Io, l’itaccse rammentando , i molti
Dicea disagi, ch’ei per me .sostenne;
E il giovane piovea lagrime amare
Giù per le guance, e col purpureo manto.
Che alzò ad ambe le man , gli occhi celava.
E Pisistrato ajlor : Nato d’Atrèo,
Di Giove alunno , Condottier d’armati, 3oo
Eccoti appunto di quel Grande il figlio.
Ma verecondo per natura, e giunto
Novellamente , gli parrebbe indegno
Te delle voci tue fermar nel corso.
Te, di cui, qual d’iin Dio, ci lieano i delti.
Nestore, U vecchio genitor, compagno
Mi fece a lui , che rimirarti in faccia
Bramava forte, onde poter dell’opra
Giovarsi, o almen del tuo consiglio. Tutti
Qiie’guaijCheiin figliiiol soll’re, acni luntujiu 210
Dimora il padre, nè d’altronde giungle
Sussidio alcun, Telemaco li prova.
Il genitor gli làila,. e non gli rosta
Chi dal suo fianco la .sciagura .scacci.
Numi! riprese il Re dai biondi crini,.
Tra le mìe stesse mura il figlio adunque
D’uomo io veggio amicissimo, che seinpee
Per me s'espose ad ogni rischio? Ub.ssc
Ricettare io pensava entro i miei regni,.
Io carezzarlo sovra tutti i Gjrcci,
220
30
O D I
Se ad ambo ritornar 8U i cavi legni
jL’Oliinpio dava onniveggente Giove.
Una io cedere a lui delie vicine
Volea cittadi Àrgivct ov’io comando,
!E lui chiamar, cne dai nativi sa:ìsi
D’Itaca in quella mia, ch'io prima avrei
D'uomini vota, e di novelli ornata
3VIuri, e paiagi, ad abitar venisse
Coi figlio, le sostanze, e il popol tutto.
Così, vivendo sotto un cielo, e spesso 35o
X.'un l’altro visitando, avremmo i dolci
l'rutti raccolti d’amistà si fida:
l’un dall’altro si saria disgiunto.
Che steso non si fosse il negro velo
Di Morte sovra noi. Ma un tanto bene
Oiove c’iiividì'ò, cui del ritorno
Piacque fraudar quell’infelice solo.
Sorse in ciascuno a tai parole un vivo
Di lagrime desio. Viangea la iigìia
Di Giove, l'Argiva Klena, piangea 340
D’Ulisse il figlio, ed il secondo Atride;
asciutte avea Pisistrato le guance,
Che il fratello iocolpabitc, cui morte
Diè dell'Aurora la lamosa prole,
Tra sè membrava , e che tai detti sciolse:
'Atride, il vecchio Nestore mio padre
Te di prudenza singoiar lodava,
Sempre che in mezzo al ragionare alterno
Il tuo nome venia. Fa, se di tanto
Pregarti io posso, oggi a mio senno. Poco 260
Me dilettan le lagrime tra i nappi.
Ma del mattili la figlia il nuovo giorno
Picoiidurrà; nè mi lia grave allora
pianger chiunque al suo desijii soggiacque:
Che solo un tale onore agl’infelici
Defunti avanza, che altri il crin si tronchi,
E alle lagrime giuste allarghi il freno.
Anco a me tolse la rea Parca un frate,
Che l’ultimo non fu dell’oste Greca.
Tu il sai, che il conoscesti. Io nè vederlo 3G0
Potei, nè a lui parlar : ma udii, che Antilocu
Su tutti si mostrò gli emuli suoi ,
.Veloce al corso, e di sua man gagliardo.
E Menelao dai capei biondi : Amico,
X’iiom più assennato, e in più matura etade,
Che non è questa tua , nè pensamenti
Divcrv avria, nè detti j e ben si pare
Agli uni e agli altri da chi tu nascesti.
Patto la prole d'un eroe si scorge,
Cui del natale al giorno, e delle nozze 370
Destinò Giove un fortunato corso,
Come al Nelide, che invecchiare ott^une
Nel suo palagio mollemente, e saggi
pigli mirar, non che dell’asta dotti.
Dunque, sbandito dalle ciglia il pianto,
Si ripensi alla cena, e un’altra volta
Da pura su te mani onda si sparga.
Sermoni alterni anche al novello Sole
Fra Telemaco, e me correr potranno,
Disse; ed A.sfalione, un servo attento, 280
Spargea su le man l’onda, e i convitati
Nuovamente cibavansi. Ma in altro
Pensiero allora Elena entrò. Nel dolce ^
Vino, di cui bevean , farmaco infuse
Contrario al pianto, e all’ira , e che l’obbllo
Seco iiiducca d’ugni travaglio e cura.
S S E A
Chiunque misto col vermiglio umore
Nel seno il rice\è, tutto quel giorno
Lagrime non gii scorrono dal volto,
Non, se la madre, o i) geiùtor perduto, sqo
Non, se visto con gli occhi a sè davante
Figlio avesse, o fratei di spada ucciso.
Cutai la figlia dell’Olimpio Giove
Farmachi insigni possedea, che in dono
Ebbe da Polidamiia, dalla moglie
Di Tónfi nell’Egitto, ove possenti
Succhi diversi la feconda terra
Produce, quai salubri, e quai mortali;
Kd ove più, che i medicanti altrove.
Tutti san del guarir l’arte divina, 5oo
Siccome gente da Peòu discesa.
11 Nepentfi già infuso, e a servi imposto
Versar dall’urne nelle tazze il vino,
Ella così parlò: Figlio d'Atréu,
E voi, d'eroi progenie, i beni, e i mali
Manda dall’alto alternameiise a ognuno
L’onnipossente Giove. Or pasteggiate
Nella magione assisi, e de’>ermoni
Piacer prendete in pasteggiando, mentre
Cose io racconto, che saranno a tempo. 3io
Non già ch’io tutte le fatiche illustri
Kieordar sol del paziente Ulisse
Fossa, non che narrarle : una io ne scelgo,
Chea Troja, onde gran duol venne agli Argivi,
L’uom forte imprese, e a fin condusse. Il corpo
Dì sconce piaghe afìlisse, in rozzi panui
S’avvolse, c penetrò nella nemica
Citlade occulto, e dì mendico, e schiavo
Le sembianze portando, ei , che de’Greci
Si diverso apparta lungo le navi. 620
Tal si gittò nella Trojana terra,
N'è conoscealo alcuno. Io fui la sola.
Che il ravvis.ni sotto l’estranie forme,
K tentando l’andava; ed ei pur sempre
Da me schcrmiasi con l’usato ingegno.
Ma come asperso d’onda, unto d’oliva
L’ebbi, e di veste cinto, ed affidato
Con giuramento, che ai Trojani prima
No) manifesterei, che alle veloci
Navi non fosse, ed alle tende giunto, 33u
Tutta eì m’aperse degli Achei la mente.
Quindi, passati con acuta spada
Molti petti nemici, all’oste Argiva
Col vanto si rendè d'alta scaltrezza.
Stridi mettean le dorme Iliache, ed urli:
Ma io gioia tra me; thè gli occhi a Sparta
Già rivolgeansi, e il core, e da me il tallo
Si piagneva, in cui Venere mi spinse,
Quando staccommi dalla mia contrada.
Dalla dolce figliuola, e dal pudico 340
Talamo, e da un consorte, a cui, saggezxa
Si domandi; o beltà, nulla mancava.
Tutto, l’Atride dalla crocea chioma.
Dicesti, o donna, giustamente. Io terra
Molta trascorsi, e penetrai col guardo
Di molti eroi nel sen : ma pari a quella
Del paziente Ulisse alma io non vidi.
Quei , che oprò, basti, e che sostenne in grembo
l3el cavallo intagliato, ove sedea,
Strage portando ad Ilio, il fior de’Greci. 35o
Sospinta, io credo, da un avverso Nume,
Cui la gloria de' Teucri a cote stava.
31
LIBRO Q
Là tu giungesti, e uguale a un Dio nel volto
Su Torme tue Deifobo venia.
Ben tre fiate al cavo agguato intorno
T’aggirasti ; e il palpavi, e a nome i primi
Chiamavi degli Achei, contrafTacendo
Delle ior donne le diverse voci.
Nel mezzo assisi io, Diomede, e Ulisse
Chiamar ci udimmo; e il buon Titide,ed io 56o
Ci alzammo, e dì scoppiar fuor del cavallo,
0 dar risposta dal profondo ventre,
Ambo presti eravam : ma noi permise,
£, benché ardenti, ci contenne Ulisse.
Tacessi ugni altro, iuorchè il solo Anticlo,
Che risponder voleati; e Ulisse tosto
La bocca gli calcò con le robuste
Mani inchiodate, nè cessò, che altrove
Te rìmenato non avesse Falla.
SI dì tutta la Grecia ei fu salute. 070
£ ciò la doglia, o Menelao, m’accresce,
Ripigliava il garzone. A che gli valse
Tanta virtù, se non potea da Morte
DUenderlo, non che altro, un cor di ferro?
Ma deh! piacciavi ornai, che ritruviamo
Dove posarci, acciò su noi del sonno
La dolcezza inelfabile discenda.
Si disse; e FArgiva £Jena alTancelle
1 letti apparecchiar sotto la loggia,
Belle gittarvi porporine coltri, S80
£ tappeti distendervi, e ai tappeti
Manti vellosi sovrapporre, ingiunse.
Quelle, tenendo in man lucide faci,
Uscirò, e i letti apparecchiaro : innanzi
Movea l’araldo, e gii ospiti guidava.
Cosi nell’atrio s’adagiaro entrambi:
Nel più interno corcavasi l’Atride,
£ la divina tra le donne £léna
li sinuoso peplo, ond'era cinta,
Dcpuse, e giacque del consorte a lato. S90
Ma come del mattin la bella figlia
R»bbellì il ciel con le rosate dita,
Menelao sorse, rivestissi, appese
Fer lo pendaglio all’omero la spada,
£ i bei calzar sotto ì piè molli avvinse:
l’oi, somigliante m ll aspetto e un Nume,
L^asciò la stanza rapido, e s’assise
Di Telemaco al fianco; e, Qual, gli disse.
Cagione a Sparta su Timmenso tergo
Del nigro mar, Telemaco, t’addusse? 400
Fubblico aflàre, o tuo? Schietto favella.
£ in risposta il garzon: Nato d'Alróo,
Per risaper del genitore io venni.
In dileguo ne van tutti i miei beni,
Colpa una gente nequitosa, e audace,
Che gli algenti divorami, e le gregge,
£ ingombra sempre il mio palagio, e anela
Della madre alle nozze. Io quindi abbraccio
Le tue ginocchia, e da te udir m’aspeito,
O visto, o su le labbra inteso l’abbi 410
D’un qualche viandante, il tristo fine
De) padre mio, che sventurato assai
Della sua genitrice usci dal grembo.
Nè timore, o pietà così t’assalga.
Che del ver parte ti rimanga in core.
Venne mai dal mio padre in opra, o in detto,
Bene, o cominodo a te là ne'Trojani
Campi del sangue della Grecia tiuti?
U A R T O.
Ecco di rimembrarlo, Airide, il tempo.
Trasse il Monarca dai capei dì croco 430
Un profondo sospiro, e, Ohimè, rispose,
Volean d’un eroe dunque uomini imbellì
(iiacer nel letto? Qual se incanta cerva,
1 cerbiatti suoi teneri e lattanti
Deposti in tana di leon feroce,
Cerca, pascendo, i gioghi erti, e Ferbose
Valli profonde; e quel feroce intanto
Riede alla sua caverna, e morte ai figli
Torta, e alla madre ancor : non altrimenti
Foriera morte ai concorrenti Ulisse. 4^0
Kd oh piacesse a Giove, a Febo, e a Falla,
Che qual si levò un dì contra il superbo
Kilomelide nella forte Lesbo,
E tra le lodi degli Achivi a terra
Con mano invitta, lotteggiando, il pose.
Tal costoro aH'rontassel Amare nozze
Foran le loro, e la lor vita un punto.
Quanto a ciò, che mi chiedi, io tutte intendo
Schiettamente narrarti, e senza inganno.
Le arcane cose, ch’io da Proteo appresi, 440
Dal marino vecchiori, che mai non mente.
Me, che alla patria ritornar bramava,
Presso l’Egitto ritenean gii Dei,
Perchè onorati io non gli avea di sacre
Ecatombi legittime; chò sempre
L’obblio de’ lor precetti i Numi offese.
Giace contra l’Egitto, e alFonde in mezzo,
Uii’isoletta , che s’appella Faro,
Tanto lontana, quanto correr punte
Fer un intero dì concavo legno, 4S0
Cui stridulo da poppa il vento spiri.
Forto acconcio vi s’apre, onde il nocclileio,
Poscia che Facqua non salata attinse,
P'acilmente nel mar vara la nave.
Là venti dì mi ritenean gli Dei:
Nè delle navi i condottieri amici
Comparver mai su per Fazzurro piano.
Le immobili acque ad increspar col fiato.
K già con le vivande anco gli spirti
Per fermo. ci falliaii, se una Dea, fatta ^ 461»
Di me pietosa, non m’apria io scampo,
Idoiéa, dei maria vecchio la figlia,
Cui fieramente in sen l’alma io commossi.
Occorse a me, che solitario errava,
Mentre i compagni dalla fame strettì
Giravan Fisoletta, ed i ricurvi
Ami gettavan qua e là nell'onde.
Forestier, disse, come fu vicina,
Sei tu del senno, e del giudicio in bando,
O degli aiFanoi tuoi prendi diletto, 470
Che così, a un ozio volontario in preda,
Nell’isola t’indugi, e via non trovi
D'uscirne mai? Langue frattanto il core
De’tuoi compagni, e sì consuma imlaruo.
O qual tu Sii delle immortali Dive,
Credi, io le rispondea, che da me venga
Così lungo indugiar? Vien dai beati
' Del vasto cielo abitatori eterni,
j Ch’io temo aver non leggiermente ofTesL
I Deh, poiché nulla si nasconde ai Numi, 4Bo
; Dimmi, qual è di lor, che qui m’arresUi,
' E il mar ^>es€Oso mi rinserra intorno.
E repente la Dea: Forestier, nulla
I Celarti io U prometto. U uon bugiardo
12
ODISSEA
Soggiorna in queste parti Egizio teglio,
Xi'immortal Proteo, mìo creduto padre,
Che i fondi tutfi del gran mar conosce,
B obbedisce a Nettuno. £i del viaggio
Ti mostrerà le strade, e del ritorno,
Dove, stando in agguato, insignorirti 49^)
Di lui tu possa. £ quello ancor, se il brami»
Saprai da lui, che di felice, o avverso
Nella casa Pentrò, finchò lontano
Per vie ne andavi perigliose e lunghe.
Ma tu gli agguati, io replicai, m'insegna,
Ond'iocosì improvviso a Proteo arrivi,
Cli’ei non mi stugga delle mani. Un nume
Diflìcilmente da un mortai si doma.
Questo avrai pur da me, la Dea riprese.
Come salito a mezzo cielo è il Sole, 5oo
S’alza il vecchio dirin dal cupo fondo,
£ uscito della bruna onda , che il vento
Occidentale increspagli sul capo,
S'adagia entro i suoi cavi antri, e s’addorme.
£ spesse a lui dormon le foche intorno,
Deforme razza dì Àlosidoa bella,
Già pria dell’onda uscite, e il grave odore
Lunge spiranti del profondo mare,
lo te là guiderò, te acconciamente
Collocherò, ratto che il di s’inalbi: 5io
Ma di quanti compagni appo la nave
Ti sono, eleggi ì tre, che tu più lodi.
Ecco le usanze del vegliardo, e Parti:
Pria noverar le foche a cinque a cinque,
Visitandole tutte; indi nel mezzo
Corcarsi anch'ei, quasi pastor tra il gregge.
Vistogli appena nelle ciglia il sonno,
Ricordatevi allor sol della forza,
£ ini, che molto si dibatte, e tenta
Guizzarvi delle man, fermo tenete. òi >
£i d’ogni belva , che la terra pasce,
Vestirà le sembianze, e in acqua, e in foco
Si cangerà di portentoso ardore;
£ voi gli fate delle braccia nodi
Sempre più indissolubili e tenaci.
Ma quando interrogarti al fin Pudrai,
Tal mostrandosi a te, quale sdrajo^i,
Tuccsssa, o prode, dalla forza, e il vecchio
Sciogli, e sappi da lui , chi è tra Ì Numi,
Che ti contende la natia contrada. 53o
Disse, e nelle fiottanti onde s'immerse.
Io combattuto da pensier diversi
Colà n’andai, dove giacean del mare
Su la sabbia le navi, a cui da presso
La cena in fretta s’apprestò. Sorveonc
pres'tosa notte, e noi sul lido
Ci addormentammo al mormorio delPacque.
Ma poiché del mattìn la bella figlia
Coiisperse il ciel d’Orventali rose,
Lungo il lido io movea, molto ai Celesti 540
Pregando, e ì tre, nel cui valor per tutte
Le men facili imprese io più fidava,
Conducea meco. Deessa intanto
Dal seno ampio del mare, in ch’era entrata.
Quattro pelli recò del corpo tratte
Novellamente di altrettante foche;
£ tramava con esse inganno al padre.
Scavò quattro covili entro l'arena;
Quindi s’assise , c ci attendea. Noi presso
Ci femiuo a lei, che subito Icvussi» 56o
£ noi dispose ne' scavati letti,
E i cuoi recenti uè addossò. Moleste
Le insidie ivi tornavano : chè troppo
Nojava delle foche in mar nutrite
L’orrendo purzo. £ chi a marina belva
Può giacersi vicin? Se non che al nostro
Stato provvide la cortese Diva,
Che ambrosia, onde spirava alma fragranza,
Vrenneci a por sotto le afflitte nari,
Cui del mar più non giunse il grave odore. 660
Tutto il mattino aspettavam con alma
Porto, e costante. Le deformi foche
Dell'onde uscirò in frotta, e a mano a mano
Tutte sì distendevano sul lido.
Uscio sul mezzogiorno il gran vegliardo,
E trovò foche corpulente e grasse,
Che attento annoverò. Contò noi prima.
Nè di frode parca nutrir sospetto.
Ciò fatto, et pur nella soa grotta giacque.
Ci avventammo con grida, e le robuste 670
Braccia al vecchio dìvìn gittammo intorno,
Che Parti sue non obbliò in quel punto.
Leone apparve di gran giubba, e in drngo
Voltossi, ed in pantera, e in verro enorme,
E corse in onda liquida, e in sublime
Pianta chiomata verdeggiò. Ma noi
11 tenevam fermo più sempre. Allora
L’astuto veglio, che nel petto stanco
Troppo sentiasi ornai stringer lo spirto,
Con questa voci interrogommi : Atride, bSo
Qual fu de’Numi, che d’insidiarmi
Ti diè il consiglio, e di pigliarmi a forza?
Di che mestieri hai tu? Proteo, io risposi,
Tu il sai. Perché il dimandi , e ancor t’infingi?
Sai, che gran tempo l’isoletta tiemmi.
Che scampo quinci io non ritrovo, e sento
Distruggcrmisi il core. Ah dimmi, quando
Nulla celasi ai Dei, chi degli Eterni
M’inceppa, e mi rinchiude il mare intorno.
Non dovevi salpar, riprese il Dio, 5qo
Che onorato pria Giove, e gli altri Numi
Di sagrifìci non avessi opimi,
Se in breve al natio suol giungere ardevi.
Or la tua patria, degli amici il volto,
E la magion ben fabbricata il fato
Riveder non ti dà, dove tu prima
Del fiume Egitto, che da Giove scende,
Non risaluti la corrente, e porgi
Ecatombe perfètte ai Dii beati,
Che il bramato da te mar t'apriranno. 600
A lai parole mi s’infranse il core,
Udendo , che d’Egitto in su le rive
Ricondurmi io duvea per gli atri flutti,
Lunga, e difhcil via. Pur dissi : Vecchio,
Ciò tutto io compierò. Ma or rispondi,
Ti priego, a questo, e schiettamente parla:
Salvi tornaro co’ veloci legni
Tutti gli Achivi, che lasciammo addietro,
Partendo d’iliòn, Nestore, ed io?
O peri alcun d’inopinata morte 5io
Nella sua nave, o ai cari amici in grembo.
Posate Tarmi, per cui Troja ca<lde?
Atride, ei replicò, perché tal cosa
Mi cerchi tu? Quel, ch’io nell’alnia chiudo,
Saper non fa per tc, cui senza pianto.
Tosto che a te palese il tutto ila.
Digilizea oy VjtJogIt:
LIBRO QUARTO
Non rimarrà lunga «tapione il cìglio.
Molti colpì rinesorabil Parca,
K multi non toccò. Due soli Duci
Ue’vestiti di rame Achei guerrieri Ciò
Morire «el ritomoi e ritenuto
Del vasto mar nel seno un terzo vive.
Ajace ai legni suoi dai lunghi remi
Perì vicino. Dilivrato In prima
DalTonde grosse, e su gli enormi assiso
Girci macigni, a cui Nettun lo spinse,
Potea scampar, benché a Minerva in ira,
»Se non gli usci a di bcKca un orgoglioso
Motto, che assai gli nocque. Oj^ò vantarsi,
Che in dispetto agli Dei vincer del mare 65o
Le tempeste varria. Nettuno udillo
Uoriaute in tal guisa, e col tridente,
Che ili maii di botto si piantò, percosse
La Giréa pietra , e in due spezzolla ; Luna
Colà restava, e Paltra, ove sedea
Della percossa travagliato il Duce,
Si rovesciò nel pelago, e il portava
Pel burrascoso mare, in cui, bevuta
Molta salsa onda, egli perdeo la vita»
11 tuo fratello cui iavor dì Giuuo 640
Morte sfuggì nella cavata nave.
Ma come avvicinossì all’arduo capo
Della Maléa, fiera tempesta Ìl colse,
E tra profondi gemiti portollo
Sino al confin della campagna, dove
Tieste un giorno, e allora Egisto, il figlio
Di Tieste, abitava. E quinci ancora
Parca sicuro ìl ritornar : che i Numi
Voltar subito il vento, e in porto entrare
Oli stanchi legni. Agamennón di gioja 65o
Colmo gittossi nella patria terra,
E toccò appena la sua dolce terra,
Che a baciarla chinossi, e per la guancia
Molte gli discorrean lagrime calde,
Perche la terra sua con gioja vide.
Ma il discoprì da una scoscesa cima
L’esplurator, che ìl fraudolento Egisto
Con promessa di due talenti d’oro
Piantato aveavi. Ei, che spiando stava
Dall’eccelsa veletta un anno intero, 660
Non trapassasse ignoto, c forse a guerra
Intaleutato il tuo fratello, corse
Con l’annuzio al Signor, che un’empia frode
Repente ordì. Venti, e i più forti, elesse,
K in agguato li mise, e imbandir feo
Mensa festiva : indi a invitar con pompa
Di cavalli e di cocchi andò l’Atride,
Cose orrende pensando, e il ricondusse,
PI accolto a mensa lo scannò , qual toro,
Cui scende su la testa innanzi al pieno 670
Presepe suo l’inaspettata scure.
Non vìsse d’Aganieuuone , o d’Egisto
(ìolo un compagno: ma di tutti corse
Confuso, e misto nel palagio il sangue.
£ a me scfiiantossi il core a queste voci.
Pianto io versava su l’arena steso.
Nè più mirar del Sol volea la luce.
Ma come di plorar, di voltolarmi
Sovra il nudo terrea sazio gli parvi,
Tal seguitava il non mendace vecchio: 6S0
Resta, o figlio d’Àtréo, dalPinfinite
Lagrime per un mal, che ornai compenso
a3
Non paté alcuno, e t’argomenta in vet o
Più veloce, che puoi, riedere in Argo.
Troverai vivo ne’ suoi tetti Egisto
0 l’avrà poco dianzi Oreste ucciso,
E tu al funébre assisterai banchetto.
Disse; e di gioja un improvviso raggio
Nel mio cor balenava. Io già d’Ajace,
Risposi, e del fratello, assai compresi. 6^0
Chi c quel terzo, che il suo reo destino
Vivo nel sen del mare, o estinto forse.
Ritiene? Io d'udir temo, e bramo a un tempo.
E nuovamente il non bugiardo veglio:
D’Itaca il Re, cho di Laerte nacque.
Costui dirotto dalle ciglia il pianto
Spargere io vidi in solitario scoglio,
Soggiorno di Calipso, inclita Ninfa,
Che rimandarlo mega; ond’ei, cui solo
Non avanza un naviglio, e non compagni, 700
Che il trusportin del mar su l’ampio dorso.
Star gli convieii della sua patria in bando.
Ma tu, tu, Menelao, di Giove alunno.
Chiuder gli occhi non dei nella nutrice
Di cavalli Argo : chè noi vuole il fato.
Te nelPEllsio campo, ed ai cunfini
Manderan della terra i Numi eterni,
Là 've risiede Radaroauto, e scorre
Senza cura, o pensiero, all’uom la vita,
j Neve non mai, non lungo verno, o pioggia 710
Regna colà ; ma di Favonio il dolce
Fiato, che sempre l'Oceano invia,
Que’ fortunati abitator rinfresca.
Perchè ad Eiena sposo, e a Giove stesso
Genero sei, tal sortirai ventura.
Tacque, e saltò nel mare, e il mar l’ascose.
10 da vai) pensier Palma turbalo
Movea co* prodi amici in ver le navi.
La cena s'apprestò. Cadde la notte
Dell’uom ristoratrice, c noi del mare 720
Ci addormentammo sul tranquillo lido.
Ma del mattìn la figlia ebbe consperso
Di rose Orientali appena il cielo,
Che nel divino mar varammo i legni
D’uguali sponde armati, e con le vele
Gli alberi al2:ammo : entrare , c sovra i banchi
1 compagni sedettero, ed assìsi
Co’ remi percoteao Pondo spumose.
Del fiume Egitto, che da Giove scende,
Un’altra volta alPabborrita foce 73o
Io fermai le mie navi, e giuste ai Numi
Vittime otlérsi, e iie placai lo sdegno.
Eressi anco al germaii tomba, che vivo
In quelle parti ne serbasse ìl nome.
Dopo ciò, rinibarcaimi, e con un vento
Che mi feria dirittamente in poppa,
Pervenni fulgorando ai porti miei.
Or, Telemaco, via, tanto ti piaccia
Rimaner, che l’undccima riluca
NeJPOriente, o la duodecim’Aiba. 740
Io ti prometto congedarti allora
Con doni eletti : tre destrieri , e un vago
Cocchio, ed in oltre una leggiadra tazza
Da libare ai Celesti, acciò non sorga
Giorno, che il tuo pensiero a me non torni.
11 prudente Telemaco rispose:
Gran tempo qui non ritenermi, Atride.
Non che a me non giovasse un anno intero,
Digitized by Coogic
ODISSEA
24
La patria, e 1 miei quasi obbìiando, teco
Queste case abitar : cbè alla tua voce 75io
L^alma di gioja ricercarmi io sento.
Ma già niuojua di tedio i miei compagni
NeU’alta Pilo; e tu m’arresti troppo. ^
Qual siasi il don, di che mi vuoi iar lieto,
Uu picciol sia tuo prezioso arnese.
Ad Itaca i destrieri addur non penso,
Penso lasciarli a te, bello de’tuoi
Regni ornamento : perocché signor©
Tu sei d’ampie campagne, ove fiorisce
Loto, e cipéro., ove IVumentl, e spelde, 760
Ove il biaiic'orzo d’ogni parte alligna.
Ma non larghe carriere; e non aperti
Frati in Itara vedi : è di caprette
Ruona nutrice, e a me di ver più grata,
Che se cavalli nubili allevasse.
^ulla del nostro mare isola in verdi
Piani si stende, onde allevar destrieri;
£ men dell’altre ancora Paca mia.
Sorrise il forte ne’ conflitti Atride,
E, la mano a Telemaco stringendo, 770
Sei, disse, o figlio, di buon sangue , e a questa |
Tua favella il dimostri. E bene , i doni j
Ti cambierò: farlo poss’lo. Di quanto
La mia reggia contien, ciò darti io voglio,
Che più mi sembra prezioso e raro :
Grande urna effigiata, argento tutta,
Dai labbri in fuor, sovra cui l’oro splende,
Di Vulcano fattura. Io dall'egregio
Fedimo, Re di Sidone, un dì l'ebbi,
Quando il palagio suo me, che di Troja 780
Venia; raccolse; e tu n’andrai cuu questa.
Così tra lor si ragionava. Intanto
Dell’Atride i ministri al suo palagio
Conducean pingui pecorelle, e vino
Dì coraggio dator, mentre le loro
Consorti il capo di bei veli adorne
Candido pan recavano. In tal guisa
Si mettea qui l’alto convivio in punto.
Ma in altra parte, e alla magion davaute
Del magnanimo Ulisse, i Proci alteri 7Q0
Dischi lanciavan per diletty, e dardi
Sul pavimento lavorato e terso,
Delta baldanza lor solito campo.
Solo i due Capi, che di forza, e ardire
Tutti vìnceano, il pari in volto ai Numi
£urimaco,ed Antinoo, erano asslsi.
S'accostò loro, ed al secondo vul.se
Di Fronio il figlio, Noemòn, tai detti:
Antinoo, il dì lice saper , che rieda
Telemaco da Pilo? £i dipartissi 8 jo
Con la mia nave, che or rerriami ad uopo,
Per tragittar neirElide, ove sei
Fasconmi, e sei cavalle, ed altrettanti
Muli non domi , che lor dietro vanno,
£ di cui, razza faticante, alcuno
Rimenar bramo , e accostumarlo al giogo.
Stiipiano i Prenci , che ne’suoi poderi
De’montoni al custode, o a quel de'verri
Trapassato il credeano , e non al saggio
Figìiuol di Neleo nell’eccelsa Pilo. 810
Quando si dipartì ? rispose il figlio
D’Èuplte , Antinoo. £ chi scguillo? Scelti
Giovani forse dTtaca , o gli stessi
Suoi mercenarj, e sclilavi ? £ osava tanto?
Schietto favella. Saper voglio aurora.
Se a mal cuor ti lasciasti il legno torre,
O a lui , che tei chiedea , di grado il d<*$ti
11 diedi a lui , che mel chiedea , di grado,
Noemòn ripigliò. Chi potrà mai
Con sì iiobii garzone , e sì infelice 820
Stare in sul iiiego? Gioventù segiiillo
Della miglior tia il popolo Itacense,
E condottier salia la negra nave
Mentore, o un Dio , che ne vestia l’aspetto.
E maraviglio io ben , ch’ieri su l’AU>a
Mentore io scorsi. Or come allor la negra
Nave salì, che veleggiava a Pilo?
Disse, e del padre alia magion si rese.
Atterriti rimasero. Cessaro
Gli altri da’ giochi , e s’adagiaro anch’essì, 85o
E a tutti favellò d'Eupite il figlio:
Se gli gonfiava della furia il core
Di caligine cinto, e le pupille
Nella fronte gliardean, come duo fiamme.
Grande per fermo, e audace impresa è questo.
Cui già nessun di noi fi de prestava,
Viaggio di Telemaco! Un garzone,
Un fanciullo gittar nave nel mare,
Di tanti uomini ad onta , e aprire al vento
Con la più scelta gioventù Je vele? 840
Nè il male qui s’arresterà : ma Giove
A Telemaco pria franga ogni possa,
Che una tal piaga dilatarsi io reggia.
Su via, rapida nave, e venti remi
A me, sì cn’iu lo apposti , e al suo ritórno
Nel golfo, che divide Itaca, e $ame,
Colgalo; e il folle con suo danno impari
L’onde a stancar del genitore in traccia.
Così Antinoo parlò. Lodi, e conforti
Gli davan tutti : indi sorgeano, e il piede 85i>
Neiralt© stanze riponean d'Ulisse.
Ma de’consigli, che niitriano in mente,
Penelope non fu gran tempo ignara.
Ne la feo dotta il banditor Medoiite,
Che udia di fuori la consulta iniqua,
E agli orecchi di lei pronto recolla.
Ella noi vide oltrepa'^sar la soglia,
Che sì eli disse: Araldo, onde tal fretta?
Kd a che i Proci ti mandare? Forse
Perchè d’UlÌ5.se le solerti ancelle 8G0
Dai lavori si levino, e l’usato
Convito apprestili loro? Oh fosse questo
De’ conviti l’estremo, e a me travaglio
Più non desser, nè altrui 1 Tristi! che, tutto
Del prudente Telemaco il retaggio
Per disertar, vi radunate in folla.
E non udiste voi da’ vostri padri,
Mentr’eravate piccioletti e imberbi,
I modi , che teiiea con loro Ulisse,
Nessuno in opre molestando, o iii detti, 870
Costume pur degli uomini scettraii.
Che odio portano agli uni, e agli altri amore?
Non oflese alcun mai : quindi l’indegnu
Vostro adoprar meglio si pare, e il merlo,
Che di tanti favor voi gli rendete.
Ed il saggio Medonte : Ai Dei piacesse,
Che questo il peggior mal, Ueina, fosse 1
Altro dai Proci se ne cova in petto
Più grave assai , che Giove sperda : il caro
Figlio; che a Pilo sacra , e alla divina 83o
Digitized by Google
LIBRO
Sparta si volse, per rìtrar del padre,
Ucciderti di spada al suo ritorno.
Penelope inielice a tali accenti
Scioglier fieniissi le ginocchia, e il core.
Per lungo spazio la voce inancolle,
Gli occhi di pianto le sViiipièr , distiuta
Non potcaledai labbri uscir parola.
Rispose al iiiiet Araldo, e perdiè il figlio
Da me staccossi? Qual cagion, 4uai loiza
Sospingealo a salir le ratte navi, hgo
Che destrieri drl mar sono, e l'immensa
Varcano umidità? Brama egli dunque,
Che nè resti di aè nel Mondo il nome?
Qual de'due spinto, il bauditor riprese,
L^abbia sul mare, a domandar del padre,
Se la propria sua voglia, o un qualche Wumc,
Reina, ignori. K sovra Torme .sue
Ritornò, cos) detto, il lido araldo.
Fiera del petto roditrice doglia
Penelope ingombrò; nè, perchè molti goo
Fossero i seggi, le bastava il core
Di posare in alcun : sedea sul nudo
Limitar della stanza , acuti lai
Mettendo; e quante la serviano ancelle.
Si di canuta età, come di bionda,
Ululavano a lei d’inloruo tutte.
Fd ella, forte lagrimar.do, Amiche,
Uditemi , dicea. Tra quante donne
Nacquero, e crebber meco, ambasce tali
Chi giammai tollerò? Prima un egregio 910
Sposo io perdei , d’invitto cor, fregiato
D’ogni virtù tra i Greci, ed il cui nome
Per TEllada risuona, e tutta l’Argo.
Poi le tempeste m’involaro il dolco
Mio parto in fama non ancor salito,
E del viaggio suo nulla io conobbi.
Sciaurate! era vi pur Tistatite noto,
Ch’ei nella cava entrò rapida nave*.
Nè di voi fu , cui suggerisse il core
Di scuotermi dal sonno? Ov’io la fuga 920
Potuto avessi presentirne , certo
Da me , benché a fatica , ei non partia,
O lasciava nel palagio estinta.
Ma de’serventi alcun tosto mi chiami
L’antico Dolio , schiavo mio, che dato
Fummi dal geiiitor , quand'io’qua venni,
Ed or le piante delglardin m’ha in cura.
Vo’, che a Laerte corra , c il tutto narri,
Sedendosi appo lui , se mai Laerte
Di pianto aspersa la senil sua guancia 900
Mostrar credesse al popolo , c lagnarsi
Di color , che schiantar l’unico ramo
Di lui vorrriano , e del divino Ulisse.
E la diletta qui balia Euricléa,
Sposa cara , rispose , o tu m’uccida,
O nelle stanze tue viva mi serbi,
Parlerò ajierto. 11 tutto io seppi , e al figlio
Le candide farine , e il rosso vino
Consegnai : ma giurar col giuramento
Più sacro io gli dovei, che ove agli orecchi
Non ti gìiignesse della sua partenza
Aura d’allionde, e tu men richiedessi,
Io tacerei , finché spuntasse in cielo
La dodicesm’ Aurora , onde col pianto
Da te non s’oltraggiasse il tuo bel corpo.
Su via , ti bagna y e bianca veste prendi,
ODISSEA,
U A R T O. 25
E , con le ancelle tue nell’alto ascesa,
Priega Miner^a, che il iigliuol ti guardi:
Kè alHigger più con imbasciate il veglio
(ìià per sé aliliito asdai. No, tanto ai Numi g5o
Non è d’Arcesio la progenie in ira.
Che uu germe viver non ne debba, a cui
Queste muraglie sorgano , e i remoti
Si ricuopraii di messe allegri campi.
Con queste voci le sopì nel petto
La doglia, e il pianto le arrestò sul ciglio.
Ella bagnossì , bianca veste prese,
K , con le ancelle sue in-U’aho ascesa.
Pose il sacr’orzo nel canestro, e il sale,
E a Falla supplicò. M’ascolta , rlisse, 960
O delTEgioco Giove inclita figlia.
8e il mio consorte ne* paterni tetti
Pingui d’agna , o di bue cosce mai t’arse,
Oggi per me ten risovvenga : il figlio
Guardami, e sgombra dal palagio i Proci,
Di cut più ciascun di monla l’orgoglio.
Scoppio in un grido dopo tei parole,
E TAtenéa Minerva il priego accolse.
Tumulto fean sotto le oscure volte
Coloro intanto, e alcun dicca : La molto 970
Vagheggiata Ketiia ornai le nozze
Ci appresta, e ignora, che al suo figlio morte
S’apparecchia da noi. Tanto dal vero
Quelle superbe menti ivan lontane.
Ed Antinuo : Sciaurati, il dire incauto.
Che potria dentro penetrar, frenate.
Ma che più badiam noi? Tacitamente
Qu^, che tutti approvar, mettiamo in opra.
Ciò detto, venti scelse uomini egregi,
Ed al mare avviossi. Il negro legno 980
Varare, alzare l'albero, ossettaro
Gli abili remi in volgitoi di cuojo,
K le candide vele ai venti aprirò.
Poi , recate arme dagli arditi servi,
Nell’alta onda fermar la negra nave.
Quivi cenaro ; e stavansì aKpettando,
Che più crescesse della notte il bujo.
Ma la grama Penelope nell’alto
Giacca digiuna, non gustando cibo,
Bevanda non gustando; e a lei nel petto 990
Sul destili dubbio di sì cara prole
Fra la speme , e il timor l’alma ondeggiava.
Qual de lattanti leoncin la madre,
Cui fan corona insidiosa intorno
1 cacciatori, che a temere impara,
E in diversi pensier l’alma divide :
Tal fra se rivolvea cose diverse,
Finche la invase un dolce sonno. Stesa
Sul letto, e tutte le giunture sciolta,
La donna inconsolabde dormia. 1000
Allor la Dea dall’azzurrino sguardo
Nuova cosa pensò. Compose un lieve
Fantasma, che sembrava in tutto Ifumai
D’icario un’altra figlia, a cui legato
S’era con nudi maritali Euniélo,
Che in Fere di Tessaglia avea soggiorno.
Questa Iftima inviò d’Ulisse al tetto,
Che alla lleina tranquillusse il core,
E i sospiri da lei sbandisse, e il pianto.
Pel varco angusto del fedel serrarne 1010
Entrò il l'anlasma, e, standole sul capo.
Riposi tu, Penelope , dicea,
4
liTized by Coogle
ODISSEA
36
Keltuo cordoglio? Grimmortalì Dei
I^grimosa non voglionti, nè trista.
Kiederà il Hgliuol tuo, perchè de’Numi
L*ira col suo fallir mai non incorse.
£ la Reina, che durmia de^sogai
Soavissimamente in su le porte:
Sorella, a che vcnistu? Io mai da prima
Non ti vedea, cosi da lunge alberchi; 1020
3^ or vuoi, ch’io vinc^ quel martir, che inceuto
Guise mi stringe l'alma , io , che un consorte
.Perdei si buon, di si gran core , ornato
D’ogni virtù tra i Greci, ed il cui iioiue
Per i’EUada risuoua, e l’Argo tutta.
S’arroge a questo, che il diletto figlio
Parti su ratta nave, un giovinetto
Delle fatiche, e dell’usanze ignaro.
Più ancor per lui, che per Ulisse, io piango,
£ temo, noi sorprenda u tra le genti lo3o
Straniere, o in mare, alcun sinistro: tanti
Nemici ha, che l’insidiano, e di vita
Prima il desian levar, ch’egli a me torni. ,
Ratto riprese il simulacro oscuro:
Scaccia da te questi ribrezzi, e spera.
Compagna il siegue di cotanta possa.
Che oguuu per aè la brameria : Minerva^
Cui pietà di te punse , e di cui fida
Per tuo conforto ambasciatrice io venni.
E la saggia Penelope a rincontro : 1040
Poiché Ulta Dea sei dunque, o almeno udisti
La voce d’uiia Dea, parlarmi ancora
Di quell’altro infelice or non potrai?
Vive? rimira in qualche parte il Sole?
O ne’bassi calò regni di Piato?
Ratto riprese il simulacro oscuro :
S’ei viva, o no, non t’aspettar, ch’io narri.
Spender non piace a me gli accenti indurilo.
Disse; e pel varco, ond’era entrata, uscendo.
Si mescolò coVenti , e dileguossì. io5o
Ma la Rcina sì destò in quel punto,
Ed il cor si senti d'un’improvvisa
Brillar letizia, che lascìolle il sogno,
Che sì chiaro le apparve innanzi l’Alba.
I Proci l’onde già fendeano, estrema
Macchinando a Telemaco rnina.
Siede tra la pietrosa Itaca, e Same
Un’isola in quel mar , che Astori è detta.
Pur dirupata, nè già troppo grande.
Ma con sicuri porti, in cui le navi 1060
D’ambo i lati entrar ponno. Ivi in ngguaCo
rdeiuaco atteudeau gl’iniqui Achei.
LIBRO QUINTO
ARGOMENTO
Nuovo concìlio degli Dei. Pallade si bgna, che Ulisse ritenuto sia neH'isola di Calipso, e che sì tenti
d'aiximauare Telemaco. Giove manda Mercurio a Galìjtso, che, mal volentieri, convella Ulisse. Tarteoza di
questo S(»vra una spezie di zalla da lui construtta. NoIIudo gli desta contro una orribile teuipc<tu, per cui,
s|«zzala la barca, ei gettasi a nuoto; e con rajulu d'uiu fascia, che Ino, Dea del uurc, gli diede, approda,
dopo intìaili puliòìenti, aU’isula de*l.''eaci.
Già l’Aurora, levandosi a Tìtone
D’allato, abbandonava il croceo letto,
3^ ai Dei portava, ed ai mortali il giorno;
E già tutti a concilio i Dei beati
Svdean con Giove altitonante in mezzo,
Cui di possanza cede ugni altro Nume.
Memore Palla dell’fgregio Ulis.ìe,
Che mal suo grado appo la Ninfa scorge,
l molti ritesseane acerbi casi.
O Giove, disse, e voi tutti d'Olimpo 10
Concittadini , che in eterno siete,
Spoglisi di giustizia, e di pietade,
£ iuiquilate, e crudeltà si vesta
D’ora innanzi ogni Re, quando l’imago
D’Ulisse più non vive in un sol cure
Di quella gente, ch’ci reggea da padre,
£Ì nell’isola intanto, ove Culipso
lu cave grotte ripugnante il tiene,
Giorni oziosi, e travagliosi mena;
£ del tornare alla sua patria è nulla, 2o
Poiché navi non ha, non ha compagni,
Che il carregin dei mar su l’ampio tergo.
Che più ? Il hgliuol, che all’arenosa l’do
Mosse, ed a Sparta, onde saver' di lui,
Tor di vita si brama al suo ritorno.
Figlia, qual ti sentii fuggir parola
Del recinto de’denti? a lei rispose
L’adunator di nubi Olimpio Giove.
Tu stessa in te non divìsavi, come
Rieda Ulisse alla patria, e di que’tristt 3o
Vendetta faccia? Xii Itaca il figliuolo
Per opra tua, chi tei contende? salvo
Rientri , e l’onde navigale indarno
Rinavìghi de’Procì il reo naviglio.
Disse, e a Mercurio, sua diletta prole.
Cosi si l'ìvolgca: Mercurio, antico
De’mieì comandi apportaiur fedele,
Vanne, e alla Ninfa dalle crespe chiome
Il fermo annunzia mio voler, che Ulisse
Le native contrade ornai rivegga, 40
Ma noi guidi uom, nè Dio. Parta su travi
Con moiiiplici nodi in un congiunte,
H il ventesimo di della feconda
Selleria le rive, sospirando, attinga;
E i F»-aci l’accolgano, che quasi
Degrimmortaii al par vivon felici.
Essi, qual Nume, onorcraiilo, e al dolce
Nativo loco il inanderan per nave,
Rame in copia darangli , ed oro, e vesti,
Quanto al hn seco dalla vinta Troja 5o
Digitized by Google
I
^7
I. I B R O
Condotto non avrìa , se con la preda,
Che gli toccò, ne ritornava illeso;
Che la patria così, gli amici , e l'aito
Riveder suo palagio, è a lui destino.
Obbedì il prode niessaggiero. Al piede
S'avvinse i talar belli, aurei, immortali,
Che sul mare il portavano, e su 1 campì
Della terra inliniti a par col vento.
Poi l’aurea verga nella man recossi,
Onde i mortali dolcemente assonna, 6o
Quanti gli piace, o li dissonna ancora,
lì con quella tra man l'aure f'endea.
Come presi ebbe di Pierla i gioghi.
Si calò d'alto, e si gittò sul mare:
Indi l'acque radea velocemente,
Simile al laro, che ne' vasti golfi
S'aggira in traccia da' mimiti pesci,
B spesso nel gran sale i vanni bagna.
Non altrimenti sen venia radendo
Molte onde e molte l'Argicida Ermete. 70
Ma tosto che fu all'isola remota.
Salendo allor dagli azztirrini flutti,
Lungo il lido ei sen g’ia, finché vicina
S'ollerse a lui la spaziosa grotta.
Soggiorno della Ninfa il crin ricciuta,
Cui trovò il Nume alla sua grotta in seno.
Grande vi splendea foco, e la fragranza
Del cedro ardente, e dell'ardente tio
Per tutta si spargea Pisola intorno.
Ella , cantando con leggiadra voce, 8>>
Fra i tesi fili delPordita tela
lyiicida spola d'òr lanciando andava.
Selva ognor verde l'incavato speco
Cingeva : i pioppi vi cresceano, e gli alni,
E gli spiranti odor bruni cipressi;
E tra i lor rami fabbricato il nido
^^aveano augelli dalle lunghe penne.
Il gufo, lo sparviere, e la loquace
Delle rive del mar cornacchia amica.
Giovane vite di purpurei grappi 00
S'ornava, e tutto rivestia lo speco.
Volvean quattro bel fonti acque d’argento,
Tra sè vicini prima, e poi divisi
I/un dall’altro, e fuggenti ; e di viole
Ricca si dispiegava ili ogni dove
De’molll prati l’immortal verzura.
Questa .scena era tal, che sino a un Nume
Non potea farsi ad essa , e non sentirsi
Di maraviglia colmo, e di dolcezza.
Mercurio, immoto, s’ammirava; e, molto 100
Lodatola in suo core, all'antro cavo,
Non indugiando più, dentro si mise.
Calipso , inclita Dea , non ebbe in Jui
Gli occchi affissati , che il conobbe: quando
Per distante, che l'un dall’altro alberglu,
’C.elarsi l’uno all'altro i Dei non ponno.
Ma nella grotta il generoso Ulisse
Non era : mesto sul deserto lido.
Cui spesso si rendea, sedeasi ; ed ivi
Con dolori , con gemiti , con pianti 110
Struggeasi l’alma , e l’infecondo mare
Sempre aggnardava; lagrime stillando.
Li Diva il Nume interrogò, cui posto
Sn mirabile avea seggio lucente:
Mercurio , Nume venerato , e caro,
Che della verga d’òr la man guernisci.
QUINTO;
Qual mai cagione a me , che per Tadilletro
Non visitavi , oggi t’addusse'/ Parla.
Cosa , ch’io valga oprar , nè si scoiivegna,
Disdirti io non saprei , se il pur volessi. lao
Su via , ricevi l’ospitai convito :
Poscia favellerai. Detto , la mensa,
Che ambrosia ricopria , gli pose avanti.
Ed il purpureo nettare versogli.
Questo il celeste messaggiero , e quella
l'rcndea ; nè prima nelle forze usate
Tornò, che apria le labbra in tali accenti:
Tu Dea me Dio dunque richiedi ? Il vero.
Poiché udirlo tu vuoi, schietto io ti narro.
Questo viaggio di Saturno il tìglio i3o
Mal mio grado mi diè. Chi vorria mai
Varcar tante onde salse , infinite oude.
Dove città non sorge , e sagrificl
Non v’ha chi ci offra , ed ec.atombe illustri?
Ma il precetto di Giove a un altro Nume
Nè violar, nè obbliar lice. Tcco,
Disse l’Egidarmato , i giorni mena
L’uom più gramo tra quanti alla citfade
Di Priamo innanzi comhattean nove anni,
Finché il decimo al fin , Troja combusta, 140
Spiega ro in mar le ritornanti vele.
Ma nel cammino ingiuriar Minerva,
Che destò le bufere , e immensi flutti
Centra lor sollevò. Tutti perirò
Di quest’uomo ì compagni ; ed ei dal vento
Venne , e dal fiotto ai lidi tuoi portato.
Or tu costui congeilerai di botto :
Chè non morir dalla sua terra liinge,
Ma la patria bensì , gli amici , e l’alto
Riveder suo palagio , è a lui destino. i5o
Inorridì Calipso, e , con alate
Parole rispondendo , Ah, Numi ingiusti.
Sciamò , che invìdia non più intesa è questa,
Che se una Dea con maritale amples.so
Si congiiinge a un mortai , voi noi soffrite?
Quando la tinta di rosato Aurora
Orione rapì, voi , Dei , cui vita
Facile, scorre , acre livor mordea,
Finche in Ortigia il rintracciò la casta
Dal seggio aureo Diana , e d’improvvisa iGo
Morte il colpì con iiivisibil dariio.
E allor che venne innanellala il crine
Cerere a Gias'ion tutta amorosa,
E nel maggese , che il pesante aratro
Tre volte ajierto avea , se gli concesse,
Giove , cui l’opra non fu ignota , uccise
Gias’ion con la folgore affocata.
Così voi, Dei , con invid’occhio al fianco
Mi vedete un eroe da me serbato.
Che .solo stava in su i meschini avanzi 170
Della nave , che il telo igneo di Giove
Nel mare oscuro gli percosse , e sciolse,
lo raccogliealo amica , io lo nutria
Gelosamente , io prometteagli eterni
Giorni , e dal gel della vecchiezza immuni.
Ma quando troppo è ver, che alcun di Giove
Precetto violare a un altro Nume
Non lice , od obbliar . parta egli , c solchi.
Se il comandò l’Egidarmato , i campi
Non seminati. Io noi rimando certo : tSo
Chè navi a me non .sono , e non compagni,
Che del mare il carreggino sol tergo.
28
ODISSEA
Ben sorverrogli di consiglio , e il modo
Gli additerò , che alla sua dolce terra
Su i perigliosi ilutti ei giunga illeso.
Ogni modo il rimanda , TArgicida
Soggiunse, c pensa , che infiammarsi d’ira
Potrebbe contra te l’Olimpio un giorno.
E sul Hn di tai detti a lei si tolse.
L’augusta Ninfa , del Saturnio udita igu
J.a severa imbasciata , il prode Ulisse
Per cercar s’avviò. Trovollo assisso
Del mare in su la sponda , ove le guance
Di lagrime rigava , e consumava
Col pensier del ritorno i suoi dolci anni.
Che della Ninfa non pungealo amore:
£ se le notti nella cava grotta
Con lei vogliosa non voglioso passa,
Che altro l’eroe può? Ma quanto è il giorno
Su i lidi assiso, e su i rumiti scogli, 2oo
Con dolori , con gemiti , con pianti
Struggesi l’alma, e l’infecondo mare,
Lagrime spesse lagrimando, agguarda.
Calipso , illustre Dea , standogli appresso,
Sciagurato , gli disse, in questi pianti
Più non mi dar , nè consumare i dolci
Tuoi begli anni così: la dipartita,
Non che vietarti , agevolarti io penso.
Su via, le travi nella selva tronche,
Larga e con alti palchi a te congegna 2io
Zattera, che sul mar fosco ti porti,
lo di candido pan , che l’importuna
Pame rintuzzi , io di purissim’oiida,
£ di rosso lìcor , gioja dell’alma,
La carcherò: ti vestirò non vili ••
Panni , e ti manderò da tergo un vento,
Che alle contrade tue ti spinga illeso.
Sol che d’Olimpo agli abitanti piaccia,
Con cui di senno in prova io già non vegno.
Kaccapricciossi a questo il non mai vinto 220
Dalla sventure Ulisse, e, O Dea , rispose
Con alate parole, altro di fermo,
Non il congedo mio , tu volgi in mente, l
Che vuoi , ch’io varchi su tal barca i grossi
Del difOcile mar flutti tremendi.
Cui le navi più ratte, e d’uguai fianchi
Munite, e liete di quel vento amico,
Che da Giove parli , varcano appena.
No , su barca si fatta , c a ttio dispetto,
Non salirò , dove tu pria non degni 23i>
Giurare a me con giuramento grande.
Che nessuno il tuo cor danno m’ordisce.
Sorrise V Atlantide, e, del)a mauo
Divina careggiandolo, la lingua
Sciolse in tai voci : Un cattivello sei,
Nè ciò , che per te fa, scordi giammai.
Quali parole mi parlasti? Or sappia
Dunque la Terra, e il del superno , e l'atra,
Che sotterra si volve , acqua di Stige,
Di cui nè più soVnne han, nè più sacro 2 |0
Gl'lddj beati giuramento, sappia.
Che nessuno il mio cor danno t'ordisce.
Quello anzi io penso, e ti propongo, ch’io
Torrei per me, se in cotant’uopo io fossi.
Giustizia regge l.n mia mente, e un’alma
Pietosa , non di ferro , in ine s’annida.
Ciò detto, abbandonava il lido in fretta,
E Ulisse la scguia. Gimui alla grotta,
Colà , d’onde era l’Argicìda sorto,
S’adagiò il Laerzìade y e la Dea molti 2Òo
Davante gli mettea cibi , e licori,
Quali ricever può petto mortalo.
Poi gli s’asssise a fronte ; e a lei le ancelle
L’ambrosia, e il roseo nettare imbandirò.
Come ambo paghi della mensa furo,
Con tali accenti cominciava l’alta
Di Calipso beltade: O di Laerte
Figlio tliviri , molto ingegnoso Ulisse,
Così tu parti adumjne, e alla nativa
Terra , e alle case de’ tuoi padri vai? 260
Va , poiché sì t’aggrada , e va felice.
Ma se tu scorger del pensier potessi
Per quanti aflanni ti comanda il fato
Prima passar, che al patrio suolo arrivi,
Questa casa con me sempre vorresti
Custodir, ne son certa , e immortai vita
Da Calipso accettar : benché si viva
Bramk t’accenda della tua consorte,
A cui giorno non è che non sospiri.
Pur non cedere a lei nè di statura 270
Mi vanto , nè di volto : umana donna
Mal può con una Dea , nc le s’addice,
Di persona giostrare , o di sembianza.
I Venerabile Iddia , riprese il ricco
D’ingegni Ulisse, non voler di questo
Meco sdegnarti : appien conosco io stesso,
Che la saggia Penelope tu vinci
Di persona non men , che di sembianza.
Giudice il guardo, che ti stia di contra.
Ella nacque mortale , e in te nè morte 280
Può , nè vecchiezza. Ma il pensiero è questo.
Questo il desio , che mi tormenta sempre,
Veder quel giorno al fin , che alle dilette
Piagge del mio natal mi riconduca.
Che se alcun me percoterà de’ Num^
Per le fosche onde , io soft'rirò , chiudendo
Forte conira i disastri anima in |>etto.
Molti sovr’esso il mar, molti fra Tarmi
Già ne sostenni • e sosteronne ancora.
Disse; e ilSol cadde, ed annottò. Nelseno 290
Si ritiraro delia cava grotta
Più interno, e oscuro, e in dolce sonno avvolti
Tutte le cure lor niandaro in bando.
Ma come del mattili la figlia , l’alma
Dalle dita di rose Aurora apparve,
Tunica , e manto alle sue membra Ulisse,
E Calipso alle sue larga ravvolse
Bella gonna , sottil , bianca di neve.
Si strinse al fianco un'aurea fascia , e un velo
Sovra Tòr crespo della chioma impose. 5oo
Nè d’Uiisse a ordinar la dipartita
Tardava. Scure di temprato rame,
(rrande , manesca , e d’ambo i lati aguzza.
Con leggiadro , d’oliva , e bene aitato
Manubrio , presentògli , e una polita
Vi aggiunse ascia lucente : indi all’estremo
DelTisoIa il guidò, dove alte jiiante
Crescean ; pioppi , alni , e sino ai cielo abeti,
Ciascun risecco di gran tempo , e arsiccio.
Che gli sdruccioli agevole su Tonda. 3jo
Le altere piante gli additò col dito,
E alla sua groita il piè torse la Diva.
Egli a troncar cominciò il bosco; l’opra
Nelle man delTorue coma veloce.
Digitized by Gougic
29
LIBRO <
Venti distese al snolo arbori interi,
Gli adeguò, li poli , l'un destramente
Con l’altro pareggiò. Callp^o hitanto
Recava seco gli appuntati succltj.
Ed ei forò le travj, e insieme unille,
E con incastri assicurollc , e chiovi. 020
Larghezza il tutto area /quanta ae danno
Di lata nave trafficante al i'undo
Eeriti fabbri. Su le spesse travi
Combacianti tra sè lunghe stendea
Noderose assi , c il tavolato alzava.
L'albero con l’antenna ersevi ancora,
E construssc il tìmon , che in ambo 1 lati
Armar gli piacque d’intrecciati salci
Contra il marino assalto, e molta selva
Gittò nei fondo per zavorra , o stiva. n5o
I.e tue tele , o Calipso , in man gli arida ro,
K buona gli use i pur di man la vela,
Cui le fiiui legò , legò le .sarte,
La poggia , e l’orza ; al hn , possenti leve
Supposte, spinse il .suo naviglio in mare,
Che il dì quarto splendea. I.a Dea nel quinto
Congedollo dall'isola : odorate
Vesti gli cinse dopo un caldo bagno;
Due otri, l’un di rosseggiante vino.
Di lìmpid 'acqua l'altro, e un zaino, in cui 040
ilVIoltc chiudeansi dilettose dapi,
Collocò nella barca ; e fu suo dono
Un lenissimo ancor vento innocente.
Che nian<lò innanzi ad increspargli il mare.
Lieto l’eroe dell'innocente vento,
La vela dispiegò. Quindi , al timone
Sedendo, il corso dirigea con arte,
Kè gli cadea su le |>el|»ébre il sonno,
IVIentre attento le Plejadi mirava,
E il tardo a tramomar Boote , e l’Or.sa. 5.5o
Che detta è pure il Carro . e la si gira,
Guardando sempre in Orióne , e soia
Kel liquido Oc»an sdegna lavarsi :
L'Orgia, che Ulisse, navigando, a manca
Lasciar dovea , come la Diva ingiunse,
liieci pellegrinava e sette giorni
Su i campi d'Anfitrite. Il dì novello,
Gli sorse incontro co' suoi monti ombrosi
L'isola de’ Feaci , a cui la strada
Conducealo più corta , e che apparta 56o
Quasi uno scudo alle losche onde sopra.
Sin dai monti di Solima lo scórse
Veleggiar per le salse onde tranquille
li po-ssenfe ^ìettun, che ritornava
DairEtiopia , e nel profondo core
Più crucciato , che mai , squassando il rapo,
Poli ! disse dentro a sè, nuovo decreto,
Mentr'io fui tra gii Etiopi , intorno a tTlisse
Fer dunque i Numi ? Ei già la terra vede
De’ Feari , i-he il lato a lui per meta 670
Delle sue lunghe disventurc assegna.
Pur molto , io credo , a tollerar gli resta.
Tacque ; e, dato di piglio al gran trideute,
Le nubi radunò , sconvolse l’ncqur,
Tutte incitò di tutti i venti l'ire^
Fi la terra di nuvoli coverse,
Coverse il mar : notte di ciel giù scese,
S'avventaro sul mar quasi in un gmppo
Ed Euro, e Noto, e il celere Ponente,
Ed Aquilun, che pruine a.^pre su i'ali 5So
U I N T O.
Reca, ed immensi flutti innalza e volve.
Discior sentissi le ginocchia , e il core
Di Laerte il fìgliuol , che tal si dolse
Nel secreto dell’alma : Ahi me inlelitc!
Che di me sarà ornai? Temo , non torni
Verace troppo della Ninfa il detto,
Che al patrio nido io giungerei per mezzo
Delle fatiche solo e dHl'ongosce.
Di qual nuvole il cielo ampio inghirlanda
Giove, ed il mar conturba? E come tutti 5qo
Fremono i venti? A certa morie io corro.
Oh tre fiate iortiinati c quattro,
Cui perir fu concesso innanzi a Troja,
Per gli Atridi pugnando 1 E j>erchè allora
Non caddi anch'iti, che al morto Arhilir intorno
Tante i Trojani in me lance scagliare?
Sepolto j Greci co’ funebri onori
M avriano , e alzato ne' lor canti al cielo.
Or per via così miaiista ir deggio a Dite.
Mentre così doleasi , un'onda grande 400
Venne d’alto con liiria , e urtò la barca,
K rigirolla : e lui , che andar lasciossi
Dalle mani il tinion , fuori ne spinse.
Turbine orrendo d'aggrnppati venti
L'albero a mezzo gii fiaccò: lontane
Vela , ed antenna caddero. Ei gran tempo
Stette di sotto , mal potendo il capo
Levar dall'onde impetuose e grosse:
Chè le vesti gravavanlu , che in dono
Da Ciilipso ebbe. Spuntò tardi , e molta 410
Dalla bocca gii liscia , gli piove» molta
Dalla testa , e dal crine onda salata.
Non jierò deila zatta il prese obbliu :
Ma , da tè ì flutti respingendo, ratio
L'apprese, e g'à di sopra , il fin di morte
Schivando , vi sedea. Hapìala il fiotto
Qua e là per lo golfo. A quella gni«i,
Che sovra i campi il Tramontali d'Autunnn
Fascio trabalza d’anumlate spine,
I venti trabalzavanla sul mare. 420
Or Noto da portare a Borea l'ofTre,
Kd or, perchè davanti a sè la cacci,
Euro la cede d’Occidente al vento.
La bella il vide dal tallun di perla
Figlia di Cadmo , Ino chiamuta al tempo,
Che vìvea tra i mortali: or ne! mar gode
Divini onori , e Leucotea si noma.
Compunta il cor per lui d’alta pietade,
S’alzo dell'onda fuor, qnal mergo, a volo,
C , su le travi bene avvinte 8s.H^^a, 45o
Così gli favellò : Perchè , meschino,
S'accese mai con te d'ira sì acerba
Lo scuotitor della terrena mole,
Che ti semina i mali ? Ah ! non fia certo,
Ch’eì, per (pianto il deaii, spenga i tuoi giorni.
Fa , poiché vista m’hai d'uomo non follo,
Ciò , ch’io t'insegno. 1 panni tuoi svestiti,
l.ascia il naviglio da portarsi ai venti,
E a nuoto cerca il Feacese lido.
Che per meta de’ guai Passegnu il fato. 4i<>
Ma questa prendi , e la t’avvolgi al petto,
Fascia immortal, nè temer morte , o danno.
Tocco della Feacia il lido appena,
Spogliala , e in mar dal coiitmeine lungi
La gitta , e loici nel gittarla Ì1 volto.
Ciò dello , c a lui l’ioiaiorlal lascia data.
Digilized by Coogle
30 ODI
Rientrò , pur qual mer^o , in seno al fosco
]\larc ondeggiante , che su lei si chiuse.
Pensoso cesta, e in forse, il pa7.'iente
Laerziaile divino, e con se stesso, 4^o
Raddoppiando i sospir, tal si consiglia:
Ohimè 1 che nuovo non mi tessa inganno
De’Sempiterni alcun , che dal mio legno
Partir m’ingiunge. Io cosi tosto penso
Kon ubbidirgli : cliè la terra , dove
Di scampo ei m’ailidò , troppo è lontana.
Ma ecco quel, che i>ttimo parmi : quanto
C'ingiunte riinarran tra lor le travi,
Kori abbandonerolle , e co’ disastri
Fermo io combatterò. Sciorralie •)! flutto? 460
Porrommi a nuoto ; nè veder so meglio.
Tai cose in sè volgea, quando Nettuno
Sollevò un’omla immensa, orrenda, grave,
Di mori'c in guisa , e la so-<pÌiise. Come
Disperse qua e là vanno le secche
Paglie, di cuisorgea gran mucchio in prima,
Se mai le investe un furioso turbo,
Xe tavole pel mar disperse aiidaro.
Sovra un sol trave a cavalcioni Ulisse
Montava: i panni , die la Dea Calipso 4*70
Dati gli avea , svesti, s’avvolse al petto
X’immortal benda, e si gittò ne’ gorghi
Roccon'le braccia per notare aprendo.
Kè già s’ascose dal ceruleo Iddio,
Che , la testa crollando , A questo modo
Hira , dicea tra sè , di flutto in flutto
Dopo tante sciagure , e a genti arriva
Da Giove amate: benché speme io porti,
Che nè tra quelle brillerai di gioja.
Cosi Nettuno; e della verde sferza 480
Toccò i cavalli alle leggiadre chiome.
Che il condussero ad Ì2ga , ove gli splende
Nobile altezza di reai palagio.
Pallade intanto , la prudente figlia
Di Giove, altro pensò. Fermò gli alati
Venti, e silenzio impose loro, e tutti
Gli avvinse di sopor , fuorché il veloce
porea ,clie, da lej spinto , i vasti flutti
Dinanzi a Ulisse infranse, ond’ei le rive
Df*! vago di remar popol Feace 4qo
Pigliar potesse, cd ingannar la Parca.
Due giorni in cotal foggia , e tante notti
per l’ampio golfo errava , e spesso il core
Morte gli presagia. Ma quando l’Alba
Cinta la fronte di purpuree rose
31 di terzo recò , tacquesi il vento,
X un tranquillo sereu regnava intorno.
IHisse allor , cui levò in alto un grosso
Flutto, la terra non lontana scòrse.
Forte aguzzando le bramose cìglia. 5oo
Qtiale appar dolce a un figUuol pio la vista
Del genitor , che su dolente letto
Scarno, smunto, distrutto, e da un maligno
Demone giacque lunghi di percosso,
E poi del micidial morbo cortesi
11 disciolser gli Dei : tale ad Ulisse
l^a terra , e il verde della selva apparve.
Quinci ci , notando , ambi movea di tutta
Sua forza 1 piedi a quella volta. Come
Presso ne fu, quanto d’nom corre un grido, 5io
Fiero il colpi romor : poiché i ruttali
Sin dal fondo del mar flutti tccmeiuli,
S S £ A
Che agli aspri si rompesti lidi ronrliiosi,
Strepitavau , mugghiavano , e di bianca
Spuma coprian tatta la sponda , mentre
Porto capace di navigli , o seno
Non vi s’apria, ma littorali punte
Risaltavano in fuori , e scogli , e sassi. ^
Le forze a tanto , ed il coraggio Ulisse
Fallir si sente, e dice a sè , gemendo : 5io
Qual prò , che Giove il disperato suolo
Mostri, e io m’abbia la via per Fonde aperta.
Se delFuscirne fuor non veggio il corner
Sporgoii su l’onde acuti sassi , a cui
J.'impctuoso flutto intorno freme,
E una rupe va su liscia e lucente:
Nè COSI basso è il mar , che nell’arena
Fermare il piè securameiite io valga.
Quindi , s’io trar men voglio, un gran maroso
Sovra di sè può tonni , e in dura pietra 53a
Oicciarmi ; o s'io lungo le rupi cerco
Notando un porto, o una declive schiena,
Temo , non procellosa onda ni’avvolga,
E sospirando gravemente in grembo
Mi risospinga del pescoso mare.
Forse un de’ mostri ancor, che molti nutre
Ne* gorghi suoi la nobile Anfìtrite,
M’assalirà : che l’odio io ben conobbi,
Che m’ha quel Dio , per cui la terra trema.
Stando egli in tal pensieri, una sconcia onda
Traportollo con sè ver Fineguaìe (54o
Spiaggia, che lacerata in un sul punto
Li pelle avriagli , e sgretolate l'ossa,
Senza un consiglio, che nel cor gli pose
L'occhicerulea Diva. Afl'errò ad ambe
Mani la rupe , in ch’ei già dava , c ad essa
Gemendo s'atlenea. Deluso intanto
(ili pasMÌ su la testa il violento
Flutto : se non che poi , tornando indietro,
Con nuova furia il ripercosse , e lunge 55o
Lo sbalzò delia spiaggia al mare in grembo.
Polpo COSI dalla pietrosa tana
Strappato vicn : salvo che a Ini non pochi
Restai! lapliii nelle branche iiilitti,
E Ulisse in vece la squarciata pelle
Delle nervose man lasciò alla rupe.
L’onde allora il coprirò, e Finfelice
Lontra il fato perla: ma infuse a lui
Nuovo pensler rocchiazzurrina. Sorto
DalFomie, il lido costeggiava, ai flutti, ò6o
Che vel portavan , contrastando , e attento
Mirando sempre, se da qualche parte
Scendesse una pendice, o un seno entrasse:
Nè dall'opra cessò, che d’nn bel fiume
(Jiunto si vide aU'argentina foce.
Ottimo qui gli sembrò il loco al line,
Siccome quel , che nè di sassi aspro era,
Nè discoperto ai venti. Avvisò ratto
ri puro umor , che devolveasi al mare,
E tal dentro di sè preghiera feo : 570
O chiunque tu sii Ile di quest’arqne,
Odimi : a te, cui sospirai cotanto,
Gli sdegni di Nettuno, e le minacce
Fuggendo, io m’appresento. ii sacra cosa
Per gPlmmortali ancor Fuom, che d'allroude
Venga errando, com*io, che dopo molti
Durati alfannl ecco alla tua corrente
Giungo , e ai gìuocchi tuoi. Pietà d’Ubsse,
'"'oogle
3i
LIBRO
Che tuo supplice redi, o Re, ti prenda.
Dimise} ed il Nume acchetò il cursO| c Ronda
Ritenne, sparse una perfetta calma, (5^u
K alla foce il salvò del suo bel fiume.
L’eroe, tocca la terra, ambo ì ginocchi
Riegò, piegò le nerborute braccia:
Tanto il gran sale i'afilig;.^ea. Gonfiava
Tutto quanto il suo corpo , e per la bocca
Molto mar gli sgorgava, e per le nari;
Ed ei senza respiro, e senza voce
Giaceasi , e spento di vigore adatto;
Chè troppa nel suo corpo entrò stanchezza. 5qo
Ma come il fiato, ed il pensier riebbe,
Tosto dal petto la divina benda
Sciolse , e gittola , ove amareggia il fiume.
La corrente rapivala; nè tarda
A riprenderla fu con man la Dea,
Hi , dall’onda ritrattosi, chinossi
Su i molli giunchi, c baciò Talina Terra.
Voi nel secreto delta sua grand’alma
Così parlava, e so.-pirava insieme:
Hierni Dei, che mi rimane ancora 600
Di periglioso a tollerar? Dov’io
Questa gravosa notte al fiume in riva
Vegghiassi, l’aer freddo, e il molle guazzo
Potrian me di persona, e d’alma infermo
Struggere al tutto: chè su i primi albori
Nemica brezza spirerà dai fiume.
Salirò al colle in vece, ed all’ombrosa
Selva, e m’addormirò tra Ì folti arbusti,
Sol che non vieti la fiacchezza, o il ghiado,
Che il sonno in me passi furtivo? Preda 610
SESTO. '
Diventar delle fere , e pasto io temo.
Dopo molto dubbiar quedto gli parrò
Meli reo partito. Si rivolge al bosco,
Che non funge dall’arque a un poggio in cima
l'ea di sé mostra, e s’internò tra due
Sì vicini arboscei, che dalla stessa
Radice uscir pareano, ambi d’ulivo,
; Ma domestico l'un, l'altro selvaggio,
i La forza non crollavali de* venti.
Nè l’igneo Sole co’ suoi raggi addentro fiso
Li saettava, nè le druse piogge
Penetravan tra lor : si uniti insieme
Crebbero , e tanto s’intrecciaro i rami.
Ulisse sotleiitrovvi, e ammontirossi
Di propria niaii commodu letto, quando
Tal ricchezza era qui di foglie sparse,
Che ripararvi uomini tre, nonché uno,
Potuto avriano ai più crudeli verni.
Gioì alla vista delle molle foglie
L'uom divino, e corcossi entro alle foglie, 63o
m a sè di foglie sovrappose un munte.
Come se alcun, che solitaria suole
Condur la vita in sul confili d’iin campo,
Tizzo nasconde fumeggiante ancora
Sotto la bruna cenere, e del foco,
Percliè cercar da sè lungi noi debba,
Serba in tal modo il prezioso seme ;
Così colossi tra le foglie Ulisse.
Pallade allor, che di sì rea fatica
Bramava torgli Piniportuno senso, C40
Un sonno gli versò dolce negli ocxhi,
Le dilette palpebre a lui vcìuiido.
LIBRO SESTO
ARGOMENTO
Pallade va ocll’isola de’Feaci, ed appare in sofmo a Nausica, fìf^lìa del Re Alcinoo* e l'csorta condurli al
6ume a lavar le vr«li, avvicinandosi il giorno delle sue nuzte. Nausicn, ottenuto dal [tadre il cocchio, e^ce
della cittii. Lavate le vesti, inclusi a giuncare alla palla con le sue ancelle. I» strepito risveglia Ulisse, che
ancor dtirioia, e che, preaeaUtosi alia Priocipessa, pregala di suvvcoiiueaUi. Ella il s<>cct>rre di cibo, e vestito;
e guidalo alia città.
JVTentre sepolto in un profondo sonno
Colà posava il travagliato Ulisse,
Minerva al popol dc’l‘'eaci, e all’alta
Lor città s’avviò. Questi da prima
Ne’ vasti d’Iperéa fecoudi piani
Far dimora soleaii, presso i Ciclopi,
Gente di cor superbo, e a’ suoi vicini
'Panto molesta più, quanto più forte.
Quindi Nau&itoo, suniigiiante a un Dio,
Di tal sede levolli, e in una terra, 10
C’he dagli uomini industri il mar divide.
Oli allogò, nella Sch'^ria; e qui condusse
Alla cittade una muraglia intorno,
Le case fabbricò, divise i campi,
E agl’immortali i sacri templi eresse.
Colpito dalla Parca, ai foschi regni
Era già sceso, e Alcmoo, che i beati
Numi assennato avean, reggea lo scettro.
L’occliicilestra Dea, che sempre fissa
Nel ritorno d’Ulisse avea la mente, ao
Tenne verso la reggia, e alla secreta
Dt*dalea stanza rivolse, dove
Giovinetta dormia, che le Immortali
L’jiidoie somigliava, c di fattezze,
Nausica , del Ile figlia ; ed alia porta,
Che rinchiusa era, e risplendea nel biijo,
Giacean due, l’uiia quiii' ì, e l’altra quimll.
Pudiche ancelle, cui le Grazie istesse
Di non vuigar beltà la faccia ornaro.
La Dea, che gli octhi in azzurrino tinge, 3o
Quasi fiato leggier di piccioi vento,
S’avviciiiò della fanciulla al letto,
E sul c<ipu le stette, e, preso il volto
Della figlia dei prode in mar Dimante
Multo a lei cara, e ugual d’etadc a lei,
Cotali le drizzò voci nel sonno :
Deh, Nausica, perchè te cosi lenta
La genitrice partorì? Neglette
Digilized by Coogle
Sa ODI,
Ljéscì piacerli le leggiadre vesti,
Benché deile tue no2ze il d'i b’appressi, 40
Quando le membra tue cinger dovrai
Delle vesti leggiadre , e a quelli otiVirne,
Che scorgerauli dello spo^u ai tetti.
Cosi fama &’acquista, e ne gioisce
Col genitor la veuerandu madre.
Dunque i bei panni, come il cielo imbianchi,
Vadasi a por nell’onda : io neirnupresa.
Onde trarla più ratto a fin tu poiwi,
Compagna ti saio. Vergine, io credo,
Non rimarrai gran pezza; e già di questo, 60
Tra cui nascesù e tu, popol Fcace
I migliori ti ambiscono, bu via,
Spuntalo appena in Onente il Sole,
Trova l’inclito padre, e de’gagUaidi
Muli il riclm tli, e del polito carro
Che i pepli, gli scheggiali, e i preziosi
Manti conduca : poiché si distanno
Dalia città i lavacri, che del cocchio
Valerti, e non del piede, a te s’addice.
Finiti ch’ebbe tali accenti, e messo 6«>
Consiglio tal della fanciulla in petto,
La Dea, che guarda con azzurre lue»,
All’Olimpo tornò, tornò alla ferma
De’sempilcriii Dei sede tranquilla,
Che nè i venti commuovono, nè bagna
La pioggia mai, nè mai la neve ingombra:
Ma un seren puro vi si spande sopra
Da nube alcuna non olTeso, e un vivo
Candido lume la circonda, m cui
Si giocondau mai sempre j Dii beati. 70
L’Aurora intanto d’in su l’aureo trono
Comparve in Oriente, e alla sopita
Vergine dal bel peplo i lumi aperse.
La giovinetta s’ammiiò del sogno,
£ al padre per narrarlo, ed alla madre
Corse, e trovoUì nel {i^ilagio entrambi.
La madre assisa al focolare, e cinta
Dalle sue fanti, e con la destra al fuso.
Lane di fina porpora torcia.
Ma nel caro suo padre tu quel che al grande 80
Concilio andava, ove atlandeanlo i Capi
De’Feacesi, s’abbattè ^ausica,
£, stringendosi a lui , Babbo mio dolce,
TJori vuoi tu farmi apparecchiar, gU disse,
L'eccelso carro dalle lievi ruote,
Acciocché le neglette io rechi al fiume
Vesti oscurate, e nitide le tornì?
Troppo a te si convìen, che tra ì soprani
Nelle consulte ragionando siedi,
Seder con monde vestimenta in dosso. 90
Cinque in casa ti vedi amati figli,
Due già nel maritaggio, e tre, cui ride
Celibe fior di giovinezza in volto.
Questi al ballo ir vorrian con panni sempre
Giunti dalle lavande alloia allora.
£ tai cose a me sou pur tutte in cura.
Tacquesi a lanto : chè toccar le nozze
Sue giovanili non s’ardia col padre
Ma ei comprese il tutto, e si rispose:
Kè di questo io potrei, nè d'altro, o figlia, lou
Non Soddisfarti. Va : l’alto, impalcato
Carro veloce uppresteranti i servi.
Disse; e gli ordini diede, e pronti i servi
La molar biga dalle lievi ruote
S E A
Tra.vser fuori, e allestirò, c i forti muli
Vi iniser sotto, e gli accuppiaro. Intauto
Venia Nautica con le belle vesti,
Che su la biga lucida depose.
Cibi graditi, e di sapor diversi,
ha madre collocava in gran paniere, no
E nel capace sen d’otn* ceprigno
Vino iiiUmdea siiave: indi alia figlia,
Ch’era sul cocchio, perchè dopo il bagno
Se con le ancelle, che seguianla. ungesse,
Porse in ampolla d'òr liquida oliva.
Nausica in man le rilucenti briglie
Prese, prese la sferza, e diè di questa
Sovra il tergo ai quadrupedi robusti,
Che si moveano strepitando, e i passi
Senza posa allungavano, portando 120
Le vesti, e la fRiiciulia, e non lei sola,
Quando ai fianchi di lei sedfan le ancelle.
Tosto che fur dell’argentino fiume
Alla pura corrente, ed ai lavacri
Di viva ridondanti acqua perenne,
Da cui macchia non è, che non si terga,
Sciolsero ì muli , e al vorticoso fiume,
Il verde a morsccchiar cibo soave *
Del mele al pari, li mandaru in riva.
Poscia dal cocchio su le braccia i drappi 100
Kecavansi, egittavanli neironda,
Che nereggiava tutta; e in larghe fosse
Gianli con presto piè pestando a prova.
Purgati, e «etti d’ogm lor bruttura.
L’uno appo Taltro gli stendean sul lido,
Là dove le pìetrnzze il mar poliva.
Ciò fatto, si bagnò ciascuna, e s’unse,
K poi del fiume pasteggiar sul margo:
Mentre d’alto co'raggi aureuluceuti
Gli stesi drappi rasciugava il Sole. 140
Ma, spento della mensa ogni desio,
Una palla godcan trattar per gioco,
Deposti prima dalia testa i vefi;
Kd il canto intonava alle compagne
Nausica bella dalle bianche braccia.
Come Diana per gli eccelsi monti
0 del Taigeto muove, o d’Krimanto,
Con la taretra agli omeri, premlemio
De’rattì cervi, e de’cinghiai diletto:
Scherzan, prole di Giove, a lei d’intorno 160
Le bpscherccce Ninfe, onde a I.atoua
S»*rpe nel cor tacita gioja; ed ella
Va del capo sovrana, c della fronte
Visibilmente a tutte l’altre, e vaga
Tra loro è più qual da lei meno è vinta:
Così spiccava tra le ancelle questa
Da giogo maritai vergine intatta.
Nella stagion, che al suo paterno tetto,
1 muli aggiunti, e ripiegati 1 manti,
Ritornar disponea, nacque un novello 160
Consiglio in mente aU’occhiglauca Diva,
Perchè Ulisse dissonnisi, e gli appaja
La giovinetta dalle nere ciglia,
Chede’Feaci alla cittade il guidi.
Nausica in man tolse la palla, e ad una
Delle campagne la scagi.ò : la palla
Desviossi dal segno, a cui volava,
K nel profondo vortice cade.
Tutte misero allora un alto grido,
L’er cui si ruppe incouUneueute il sonno 1 70
Digitized by Googic
33
LIBRO
Nel capo a Ulisse, che a seder drizaossi^
Tal cose in sè volgendo : Ahi fra qual gente
Mi ritrovo io? Cruda, villana, ingiusta,
O amica degli estrani , e ai Dii sommessa?
Quel, che rorecchio mi percosse, un grido
Femminil parmi di fanciulle Ninfe,
Che.de^ monti su i gioghi erti, e de* fiumi
Nelle sorgenti, e per Terbose valli
Albergano. O son forse umane voci ,
die testé mi ferirò? Io senza indugio iBo
Dagli stessi occhi miei sapronne il vero.
Ciò detto, uscia l'eroe fuor degli arbusti,
£ con la man gagliarda in quel, che uscia ,
Scemò la selva d.*un foglioso ramo,
Che velame gli valse ai fianchi intorno.
Quale da natio monte, ove la pioggia
Sostenne, e i venti impetuosi, cala
Leon, che nelle sue forze confida:
Foco son gli occhi suoi; greggia, ed armento,
O le cerve salvatiche, al digiuno
Ventre ubbidendo , parimente assalta ,
Nè , perchè senta ogni pastore in guardia ,
Tutto teme investir l'ovile ancora :
Tal, benché nudo, sen veniva Ulisse,
Necessità stringendolo, alla volta
Delle fanciulle dal ricciuto crine.
Cui, lordo di salsuggine, com'era ,
Si lìera cosa rassenibrò, che tutte
Fuggirò qua c là per l’alte rive.
Sola d’Àlcinoo la diletta fìgUa, 2Òo
Cui Paliade nell'alma infuse ardire ,
E fraiuò ’d’ogni tremito le membra,
Piantossigli di centra, e immota stette.
In due pensieri ei dividea la mente :
O le ginocchia strigiicre a Nausica,
DI supplicante in atto, o di lontano
Fregarla molto con blande parole.
Che la città mostrargli, e d’una vesta
Rilornirlo, volesse. A ciò s'attenne:
Chè dello strigner de'ginocchi sdegno aio
Tornea, che Ìii lei si risvegliasse. Accenti
Dunque le inviò blandi, e accorti a un tempo.
Regina, odi i miei voti. Ah degg'io Dea
Chiamarti , o umana donna? Se tu alcuna
Sei delle Dive, che in Olimpo han seggio.
Alla bcitade, agli atti , al maestoso
Nobile aspetto, io l'immortal Diana,
Dei gran Giove la figlia, in tc ravviso.
E se tra quelli, che la terra nutre,
Le luci apristi al dì, tre volte il padre 220
Beato, e tre la madre veneranda ,
£ beati tre volte i tuoi germani,
Cui di conforto almo s'allarga, e brilla
Di schietta gioja il cor, sempre che in danza
Vegglono entrar sì grazioso germe.
Ma felice su tutti oltra ogni detto
Chi potrà un dì nelle sue case addurti
D'illustri carca nuziali doni.
Nulla di tal s’offerse unqua nel volto
O di femmina, o d'uomo, alle mie ciglia : 200
Stupor, mirando, e riverenza tiemini.
Tal quello era bensì, che un |»iorno in Deio,
Presso l’ara d'Apollo, ergersi io vidi
Nuovo rampollo di mirabil palma :
Chè a Deio ancora io mi conaussi , e molta
Mi seguia gente armata in quel viaggio,
ODISSEA.
SESTO.
Che in danno riuscir doveami al fine.
£ com'io, hssi nella palma gli occhi,
Colmo restai dì maraviglia, quando
Di terra mai non surse arbor sì bello, 340
Così te , donna, stupefatto ammiro,
£ le ginocchia tue , benché m’opprima
Dolore immenso , io pur toccar non oso.
Me uscito deU’Ogigia isola dieci
Portava giorni e dieci il vento , e il fiotto.
Scampai dall’onda ieri soltanto , e un Nume
Su queste piagg<? > a trovar forse nuovi
Disastri , mi giUÒ : poscia che stanchi
Di travagliarmi non cred'jo gli Eterni.
Pietà di me , Regina , a cui la prima aSo
Dopo tante sventure innanzi io vegno,
Io , che degli abitanti , o la campagna
Tengali, o la città , nessun conobbi.
La cittade m'addita , e un panno dammi.
Che mi ricopra ^ dammi un sol, se panni
Qua recasti con te, di panni invoglio.
Pi a te gli Dei , quanto il tuo cor de^a,
Si compiaccian largir: consorte, e figli,
K un sol volere in due \ però ch'io vita
Non so più invidiabile , che dove 260
La propria casa con un'dlma sola
Veggonsi governar marito , e donna.
Duul grande i tristi n'hanno, e gioja i buoni :
Ma quei , ch'csultan più , sono i due sposi.
O iorestier , tu non mi sembri punto
Dissennato , e dappoco , allor risposo
verginetta dalle bianche braccia.
L’Olimpio Giove , che sovente al tristo
Non meli, che al buon , felicità dispensa.
Mandò a te la sciagura , e tu da forte lyo
La sosterrai. Ma , poiché ai nostri lidi
Ti convenne approdar, di veste , o d’altro,
Cile ai supplici si debba , ed ai meschini,
Non |>atirai disagio, lo la cittade
I Mostrarti non rnuso . e il nome dirti
; Degli abitanti. £ de' Feacì albergo
Questa fortunata isola ^ ed io nacqui
Dal magnanimo Alcinoo, in cui la somma
Del poter si restringe, e dell'impero.
Tal favellò Nausica ; e alle compagne, 380
Olà , disse , fermatevi. In qual pane
Fuggite voi, perchè v’apparse un uomo?
Mirar credeste d’un nemico il volto?
Non fu , non è , non fia , chi a noi s'attenti
Guerra portar: tanto agli Dei siam cari.
Oltre che in sen dell'ondeggiante mare
Solitari viviam , viviam divisi
Da tutto l’altro della stirpe umana.
Un misero è costui , che a queste piagge
Capiiò errando, e a cui pensare or vuoisi. 2qo
Gli stranieri , vedete , ed i mendichi
Veiigon da Giove tutù , e non v'ha dono
Picciolo sì , che lur non torni caro.
Su via, di cibo, e di bevanda il nuovo
Ospite soccorrete; e pria d'un bagno
Colà nel fiume, ove non puote il vento.
I/O compagne ristéro, cd a vicenda
Si rincoraru; e, come avea d'Alciiioo
La figlia ingiunto , sotto un bel frascato
Menaro Ulisse , c accanto a lui le vesti 3oo
Poser, tunica , e manto , e la rinchiusa
Nellampolla (leU’òr liquida oliva:
ODI
(,)uin(Vi ad fnlrar col piè nella corrente
] o inanimirò. Ma l’eroe: Fanciulle,
Appartarvi da me non vi sia grave,
Finche io questa salsiiggine marina
Mi terga io stesso , e del salubre m’unga
DeU’oliva licor , conforto ignoto
Da lungo tempo alle mie membra. Io certo
Non laver<>mmi nel cospetto vostro ; 3io
Che tra voi starmi non ardisco ignudo.
Trassrr le ancelle indietro , cd a Nautica
Ciò riportare. Ki dalle membra il sozzo
Nettunio sai , che gCincrostò le larghe
Spalle, ed il tergo, si togliea col liuoie,
E la bruttura del leroce mare
Dal capo s’astergea. Ma come tutto
4S1 fu lavato , ed unto , c di que’ panni
Vestito , rh’ehbe da Nausica m dono,
J.ni Minerva , la prole alma di (riove, 53o
Maggior d'aspettu , e più ricolmo in taccia
Fese , e più Iresco , e de’ capei lucenti.
Che di giacinto a lior parean sembianti,
Su gli omeri cader gli leo le anella.
£ qual se dotto mastro , a cui deU’arte
Nulla celaro Pallade , e Vulcano ,
Sparge all’argento il liqnid’oro intorno
S: , che aU’ulliino suo giunge con l’opra:
'J'ale^ad Ulisse l’Atenéa Minerva
Crii omeri , e il capo di decoro asperse, 53o
Ad Ulisse, che po.-cia , ilo in disparte,
Sii la riva sedea del mar canuto,
Di grazia irradiato , e di beltade.
La donzella stordiva ; ed aH’ancelIe
Dal crin ricciuto disse : Un mio pensiero
Nascondervi io non posso. Avversi il giorno,
Che le nostre aRérrò sjwnde beate,
Kon erano a costui funi del cielo
Gli abitatori: egli d’uom vile c abbietto
'l’isla m’avea da prima , ed or simile 040
Sembrami a un Dio , che su l’Olimpo slerle.
Oli colui fosse tal , che i Numi a sposo
Mi de&linaro ! Ed oh piacesse a Im
Fermar qui la sua stanzii ! Orsù, di cibo
Sovvenitelo, amiche, e di bevanda.
Quelle ascoltare con orecchio teso,
F. il comando seguir : cibo , e bexamia
All’ospite imbandirò; e il paziente
Divino Ulisse con bramose fauci
I.’uno, e l’altra prendea, qnal chi gran tempo
Dromo ì ristori della mensa indarno. 55o
Qui l’occhinera \crgine novello
Partito immaginò. Sul vago carro
Le ripiegate vestimenta pose,
Aggiunse i muli di forte unghia, e salse.
Poi cosi Ulisse confortava : Sorgi,
Stranier, se alla cittade ir ti taleiiip,
F. il mio padre veder, nel cui palagio
S’acCoglieran della Feacia i Capi.
Ma, quando folle nmi mi sembri punto, 3òo
Cotj.l modo terrai. Finché moviamo
Dt’ buoi tra le fatiche , e de’ coloni.
Tu con le ancelle dopo il carro vieni
Non lentamente ; io ti .sarò per guida*
Come da presso la cittade avremo,
Divideremci. È la città da un alto
Muro cerchiata, e due bei porti vanta
D’angii.sta foce , un quinci , e l’altro quindi,
S E A
Su le cui rive tutti in lunga fila
Posali dal mare i naviganti legni. . 5jo
Tra un porto , e l’altro si distende il foro
Di pietre quadre , e da vicina cava
Condotte, lastricato ; e al foro in mezzo
l/antlco tempio di Nettali $1 leva.
Colà gli arnesi delle negre navi,
Gi»mene , e vele, a racconciar s’mtcnde,
K i remi a ripulir: chè de’ Feaci
Non lusingano il core archi , e faretre,
Ala veleggiaini e remiganti navi,
Su cui pii»>aiio allegri il mar spumante.
Di cotcsioro a mio potere io sfuggo
Le voci amare , lum alcun da tergo
Mi morda , e tal , che s’abbaUesse a noi,
Della ic('cÌH p ù vii , Chi è , non dica,
Quel forestiero, che Nausica siegue,
hello d’aspetto, e grande ? Ove irovollo?
Certo è lo sposo. Forse alcun di quelli,
Cile da noi parte il mar , ramingo giunse,
F.d ella il ricevè , che uscia di nave :
O da lunghi chiamalo ardenti voti 3qo
.Scese di cielo , e le comparve un Nume,
Che seco riterrà lutti i suoi giorni.
P«ù bell») ancor, se andò ella stessa in traccia
D’ijoni d’altronde venuto, e a lui donossi,
Dappoi che i molti , che rambiaiio , illuotri
Feaci tanto avanti ebbe in di.Hpettu.
Così diriano ; e ciudeiineiitc uilesa
Ne saiia la mia fama. Io stessa sdegno
Concepirei contra chiunque osasse.
De* genitori non contemi in faccia, 4^^
Pria incs<'hìarsì con gli uomini , che sorto
Fosse dell^ sue no/xe il di festivo.
Dunque a’ miei detti bada ; e leggiermente
ilitmiio, e scorta impetrerai dai padre.
Folto di pioppi , e<l a Minerva sacro
Ci s’odriià ;>er via bosco ironzuto,
Cui viva fonte bagna , e niulli prati
Cingono : ivi non più dalla cittade
Lontan, che un gridar d’uomo, il bel podere
Giace del padre, e l’orto suo verdeggia. 410
Ivi tanto, che a quella , ed ai paterno
Tetto io giunga , 8usti*^ui ; e allur che giunta
Mi crederai , tu pur t’inurba , e cerca
il palagio del Re. Del Re il p<«lagin
Gli occhi tosto a sé chiama , e uu fanciullino
Vi ti potria condur : chè de’ Feaci
Von sorge ostello , che il paterno adegui.
Entrato nel corlil , rapidamente
Sino alla madre mia per lesiijKrbe
Camere varca. Ella davanti al loco, ^1.0
Che del suo lume le colora il volto,
Siede, e, poggiata a una colonna , torce,
Degli sguardi sUipor, purpuree lane.
Siedonle a tergo le fantesche , e pre.sso
S’alza del padre ìi trono , in ch’ei , qual Dio,
S’adagia , e della vite il nettar bee.
Declina il trono, c stendi alle ginocchia
Della madre le braccia ; onde ira poco
Del tuo ritorno alle natie contrade ,
Per remote che sieri, t! spunti il giorno. 43o
Studiati entrarle tanto o quanto in core;
K di non riveder le patrie .sponde,
(Hi alberghi aviti , e degli amici il volto ,
Bandisci dalla mente ogni sospetto.
Digitized by Coogle
LIBRO S
Dello così, della lucente sferza
Diè su le groppe ai TÌgorosi muli ,
Che pronti si lasciaro il liume addietro.
Veiiiati correndo, ed alternando a gara,
Dello a vedersi , le nervose gainl>e;
K la donzella, perchè Ulisse a piede 440
Lei con le ancelle seguitar potesse,
Attenta carreggiava , e i'ea con arte
Scoppiare in alto della siorza il suono.
C^dea iieil’acque Occidentali il Sole,
die al sacro di Minerva illustre bosco
l'uro 'j cd Ulisse ivi s'assise. (Quindi '
E T T I M 0. 5;,
A. Minerva pregava in tali accenti :
Odimi, invitta deirKgì'oco hglia ,
Kd oggi almeri la pieni i voli miei
Tu , che pieni i miei voti uiKpia non festi , 4Ó0
riuchè su Tonde mi sbalzò Nettuno.
Tu dammi , che gradito , r non imlegrto
Di pleiade, ai Feaci io m'appresimti.
Disse , e Falla l'iidì : ma non ancora
Visibilmente gli assistea per trina
Del zio possente , a! cui tremendo cruccio
Kra pria , che i natii lidi toccasse ,
Bersaglio eterno il pari ai Numi Ulisse.
LIBRO S E T T I I\I 0
ARGOMENTO
\austra giunge alU ciltii, ni alla n^gia, e Ulisw p^co ilupo, a cui Miperva sotto umana forma presentati,
e cui di più cose informa, die ujier gli cnuvicno. Stii|Nir di lui alla vista del {latagìo d’Alcinoo , e descritti n*-
cosi di questo, come «lei famoso giardino. Eutr.ito ori palagio, supplica la Hrgina Arrte , dalla cpiale , cntn>*
pur dal Re, e dagli altri Capi, è eoa benignità rìrrvuto. Interrogato dalla Rrgiua , che riconobbe le vesti
ch'egli avea indosao, narra in qual iumIo capitò, iasciiU Calipso, aiPiscU de' Feaci.
IVIentiik coai pregava Ìl paziente
Divino Ulisse , rial vigor de'muli
Portata era Nausics alla cittade.
Giunta d'Alcinoo alia magion sublime ,
S'arrealò nel vestibolo j e i germani.
Belli al par degli Eterni , intorno a lei
DVgni parte. veniali : sciolsero i muli ,
E le vesti recaro entro la reggia.
Ma la fanciulla il piede alla secreta
Movea sua stanza , e raccendeale ìl foco 10
Eurimedusa , una sua vecchia fante ,
Nata in Epiro , e su le negre navi
Condotta, e al prode Alcinoo ofi'erta in dono,
Perchè ai Feaci ei comandava , e luì ,
Qual se un Dio favellasse , udian le genti.
Costei Natisica dal braccio di neve
Rallevò nel palagio; ed ora il foco
Raccendeale, e inettea la rena in punto.
Ulisse intanto sorse , e il caminin prese
Della città. Ma TAtenóa Minerva , 20
Che da lui non torcea Tucchio giammai,
Di molta il cinse impenetrabil nebbia ,
Onde nessun Feace o di parole.
Scontrandolo , il mordesse , o il domandasse
Del nome , e della patria. Ei già già entrava
IVelTamena città , quando la Diva
Gli occhi cerulea se gli fece incontro ,
Non dissimile a vergine , che piena
Sul giovinetto capo unta sostenti.
Stettegli a fronte in tal sembianza, e Ulisse 5o
Così la interrogava : O hgba . al tetto
D'Alcinoo , che tra questi uomini impera ,
Vuoi tu condurmi ? lo foreAtier di lunge ,
E dopo molti guai venni , nè alcuno
Della città conobbi , o del contorno.
Ospite padre , rispondea la Diva
Dai glauchi lumi , il tetto desiato
Mostrar ti posso dì Icggier ; cliè quello
Del mio buon genltor per poco il tocca.
Ma in silenzio tu seguimi , e lo sguardo 40
\on drizzare ad alcun , non che la voce.
Render costoro agli stranieri onore
Non sanno punto , nè accoglienze amiche
Trova , o carezze qui , chi altronde giunga.
Essi, fidando nelle ratte navi,
Ter favor di Nettuno il vasto mare
1(1 un istante varcano : veloci
Come Tale , o il pcnsier, sono i lor legni.
D(rtlc tai cose , hettolosa Pdlla
Gli entrava innanzi, e Torme ei ite calcava. 60
Nè i Feaci scorgeanlu ondar tra loro :
Cos'i volendo la pos.sente Diva ,
Palude , che al suo ben sempre iiitendea ,
E di sacra TavvuUe oscura nube.
Ulisse i porti , e i ben cuiistruttì legni
Maravigliava , e le superbe piazze ,
Ove i Pienci s’assembrano , e le lungUc ,
Spettacolo amriiirHiidu , eccelse mura
Di steccati munite e dì ripari.
Ma non prima d'Alcinoo alle regali 60
Case appressare , che Minerva disse :
Eccoti , ospite padre , in faccia il tetto ,
Che mi richiedi : là vedrai gli alunni
Di Giove, i Prenci , a laiilu mensa assìsl.
Cucciati dentro , e non temer : l’uom fruuco
D’ogni difTicultate , a cui s'incontri ,
Meglio si trae , beiiciiè di lunge arrivi.
Pria la Regina , che si noma Avete ,
K coniiiu CUI! Alcinoo il sangue vanta ,
Ti s'oflrirà alla vista. Il Dio, che scuole 70
Del suo tridente la terrena mole,
Uu bambin ricevè daiU più bella
Donna dì quell'età , du PerìLca ,
Figlia minor d'Eurimeduiite , u cui
De' (Lgauii oMxHlia Toltracotnta
Progenie rea , che per le lunghe gtiecre
Digitized by Coogle
36 ODI
Tutta col BUG He stesso al fin sVstiiise.
^ettuD di lei s’accese, e n’ebbe un liglio ,
>jausitoo generoso , il qual fu padre
Di Ressenore , e Alcinoo j e sul Feace 8u
Fopol regnava. Il primo , a cui f'aliia
Prole del miglior sesso , area di poco
Nella sua reggia la consorte addotta ,
Che Apollo dall’argenteo arco il trafisse;
Kè rimase di lui , che una figliuola ,
Arete , e questa in moglie Alcinoo tolse ,
£ vcnerolla fieramente : donna
Kon vive in nodi maritali stretta ,
Che sì alto al suo sposo in mente sieda.
£ in gran pregio non men l’hanno, ed amore 90
Portanle i figli , e i cittadini ancora ,
Che a lei , quandunque va per la cittade ,
Gli occhi aizan , come a Diva , e con accenti
Festivi la ricevono : chè senno
Nè a lei pur manca ver chi più tien caro ,
£ le liti non rado ella compone.
Se un loco prender nel suo cor tu sai ,
£u terra , dove i lumi apristi al giorno ,
1^ magion de’ tuoi padri , e degli amici
1 noti volti riveder confida. 100
Detto , la Dea , ch’è nelle luci azzurra.
Su pel mare infruttifero lanciossi ,
Lasciò la bella Scheria , e ^Maratona
Trovò , ed Atene dalle larghe vie ,
E nel suo tempio entrò , che d'Erettco
Fu rocca inespugnabile. Ma Ulisse
AlFostello reale il piè movea ,
£ molte cose rivolgea per l’alma ,
Pria ch’ei toccasse della soglia il bronzo :
Chè d’Alcinuo magnanimo l’augusto 110
Palagio chiara , qual di Sole , o Luna ,
Mandava luce. Dalla prima soglia
Sino al fondo correan due di massiccio
Rame pareti risplendenti , e un fregio
Di ceruleo metal girava intorno.
Porte d’òr tutte la inconcus.'^a casa
Cluudean : s’ergean dui limitar di bronzo
Saldi stipidi argentei, ed un argenteo
Sosteneano architrave , e anello d’oro
Le porte ornava ; d’ambo i lati a cui 120
Stavan d’argento , e d'òr vigili cani ,
Fattura dì Vulcan , che in ìor ripose
Viscere dotte , e da vecxhiezza immutii
Teroperolli , c da morte , onde guardalo
Fosse d’ Alcinoo il glorioso albergo.
£ quanto si stendeaii le due pareti ,
Eranvi sedie quinci e quindi afllsse
Con fini pepli sovrapposti , lunga
Delle donne dì Scheria opra solerte.
Qui de’ Feaci s’assideano i primi , i5o
La mano ai cibi , ed ai licor porgendo ,
Che lor metteansi ciascun giorno avaule:
£ la notte garzoni in uro sculti
Su piedistalli a grande arte construtti
Spargean lume con faci in su le mense.
Cinquanta il Re servono ancelle : Tune
Sotto pietra ritonda il biondo grano
Frangono ; e l’altre o tesson panni, o fusi
Con la rapida mau rotano assise,
Movendosi ad ognor, quali agitate t4o
Dal vento foglie di sublime pioppo.
Splendono i drappi a maraviglia intesti ,
S S E A
Come se un olio d’òr su vi scorresse.
Poiché quanto i Feaci a regger navi
Gente non han , che lì pareggi , tanto
Valgon tele in oprar le Feacesì ,
Cui mano iiidustre più , che all’altre donne ,
Diede Minerva , e più sottile ingegno.
Ma di fianco alia reggia un orto grande ,
Quando potino in dì quattro arar due tori, i5o
Stendesi , c viva siepe il cinge tutto.
Alte vi crescun verdeggianti piante,
Il pero , e il melagrano , e di vermigli
Pomi carico il melo , e col soave
Fico nettareo la canuta oliva.
Nè il frutto qui , regni la state, u il verno ,
Pere , o non esce fuor ; quando sì dolce
D’ogni stagione uu zefiìretio spira ,
Che mentre spunta l’un , raltro matura.
Sovra la pera giovane , e su l’uva 160
L’uva , e la pera invecchia , e i pomi , e ì fichi
Presso ai fichi , ed ai pomi. Abbarbicata
Vi lussureggia una feconda vigna ,
De* cui grappoli il Sol parte dissecca
Nel più aereo , ed aprico , c parte altrove
La mali dispicca dai fogliosi tralci ,
O calca il piè ne’ larghi tini : acerbe
Qua buttan J'uve i ndoleiiti bori ,
K di porpora là tingousi, e d’uro.
Ma de) giardino in sul confili tu vedi 170
D’ogni erba , e d’ugnì fior sempre vestirsi
hen cuJte ajuoJc , e scaturir due fonti ,
Che non taccion giammai : l’uua per tutto
Si dirama il giardino , e l’altra corre ,
Passando del cortil sotto alfa soglia ,
Sin davanti al palagio ; e a questa vauuo
Gli abitanti ad attignere. Sì bella
Sede ad Alcinoo destluaro i Numi.
Di maraviglia tacito , e sospeso
Ulisse colà stava ; e visto ch’ebbe 180
Tutto , e rivisto con secreta lode,
Nell’eccelsa magion ratto sì mise ,
Trovò i Feaci Condottieri , e Prenci ,
Che libavan co’ nappi all’Argicida
Mercurio , a cui libar solean da sezzo ,
Come del letto gli assalta la brama ;
H innanzi trapassò dentro alla folla
Nube , che Palla gli uvea sparsa intorno ,
Finche ad Arete , e al suo marito giunse.
Circondò con le braccia alla Keina
I.e ginocchia; ed in quel da lui staccossi
l.a nube sacra , e in vento si dìscioUe.
Tutti repente ammutolirò , e forte
Stiiplan , guardando l’uom , che alla Reiua
Supplicava in tal forma : O dei divino
Kessenore figliuola , illustre Arete ,
Alle ginocchia tue dopo infiniti
Disastri io vegno , veglio al tuo consorte,
K a questi Grandi ancor, cui dì felici
Menar gli Dei concedano , e ne’ figli aoo
Le ricchezze domestìcliH , e gli onori ,
Che s'acquisturo, tramandare. Or voi
Scorta m’apparecchiato, acciocché in breve
Alla patria 10 mi renda , ed agli amici ,
Da cui vivo lontan tra ì guai gran tempo.
Disse, e andò al focolare , e innanzi ai foco
Sovra l'immonda cenere sedette:
Nè alcun fra tanti aptia le labbra. Al fiqo
37
LIBRO S
Parlò Peroe vecchio Etenéo » che in pronto
Molte avea co^e trapassate » e tutti aio
Di tacoxidia viucea non meii , che d’auni.
Alcinoo, disse con amico petto ,
Poco ti torna ouor, che su l'imtiioiida
Cenere il lorcstier sieda j e se nullo
hJuovesi , egli è, {>erchè un tuo cenno aspetta.
Su via , levai di terra , e in sedia il poni
Borchiettata d'argento j e ai banditori
Mescer comanda , onde al gran Giove ancora,
Che del fulmine gode, c s’accompagna
Co’ veneratuli supplici , libiamo. 32u
I.a dispensiera poi di quel, che in serbo
Tiene, presenti al forestier per cena.
Alcinoo , udito ciò , lo scaltro Ulisse
Prese per man , dal focolare alzollo ,
E l’adagiò sovra un lucente seggio ,
P'atto sorgerne prima il più diletto
De’ suoi hgliuuli , che sedeaglt accanto ^
L’amico di virtù Laodamante.
Tosto l’ancella da bel vaso d’oro
Purìssim’acqua nel bacii d’argento 35o
Gli vcr>ava , e stendca desco polito ,
Su cui l’onesta dispensiera bianchi
Pani venne ad imporre , e di serbate
Dapt gran copia. Ma la sacra possa
Di Alcinoo al banditor : Pontunoo , il rosso
Licore infondi nelle tazze , e in giro
Itecalo a tutti , onde al gran Giove ancora ,
Che del fulmine gode , e s’accompagna
Co’ venerandi supplici, libiamo.
Disse; e Pontonoò il buon licore infuse, 340
£ il recò , propinando , a tutti in giro.
Ma il Re, come libato ebbero , e a piena
Voglia bevuto, in tai parole uscio:
O Condottieri de’ Feaci , e Capi ,
Ciò che il cor dirvi mi consiglia , udite.
Già banchettati foste : i vostri alberghi
Cercate adunque , e riposate. Al primo
Raggio del Sole in numero più spessi
Ci adunereni , perchè da noi s’unorj
L’ospite nel palagio ; e più superbe 35o
Vittime immoleransi : iodi cou quale
Scorta al suol patrio , per lontan che giaccia ,
Possa , non pur senza tutica , o noja ,
Ma lieto , e rapidissimo condursi ,
Diviseremo. Esser dee nostra cura ,
Che danno non l’incolga in sin ch’ei tocco
Non abbia il suol natio. Colà poi giunto,
Quel sotfrirà , che le severe Parche
Nel dì del suo natale a lui iilaro.
E se un Dm fosse dall’Oiinipo sceso ? 360
Altro s’avvolgeria disegno in mente
De’ Numi allora. Spesso a noi mostrarsi
Nell’ecatombe piu solenni , e nosco
Starsi drgnaru a<l una mensa. Dove
Un qtialche viandante in lor s’avvcgna ,
Non l’occultano a noi , che per vetusta
Origine lor siam molto vicini ,
Non altrimenti che i Ciclopi antichi ,
E de’ Giganti la selvaggia stirpe.
Alcinoo, gli rispose il saggio Ulisse , 370
Muta (questo pensiero, lo deU’immeuso
Cielo ai lelici abitatori eterni
Nè d’indole somiglio , nè d’aspetto.
Somiglio ai tigli ùe’ mortali , e a quanti
K T T 1 M O.
Voi conoscete in più angoscioso stato.
Nè ad alcuno di lor cedo ne’ mali :
Tanti , e sì gravi meri crearo i Numi.
Or cenar mi lasciate, ancor che afllitto:
l’ero che nulla io so di più molesto.
Che il digiun ventre, dicuil’uom malpuote 280
dimenticarsi per gravezze, o doglie.
Nel tondo io sun ac’ guai : pur questo interno
Signor, che mai di domandar non resta ,
Vuol , ch’io più non rammenti i danni miei ,
h ai cibi stenda , ed ai licur la mano.
Ma voi , comparso in Oriente il giorno ,
Rimandarmi vi piaccia, lo non ricuso,
Visti i miei servi , l'alte case , e i campi ,
Gli occhi al lume del Sol chiuder per sempre.
Disse; e tuttiassentUno, e IVaii gran ressa, 390
Che io stranier , che ragionò si bene ,
Buona scorta impetrasse. Al fin , libato
Ch’ebbero , e a pica bevuto , il proprio albergo
Ciascun cercava , per entrar nel sonno.
So) nella reggia riinaiieasi Ulisse ,
E presso gli sedean Alcinoo , e Arete ,
.Mentre le ancelle del convito i vasi
Dalla mensa toglieano. Arete prima
Gli favellò , come colei , che il manto
Riconobbe, e la tunica, leggiadre 3oo
Vesti , che di sua man tessute avea
Con le sue fanti ; e che or vedeagli in dosso.
Siranier , gli disse con alate voci ,
Di questo io te cercar voglio la prima :
Chi sei tu ? Donde sei ? Da chi tai panni?
Non ci fai creder tu , che ai nostri lidi
Misero, errante, e naufrago approdasti?
'£ il saggio Ulisse replicolle : Forte ,
Regina , i mali raccontar, che molti
M 'inviato gli Dei. Quel, che più brami 5io
Sapere, io toccherò. J»n(ana giace
Un'isola nel mar , che Ogigia c detta.
Quivi d’.Vtiante la fallace figlia
Dai ben torti capei , Calipso , alberga ,
Terribi) Dea, con cui nessun de’ Numi
Conversa , o de' mortali. Un Genio iniquo ,
Con lei me solo a dimorar constrinse.
Dappoi che Giove a me per Tonde oscure
r.a ratta nave fulgorando sciolse.
Tutti morti ne furo i miei compagni : 5io
Ma io, con ambe mani alla carena
Della nave abbracciatomi , per n(»vo
Giorni fui traportato, e nella fosca
Decima notte alTisoletta spinto
Della Dea , che m'arcolse , e amicamente
Mi trattava , e nodriva , e promettea
Da morte assicurarmi . e da vecchiezza :
Nè però il cor ini piegò mai nel petto.
Sette anni interi io nii vedea con lei ,
K di peremii lagrime i divini 53o
Tanni bagnava , che mi porse in dono.
Ma tosto die l'ottavo amiu sì volse ,
f.a Diva, u fosse imperiai messaggio
Del figlìuol di Saturno , o di lei stessa
.Mutamento improvviso, alle mie case
Ritornar confortavami. Su travi
Da multiplici nodi in un congiunte
Con molti doni accommiatomini : pane
Candido , e dolce vin diemmi , e odorate
Vesti vestiiuaii, e, ad increspaimi il mare 3 io
Digitized by Google
38 ODI
Un placido mandò vento innocente,
lo dieci viaggiava e sette giorni
8u le liquide strade. Al nuovo albore
Mi sorse incontro co* suoi monti ombrosi
1/isola vostra, e a me infelice il core
Ridea , benché altri guai m’apparecchiasse
Nettun , che iucitò i venti , il mar commosse ,
Mi precise la via ; né più speranza
Già m’avanzava , che il naviglio frale
Me gemente portasse all'oiide sopra. 35u
Riippelo al fine il turbo. A nuoto allora
Misurai questo mar, tinchè alla vostra
Contrada il vento mi sospinse, e il lliitto.
Quivi alla terra, neli’uscir dell’acqtie,
l'Vanto un’onda m’avria , che me in acute
l’unte cacciava, e in disamabil riva :
Se non ch'io, ritirandomi dal lido.
Tanto notava, che a un bel fiume sceso
Da Giove logiua-sì, ove opportuno il loco
Parventi , e liscio; nè in balia de’ venti. 36o
Scampai, le forze raccogliendo. Intanto
Spiegò i suoi veli la divina Notte,
R i iO, lasciato da una parte il fiume,
Sovra un letto di foglie , e tra gli arbusti
Giacqui, e m’infuse lungo sonno un Dio. |
Dormii l’intera notte in sino all’Alba ,
Dormii sino al meriggio ; e già calava
Verso Occidente il Sole, allor che il dolce
Sanno m’abbandonò. Vidi le ancelle
Della tua figlia trastullar su l’erba , Byo
R lei tra quelle, che una D^;a mi parve ,
E a cui preghiere io porsi ; ed ella senno
Mostrava tal , qual non s’atlende mai
L'uom da un’età si fresca, in cui s’abbatta ,
Percliè la fresca età sempre folleggia.
Rlla recente pau , vino possente ,
Rlla commodo bagno a me nel fiume,
R i ella vesti. Me infelice il fato
Render potrà , ma non potrà bugiardo.
Ed Alcinoo repente : Ospite , in (questo 38o
Da mia figlia siàlli , che non condusse
Te con le ancelle alla magion, quantunque
Tu a lei primiera supplicato avessi.
Rccelso eroe , non mi biasmar , rispose
Lo scaltro Ulisse , per cagion sì lieve
La inculpabil fanciulla. Ella ni’ingiuasc
Di seguitarla con le ancelle; ed io
Men guardai per timor, che il tuo vedermi
T’iiiFiammasse di sdegno. Umana , il sai ,
Razza noi siamo al sospettare inchina. Squ
Rd Alcinoo di nuovo : Ospite , un'alma
S S E A
Già non s’annida in me , che fuoco prenda
Sì prontamente. Alla ragione io cedo ,
K quel che onesto è più, sempre io trascelgo.
K'I oh piacesse a Giove, a Palla e a Febo,
Che, qual ti scorgo , c d’un parer con meco
Sposa volessi a te far la mia figlia,
Genero mio chiamarti , e la tua stanza
Fermar tra noi! Case otterresti e beni
Da me , dove il restar non ti sgradisse: 400
Chè ritenerti a forza , e l’ospitale
(riuve oltraggiar , nullo qui fia che ardisca.
Però così su l’alba il tuo viaggio
Voi disporrem, che abbandonarti al sonno
Velia nave potrai , mentre i Feaci
L’azzurra calma rumperan co’ remi :
Vè cesserau , che nella Patria messo
T abbiaiio, e ovunque ti verrà desio,
Foss'anco oltre l’Eubéa, cui più lontana
D’ogni altra regioii che alzi dal mare. 410
Dicon que’ nostri che la vider , quando
A. Tizio , figlio della terra , il biondo
Radamanto condussero. All’Eubóa
S’iiidrizzàr , l’aÌP*rràr, ne ritoruaro
Tutto in un giorno ; e nou fu grave impresa.
Conoscerai quanto sien bene inteste
Le nostre navi, e i giovani gagliardi
Nel voltar sottosopra il mar co'reiui.
I Gioì a tai detti il paziente Ulisse,
E le braccia levando , o Giove padre, 420
Sdamò , tutte adempir le sue promesse
Possami Alcinoo! Ei giuria eterna avraniie,
Kd io porrò nelle mie case il piede.
Que.ste correaii tra lur parole alterne,
la Keina candida le braccia,
.Irete, intanto alle fantesche impose
11 letto collocar sotto la Itiggia,
Belle gittarvi porporine coltri,
E tappeti distendervi, e ai tappeti
Hanti vellosi sovrapporre. U.’>ciro 43o
Quelle , tenendo in man lucide faci,
Il denso letto spriniacciaro in fretta,
E rientrate, Sorgi , ospite , or puoi,
Dissero a Ulisse, chiuder gli occhi al sonno:
Nè punto al forcstier l’Invito spiacque.
Così ei sotto il portico sonante
l.à s'addorinia ne’ traforati letti.
-■Alcinoo si corcò del tetto eccelso
Ve’penctrali ; e a lui da presso Arete,
La cotisorte reai , che a sé ed a lui 44u
Preparò dì sua mano il letto e i sonni.
Digitized by Google
LIBRO OTTAVO
ARGOMENTO
Congresso de'Fwri, in cui *i dclilvra te TUisse debba essere alla Patria sua ricr>m)oUo. Alciono dà un Milmne
convito, nel quale DcdukIoco cauta d'una contesa che Ulisse innlcviiiiu e Acliiiie ebbero un giorno tra loro. Il
primo non può ritenere le iagriine. Si |ussa ai giuiK'lii , uv'rgli dà prova di se al disco, ed uve UemfMÌt>cu rama
la rete di V^ulcauo. Doni che ai fanno ail Ulisse. Questi ad un scomdo convito sente ricordare dallo stesso cantore
« il gran cavallo di legno e la caduta di Troja j c si lascia di nuovo cadere il pianto dagli occhi. Alcinoo allora
il sollecita a tuanifesUrsi, a dire il suo iu>nic , e a raccuotarc le sue avventure.
M A tosto che rosata ambo le palme
Comparve in del l^a^gioniairice Aurora,
Surse dì letto la sacrata possa
Del magnanimo Alcinoo , e il divin surse
KovesciQtor delle cittadi Ulisse.
La possanza d’Alcinuoal parlamento,
Che i Feaci teneaii presso le navi.
Prima d’ogni altro mosse. A mano a mano
Veniano i Feacesi , e so polite
Pietre sedeansi. L’tifchiglauta Diva, io
Cui d’UlisxSe il ritorno in mente stava,
Tolte del regio banditor le forme,
Qua e là s’avvolgea per la cittade,
K appressava ciuM'uno, e, Su. dicea,
Su, p*enci e condottieri , al loro, al foro,
.Se udir vi ca) dello strun<er che giunse
Ad Alcinoo testé per multo mare,
K as.sai più, che detl’uom, del Nume ha in viso.
Disse, e tutti eccitò. Della raccolta
Gente lùro in brev'ora i seggi pieni. 20
Ciascun guardava con le ciglia in arco
Di Laerte il ligliuol : chè a lui Minerva
Sovra il capo ailluse e su le spalle
Divina grazia , ed in grandezza e in fiore
Crebbelo, e in gagliardia , perch'ei ne’petti
Destar potesse riverenza e affetto,
D dehiobiii giuochi , ove chiamato
Fosse a dar di sè prova , uscir con vanto.
Concorsi tutti , e in una massa uniti,
Tra loro arringò Alcinoo in questa guisa t 3o
O condottieri de’ Feaci , e prenci,
Ciò che il cor dirvi mi comanda , udite.
Questo a me igimto h>restier , che venne
Baniingo, e ignoro aiuor, se donde il Sole
Nasce , o donde tramonta, ai tetti miei,
Scorta dimanda pel viaggio, e prega
Gii sia ratto conce.Hsa. Or noi l’usanza
Non seguirem con lui ? Uomo, il sapete,
Ai tetti miei non capitò, che mosto
Languir dove.sse sovra queste piagge 4^
Per difetto dì scorta i giorni e i mesi.
Traggasi adunque nel profondo mare
Legno dali’onde non bàttuto ancora,
F s'eieggan cinquanta , e due garzimi
Tra il pcipul tutto, gli ottimi. Costoro,
Varato il legno , e avvinti ai banchi i remi.
Subite e laute ad apprestar m'andranno
Al ense , che a tutti oggi imbandite io voglio. |
Ala quei che di bastone ornai) la mano,
L’ospite nuovo ad onorar con meco 5o
Vengano ad una ; e il banditor mi chiami
l/immortale Demudoco , a cui Giove
Spira sempre de' canti il più soave,
Dovunque l’estro , che l’infìamma , il porti.
Detto , si mise in via. Tutti i scettrali
Segiiianio ad una ; e all’immortal cantore
L’ataldu indirizzavasi. 1 cinquanta
Garzoni, e due , come il Re imposto area,
Fùro del mar non seminato a] lido,
Lii nave negra nel prolondo mare 60
Trassero, alzare l’albero e la vela.
I lunghi remi assicurar coti forti
r.Bcci di pelle, a maraviglia il tutto,
R , le candide vele al venio aperte,
Arrestaro iieiralla onda la nave:
Poscia d’Alcinoo ritrovar l’albergo.
Già i portici s’empican , s’empieano 1 chiostri,
Non elle ogni stanza , della varia gente,
Che s’accogiiea , bionde e canute teste,
Una turba infinita. Il Re quel giorno *0
Diede al .sacro coltel dodici agnelle,
Otto corpi di verri ai bianchi denti,
E due di tori dalle torte corna.
Gli scusar , gli acconciar, ne apparecchìaro
Convito invidiabile. L’araldo
Ritorno feo, per man guidando il vate,
Cui la Afusa portava immenso amore,
Benché il ben gli temprasse e il male insieme:
Degli occhi il vedovò, ma del più dolce
Canto arricchilio. 11 banditor nel mezzo 80
.Sedia d’argento horcliiettata a lui
Pose, e l’affisse ad una gran colonna :
Poi la cetra vocale a un aureo chiudo
Gli appese sovra il capo , ed insegiKigli,
Come a staccar con mano indi l’avesse.
Ciò fatto , un desco gli distese avanti
Con patiier sopra, e una capace tazza,
Ond’ei, qual volta nel pungea desio,
D* 1 vermiglio licor scaldasse il petto.
Come la fame rintuzzala , e spenta gc
Fu la sete in ciascun , l’egregio vate,
Che già tutta sentiasi in cor la Musa,
De’ furti il pregio a risonar si volse.
Sciogliendo un canto , di cui sino al cielo
Salse in qiie’ di la fama. Era l’antica
Tenzon d’Ulisse e del Peliade Aclidle,
Quando di acerbi detti ad un solenne
Convito sacro si ferirò entrambi.
Il Re de’ prodi Agamennóti gioia
Tacitamente in se , visti a contesa 100
Venire i primi d<*gli Achei j che questo
Della caduta d'ilio era il segnale.
Tanto da Febo nella sacra Pilo,
Varcato appena delia soglia il marmo,
Predirsi allora udì, che di uue’ mali,
Che sovra i Teucri , per voler di GiovC|
Digitized by Google
40 O D I S
Rovesciarsi doveano , e su gli Achivi,
Sì cominciava a dispiegar la tela.
A tal memorie il Laerziade, pre.«o
L’ampio ad ambe le man purpureo manto, i io
Sei trasse in testa , e il iiubil volto ascose,
Vergognando che lagrime i Feaci
Vedesserlo stillar sotto le ciglia.
Tacque il canfor divino; cd ci, rasciiitte
Le guance in fretta, dalla testa il manto
Si tolse, e, dato a una ritonda coppa
Li piglio, libò ai Numi. I Feacesi,
Cui gioja erano i carmi , a ripigliarli
Il poeta eccitavano, che apria
Nuovamente le labbra ; e nuovamente 120
Coprirsi il volto e lagrimare Ulisse.
Cosi, giKciando lagnine, da tutti
Celossi. Alcinoo sol di lui s'avvide,
E l'adocchiò , sedendogli da presso,
Oltre che forte sospirare udillo;
E I più non aspettando, Udite , disse,
Leila Feacla condottieri e prenci.
Già del coraun convito , e deil’amìca
Le* conviti solenni arguta cetra,
Godemmo. Usciamo, e ne’dìversi giuochi i3o
Proviamei ; perchè l’ospite, com’aggia
Rimesso il piè nelle paterne case,
Narri agli amici , che l’iidranno attenti.
Quanto al cesto calla lotta, e al salto e a! corso,
Cede a noi , vaglia il vero , ogni altra gente.
Lisse, ed entrò in cammino; e i prenci insic-
Seguianlo. Ma l’araldo , alla caviglia (me
Riappiccata la sonante cetra,
Prese il cantor per mano, e fuor del tetto
Menollo: indi guidavaio per quella 140
Strada in cui posto crasi Alcinoo e i capi.
Movean questi veloce al Foro il piede,
E gente innumerabilc ad un corpo
Lor tenea dietro. Kd ecco sorger molta,
Per cimentarsi', gioventù forzuta.
Sorse Acroneo ed Ocialo , Eleatréo sorse,
E Nauteo e Primneo e Anrhialo : levo.ssl
Eretmeo ancor , Poutéo , Proto , Tnòne,
Non che Anabesinéo , non che Amliàlo,
Li Polinéo Tectonide la prole. lòo
E non ch’Eurialu all’omicida Marte
Somigliante, e Naubolide, che tutti,
Ma dopo il senza neo Laodainante,
Vincea di corpo e di beltà. Nè assisi
I tre restar figli d’Alciiioo : desso
X^aodamante, Alio , che al Rege nacque
Secondo , e CUtonéo pari ad un Nume.
Lei corso fu la prima gara. Un lungo
Spazio stendeasi alla carriera ; e tutti
Lalle mosse volavano in un groppo, 160
Lensi globi di polvere levando.
Avanzò gli altri Clitonéo , che , giunto
Leila carriera al fin , la.sciolli indietro
Quell’intervallo , che i gagliardi muli
1 tardi lasciai! corpulenti buoi,
Se lo stesso noval tèndono a un’ora.
Siiccedè al corso l’ostinata lotta,
Ed Eurialo prevalse. Il maggior salto
Amfialo spiccollo , e il disco lunge
Non iscagliò nessun , coui’Blatréo, 170
Laodamantc, il reai figlio egregio,
Nel pugile severo ebbe la palma.
S E A
Fine al diletto de’ certami posto,
Parlò tra lor Laodamante: Amici,
Su via , l’estraneo domandiam di queste
Prove, se alcuna in gioventù ne apprese.
Ui buon taglio e’ mi sembra; e dove ai fianchi.
Dove alle gambe, e delle mani ai dossi
Guardisi , e al fermo collo , una robusta
Natura io veggio, e non mi par che ancora 180
Degli anni verdi l’abbandoni il nerbo.
Ma il fransero i disagi all'unde in grembo;
Che non è , quanto il mar , siccome io credo,
Per isconllgger l’uom, benché assai forte.
X>aodainbnte , il tuo parlar fu bello,
Eurialo rispondea. Però l'abborda
Tu stesso , c il tenta ; e a fuori uscir l’invita.
Come d’Alclnoo l’incolpabil figlio
Questo ebbe udito, si fe’ innanzi , e, stando
Nel mezzo , Orsù , gU disse, ospite padre, 190
Tu ancor ne’giochi le tue forze assaggia,
Se alcun mai ne apparasti a’giorni tuoi,
E degno è ben che non ten mostri ignaro :
Quando io non so per l’uom gloria maggiore,
Che del piè con prodezza e della inano ,
Mentre in vita nman , poter valersi.
T’arrischia dunque, e la tristezza sgombra
Dall’alma. Pixro il desiato istante
Del tuo viaggio tarderà : varata
Fu già la nave, e i remigi son pronti. 200
Ma cosi gli rispose il saggio Ulisse :
I.aodamante , a che cotesto invito ,
Deridendomi quasi ? Io più , che giocEi ,
Disastri volgo per ralllilta mente ,
lo , che tanto patti , sostenni tanto ,
E or qui , mendico di ritorno e scorta ,
biedomi , al Re pregando , e al Popol tutto.
Il bravo Eurialo a viso aperto allora :
Uom non mi sembri tu , che si conosca
Di quelle pugne che la stirpo umana 3 10
Per suo diletto esercitar costuma.
Tu m’hai vista di tal , che presso nave
Di molti banchi s’affàccendi , capo ,
Di marinari al trafficare intesi ,
Che ili mente serba il carico , ed al vitto
Pensa , e ai guadagni con rapina fatti :
Ma nulla certo dell’atleta tieni.
Mirollo bieco , e replicògli Ulisse :
Male assai favellasti , e ad uom protervo
Somigli in tutto. Cosi è ver che i Numi 220
Le più care non dan doti ad un solo ,
Sembiante , ingegno e ragionar che piace.
L’un bellezza non ha , ma della mente
, Gl’interni sensi ìii cotal guisa esprime,
Che par delle parole ornarsi il volto.
Gode chiunque il mira. Ki , favellando
Con soave modestia , e franco a un tempo.
Spicca in ogni consesso; e allor che passa
Per la città , gli occhi a sè attrae , qual Nume.
L’altro nel viso e nelle membra un mostra 25o
Degl’immortali Dei: pur non si vede
(ìrazia che ai detti suoi s’avvolga intorno.
Cosi te fregia la beltà , nè meglio
Formar sapriaii gli .stessi Eterni un volto :
Se non che poco della mente vali.
Mi trafiggesti l’aiiiina nel petto ,
Villane voci articolando : io nuovo
^^on son de’ giochi, qual tu cianci , e credo
Digitized by Gougic
LIBRO
Anzi, ch’io degli atleti andai tra i primi ,
Finché potei de,’ verdi anni e di queste 240
Braccia fidarmi. Or me , che aspre fatiche
Durai , tra l’armi penetrando e i’unde,
(ìl’infortunj domaro. E non pertanto
Cimenterommi : che mordace tn>ppo
Fu il tuo sermon , nè più tenermi io valgo.
Disse; e co’paiini stessi, -in ch’era involto,
Laiiciossi , ed atl'crrò massiccio disco ,
Che quelli , onde giocar solean tra loro ,
Molto di mole soverchiava , e pondo.
Kotollo in aria , e con la man robusta 25o
Lo spinse : sonò il sasso , ed i Feaci ,
<Jue’ naviganti celebri, que’ forti
Remigatori , s’abbattero in terra
Per la foga del sasso , il qual , partito
Da sì valida destra, i segni tutti
Rapidamente sorvolò. Minerva ,
Vestite umane forme, il segno pose,
E all’ospite conversa , Un cieco, disse.
Trovar , palpando , tei potrla : che primo ,
Nè già di poco , e solitario sorge. 260
Per questa prova dunque alcun timore
Non t’anga : lunge dal passarti , alcuno
Tra i Feaci non ha che ti raggiunga.
Rallegrossi a tai voci , e si compiacque
Il Laerziade , che nel circo uom fosse
Che tanto il favoria. Quindi ai Feaci
Più mollemente le parole volse ;
Quello arrivate , o damigelli , e un altro
Pari , o più grande , fulminarne in breve
Voi mi ved.vte , io penso. Ed anco in altri 270
Certami , o cesto , o lotta , o corso ancora,
Chi far periglio di sè stesso agogna ,
Venga in campo con me: poiché di vero
Mi provocaste oltre misura. Uom vivo
Tra i Feacesi io non ricuso, salvo
Lnodamante , che ricetto dammi.
Chi entrar vorrebbe con l’amico in giostra?
Stolto e da nulla è senza dubbio , e tutte
Storpia le imprese sue, chiunque in mezzo
D’un popolo strauier con chi l’alberga 280
Si presenta a contendere. Degli altri
Nessun temo , o dispregio , e son con tutti
Nel dì più chiaro a misurarmi pronto ,
Come colui che non mi credo imbelle,
Quale il cimento sia. L’arco lucente
Trattare appresi : imbroccherei primajo ,
Saettando un gnerrier dell’oste avversa ,
Benché turba d’amici a me d’intorno
Contra quell’oste disfrenasse i dardi.
Sol Filottete mi vincea dcll’arro , ago
Mentre a gara il tendean sotto Ilio i Greci:
Ma quanti su la terra or v’ha mortali ,
Cui la forza del pane il cor sostenta ,
Io di gran lunga superar mi vanto :
Chè non vo’ pormi io già co’ prischi eroi.
Con Eurito d’Ecalia , o con Alcide,
Che agli Dei stessi di scoccar nell’arte
Si pareggiato. Che ne avvenne? Giorni
Sorser pochi ad Eurito , e le sue case
Noi viaero invecchiar : poscia che Apollo 3oo
Forte si corrucciò , che disfidato
L’avesse all’arco , e di sua man l’uccise.
Dell’asta poi , quanto nessun di freccia
Saprebbe , io traggo. Sol nel corso io temo,
ODISSEA.
OTTAVO. 41
Non mi vantaggi alcun : chè , tra che molto
M’aillisse il mare, e che non fu il min legno
Sempre vettovagliato , a me , qual prima,
Non ubbidisce l’infedel ginoccliio.
Ammutolì ciascuno, e Alcinoo solo
Rispose: Forestier, la tua favella 3 10
Sgradir non ci potea. Sdegnato a dritto
De’ motti audaci, onde colui ti morse,
La virtù mostrar vuoi , che t’accompagna,
Virtù , che or da chi tanto o quanto scorga.
Più biasmata non iia. Ma tu m’ascolta :
Acciocché un dì, quando nel tuo palagio
Sederai con la sposa , e i figli a mensa,
E quel , che di gentile in noi s’annida.
Rimembrerai, possi a un illustre amico
Favellando narrar : quali redammo 520
Studi dagli avi per voler di Giove.
Non siam né al cesto, né alla lotta egregi :
Ma rapidi moviam, correndo, i passi,
E a maraviglia navighiamo. In oltre
Giocondo sempre il banchettar ci torna.
Musica , e danza, ed il cangiar di veste,
l tepidi lavacri , e i letti molli.
Su dunque voi , che tra i Feaci il sommo
Pregio dell’arte della danza avete,
Fate , che Io straniero a’ suoi più cari, 33o
Risalutate le paterne mura,
Piacciasi raccontar, quanto anche al ballo.
Non che al nautico studio ed alla corsa ,
Noi da tutte le genti abbiam vantaggio.
E tu, Pontonoo, per l’arguta cetra.
Che nel palagio alla colonna pende.
Vanne , e al divin Demodoco la reca.
Sorse , e partì l’araldo ; e al tempo stesso
Sorsero i nove a presedere ai giuochi
fliudici eletti dai comuni voti, 340
Kd il campo agguagliaro , e dilataro.
Rimosse alquanto le persone , il circo.
Tornò l’araldo con la cetra , e in mano
I.a pose di Demodoco , che al circo
S’adagiò in mezzo. Danzatori allora '
D’alta eccellenza, e in sul fiorir degli anni,
Feano al vate corona , ed il bel circo
Co’presti piedi percoteano. Ulisse
De’ frettolosi piè gli sfolgorìi
Molto lodava ; e non si riavea 33o
Dallo stupor , che gl’ingorabrava il petto.
Ma il poeta divin , citareggiando,
Del bellicoso Marte , e della cinta
Di vago serto il crin Vener Ciprigna ,
Prese a cantar gli amori , ed il furtivo
Lor conversar nella superba casa
Del Re del fuoco , di cui Marte il casto
Letto macchiò nefandamente, molli
Doni offerti alla Dea , con cui le vinse.
Repente il Sole , che la colpa vide , 3Go
A Vulcan nunzìolla ; e questi , udito
L’annunzio doloroso , alla sua negra
Fucina corse , un’immortal vendetta
Macchinando nell'anima. Sul ceppo
Piantò una magna incude ; e col marfello
Nodi , per ambo imprigionarli , ordia
A frangersi irapossioili , o a disciorsi.
Fabbricate le insidie, ei , contra Marte
D’ira bollendo , alla secreta stanza.
Ove steso giaceagU il caro letto , 370
Digitized byGoogle
O U I ì
S’avviò in fretta , e alla lettiera bella i
Sparse per tutto i lini lacci intorno ,
B molli sospendeane all’alte travi ,
Quai fila suttilissiine d’aragna,
Con tanta orditi , e sì ingegnosa fraude,
Che nè d’nn Dio li potea l’occhio torre.
Poscia (The tutto degl’industri inganni
Circondato ebbe il letto , ir finse in Lenno ,
Terra ben fabbricata , e più che ogni altra
Cittade , a lui diletta. In questo mezzo 58o
Marte , che d’oro i corridori imbriglia,
Alle vedette non isiata indarno.
Vide partir l’egregio fabbro , e , sempre
Kel cor portando la di vago serto
Cìnta il capo Ciprigna , alla magione
Del gran mastro de’f'uochi in fretta mosse.
Ritornata di poco era la Diva
Dal Saturnlde onnipossente padre
Nel conjijgale albergo; e Marte, entrando.
La tiovò , che posava , e lei per mano 5go
Prese , e a nume chiamò : Venere , disse ,
Ambo ci aspetta il solitario letto.
Di casa usci Vulcano: altrove, a Lenno
Vassene , e al Sintii di selvaggia voce.
Piacque l’invito a Venere , e su quello
Salì con Marte , e si corcò : ma i lacci
I.or s’avvolgeano per cotal guisa intorno ,
Che stendere una man , levare un piede ,
Tutto era indarno ; e s’accurgeano al fine ,
Non aprirsi di scampo alcuna via. 400 .
S’avvicinava intanto il fabbro illustre,
Che volta dìè dal suo viaggio a Lenno;
Perocché il Sole spiator la trista
Storia gli racconto. Tutto dolente
(riunse al suo ricco tetto , ed arrestossi
Nell’atrio : immensa ira l'invase , e tale
Dal petto un grido gli scoppiò , che tutti
Ddi'Olim l’udir^gli abitatori.
O Giove padre , e voi , disse , beati
Numi , che d’immortal vita godete , 4>t>
Cose venite a rimirar da riso ,
Ma pure insopportabili : Ciprigna ,
Di Giove figlia, me , perchè impedito
De’ piedi son , cuupre d’infamia ognora ,
£d il suo cor m'U’umicida Marte
Pone , come in colui , che bello , e sano
Nacque di gambe, dove io mal mi reggo.
Chi sen vuole incolpare ? Non forse i soli ,
Che tal non mi dovean mettere in luce ,
Parenti miei ? Testimon siate , o Numi , ^2,0
Del lur giacersi uniti , e dell'ingrato
Spettacol , che oggi sostener m’è forza.
Ma ìnl'redderan nelle lor voglie , io credo ,
Benché si accesi , e a cotai sonni in preda
Più non vorranno abbandonarsi. Certo
Non si svilupperun d’este catene ,
Se tutti prima non mi torna il padre
Quei , ch’io posi in sua man , doni dotali
Per la fanciulla svergognala : quando
Bella , sia loco al ver , figlia ei possiede, 4^^
Ma del proprio suo cor non donna punto.
Disse ; e i Dei s’adunaro alla fondata
Sul rame casa di Vulcano. Venne
Nettuno , il Dio , per cui la terra trema ,
Mercurio venne de' mortali amico ,
Venne Apollo dal grande arco d’argento.
S E A
Le Dee non già : chè nelle stanze loro
Riteneale vergogna. Ma i datori
D’ogni bramato Den Dei sempiterni
Nell’atrio s’adunàr : sorse tra loro 440
Un riso inestinguibile , mirando
Di Vulcan gli artifici ; e alcun , volgendo
Gli occhi al vicino , in tai parole uscia :
Fortunati non sono i nequitosi
Fatti , e il tardo talor l’agile arriva.
Ecco Vulcan , benché sì tardo , Marte ,
Che di velocità tutti d’Olimpo
Vince gli abitator , cogliere : il colse,
Zoppo essendo , con l’arte; onde la multa
Dell’adulterio gli può torre a dritto. 460
Àllor così a Mercurio il gajo Apollo :
Figlio di Giove , messaggiero accorto ,
Di grate cose dispensier cortese ,
Vorrestu avvinto in sì tenaci nodi
Dormire all’aurea Venere da presso?
Oh questo fosse, gli rispose il Nume
Licenzioso , e ad opre turpi avvezzo ,
Fosse , o Sir dall’argenteo arco , e in legami
Tre volte tanti io mi trovassi avvinto ,
E intendessero i Numi in me lo sguardo 460
Tutti , e tutte le Dee ! Non mi dorria
Dormire all’aurea Venere da presso.
Tacque; e in gran riso i Sempiterni dlero.
Ma- non ridea Nettuno , anzi Vulcano ,
L’inclito mastro , senza fin pregava ,
Liberasse Gradivo , e con alate
Parole gli dicea : Scioglilo. Io t’entro
Mallevador , che agl’immortali in faccia
Tutto ei compenserà , com’è ragione.
Questo , rispose il Dio dai piè distorti 47®
Al Tridentier dalle cerulee chiome.
Non ricercar da me. Triste son quelle
Malleverie, che dannosi pe’ tristi.
Come legarti agl’immortali in faccia
Potrei, se Marte, de’suoi lacci sciolto ,
Del debito , fuggendo , anco s’afFranca ?
Io ti satisfarò , ripreso il Nume ,
Che la terra circonda , e fa tremarla.
£ il divin d’ambo i piè zoppo ingegnoso :
Bello non fora il ricusar , nè lice. 4®®
Disse , e d’uii sol suo tocco i lacci infranse.
Come liberi fur , saltaro in piede ,
E Marte in Tracia corse: ma la Diva
Del riso amica , riparando a Cipri , '
III Pafo si fermò , dove a lei sacro
Frondeggia un bosco , ed un aitar vapora.
Qui le Grazie lavaro , e del fragrante
Olio , che la beltà cresce de’ Numi ,
Unsero a lei le delicate membra :
Poi così la vestir , che maraviglia 40®
Non men, che la Dea stessa, era il suo manto.
Tal cantava Demodoco ; ed Ulisse ,
E que’ remiga tor forti , que’ chiari
Navigatori , di piacere , udendo ,
Le vene ricercar sentiansi , e Fossa,
Ma di Laodamante , e d’Alio soli ,*
Chè gareggiar con loro altri non osa , *
Ad Alcinoo mirar la danza piacque.
Nelle man tosto la leggiadra palla
Si recaro , che ad essi uvea l’industre 5oo
Polibo fatta ; e colorata in rosso.
L’uu la palla gittava in ver le losche
DIgitized by Google
I. 1 n R o
Nubi , ciirrato indietro ; e TaUro , un tallo
Spiccando , ricereala , rd ai compagno
La rispìngca tenza fatica , o sforzo.
Pria che di nuovo il tuoi col piè toccatke.
Gittata in alto ia vermìglia palla ,
La nutrice di molti amica terra
Co* dotti piedi cumincìaro a battere ,
A far volte , e rivolte alterne , e rapide , 5io
IVrentre lor s’applaudia dagli altri giovani
Nei circo , e acute al ciel grida t alzavano.
Così ad Alcinoo i'itacese allora:
O de’ mortali il più famoso , e grande y
Mi promettesti danzatori egregi .
K ingannato non m’hai. Chi può mirarli
Senza inarcar dello stiipor le ciglia?
Gioì d'Alcinoo la sacrata possa ,
E ai Feaci rivolto , Udite , aisse ,
Voi, che per sangue, e merto i primi siete. 52o
Saggio assai parmi il forestiero , e degno ,
Che di ricchi rorniam doni ospitali.
Dodici reggon questa gente illustri
Capi , e tra loro io tredicesmo siedo.
Tunica , e manto , ed un talento d’oro
Fresentiamgli ciascuno, e tosto, e a un tempo:
Ond’ei , cosi donato, alla mia cena
Con più gio)a m‘l cor veglia , e s’assida.
Hurialu , che il ferì d’acerbi motti ,
Co’ doni , e in un con le parole, il plachi 53o
Assenso diè ciascuno , e un banditore
Mandò pe’ doni ; e cosi Eurialo : Alcinoo ,
11 più famoso de’ mortali , e grande ,
L’ospite io placherò , come tu imponi.
Gli ofit'irò questa di temprato rame
Fedele spada , che d’argento ha l’elsa ,
La vagina d’avorio ; e lu l’avorio
Tagliato dall’artefice di fresco.
Non l’avrà , io penso, il forestiere a sdegno.
Ciò detto, a Ulisse in man la spada poso 640
Con tali accenti : Ospite padre , salve.
•Se dura fu profTcrta , e incauta voce ,
Prendala , e seco il turbine la porti.
K a tc della tua donna , % degli amici ,
Donde lungi , e tra i guai , gran tempo vìvi ,
Giove conceda i desiati aspetti.
Salve , gli replicò subito Ulisse ,
Amico , e tu. Gli abitator d'Olimpo
Diami felici dì ; nè mai nel petto
Per volger d’anni uo{>o , o deslr ti nasca 55<*
Di questa spada , ch’io da te ricevo,
Benché placato già sol da’ tuoi detti.
Tacque; e il buon brando agli omeri sospese.
Già dechinava il S<jle , einnanzi a Ulisse
Stavano i doni. Gli onorati araldi
Nella reggia portaro i doni eletti ,
Che dai figli del Re tolti , e all’augusta
Madre davante collocati furo.
Alcinoo entrò alla reggia , e seco i Prenci ,
Che altamente sederò ^ e del Re il sacro 5Co
Valore in forma tal parlò ad Arete :•
Donna , su via , la più sald’arca , e bella,
Fuor traggi , ed una tunica vi stendi ,
B un manto , di cui nulla oiTenda il lustro.
Scaldisi in oltre allo sranier nel cavo
Rame sul £oco una purissim’onda ,
Perch’ei , le membra asterse, e visti in bello
Oidin riposti de* Feaci i <Umi ,
OTTAVO. 4’>
Meglio il cibo gli sappia , e più gradito
Scendagli al core per l'orecchio il canto. 670
10 questa gli darò di pregio eccelso
Mia coppa d’oro , acciò non sorga giorno ,
Ch’ei d'Alcinoo non pensi, al Saturnide
Libando nel suo tetto , e agli altri Numi.
Disse ; ed Arate alle sue fanti ingiunse
Porre il treppiede in su le brace ardenti.
Quelle il treppiede in su le ardenti brace
Posero , e versar l’onda , c le raccolte
Legne accendeanvì sotto : il cavo rame
Cingean le fiamme, e si scaldava il fonte. 480
Arete fuor delia secreta stanza
Trasse delTarcbe la più .salda , e bella ,
K tutti con la tunica , e col manto
Vi allogò i doni in vcstimenta , e in oro.
Iodi assennava l’ospite : 11 coverchio
Metti tu stesso , e bene avvolgi il nodo ,
Non forse alcun ti nuoccia , ove le il dolco
Sonno cogliesse nella negra nave.
L’accorto eroe , che non lulilla indarno ,
Mise il coverchio , e l’iiitricatu nodo djo
Prestamente formò, di cui mostrato
Gli ebbe il secreto la Dedalea (^irce.
R qui ad entrar la dispensiera onesta
L’invitava nel bagno. Ulisse vide
I lavacri fumar tanto più lieto ,
Che tai conforti s’accostàr di rado
Al suo corpo dal dì che della Ninfa
Le grotte più noi ritenean , dov’era
D’ogni cosa adagiato al par d’un Nume.
Lavato ed unto per le scorte ancelle , 600
E di manto leggiadro e di leggiadia
Tunica cinto, alla gioconda mensa
Da’ tepidi lavacri Ulisse giva.
Nausica , cui splendea tutta nel volto
l..a beltà degli Dei , della superba
Sala fermossi alle lucenti porte.
Sguardava Ulisse , e Pammirova , é queste
Mandavagli dal sen parole alate :
Felice , ospite , vivi , e ti ricorda ,
Come sarai nella natia tua terra , 610
Di quella , onde pria venne a le salute.
Nausica , del prò’ Alcinoo ìnclita figUfl ,
Ulisse rispondeale , oh ! così Giove ,
L’altitonante di Giunon marito ,
Voglia die il dì del mio ritorno spunti p
Cum’io nel dolce ancor nido nativo
Sempre , qual Dea , t’onorerò : che fosti
La mia salvezza tu , fancnilla illustre.
Già le carni partiansi , e nelle coppe
Gli umidi vini si mesceano. Ed ecco 620
11 bandttor venir , guidar per mano
L’onorato da tutti amabil vate ,
£ adagiarlo , facendogli d'un’alta
Colonna appoggio . ai convitati in mesxo»
Ulisse allor dall’abbrostita c ghiotta
Schiena di pingue , dentibianco verro
Tagliò un florido brano ,.ed all’araldo ,
Te’, disse, questo, e al vate il porta , ood’io
Rendagli , benché afllitto , un qualche onore.
Chi è che, in pregio c in riverenza i vati 63o
Non tenga ? i vati , che ama tanto, e a cui
Si dolci melodie la Musa impara»
Portò Taraldo il dono , e il vate il preie^
E per l’alma gli andò tacita gioja»
44 O D 1 S
Alle vivande intanto e alle bevande
Porgean ia mano ; e iùro spenti appena
DelEi fame i desiri e della sete ,
Che il saggio Ulisse tati accenti sciolse:
Uemodocu , io te sopra ogni vivente
Sollevo , te , che la canora figlia 64^
Del sommo Giove , o Apollo stesso inspira.
Tu i casi degli Achivi , c ciò che opraro ,
Ciò che soffrirò , con estrema cura ,
Quasi visto l’avessi , o da que’ prodi
Guerrieri udito , su la cetra poni.
Via y dunque , siegui , e l’edihzio canta
Del gran cavallo , che d’inteste travi ,
Con Pallade al suo fianco ^ £pèo cuiistrusse»
£ Ulisse penetrar feo nella rocca
Dnrdauia pregno (stratagemma insigne!) 65u
Degli eroi , per cui Troja andò in faville.
Ciò fedelmente mi racconta , e tutti
Sciamar m’udranno , ed attestar che il petto
Dì tutta la sua fiamma il Dio t’accende.
Demodoco , che pieno era del Nume,
D’alto a narrar prendea , come gU Achivi ,
Gittate il foco nelle tende , i legni
Parte salirò , e aprir le vele ai venti ,
Parte sedean col valoroso Ulisse
!Ne’ fianchi del cavallo entro la rocca. 6C0
1 Troi, standogli sotto in cerchio assisi,
IMolte cose diccan, ma incerte tutte,
D in tre sentenze divjdeansi : o il cavo
Degno intagliato lacerar con l’armi ,
O addurlo 111 cima d’una rupe , e quindi
Precipitarlo, o il simulacro enorme
Agli adirati Numi ofiVire in voto.
Questo prevalse alfìn : poiché destino
£ra che allor perisse Ilio superbo ,
Che ricettata nel suo grembo avesse C70
L'immensa mole intesta , ove de’ Greci ,
jVIorte ai Troi per recar , sedeano i capì.
Narrava pur , come de’ Greci i figli ,
Puor di quella versatisi, e lasciate
Le cave insidie , la cìttade a terra
Gittaro} e come, mentre i lor compagni
Giiastavan qua e là palagi e templi,
Ulisse di DeiTobo alla casa
Col diviii Menelao corse , qual Marte ,
E un duro v'ebbe a sostener conflitto , 680
Donde usci vincitore , auspice Palla.
A tali voci , a tai ricordi Ulisse
Struggeasi dentro , e per le smorte guance
Piovea lagrime giù dalle palpebre.
Qual donna piange il molto amato sposo ,
Che alla sua terra innanzi , e ai cittadini
Cadde e ai pargoli suoi , da cui lontano
Volea tener l’ultimo giorno ; ed ella ,
Che moribondo il vede e palpitante,
Sovra lui s’abbandona , ed urla e stride , G<jo
Mentre ha di dietro chi dell’asta il tergo
Le va battendo, e gli omeri , e le intima
Schiavitù dura , e gran fatica e strazio ,
Si che già del dolor ia inisereila
Smunto ne porta e disfiorato il volto :
Cosi Ulisse dì sotto alle palpebrQ
Consumatrici lagrime piovea.
S E A
Pur del suo pianto non s’accorse alcuno ,
Salvo Re Alcinoo , che sedeagli appresso ,
£ gemere il seiitia : però ai Feaci , 700
Udite , disse , o Condottieri , e Prenci.
Deponga il vate la sonante cetra:
Chè a tutti il canto suo grato non giunge.
Dal primo istante , ch’ei toccolla , in pianto
Cominciò a romper l’ospite , a cui siede
Certo un’antica in sen cura mordace.
La mano adunque dalle corde astenga;
E lieto allo straiiier del par , che a noi .
Che il ricettammo , questo giorno cada,
Consiglio altro non v’ha. Per chi tal festa? 710
Per chi la scorta preparata , c i doni ,
D’amistà pegni , e le accoglienze oneste ?
Un supplice straniero ad uum , che punto
Scorga diritto , è di fratello in vece.
Ma tu di quel , ch’io domandarti intendo ,
Nulla celarmi astutamente: meglio
Torneranne a te stesso. 11 nome dimmi ,
Con che il padre solea , solea la madre,
E ì cìttadiii chiamarti , ed ì vicini :
Chè senza nome uom non ci vìve in terra , 720
Sia buono , o reo , ma come aperse gii occhi ,
Da’genitori suoi l’acquista in fronte.
Dimmi il tuo suol , le genti e la cictade ,
Sì che la nave d’intelletto piena
Prenda la mira , e vi li poni. I legni
Della Feacia di nocchier mestieri
Non han , nè di timon : mente hanno , e tutti
Sanno i disegni di chi stavvi sopra ,
Conoscon le cìttadì e i pingui campì ,
£ senza tema di mina o storpio , 73o
Rapidissimi varcano , e di folta
Nebbia coverti , le marine spume.
Bensì al padre Nausitoo io dire intesi ,
Che Nettun contra noi forte s’adira ,
Perchè illeso alla Patria ogni mortale
Riconduciamo; e che un de’ nostri legni
Ben fabbricati , al suo ritorno , il Dio
Struggerà nelle fosche onde; e la nostra
Cittane coprirà d’alta montagna.
Ma effetto abbiano, o no, queste minacce, 740
Tu mi racconta , nè fraudarmi il vero ,
l mari scorai e i visitati lidi.
Parlami delle genti , e delle terre
Che di popol ridondano, e di quanto
Veder t’avvenne nazioni agresti ,
Crudeli , ingiuste , o agli stranieri amiche ,
E a cui timor de’Numi alberga in petto.
Nè mi tacer, perchè secreto piangi
Quanto il fato di Grecia e d'ilio ascolti.
Se venne dagli Dei strage cotanta , 760
Lor piacque ancor che degli eroi le morti
Fossero il canto dell’età future,
fi perì forse un del tuo sangue a Troja ,
Genero prode , o suocero , i più dolci
Nomi al cor nostro dopo i figli e ì padri ?
O forse un fido , che nell'alma entrarti
Sapea , compagno egregio ? È qual fratello
i/uom , che sempre usa teco , e a cui fornirò
D’alta prudenza rintelletto i Numi.
itizedby Googlc
LIBRO NONO
ARGOMENTO
Llisse incomiiKia il ra^'coDtu delle avventure sue H«<]m la sua partenza di Tmja. nAttaglia en* Cleoni ^ rhe
avean succorso i Trojani. Arrivo al |taesc ^ o sia mangiatori del loto, Deacrixioiie d’uoa tingoLare
isoletta , c della S|ieluuca del Ciclupo Polifemo. Questi gli divora »ei du’ com{iagQÌ j cd egli, <U^h> averlo aociecalo,
si salva cou gli altri , inediaute uno strategeuuua nuovo che seppie ioveutare.
Alcinoo Rege , che ai mortali tutti
Di grandezza e di gloria innanzi vai ,
Bello è l’udir , gli replicava Ulisse,
Cantor , come Demndoco , di cui
Pari a quella d’un Dio suona* la voce :
Nè spettacof più grato havvi , che quando
Tutta una gente si dissolve in gioja,
Quando alla mensa , che il cantor rallegra ,
Molti siedono in ordine, e le lanci
Colme di cibo son , di vino l’unie , io
Donde coppier neU’auree tazze il versi ,
K ai convitati assisi il porga in giro.
Ma tu la storia de’ miei guai domandi,
Perch’io rinnovi ed inacerbi il duolo.
Qual pria dirò , qual poi , qual nell’estremo
Racconto serberò dell^ sventure.
Che gravi e molle m’iuviaro i Numi ?
Prima il mio nome ; acciò , se vita un giorno
Ali si concede riposata e l'erma ,
Dell’ospitalità ci unisca il nodo , 3o
Renelle quinci lontan sorga il mio tetto.
Ulisse , il figlio di Laerte , io sono ,
Per tutti accorgimenti al Mondo in pregio,
£ già noto per t'ama in sino agli astri.
Abito la serena Itaca , dove
Lo scuutitronde Nérito si leva
Superbo in vista , ed a cui giaccìon molte
Non lontane tra loro ìsole intorno ,
Dnlichio , Same, e la di selve bruna
Zacinto. All’orto e al mezzogiorno queste, 5o
Itaca al polo st rivolge , e meno
Dal continente fugge: aspra di scogli ,
Ala di gagliarda gioventù nutrice.
Deh qual giammai l’uom può della natia
Sua contrada veder cosa più dolce?
Calipso , inclita Diva, in cave grotte
Mi l'itenea , mi ritenea con arte
Nelle sue case la Dedalea Circe ,
Desiando d'avermi entrambe a sposo.
Ma nè Calipso a me , nè Circe il core 40
Piegava mai ; che di dolcezza tutto
La Patria avanza , e riulla giova un ricco
Splendido albergo a chi da’ suoi disgiunto
Vive in estranea terra. Or tu mi chiedi
Quel che da Troja prescriveami Giove
Lucrimabil ritorno; ed io tei narro.
Ad Isinaro , de' C coni alla sede ,
Me , che lasciava Troja , il vento spìnse.
Saccheggiai la città, strage menai
• Degli abitanti; e sì le molte robe 5o
Dividemmo , e le donne , che alla preda
Ciascuno ebbe ugual parte. Io gli esortava
Partir subito e in fretta ; e i forsennati ,
Dispregiando il mio dir, pecore pingui,
Pingui a scannar tortocornuli tori ,
£ larghi nappi ad asciugnr sul Udo. *
S’alìontanaro in questo mezzo , e voce
Diero ì Cleoni ai Ciconi vicini ,
Che più addentro abitavano. Costoro ,
Che in numero vincean gli altri, ed in forza, Co
H battagliare a piè , come dal carro ,
Sapean del pari , maitutini , e tanti ,
Quante son fronde a primavera e fiori ,
Vennero ; e allor di cielo a noi meschini
Riversò addosso un gran sinistro Giove.
Stabile accanto alle veloci navi
Pugna si coromettea : d’ambo le parti '
VuTavan le pungenti aste omicide.
Finché il mattili durava , e il sacro Sole
Acquistava del cici , benché più «carsi , 70
Sostenevam della battaglia i) nembo.
Ma come il Sol , calandosi all’Occasu y
L’ora menò , che dal pesante giogo
Si disciolgono i buoi , l’Achìva forza
Fu dall’aste de’ Ciconi respinta.
Sei de’ compagni agli schinieri egregi
Perde ogni nave : 10 mi salvai col resto.
Lieti nel cor della schivata morte ,
F de’ compagni nella pugna uccisi
Dolenti in un , ci allargavam dal lido: 80
Ma le ondivaghe navi il lor cammino
Non proseguian , che tre fiate in prima
Non si fosse da noi chiamato a nome
Ciascun di quei che giaceaii freddi addietro.
L’adunator de’ nembi olimpio Giove
Contro ci svegliò intanto una feroce
Tempesta borea! , che d’atre nubi
La terra a un tempo ricoverse, e il mare,
K la notte di cielo a piombo scese.
Le vele ai legni , che moveansi obbliqui , 90
Squarciò in tre e quattro parti il forte turbo.
Noi dei timore ammainammo , e ratto
( navigli affrettammo in ver la spiaggia y
Ove due giorni interi , e tante notti
Posavam lassi , e addolorati e muti.
Ma come l’Alba dai capelli d’orp
Il dì terzo recò , gli alberi alzati ,
F dispiegate le candide vele.
Filtro i navigli sedevam , fa cura
Al timonier lasciandone , ed al vento. 100
Tempo era quello da toccar le amale
Sponde natie : se non che Borea , e un’aspra
Corrente me, che la Maléa girava ,
Respinse indietro , e da Citerà svolse.
Per nove infausti dì sul mar pescoso
I venti rei mi traportaro. Al fine
Nel decimo sbarcammo in su le rive
De’ Lotofagi , un popolo , a cui cibo
d’una pianta il florido germoglio.
Filtrammo nella terra, acqua attignemmo, 1 1<>
V. pasteggiamo appo le navi. Estinti
Un'Ila faine i desiri e Rr-lla sete ,
Dìgitized by Google
45 ODI
10 due scelgd de’ nostri , a cui per terzo
Giungo un araldo, e a investigar li mando:
Quai mortali il paese alberghi e nutra.
Partirò , e s’aQrontaro a quella gente >
Che , lunge dal voler la vita loro ,
11 dolce loto a savorar lor porse.
Chiunque Tesca dilettosa e nuova
Gustato avea, con le novelle indietro no
Non bramava tornar : colà bramava
Starsi , e , mangiando del soave loto ,
La contrada natia sbandir dal petto.
È ver, ch’io lagrimosi al mar per forza
Li ricondussi, entro i cavati legni
Li cacciai , gli annodai di sotto ai banchi :
£ gli altri risalir con gran prestezza
Le negre navi comandai , non forse
Ponessealcun nel dolce loto il dente»
£ la patria cadessegli dal core. l5o
Quei le navi saliano , e sovra i banchi
Sedean l’un dopo l’altro , e gian battendo
Co’ pareggiati remi il mar canuto.
Ci portammo oltre , e de’ Caclopi altieri ,
Che vivon senza leggi , a vista fummo,
uesti, lasciando ai Numi ogni pensiero»,
è ramo , o seme por , nè soglinn gleba
Col voinero spezzar } ma il tutto viene
Non seminato , non piantato o arato ,
L’orzo, il frumento e la gioconda vite, i4o
Che si carca di grosse uve . e cui Giove
Con pioggia tempestiva educa e cresce.
L'oggi non han , non radunanze , in cui
Si consulti tra lor: de’ munti eccelsi
Dimoran per le cime, o in antri cavi ;
Su la moglie ciascun regna e su i Bgli ,
Nè l’uno all’altro tanto o quanto guarda.
Ai Ciclopi di contra,e nè vicino
Troppo , nè lunge, un'isoletta siede
Di loreste ombreggiata , ed abitata l5o
Da un’iufìnita nazion di capre
Silvestri., onde la pace alcun non turba ;
Chè il cacciator , che per burroni e boschi
Si consuma la vita , ivt non entra ,
Non aratore, o mandrìan v’alberga.
Manca d’umani totalmente, e solo
Le belanti caprette , inculta , pasce*
Però che navi dalle rosse guance
Tu cerchi indarno tra i Ciclopi , indarno
C-trchl fabbro di nave a saldi ban.:UÌ , l6u
Su cui passare i golB , e le straniere
Città trovar , qual delle genti è usanza ,
Che spesso van l’una dell’altra ai lidi ,
£ all’isola deserta addur coloni.
Malvagia non è certo, e in sua stagione
Tutto darebbe. MullL e irrigui prati
Spiegansi in riva del canuto mare.
Si vestirlan di grappi ognor le viti ,
£ cosi un pingue suolo il vomer curvo
Kiceveria , che altissima troncarvi 170
PotrUsì al tempo la bramata messe.
Che del porto dirò? Non v’ha di fune
Nè d’àncora mestieri j e chi già entrovvì ,
Tanto vi può indugiar, che de' nocchieri
Le voglie si raccendano , e secondi
Spirino i venti. Ma del porto in cima
S’apré una grotta , sotto cui zampilla
L’argentina onda d’una fonte , e a coi
S S E A
Fan verdissimi pioppi ombra e corona.
Là smontavamo , e per l'oscura notte, 180
Noi , spenta ogni veduta . un Dio scorgea :
Chè una densa caligine alle navi
Stava d’ intorno , nè splendea dì cielo
La Luna, che d'un nembo era coverta.
Quindi nessun l'isola vide, e i vasti
Flutti al lido volventisi , che prima
\pprodati non fossimo. Approdati ,
Tutte le vele raccogliemmo , uscimmo
Sul lido , e l’Alba dalle rosee dita ,
Nel sónno dlsciogUendoci , aspettammo. 190
Sorta la figlia del mattino appena ,
L’isoletta, cìie in noi gran maraviglia
Destò , passeggiavamo. Allor le Ninfe ,
l'role cortese ilelTEgioco Giove,
l^er fornir di convito i miei compagni ,
Q ielle capre levaro. E noi repente ,
foresi i curvi archi, e le asticciuole acute »
E tre schiere di noi fatte , in tal guisa
Il monte fulminammo , e il bosco tutto ,
Ch’io non so , se dai Numi in s\ brev’ora 3oo
Fu concessa giammai caccia si ricca.
Dodici navi mi seguìano , e nove
Capre ottenne ciascuna: io dieci n'ebbi.
Tutto quel giorno sedevamo a mensa
Tra carne immense e prezioso vino :
Poiché restava su le navi ancora
D?1 licore, onde molte anfore e molte
Riempiuto evevam , quando la sacra
Dispogliammo de’ Ciconi cittade.
E de’ Ciclopi nel vicin paese aio
Levate intanto tenevam le ciglia »
E salili vedevam il fumo , e miste
Col belo dell’agnelie e delle capre
Raccoglievam le voci. Il Sole ascoso »
£d apparse le tenebre, le membra
Sul maria lido a riposar gettammo.
Ma come del mattili la figlia sorse.
Tutti chiamati a parlamento , Amici
.Dissi , vi piaccia rimaner , mentr’io
Defila gente a spiar vo’ coi mio legno » 330
Se ingiusta, soperclilevole, selvaggia »
O di core ospitai siasi , ed a cui
Timor dei Numi si racchiuda in petto.
Detto , io montai la nave , e ai remiganti
Montarla ingiunsi , e liberar le fune.
E quei ratto ubbidirò ^ e già su i banchi
Sedean l’un dopo l’altro , e gian battendo
Co’ pareggiati remi il mar canuto.
Giunto alla terra , che sorgeaci a fronte
Spelonca eccelsa nell’estremo fianca u5o
Di lauri opaca , e al mar vicina , io vidi.
Entro giaceavi innuinerabll greggia »
Pecore e capre ; e di recise pietre
Composto , e di gran pini e querce ombrose ^
Alto recinto vi correa d’intorno.
0om gigantesco abita qui, che lunge
Pasturava le pecore soliiigo.
In disparte costui vivea aa tutti,
£ cose inique nella mente cruda
Covava : orrendo mostro , nè sembiante 340
Punto alla stirpe die di pan si nutre.
Ma più presto al cucuzzolo selvoso
D’una montagna smisurata , dove
Non gli s’alzi da presso altro cacume.
47
LIBRO
Lascio i compagni della nare a guardia ,
K con dodici sol, che i più robusti
Mi pareano , e più arditi , in via mi pongo ,
Meco in otre caprili recando un negro
Licor nettareo, che ci diè Marone
I)*£vantéu figlio , e sacerdrte a Febo , 3Òo
Cui d'iamaro le torri erano in cura.
Soggiornava del Dio nel verde bosco ,
£ noi di .santa riverenza tocchi
Con la iiiogiic il salvammo , e con la prole.
Quindi ei mi porse incliti doni : sette
lalenti d'òr ben lavorato, un’urna
D’argento tutta , e dodici d'un vino
Soave , incorruttibile , celeste
Anfore coirne ; un vin , ch’egli , la casta
Moglie e la fida dispensiera solo , aCo
Non donzelle sapeanio , e non ancelle.
Quandunque ne bevean , chi empiea la tazza ,
Venti metri iiiloiinea d'acqua di fonte,
R tal dall’urna scoverchiata odore
Spirava , e sì diviii . che somma noia
Stato sarìa non confortarne il petto,
lo deiralma bevanda un’otre adunque
Tenea , teiiea vivande a un zaino in grembo :
Chè ben dicearoi il cor, quale di strana
F'orza dotato le gran membra , e insieme 270
Debil conuscitor di leggi e dritti ,
Salvatic’uom mi si farebbe incontra.
Alla spelonca divenuti in breve,
Lui non trovammo , che per l’erte cime
Le pecore lanigere aderbava.
Entrati , gli occhi stupefatti in giro
Noi portavam : le aggraticciate corbe
Cedeano al peso de* formaggi , e piene
D’agnelli e ai capretti eraii le staile j
i più grandi, 1 mezzani, i nati appena, 2S0
Tutti , come l’etade , avean del pan
Lor propria stanza ; e ì pastorali vasi ,
Secchie , conche , catini , ov’ei le poppe
Premer solea delle feconde madri ,
Entro il siero notavano. Qui forte
I compagni pregavaumi che, tolto
Pria di quel cacio , si tornasse addietro ,
Capretti s’adducessero ed agnelli
Alla nave di fretta , c in mar s’entrasse.
Ma io non volli , benché il meglio fosse : 2qo
Quando io bramava pur vederlo in faccia ,
£ trar doni da luì , che riuscirci
0^pite sì inamabile dovea.
Racceso il foco , un sagrihzio ai Numi
Fetnmo, e assaggiammo del rappreso latte:
ludi l’attendevam nell'antro assisi.
Venne , pascendo la sua greggia , c in collo
Pondo non lieve di risecca selva ,
Che la cena cocessegli , portando.
Davanti aU’atitro gitiò il carco , e tale 3oo
Levossene un romor, che sbigottiti
Nel più interno di quel ci ritraemmo.
£i dentro mise le feconde madri ,
£ gl’irchi a cielo aperto , ed i montoni
Nella corte lasciò. Poscia una vasta
Sollevò in allo ponderosa pietra ,
Che ventiduo da quattro ruote e forti
Carri di loco non avrUno smossa ,
£ l’ingresso acciecò della spelonca.
Fatto , le ygiiclle , assiso , c le belanti 3io
NONO.
I Capre mugnea , tutto serbando il rito ,
I £ a questa i parti mettea sotto, e a quella.
I Mezzo il candido latte insieme strinse ,
y. su i canestri d’intrecciato vinco
I Collocollo ammontato : e l’altro mezzo,
Che dovea della cena esser bevanda ,
1) riceverò i pastorecci vasi.
Di queste sciolto cotidiane cure ,
Mentre il foco accemlea , ci scòrse , e disse :
Forestieri , chi siete ? E da quai lidi 3ao
Prendeste a frequentar i'umide strade ?
Siete voi trafiiianti ? O errando andate,
Come corsali, che la vita in forse.
Per danno altrui recar , mettuii su ì flutti ?
Della voce al rimbombo , ed all’orrenda
Faccia del mostro, ci s’infranse il core.
Pure io così gli rispoiidea : Siam Greci,
Che di Troja partili e trabalzati
Su pel ceruleo mar da molti venti ,
Cercando il suo] natio , per altre vie , 53o
£ con viaggi non pensati , a queste,
Cosi piacque agli Dei , sponde aHèrrammo.
«Seguimmo , e ceu vaniiam , per nostro capo
QuelJ’Atride Agamennone , che il mondo
£mpieo della sua fama , ei , che distrusse
Città si grande, e tante genti ancise.
£d or, prostesi alle ginocchia tue,
Averci tj preghiam d’ospiti in grado,
£ d’un tuo dolio rimandarci lieti.
Ah ! temi , o potentissimo , gli Del : .^40
Che tuoi supplici siam , pensa , e che Giove
li supplicante vendica , e l’estrano ,
Giove ospita) , che l’accompagna , e il rendo
Venerabile altrui. Ciò detto , 10 tacqui.
£d ei con atroce alma : O ti fallisce ,
Straniero, Ì1 senno, o tu di lunge vieni.
Che vuoi che ì Numi io riverisca e teina.
L’Egidarmato di Saturno figlio
Non temono i Ciclopi , o gli altri Iddìi /
Chè di loro siam noi molto più forti. 35o
Nè perchè Giove inimicarmi io debba,
A te concederò perdono, e a questi
Compagni tuoi, se a me il mio cor noi detta.
Ma dimmi : ove approdasti? All’orlo estremo
Di questa terra, o a più propinquo lido?
Cosi egli tastommi ; ea io , che molto
D'esperienza ricettai nel petto,
Ravvistomi del tratto, incontanente
Arte in tal modo gli rendei per arte:
Nettuno là /ve termina, e s’avanza 36o
La vostra terra con gran punta in mare,
Spinse la nave mia cuntra uno scoglio,
E le spezzate tavole per l’onda
Sen portò il vento. Ddll’estremo danno
Con questi pochi io mi sottrassi appena.
Nulla il barbaro a ciò; ma, dando un lancio,
Le man ponea sovra i compagni, e due
Brancavane ad un tempo, e, quai cagnuoli,
Fercoteali alla terra, e ne spargea
Le cervella ed il sangue. A brano a brino 370
Diiacerolli, e s’imbandì la cena.
Qual digiuno leon, che in monte alberga,
Carni ed interiora, ossa e midolle,
Tutto vorò, consumò tutto. £ noi
A Giove ambo le man tra il pianto alzammo,
Spettacol miserabile scorgendo
ODISSEA
48
Con gli occhi nostri, e disperatulo suini po.
Poiché la gran veiitraja empiuto s’obbe,
Pasteggiando dell’uomo, e puro latte
Tracannandovi sopra, in fra le agiielle 58o
Tutto quant’era ei si distese, e giacque,
lo, di me ricordandomi, pensai
Fermigli presso, e la pungente spada
Tirar nuda dal banco, e al petto, dove
La corata dal fegato si cinge.
Ferirlo. Se non ch’io vidi , che certa
Morte noi pure incontreremmo, e acerba:
Chè non era da noi tor dall’immenso
Vano dell’antro la sformata pietra ,
Che il Ciclope fortissimo v’impose. 590
Però, gemendo, atlendevam l’Aurora.
Sorta l’Aurora, e tinto in roseo il cielo.
Il foco ei raccendea, mugnea le grasse
Pecore belle, acconciamente il tutto,
£ i parti a (juesta mettea sotto, e a quella.
Kè appena tu delle sue cure uscito,
Che altri due mi ghermì de' cari amici,
£ carne umana desinò. Satollo,
Cacciava il gregge fuor dell'antro, tolto
Senza fatica il disonesto sasso , 400
Che dell’antro alla bocca indi ripose,
Qual chi a faretra il suo coverchio assesta.
Poi su pel monte si mandava il pingue
Gregge davanti, alto per via bschlamk).
£d io tutti a raccolta i miei pensieri
Chiamai, per iscoprir, come di lui
Vendicarmi io potessi, e un immortale
Gloria comprarmi col favor di Palla.
Ciò al fin mi parve il meglio. Uu verde enorme
Tronco d’oliva , che il Ciclope .svelse 410
Di terra, onde fermar con quello ì passi,
Entro la stalla a inaridir giacca.
Albero scorger credevam di nave
X<arga, mercanteggiante , e l’onde brune
Con venti remi a valicare usata :
Sì lungo era e sì grosso, lo ne recisi
Quanto è sei piedi , e la recisa parte
Diedi ai compagni da polirla. Come
Polita fu , da un lato 10 l’afillai ,
L’abbrustolai nel foco , e sotto il fimo , 4^^
Ch’ ivi in gran copia s’accoglìea , l’ascosi.
Quindi a sorte tirar coloro io teci ,
Che alzar meco dovessero , e al Ciclope
L’adusto palo conficcar nell'occhio ,
Tosto che i sensi gli togliesse il sonno.
Fortuna i quattro , ch’io bramava , appunto
Doriommi, e il quinto io fui. Cadea la sera ,
£ dai campi tornava il ber pastore,
Che la sua greggia di lucenti lane
Tutta introdusse nel capace speco : 45o
O di noi sospettasse , o prescrivesse
Così il Saturnio. Nuovamente imposto
Quel , che rimosso avea , disconcio masso ,
Pecore e capre alla tremula voce
Mungea sedendo , a maraviglia il tutto ,
£ a questa mettea sotto , e a quella i parti.
Fornita ogni opra, m’abbrancò di nuovo
Due de’ compagni , e cenò d’essi il mostra.
Allora io trassi avanti , e, in man tenendo
D’edra una coppa , Te’, Ciclope , io dissi : 440
Poiché cibasti umana carne, vino
Devi ora, c impara , qual su Tonde salse
bevanda carreggiava il nostro legno.
Questa , con cui libar, recarti io volli ,
Se mai , compunto di nuova pleiade ,
Mi rimandassi alle paterne case.
Ma il tuo furor passa ogni segno. Iniquo I
Chi più tra gTinfiniti uomini in terra
Fia che s’accosti a te ? Male adoprasti.
La copfta ei tolse, e bebbe, ed un supremo 4S0
Del soave iicor prese diletto ,
E un altra volta men chiedea s Straniero ,
Darmene ancor ti piaccia , e mi palesa
Subito il nome tuo, perch’io ti porga
L’ospilal dono, che ti metta in festa.
Vino ai Ciclopi la feconda terra
Produce col lavor di tempestiva
Pioggia, onde Giove le nostre uve ingrossa:
Ma questo è ambrosia e nettare celeste.
Un’altra volta io gli stendea la coppa. 460
Tre volte io la gli stesi ; ed ei ne vide
Nella stoltezza sua tre volte il fondo.
Quando m’accorsi che saliti al capo
Del possente licor gli erano i fumi ,
Voci blande io drizzavagli : Il mio nome,
Ciclope, vuoi ? L’avrai : ma non frodarmi
Tu del promesso a me dono ospitale.
Nessuno è il nome : me la madre e il padre
Chìaman Nessuno , e tutti gli altri amici.
Èd ei con fiero cor : L’ultimo , ch’io 470
Divorerò , sarà Nessuno. Questo
Riceverai da me dono ospitale.
Disse, e diè indietro , e rovescion cascò.
Giacca nell’antro con la gran cervice
Ripiegata su l’omero ; e dal sonno ,
Che tutti doma -, vinto , e dalla molta
Crapula oppresso , per la gola fuori
Il negro vino , e della carne i pezzi ,
Con sonanti mandava orrendi rutti.
Immantinente dclTulivo il palo 4Si»
Tra la cenere io spinsi j e in questo gli altri
Rincorava , non forse alcun per tema
M’abbandonasse nel miglior dell’opra.
Come , verde quantunque , a prender fiamma
Vicin mi parve, rosseggiante il trassi
Dalle ceneri ardenti , e al mostro andai
Con intorno i compagni : un Dio per fermo
D’insolito ardimento il cor mi armava.
Quelli afferrar l’acuto palo , e in mezzo
Dell’occhio il conficcaro ; ed io di sopra , 49<^
Levandomi su i piè , movealo in giro.
E come ailor che tavola di nave
Il trapano appuntato investe e fora ,
Che altri il regge con mano , altri tirando
Va d’ambo ì lati le corregge, e attorno
L’instancabile trapano sì volve:
Sì nell’ampia lucerna il trave acceso
Noi giravamo. Scaturiva il sangue,
La pupilla bruciava, ed un focoso
Vapor , che tutta la palpebra e il ciglio 5oo
Struggeva , uscia della pupilla , e l’irne
Crepitarne io seiitia rotte radici.
Qual se fabbro talor nell’onda fredda
Attufiò un'ascia o una stridente scure,
E temprò il ferro , e gli diè forza ; tale
L’occhio intorno al troncoji cigola e frigge.
Urlo il Ciclope sì tremendo mise,
£ tanto l’antro rimbombò , che noi
49
I. 1 B R O
Qua e là ci spargemmo impauriti. !
Ki fuor cavos&i aell^>cchiaJa il trave, 5io |
K da se lo scagliò di sangue lordo, '
Furiando per doglia: indi i Ciclopi,
Che non lontani le ventose cime
Abitavan de’ monti in cave grotte,
Con voce alia chiamava. £d i Ciclopi
Quinci e quindi accorrean, la voce udita,
K, snfTermando alla spelonca il passo ,
Bella cagione il richiedean del auolo.
Fer quale oilhsa., o Polifeino, tanto
Gridastu mai ? Perche così ci turbi 620
La balsamica notte e i dolci sonni?
Furati alcun la greggia? o uccider forse
Con inganno ti vuole, o a forza aperta?
£ Puliiemo dal protondo speco:
Nessuno, amici , uccidemì, e ad inganno,
Non già con la virtude. Orse nessuno
Ti nuoce , rispondeano , e solo alberghi ,
Da Giove è il morbo.e non v'ha scampo. Al padre
Puoi bene , a Re Neltun, drizzare 1 prieghi.
Bopo ciò , ritornar su ì lor vestigi : 55o
£<l a me il cor ridea , che sol d’un nome
Tutta si fosse la mia frode ordita.
Poliremo da duoli aspri crucciato.
Sospirando altamente , e brancolando
Con le mani , il petroli di loco tolse.
Poi, dove l’antro vaneggiava, assiso
Starasi con le braccia aperte e stese,
Se alcun di noi , che tra le agnelle uscisse ,
Giungesse ad aggrappar : tanta eì credea
Semplicitade in me. Ma io gli amici .640
£ me studiava riscattar, correndo
Per molle strade con la mente astuta :
Chè la vita ne andava , e già pendea
Su le teste il disastro. Al hiie in questa ,
Bopo molto girar , iVaude io m’arresto.
Mortoli) di gran mole , e pingui e belli ,
Bi folta carchi porporina lana,
Rinchiiidea la caverna, lo tre per volta
Prendeane , e in un gli unla tacitamente
Co’ vinchi attorti, sopra cui solca 55o
Polifemo dormir : quel ch’era in mezzo ,
Portava sotto il ventre un de’ compagni,
Cui fean riparo i due ch’ivan da lato ,
E così un uomo conducean tre bruti.
Indi afferrai pel tergo un ariete
Maggior di tutti , e della greggia il fiore j
Mi rivoltai sotto il lanoso ventre ,
£, le mani avvolgendo entro at gran velli,
Con fermo cor mi v’attenea sospeso.
Così, gemendo, aspettavam l’Aurora. 5Go
Sorta l’Aurora, e tinto in roseo il cielo,
Fuor della grotta i maschi alla pastura
Gittavansi j e le femmine non munte ,
Che gravi molte si sentian le poppe ,
Riempian di belati i lor serragli.
11 padron , cui ferìan continue duglie,
B ogni montone , che dìritto stava,
Palpava il tergo ; e non s’avvide il folle
Che dalle pance del velluto gregge
Pendean gli uomini avvinti. Ultimo uscla 670
Be’ suoi velli bellissimi gravato
L'ariete , e di me , cui molte cose
S’aggiravaii per l’alma. Polifemo
Tai detti , brancicandolo , gli voUe :
ODISSEA
N O N O.
Aliete dappoco, e perchè fuori
C<i8Ì da sezzo per la grotta m’esci ?
Già non solevi deU’agne Ile addietro
Restarti : primo , e dì gran lunga , i molli
Fiori del prato a lacerar correvi
Con lunghi |)assi ; degli argentei fiumi 5Ba
Infimo giungevi alle correnti ; primo
Ritornavi da sera al tuo presepe:
£d oggi ultimo sei. Sospiri forse
L’oct hio del tuo signor? Tocihio, che un tristo
Mortai mi svelse co* suoi rei compagni,
Poiché doma col vin m’ebbe la inmte ,
Nessuno, ch’io mm credo in salvo ancora.
Oh ! se a parte venir de’ miei pensieri
Potessi , e , voci articuiando, dirmi ,
Dove dalla mia foiza ei si ricovra, Sqo
Ti giuro, che il cervel dalla percossa
Testa schizzato scorreria per l’antro,
Kd io qualche riposo avrei da’ Diali ,
Che Nessuno recummi, un uum da nulla.
Dis>e} edasè lo spingea Inori al pasco.
Tosto che dietioa noi l’infame speco
Lasciato avemmo , ed il cortile ingiusto ,
Tardo a sciormi io mm lui daHaiiete ,
E poi gli altri a slegar, che , ragmiate
Molte in gran fretta picdilunghe agnelle, 600
Cacciavaiisde avanti in sino al mare.
Desiati apparimmo, c come u:=cili
Dalle fauci di 31orte, a quei che in guardia
Hiniascr della nave , e che i compagni,
Che non vedeaiio, a lagrimar si diero.
Ma io non consenlialo , e con le ciglia
Cenno lor fea dì ritenere il pianto ,
E comandava lor, che , messe in nave
Le molte in pria vellosplcnderiti agnelle,
Si lendessero i flutti. E già il naviglio 610
SaUan , sedean su i bancni , e percolendo
Gian cu’ remi concordi il bianco mare.
Ma come fummo uu gridar d’uom luntaDÌ ,
Così il Ciclope io motteggiai : Ciclope ,
Color che nel tuo cavo antro , le grandi
Forze abusando , divorasti , amici
Non eran dunque d’un mortai da nulla ,
E il mal te pur coglier dovea. Malvagio \
Che la carne cenar nelle tue case
j Non temevi degli ospiti. Vendetta 620
Perù Giove ne prese, e gli altri Numi.
A queste voci Polifemo in rabbia
Montò più alta , e con istrana possa
Scagliò d’iin monto la divelta cima ,
Che d’avanti alla prua caddemi : al tonfo
L’acqua levossì , ed innondò la nave,
Che alla terra crudel , dai rifluenti
Flutti portata , quasi a romper venne.
Ma io , dato di piglio a un lungo palo.
Ne la staccai , puntando ; ed i compagni 63o
D'incurvarsi sul remo , e in salvo addursi ,
Più de 'cenni pregai , che della voce :
E quelli tutte ad inarcar le terga.
Scorso di mar due volte tanto , ideiti
Polifemo io rivolgea di nuovo ,
Benché gli amici con parole blande
D’ambo i lati tenessermì : Infelice l
Perchè la fera irritar vuoi più aucora ?
Così poc''anzì a saettar si mise ,
Che tre dita manco , che rUospìnto C40
7
Digitized by Coogic
5o ODI
Non nercotesse al continente il legno.
Fa , che gridare o favellar ci senta ,
E voleià per l’aere un’altra rupe,
Che le nostre cervelle , e in un la nave
Sfracellerà : tanto colui dardeggia.
L’alto mio cor non si piegava. Quindi ,
Ciclope , io dissi con lo sdegno in petto ,
Se della notte , in che or tu giaci , alcuno
Ti chiederà , gli narrerai che Ulisse ,
D’itaca ubitaior , figlio a Laerte , 63u
Sruggitor di cittadi , il dì ti tolse.
Egli allora , ululando , Oimò ! rispose ,
Da’ prischi vaticinj eccomi còlto.
Indovino era qui , prode uomo e illustre |
Telemo, figliuol d’Eurimo, che area ,
Dell’arte il pregio, ed ai Ciclopi in mezzo
Frofetaudu invecchiava. Ei queste cose
2VTi presagi : mi presagì che il caro
Lume dell’occhio spegneriami Ulisse.
8e non ch’io sempre uom gigantesco bello, CGo
E di forze invincibili dotato ,
Kimirar m’aspettava: ed ecco in vece
La pupilla smorzarmi un picculetto
Greco , ed imbelle, che co) vin mi vinse.
Ma qua , su via , vientene Ulisse , ch’io
Ti purga l’ospiial dono, e Nettuno
Di fortunare il tuo ritorno prieghi.
Io di lui nacqui , ed eì sen vanta , e solo ,
Voglia! , mi sanerà , non altri , io credo ,
Tra imortalinel mondo, oinciel tra iNuoii 670
Oh ! così potess’io , ratto ripresi,
Te spogliar della vita , e negli oscuri
Precipitar regni di Fiuto, come
Nè da Nettuno ti verrà salute.
Ed ei , le palme alla stellata volta
Levando , il supplicava : O chiomazzurro,
(/he la terra circondi , odi un mio voto.
Se tuo pur son , se |>adre mio ti diiami ,
Di tanto mi contenta : in patria Ulisse,
D’itaca abitator, figlio a Laerte, 68<
Struggitor di cìitadi , unqua non rieda.
E dove il natio suolo , e le paterne
S S £ A
Case il destili non gli negasse , almeno
Vi giunga tardi e a stento, e in nave altrui ,
Perduti in pria tutti i compagni } e nuove
Nell’avita magìon trovi sciagure.
Fatti le preci , e da Nettuno accolte ,
Sollevò un masso di più vasta mole,
K , rotandol nell’aria , e una più grande
Forza immensa imprimendovi , Iduciollo. 690
Cadde dopo la poppa , e del timone
La punta rasentò : levossi al tonfo
L’onda , e il legno coprì , che all’isolctta ,
Spinto dal mar, subitamente giunse.
Quivi eran l’altre navi in su l’arena ,
£ i compagni , che assisi ad esse intorno
Ci attendean sempre con agli occhi il pianto.
Noi tosto in secco la veloce nave
Tirammo , e fuor n’uscimmo , e, del Ciclope
' Trattone il gregge, il dividemmo in guisa, 700
Che parte ugual n’rbbe ciascuno. H vero
Che voUer che a me sul , partite i'agne ,
Il superbo ariete anco toccasse,
lo di mia mano al Saturnide. al cìnto
D’oscure nubi Corrertor del Mondo ,
f/’uccisi e n’arsi le fiorite cosce.
Ma non curava i sacrifizi Giove ,
Che anzi tra $è voigea , com’io le navi
Tutte, e tutti 1 compagni al fin perdessi.
L’intero dì sino al calar de) Sole 710
Sedevam banchettando : U Sole ascoso,
£d apparse le tenebre , le membra
Sul marin lido a riposar g^^ttammo.
Ma come del mattiu la figlia , l’Alba
Ditirosate in Oriente sorse ,
1 compagni esortai , comandai loro
Di rimbarcarsi , e liberar le funi.
R quei si rimbarcavano , e su i banchi
Sedean l’un dopo l’altro, e percotendo
Gian co’ remi concordi il bianco mare. 720
Così noi lieti per lo scampo nostro ,
K (>er l’altrui sventura in un dolenti ,
Del mar di nuovo solca vani le spume.
Digitized by Googic
LIBRO DECIMO
ARGOMENTO
UlÌMf giunge aU'isola Eolia. Eolo gli Ci il dono J'un otre, io cui tutti i venti) non comprcfovì refim ,
rinchiusi. I com^goi sciolgono rutre; e i venti ne sruppanO) e riportano Utiaie ad £oIu ^ che il disracria da
sè. Passa alla citta dr’f>Mtrigoni , po|v»Io anclic questo autropnfago, e perde la più parte de'compagni e le navi»
eccetto una) con la quale arriva alì'isula di Circe. Costei gli trasfurma in porci la metà de'compagni, salvo uno,
che viene a darne la nuos'a. Ulisse con Tcrha Moli, che Mercurio gli diede, scioglie l'incanto. Stato un anno
roD Circe questa il consiglia d'ire allacasa di Ptulone ^ ed et s apparecchia, perduto uno de* cumpagai, ad ubbidirla.
CjTiUNCEMMo nplPEolta , ove il diletto
Agl’imniortali Dei d’ipputa figlio,
£olo , abitava in isola natante ,
Cui tutta un muro d’intiangibtl rame^
C una liscia circonda eccelsa rupe.
Dodici , sei d’un sesso e sei dell’altro.
Gli nacquer figli in casa ; ed ei congiunse
Per nodo maritai suore e fratelli ,
Che avean degli anni il più bel fior .sul volto.
Costoro ciascun d'i siedon tra il padre io
Caro , e l’augusta madre , ad una mensa
J)ì varie carca diiiratr dapi.
Tutto il palagio , finché il giorno splende ,
^pira fragranze, e d’armonie risuona.
Poi , caduta su l’isola la notte ,
Chiudono al sonno le bramose ciglia
In traforati e attappezzati letti
Con le donne pudiche i fidi sposi.
Questo il paese fu , questo il superbo
Tetto , in CUI me per un intero mese ao
Co’ modi più gentili Eolo trattava.
Di molte cose mi chiedea : di Troja,
Del navile de’ Greci , e del ritorno j
E il tutto io gli narrai di punto in punto.
Ma come, giunta del partir mio l’ora, .
Parole io mossi ad impetrar licenza ,
Ei , non che dissentir , del mio viaggio
Pensicr sì tolse e cura , e della pelle
DI bue novenne presentommi uu otre ,
Che imprigionava i tempesto.si venti : 3o
Poiché de’ venti dispensier supremo
Fu da Giove nomato; ed a sua voglia
Stringer lor puote, o rallentare il freno.
D’otre nel fondo del naviglio avvinse
Con funicella lucida d’argento ,
Che non ne uscisse la più picrioi’aura ;
£ sol tenne di fuori un opportuno
Zefiro , cut le navi e i naviganti
Diede a spìnger su l’onda. Eccelso dono,
Che la nostra follia volse in disastro ! /«o
Nove dì senza posa , e tante notti
Veleggiavamo; e gi.i veniaci incontro
Nel decimo la patria , e ornai vicini
Quei vedevamciv; racccndeano i fochi;
Quando me stanco, perch’io regger volli
Della nave il timon , nè in mano altrui ,
Onde il corso affrettar , lasciarlo mai ,
Sorprese il sonno. I miei compagni intanto
Favellavan tra loro , e fean pensiero ,
Che argento , ed oro alle mie ca.se , doni 5o
Del generoso Ippotade, io recassi.
Numi ! come di sè, dicea taluno
Rivolto al suo virin , tutti innamora
Cistiti, dovunque navigando arriva t
Molti da Troja dispogliata arredi
Riporta belli e preziosi ; e noi ,
Che le vie stesse misurammo , a casa
'Porniam con le man vote. In oltre questi
r.Tpputade gli diè pegni d'amore.
Orsù.veggiam quanto m suo grembo asconda Go
D'oro e d’argento la bovina pelle.
Cosi prevalse il mal consiglio. L’otre
Fu preso e sciolto ; e immantinente tutti
Con furia ne scoppiar gli agili venti.
La subitanea orribile procella
I.i rapia dalla patria , e li portava
.'sospirosi nell’alto. Io , cui l’infansto
.*>onno si ruppe , rivolgea nell’alma.
Se di poppa (lovessi in mar lanciarmi ,
O soffrir muto , e rimaner tra i vivi. 70
Soffrii , rimasi : ma , coverto il rapo ,
('iù nel fondo io giacea , mentre le nari ,
I Che i compagni di lutto empieano indarno,
Ricacciava in Eolia il fiero turbo.
Scendemmo a terra , acqua attignemmo, <* a
Presso le navi ci adagiammo. Estinta (incuba
Del cibarsi e de] ber i’innata voglia ,
lo con un de* compagni e con l’araldo
'Vl’ìnviai d’Eoto alla magion superba ^
K tra la dolce sposa e i figli cari 80
Banchettante il trovai. Sul limitar*
Sedevam della porta. Alto stupore
Mostrare i figli , e con parole alate ,
Ulisse , mi dicean , come ventsMi ?
Qual Cassali demone avverso ? Certo
Cosa non fu da noi lasciata indietro,
Perchè alia patria e al tuo palagio , e ovunque
Ti talentasse più , salvo giungessi.
ICd io con petto d’amarezza colmo:
T'risti compagni, e un sonno infausto a tale qo
Condotto m’iianno. Or voi sanate, amici p
Che il potete , tal piaga. In questa guisa
Le anime loro io raddolcir tentai.
Quelli ammutirò. Ma il crucciato padre >
Via , rispose , da questa isola , e tosto ,
O degli uomini tutti il più malvagio :
Cbè a me nè ancor , nè rimandar con doni
Lìce un mortai che degli F.terni « in ira.
Via , poiché l’odio lor qua ti condusse.
Cosi Eolo sbandia me dal suo tetto , 100
Che de’ gemiti mici tutto sonava.
Mesti di nuovo prendevam dell'alto j
Ma si stancavan di lottar con l’onda ,
Remigando , i compagni , e del ritorna
Moria la speme ne’ dogliosi petti.
.Sei di navigavamo, e notli sei ;
E rol settimo Sol della sublime %
Città di Lamo dalle larghe porte,.
Digitized by Google
52 ODI:
Di Lestrigonia, pervenimmo a visfa.
Quivi pastor, che a sera entra col gregge, i io
Chiama un altro , che fuor con l*armeuto esce.
Quivi uomo insonne avria doppia mercede ,
X.*una pascendo i buoi , l'altra le agoelie
Dalla candida lana : si vicini
isono il diurno ed il notturno pasco.
Bello ed ampio n’è il porto j eccelsi scogli
Cerchiando d’ogni parte , e tra due punte ,
Che sporgon fuori e ad incontrar si vanno ,
is'apre uidangusta bocca. 1 miei compagni ,
Che nel concavo porto a entrar fur pronti, 120
Propinque vi tcnean le ondivaganti
Knvi , e avvinte tra lor ; quando nè grande
Vi s’alza mai , nè picciola onda , e sempre
Una calma vi appar tacita e bianca.
10 sol rimasi col naviglio fuori ,
Che al sasso estremo con ìnt/srta fune
Baccomandai: poi , su la rupe asceso.
Quanto si discopria , mirava intorno.
Davor di bue non si srorg«*a , nè d’uomo :
Sul di terra salir vcdeasi un fumo. i5o
Scelgo aliar due compagni , e con l’araldo
IVlandoli a investigar , quali l’ignota
Terra produce abitatori e nutre.
via diritta seguitar, per dove
3 carri ronduceaiio alla cittade
Dagli alti monti la troncata selva;
D s’abbattero a una reai fanciulla ,
Del Lestrigone Antifate alla figlia ,
Che de) fonte d'Actacia , onde costuma
11 cittadino attignere , in quel punto 140
Alle pure scendca linfe d’argento.
De si féro da presso , e chi del loco
He fosse, e su qual gente avesse impero ,
Da dumendaro ; ed ella pronta l’alto
Doro additò con man tetto del padre.
Tocco ne avcano il limitare appena ,
Che femmina trovar di si gran mole,
Cile rassembrava una montagna ; e no gelo
ISi sentirò d’orror correr pel sangue.
Costei di botto Antifate chiamava i5o
Dalia pubblica piazza , il rinomato
jMarito suo, che disegnò lor tosto
Worte barbara e orrenda. Uno ail’erronne ,
Che gli fu cena ; gli altri due con fuga
Precipitosa giunsero alle navi.
Di grida la cittade intanto emplea
‘Antifate. 1 Lestrigoni Tudlro,
B accorreaii chi da un lato e chi daU’altro ,
Furti di braccio , in numero infiniti ,
£ giganti alla vista. Immense pietre l6i>
Cosi (lai monti a fulminar si diero,
Che d’uomini spiranti , e ìniranti legni
Morse nel porlo un suoii tetro e confuso.
£d alcuni infilzali eran con l'aste,
Quali pesci guizzanti , e alle ferali
iMense future riserbatt. Mentre
Tal segala strage , io, sguainato il brando ,
£ la fune recisa , a’ miei compagni
Dar di forza nel mar co’ remi ingiunsi ,
.Se il fuggir morie premca loro ; e quelli 170
Di tal modo arrancavano , che i gravi
, Cile piovean d’alto, il mio naviglio
Lietamente schivò ; ma gli altri tutti
Colà restaro sf racella ti e spersi.
S E A
Contenti dello scampo , e in un dogliosi
Per lì troppi compagni in sì crudele
Guisa penti , navigammo avanti ,
E su l’isola Eéa sorgemmo , dove
Circe, Diva terribile, dal crespo
Crine e dal dolce canto , avi-a soggiorno. J 80
Suora germana del prudente lieta,
Dal Sole aggiornator nacque , e da Persa
Dell’antico Oceàn figliuola illustre.
Taciti a terra ci accostammo , entrammo.
Non senza un Dio che ci guidasse , il cavo
Porto , e sul lido uscimmo ; e qui due giurai
Giacevamo , e due notti , il cor del pan
La stanchezza rodendoci e la doglia.
Come recato ebbe il dì terzo l’Alba ,
Io , presa l’asta ed il pungente brando , 1 90
Rapidamente andai sovra un’altezza ,
Se d’uomo io vedessi opra , o voce udissi.
Fermato il piè su la scoscesa cima ,
Scòrsi un fumo salir d’infra una selva
Di querce annose , che in un vasto piano
Di Circe alia magìon sorgeano intorno.
Entrar disposi senza indugio in via,
E il paese cercar : poi , ripensando ,
Al legno in vece rivoltare i passi ,
Cibo dare ai compagni , e alcuni prima :zoo
A esplorare inviar, mi parve il meglio.
Già tra la nave e me poco restava:
Quando ad un de* Celesti, in cui pietade
Per quella solitudine io desiai ,
Grosso ed armato di ramose corna
Drizzare alla mia volta un cervo piacque ,
Spinto dal Sole , che il cuocea co’ raggi ,
De’ paschi uscia della foresta , e a) liume
Soendea con labbra sitibonde; ed io
Su la spina lo colsi a mezzo il tergo aio
Sì , che tutto il passò l'asta di rame.
Nella polve cade , mandando un grido ,
E via ne volò l’alma. Accorsi , e , il piede
Pontando in esso, dalla lomla piaga
Trassi il cerro sanguigno, ed il sanguigno
Cerro deposi a terra : indi virgulti
Divelsi e giunchi , attorcigliaili , fune
Sei spanne lunga ne composi , e i morti
l’iedi ne strinsi dell’enorme fera.
Al fin sul collo io la mi tolsi , c mossi , 220
Su la lancia poggiandomi , al naviglio :
Che mal potuto avrei sovra una sola
Spalla portar così sformata belva.
Presso la nave scaricaila ; e ratto
Con soavi parole i miei compagni,
A questo rivolgendomi ed a quello ,
Cosi tentai rianimare: Amici,
Prima del nostro di d’Aidealle porte
Non calerem , benché ci opprima il duolo.
Su , hnehè cibo avemo , avem licore , a5o
Non mettiamii in obbllo ; nò airimpurtuna
Fame lasciainci consumar di dentro.
Quelli , ubbidendo alle mie voci, uscirò
Delie latebre loro, e, in riva al mare,
Che frumento non genera, venuti ,
.Stupian del cervo : sì gran corpo egli era 1
E come sazj del mirarlo furo ,
Ne apparecchiaro non vulgar convito ,
Sparse prima di chiara onda le palme.
Così tutto quel di sino aH’Ok caso 241*
55
I. I B K O DECIMO.
D*> rame opima e ili fumoso yìho
L'alma ricoiilurlanimo : il Sol CHduto,
E comparse le tenebre , nei sonno
Ci seppellimmo al mormorio dell'onde.
Ma , sorta del roattm la rosea hglia ^
Tutti io raccolsi a parlamento , e dissi :
Compagni , ad onta di guai tanti, udite.
Qui , d’onde TAustro spira , o l’Aquilone ,
E in qual parte il Sole alza , in qual decliina,
Uoto non è. Pur consultare or vuoisi , a5o
Qual consiglio da noi prender si debba ,
Se v’ha un consiglio : di che forte io temo.
Io d’in su alpestre poggio' i.sula vidi
Cinta da molto mar, che bassa giace ,
E nel cui mezzo mi nereggiante lumu
D'ìnfra un bosco di querce al eie! si volve.
Rompere a questo sì sentirò il core ,
D’Antilate menibrando , e del Ciclope
La ferocia , i misiatti , e le nefande
Della carne dell’uom mense imbandite.
Strida metteano, e discioglieansi in pianto.
Ma del pianto che prò ? che delle strida ?
Tutti in due schiere uguali io li divisi,
E diedi ad ambo un duce: all’una il saggio
Euriioeo , e me all’altra. Indi nel cavo
Rame (lellVImo agiiavam le sorti ,
Ed Euriloco uscì , che in via si pose
Senza dimora. Veiitidue compagni
Lagrimando , il seguìan \ nè all'atto asciutte
Di noi , che rimanemmo , eran le guance. 270
Edificata con lucenti pietre
Di Circe ad essi la magion s’offerse ,
Che vagheggiava una feconda valle.
Montani lupi , e leon falbi , ch’ella
Mansuefatti avea con sue bevande.
Stavano a guardia del palagio eccelso,
!Nè lor già s’avventavano; ina in vece
l/usingandu sco'can le lunghe code ,
E su banche s’ergeann. E quale i cani
Blandiscono il signor, che dalla mensa 280
Si leva, e ghiotti bocconcelii ha in mano;
Tal quelle di forte unghia orride belve
(y!i ospiti nuovi , che smarriti al primo
Vederle s’arrctraro, Ivan blandendo.
•Giunti alle porte, la DeesAa udirò
Dai ben torti capei , Circe , che dentro
Canterellava con leggiadra voce ,
Ed un’ampia tessea , lucida, lina,
Maravigliosa , immortai tela , e quale
Della man delle Dive uscir può solo. 290
Polite allor, d’uomini capo , e molto
Più caro e in pregio a me , che gli altri tutti ,
Sciogliea tai detti : Amici in queste mura
Soggiorna , io non so ben , se donna o Diva,
Che j tele oprando , del suo dolce canto
Tutta fa risentir la casa intorno.
'''^oce mandiamo a lei. Disse , e a lei voce
Mandato ; e Circe di là tosto , ov’era ,
Levossi , e aprì le luminose porte ,
E ad entrare invitavali. In un groppo 3oo
La seguian tutti incautamente, salvo
Euriloco, che fuor, di qualche inganno
Sospettando , resto. La Dea li pose
Sovra splendidi seggi ; e lor nif'.s<-ea
Il Pramnio vino con rappreso latte ,
Rianca farina e me! recente ; e un succo
Giungeavi esizìal , perchè con questo
Della Patria l’obblio ciascun bevesse.
Preso e votato da^ meschini il nappo ,
Circe batteali d’una verga , e in vile 5io
Stalla chiudeali : avean di ;>orco testa ,
Corpo , setole , voce ; ma lo spirto
Serbavan dentro , qua! da pnina , intégro.
Così rinchiusi , sospirando , furo :
Ed ella innanzi a lor del cornio i frutti
Gettava, e della rovere e dellelce,
De’ verri accovacciati usato cibo.
Nunzio verace dell’infausto caso
Venne rapido Euriloco alla nave. .
Ma non potea per iterati sforzi 3ao
Jja lìngua disnodar : gonfì portava
Di pianto i lumi , e un violento duolo
L'alma gli percotea. Noi, figurando
Sventure nel pensier, con maraviglia
1/ interrogammo.: ed ei l’eccidio al fine
De’ compagni nariò: Nubile Ulisse,
Attraversato delle querce il bosco ,
Come tu comandavi , eccoci a fronte
Magion construtta di politi marmi.
Che di mezzo a una valle alto s’ergea. 35o
Tessea di dentro una gran tela , e canto ,
Donna o Dive chi ’l sa ? stridulo alzava.
Voce mandato a lei. Levossi , e aperse
Le porte , e ne invitò. Tutti ad un corjio
Nella magion di.'avvedutamcnte
Scguianlii : io no , che sospettai di frode.
Svanirò insieme tutti ; « per i.starmi
I. uugo ch’io feci , ad esplorare assiso ,
Traccia d’alcun di lor più non m’appnrve.
Disse ; ed io grande alle mie spalle, e acuta
S|)ada d’argento bullettata appe:»i , ( 340
Appesi un valid’arco , e ingiunsi a lui ,
(.'he innanzi per la via stessa mi gisse.
Ma Euriloco , i ginocchi ad ambe mani
Stringendomi, e piangendo, Ahi mal imo grado,
(!on supplici gridò parole alate ,
Là non guidarmi , o del gran Criove ahinim ,
Donde , non che altri ricoiidur, tu stesso
Ritornar non potrai. Fuggiam: fuggiamo
Senza indugio con questi , e la vicina 35o
l’arca schiviam, finché schivarla è dato.
Euriloco , io risposi , e tu rimanti ,
Di carne e vino a riempirti il ventre ,
Lungo la nave. Io , cui severa stringe
Necessitate, andrò. Ciò detto , a tergo
J. ,a nave negra io mi lasciava , e il mare .
Già per le sacre solitarie valli
Delia Maga possente alTalta casa
Presso io mi fea , quando Mercurio, il Nome
Cile arma deU’aureo cadùcèo la destra, 5óo
ili forma di garzone, e cui fiorisce
Di lanuggine molle il mento appena ,
Mi venne incontro, e per la man mi prese ,
E, misero! diss’eicon voce amica.
Perchè ignaro de' lochi , c tutto solo,
Muovi così per queste balze a caso?
Sono in poter di Circe i tuoi compagni ,
K li cliiudon , quai verri , anguste stalle.
Venìstu forse a riscattarli? Uscito
Dell’immagine tua penso , che a terra
Tu anror cadrai. Se non che trarti io voglio
Fuor d’oggi storpio, e in salvo poj ii. l’r« «idi
■ tgnized by Google
S S E A
54 ODI
Questo mirabil farmaco, die II tristo
Giorno dal capo tuo storni , e con esso
Trova il tetto di Circe . i cui perversi
Consigli tutti io t’aprirò* Bevanda
Mista , e di succo esiziale Inlusa ,
Colei t’appresterà : ma le sue tazze
Centra il tarmaco mio nulla varranno.
Più oltre intendi. Come te la Diva 38a
Percosso avrà d'una sua lunga verga,
Tu cava il brando, che ti pende al Hanco,
£ , di ferirla in atto, a lei t’avventa.
Circe, compresa da timor, sue nozze
T’oifrirà pronta : non voler tu il ietto
Della Dea ricusare, acciò ti sciolga
Gli amici , e amica ti si reuda. Solo
Di giurarti costringila col grande
D ^gi'iuimortali Dei giuro, che nulla
Più non sarà per macchinarti a danno: 390
Onde, poiché t’avrà Tarmi spogliate,
Del cor la forza non ti spogli ancora.
Finito il ragionar, l’erba salubre
Porsemi già dal suol per lui divelta ,
£ la natura divisonne : bruna
N’è la radice ; il fior bianco di latte ;
Moli i Numi la chiamano : resiste
Alla mano mortai , che vuol dal suolo
Staccarla ; ai Dei , che tutto ponno , cede.
Detto , dalla boscosa isola il Nume 400
Alle pendici dell’Olimpo ascese ;
£d io vèr Circe andai; ma di pensieri
In gran tempesta m'ondeggiava il core.
Giunto alla Diva dalle belle trecce ,
La voce alzai dalTatrio. Udimmi , e ratta
Levossì , e apri le luminose porte,
£ m’invitava; io la segtiia non lieto.
Sovra un distinto d’argentini chiovi
Seggio a grand’arre fatto , e vago assai ,
Mi pose: lo sgabello i piè reggea.
Quindi con alma , che pensava inali ,
La mista preparommi in aureo nappo
Bevanda incantatrice , ed io la presi
Dalla sua mano , e bebbi ; e non mi nocque.
Però in quel che la Dea me della lunga
Verga percosse , e , Vanne , disse , e a terra
Co’ tuoi compagni nella stalla giaci ,
Tirai da) fianco il brando , e contra lei,
Di trafiggerla in atto, 10 mi scagliai.
Circe , mandando una gran voce . corse 410
Hapida sotto Ì1 colpo , e le ginocchia
Con le braccia ati'errommi , e queste alate
Parole mi drizzò , non senza pianto :
Chi sei tu ? donde sei ? la patria dove ?
Dove i parenti a te ? Stupor m’ingombra ,
Che l’incanto bevuto in le non possa .
Quando io non ridi , cui passasse indarno
Per la chiostra de’ denti il mio veleno.
Certo un'anima invitta in petto chiudi.
Saresti! forse quel sagace Ulisse , 45 )
Che Mercurio a me sempre iva dicendo
Dover d’ilto venir su negra nave ?
Per fermo sei. Nella vagina il brando
Kiponi , e sali il letto mio : dui cure
D’entrambi ogni sospetto amor bandisca.
Circe , risposi , che da me richiedi ?
Io cortese ver te , che in sozze belve
Mi trasformasti gli uomini ? Rivolj^i
Tacite frodi entro te stessa ; ed io
La tua penetrerò stanza segreta , 440
Onde , poiché m’avrai i’armi S{>ugliate ,
Dei cor la forza tu mi spogli ancora ?
No , se non giuri prima , e con quel grande
Degl’immortali Dei giuro , che nulla
l’iù non sarai per macchinarmi a danno.
Oissi ; e la Dea giurò. Di Circe allora
Le belle io salsi maritali piume.
Quattro serviano a lei n^l suo palagio
Di quelle Ninfe che dai buschi nate
60110 , o dai fonti liquidi , o dai sacri , 460
(./he devolvonsi al mar, rapidi fiumi,
l.’una gittava su i politi seggi
Bei tappeti di porpora, cui sotto
Bei tappeti mettea di bianco lino :
J/altra mense d'argento iiinauzi ai seggi
6piegava , e d’oro v’impouea canestri :
Mescea la terza neli'argentee brocche
Soavissimi vini , e d’auree tazze
Copria le mense : ma la quarta il fresco
Fonte recava , e raccendea gran fuoco ^Oo
Sotto il vasto treppiò , che l’onda cape.
(ria fervea questa nel cavato bronzo ,
K me la Ninfa guidò ai bagno , e l’onda
Pel capo mollemente e per le spalle
Spargermi non cessò , ch’io mi sentii
Di vigor nuovo rifiorir le membra.
i-«avato ed unto di licor d’oliva ,
K di tunica , e clamide coverto ,
Sovra un distinto d’argentini chiovi
Seggio a grand'arte fatto , e vago assai , 470
Mi pose : Jo sgabello i piè reggea.
£ un’altra Ninfa da bel vaso u’uro
Punssim’acqua nel bacii d’argento
Mi versava , e stendeaini un liscio desco ,
Che di candido pane , c di serbate
D-ipi a fornir la dispcnsirra veuiie.
Cibati , mi dicea la veneranda
Dispeiisiera, ed instava ; ed io , d’ogul esca
Schivo , in altri pensieri , e tutti foschi ,
Tenea la mente , pur sedendo , inhssa. 480
Circe , ratto che avvidesi ch’io mesto
Non mi curava delia mensa punto ,
Con queste m’appressò voci sul ’abbro :
Perché così , qual chi non ha favella ,
Siedi , Ulisse , struggendoti , e vivanda
Non tocchi , nè bevanda ? In te sospetto
S'annida forse di novello inganno ?
Dopo il mìo giuramento a torto temi.
Éd io : Circe , qual mai retto uomo e saggio
Vivanda toccheria prima, o bevanda, 491
Che i suoi vedesse riscattati e salvi ?
Fa che lib'^ri 10 scorga i miei compagni ,
Se vuoi che deila mensa io mi sovvegna.
Circe uscì tosto con in man la verga ,
E della stalla gTinfelici trasse ,
Che di porci novenni avean l’aspetto.
Tutti le stavan di rincontro ; e Circe,
D'uno all’altro passando , un prezioso
Sovra lor distendea benigno unguento.
Gli odiati peli , che la tazza infesta 5oo
Produsse, a terra dalle membra loro
Cadevano ; e ciascun più , che non era ,
(brande apparve di corpo , e as.^ai più fresco
D ctade in faccia , e di bclu più adorno.
Digitizea oy Citiuglt:
55
LIBRO DECIMO.
Mi ravvisò ciascuno , ed aflerrommi
I>a destra ; e un così tenero e sì ione
Compianto si levò , che la magione
Ne risonava orrendamente, e punta
Sentiasi di pietà la stessa Maga.
Ella, standomi al fianco , O sovrumano 5 io
Di Laerte figliuol , provvido Ulisse ,
Corri , diceami alla tua nave, e in secco
La tira , e cela nelle cave grotte
Le ricchezze e gli arnesi : indi a me torna ,
£ i diletti compagni adduci teco.
M’entrò il suo dir nell’alma. Al lido iocorsi,
£ i compagni trovai , che appo la nave
Di lagrime nutriansi e di sospiri.
Come , se riedon le satolle vacche
Dai verdi prati al rusticale albergo , Ò2o
I vitelli saltellano , e alle madri ,
Chè più serraglio non ritieni! o chiostra ,
Con frequente muggir corrono intorno :
Così con pianto a me , vistomi appena ,
Intorno s’aggiravano i compagni ,
£ quei mostravan sulla faccia segni ,
Che vi si scorgerian , se il dolce nido ,
Dove nacquero e crebbero , se l’aspra
Itaca avesser tocca. O , lagrimando
Dicean , di Giove alunno , una tal gioja 53o
Sarebbe a stento in noi , se ci accogliesse
D’itaca il porto. Ma , su via , l’acerbo
Fato degli altri raccontar ti piaccia.
Ed io con dolce favellar : La nave
Si tiri in secco , e nelle cave grotte
Le ricchezze si celino e gli arnesi.
Poi seguitemi in fretta ; ed i compagni
Nel tetto sacro dell’illustre Circe
Vedrete assisi ad una mensa, in cui
Di là d’ogni desìo la copia regna. 5^o
Pronti obbedito. Ripugnava Euriloro
Solo , ed or questo m’arrestava , or quello ,
Gridando, Sventurati , ove ne andiamo ?
G'tal mai vi punge del disastro sete ,
Che discendiate alla Maliarda , e vòlt!
Siete in leoni , in lupi , o in sozzi verri ,
II suo palagio a custodir dannati ?
L’ospizio avrete del Ciclope , quando
Calato i nostri nella grotta , e questo
Prode Ulisse guidavali , di cui 55o
Morte ai miseri lu lo stolto ardire.
Così Euriloi o ; ed io la lunga spada
Cavar pensai della vagina , e il capo
Dal busto ai piè sbalzargli in su la polve ,
Benché vincol di sangue a me Punisse.
Ma tutti quinci riteneanuii , e quindi
Con favella gentil ; Di Giove alunno ,
Costui sul lido ; se ti piace , in guardia
Della nave nmangasi , e alla sacra
Magion noi guida. Detto ciò , dal mare 5Go
Meco veniali, uè restò quegli indietro :
Tanto della minaccia ebbe spavento.
Cura prendeasi Circe in questo mezzo
Degli altri che lavati , unti , e di buone
’J'iiniche cinti e di bei manti fòro.
Seduti a mensa li trovammo. Come
Si sguardarcrl’un l’altro , e sul passato
Con la mente tornare , in pianti e in grida
Davano; e ne gemean pareti e volte.
M 'appressò allora , e mi parlò in tal guisa 5yo
L’inclita tra le Dive : O di I.aerte
Gran prole , o ricco di consigli Ulisse ,
Modo al dirotto lagrimar si ponga.
Noto è a me pur, quanti nel mar pescoso
Duraste ailànni , e so le crude uOese ,
Che vi recare in terra uomini ostili.
Su via , gioite ornai , finché nel petto
Vi rinasca l’ardir , ch’era in voi , quando
Itaca alpestre abbandonaste in prima.
Bassi or gli spirti avete, e freddo il sangue, 58o
Per la memoria de' viaggi amari
Nelle menti ancor viva , e l’allegrezza
Disimparaste tra cotanti guai.
Agevolmente ci arrendemmo. Quindi
Pel continuo rotar d’un anno intero
Giorno non ispuntò , che a lauta mensa
Me* non vedesse e i miei compagni in festa.
Ma , rivolto già l’anno , e le stagioni
Tornate in sé col variar de’ mesi ,
Ed il cerchio dei dì multi compiuto, 5qo
I compagni , traendomì in disparte ,
Infelice ! mi dissero , del caro
Cielo nativo e delle avite mura
Non ti rammenterai , se vuole il fato
Che in vita tu rimanga , e la rivegga ?
Sano avviso mi parve. Il Sol caduto ,
E coverta di tenebre la terra ,
Quei si corcaru per le stanze; ed io,
Salito il letto a maraviglia belio
Di Circe , siippliclievoli drizzai Coo
Alla Dea , che m’udì , queste parole;
Attirmmi , o Circe, le impromesse , e al caro
Rendimi natio ciel , cui sempre vola ,
Non pure il mio , ma de’ compagni il core,
De’ compagni , che stanno a me d'intorno ,
Sempre che tu da me t’apparti , e tutta
Con le lagrime lor mi struggon l’alma.
O di Laerte sovrumana prole,
La Dea rispose, ritenervi a forza
Io più oltre non vu’. Ma un’altra via fi io
Correre in prima è d’uopo ; è d’uopo i foschi
Di Fiuto e di Pruserpina soggiorni
Vedere in prima , e interrogar lo spirto
Del Teban vate , che , degli occhi cieco ,
Puro conserva delia mente il lume ;
Di Tiresia , cui sol diè Proserpina
Tutto portar tra i morti il senno antico.
Gli altri non son che vani spettri ed ombre.
Rompere il core io mi sentii. Piaguea,
Su le piume giacendomi, nè i raggi 6zo
Volea del Sol più rimirare. Al fine ,
Poiché del pianger mio , del mio voltarmi
Su le piume io fui sazio, Or qual , ripresi ,
Di tal viaggio sarà il duce. All’Orco
Nessun giunse finur su negra nave.
Per difetto dì guida , ella rispose ,
Non t’aniiujar. L’albero alzato , e aperte
Le tue candide vele , in su la poppa
T’assidi , e spingerà Borea la nave.
Come varcato TÓceàno avrai , C5o
Ti appariranno i bassi lidi, e il folto
Di pioppi eccelsi e d’infecondi salci
Bosco di Proserpina : e a quella piaggia
Che i’Oceàit gorghiprofondo batte ,
Ferma il navìglio , e i regni entra di Pluto.
Rupe ivi s’alza , presso cui due fiumi
ODISSEA
56
S’urtan tra lor romoreggiaiido , e miìtì
Nell’Acheronte cadono : Cucito ,
Kamo di Stige, e Pirillegetonte.
Appréssati alla rupe , ed una fossa , 64>>
Che un cubito si steuda in lungo e in largo ,
Scava y o prode , tu stesso ; e niel con vino ,
Indi vin puro e limpidissìm’onda
Vèrsavi , a onor de’ trapassati , intorno,
£ di bianche Tarine il tutto aspergi.
Poi degli estinti prega i frali e vóti
Capi y e prometti lor che nel tuo tetto ,
Entrato con la nave in porto appena y
Vacca infeconda , dell’armento nore ,
Lor sagrìficherai , di doni il rogo 65u
Riempiendo ; e che al sol Tiresia , e a parte ,
Immolerai nerissimo at'iete y
Che deila greggia tua pasca il più bello.
Compiute ai Mani le preghiere, uccidi
Pecora bruna , ed un nionton » che aU'Orco
Volgan la fronte: ma converso tieni
Del hume alla corrente in quella Ìl viso.
Molte ombre accorreranno. A’ tuoi compagni
Le già sgozzate vìttime e scojate
Mettere allor sovra la bamma, e ai Numi, 6Go
Al prepotente Pluto, e alla tremeuda -
Proserpina drizzar voti comanda.
E tu col brando sguainato siedi y
Nè consentir , che anzi , che parli al vate ,
I Mani al sangue accostinsi. Repente
II profeta verrà , Duce di genti .
Che sul viaggio tuo , sul tuo ritorno
Pel mar pescoso alle natie contrade
Ti darà , quanto basta , indizio e lume.
Così la Diva ; e d’in su l’aureo trono 670
L’Aurora comparì. Tunica e manto
Circe stessa vestimmi ; a sè ravvolse
Bella , candida y bua ed ampia gonna ;
Si strinse al banco un’aurea fascia, e un vago
Su i ben torti capei velo s’impose.
Ma io, passando d’una in altra stanza y
Confortava i compagni , e ad uno ad uno
Con molli detti gli abbordava : Tempo
Non è più da sdorare i dolci sonni.
Partiamo , e tosto. Il mi consiglia Circe. 680
Si levaro, e obbedirò. Ahi che nè quinci
Mi si concesse ricondurli tutti l
Un Elpenure v’era , il qual d’etate
Dopo gli altri venia, poco nell’armi
Forte , nè troppo della mente accorto.
Caldo del buon licore » onde irrigossi,
Si divise dagli altri , ed al palagio
Mi si corcò , per rinfrescarsi , in cima.
Udito il suoli della partenza, e il moto.
Riscossesi ad un tratto , e , per la lunga 690
Scala di dietro scendere obbl'iando ,
Mosse di punta sovra il tetto , e cadde
Precipite dall'alto: il collo ai nodi
Cli s’mfranse , e volò l’anima a Dite.
Ragunatisi i miei , Forse , io lor dissi ,
Alle patrie contrade andar credete.
Ma un altro pria la venerabil Diva
Ci destinò cammìn , che ai foschi regni
Di Piuto e di Proserpina conduce ,
Per quivi interrogar del rinomato 700
Teban Tiresia i'indovino spirto.
Buoi mortale gli assalse a questi detti.
Piangeauo, e fermi rimaneau lì lì y
£ la chioma stracciavansi : ma indarno
Lo strazio della chioma era , ed il pianto.
Mentre al mar tristi tendevamo , e spesse
Lagrime spargevam , Circe y che in via
Pur s’era posta, alla veloce nave
Legò la bruna pecora e il montóne.
Ci oltrepassò , che non ce ne avvedemmo, 710
Con piè leggiero. Chi potria de’ Numi
Scorgere alcun che qua o là si mova ,
Quando dall’occhio umau vogliou celarsi ?
Digitized by Google
LIBRO U N D E C I M 0
argomento
TJlute , caDtiotU5do la «ua Bamaioae ^ giuoge ai Cimtnerj f e va neU'Ioferno Conpiute 1« debile ecrimonte,
gli ippariscooo le Ombre de* morti ^ e (|uella d'Elpeoure è la prima eoo cui favella. Poi Tiresia riofortna de*
venturi suoi casi y e griosegoa come su|)erarli. Ap|urùioo della madre y dalla quale intende lo stato della propria
famiglia. Vengoo poi le antiche eroine ^ e ap|krcssugli eroi , tra i quali Agameooone ^ Achille ed Aiace. Finaimeola
vede Minosse, Tiaio , Xaiitalu , Siulu ed Ercole: 0ocliè , preso da tuuore, rituroa in lìelU alla nave.
Ctiunti b1 divino mare , il negro legno
Prima varammo , albero ergemmo e vele,
£ prendemmo le vittime , e nel cavo
Legno le introducemmo : indi coi molto
Terrore e pianto , v’entravam noi stessi.
I..a dal crin crespo , e dal canoro labbro
Dea veneranda un gontiator di vela
Vento in poppa mandò , che fedelmente
Ci accompagnava per Pondosa via :
Tal che oziosi nella ratta nave io
Dalla cerulea prua gìacean gli arnesi ,
JE noi tranquilli setlevam , la cura
Al timonier lasciandone , ed al vento.
Quanto il dì risplendè , con vele spase
Navigavamo. Spento il giorno , e d'ombra
Bicoperte le vie , dcll'Oceàno
Toccò la nave ì gelidi conhni ,
Là 've la gente de’ Cimmerj alberga ,
Cui nebbia e bujo sempiterno invoive.
Monti pel cielo stelleggiato , o scenda , lo
Lo sfavillante d’or Sole non guarda
Quegl'infelici popoli , rhe trista
Circonda ognor periiiz'iosa notte.
Addotto in su l’arena iì buon naviglio,
£ il montone e la pecora sbarcati ,
Alia corrente dell'Oceano ìn riva
Camminavam, fìnchò venimmo ai lochi
Che la Dea c'insegnò. Quivi per mano
Kuriloco teneano e Perìmede
Le due vi! time ^ ed io , fuor tratto il brando, 5o
Scavai la fossa cubitale , e mele
Con vino , indi vin puro e lucid’onda
Versàivi , a onor de’ trapassati , intorno,
K di bianche farine il tutto aspersi.
Fui degli estinti le debili teste
Pregai , promisi lor che nel mìo tetto ,
Entrato con la nave in porto appena ,
Vacca infeconda, dell'armento bore ,
Lor sagrìHcherei, di doni il rogo
Kiempieado; e che al sol Tiresia, e a parte, 40
Immolerei nerissimo ariete ,
Che della greggia mia pasca il più bello.
Fatte ai Mani le preci , ambo all'errai
I/O vittime , e sgozzàìle in su la fossa ,
Che tutto riceveane il sangue oscuro.
Ed ecco sorger della gente morta
Dal più cupo dell'Èrebo , e assembrarsi
Le pallid'Ombre : giovanetto spose,
Garzoni ignari delle nozze, vecchj
Da nemica fortuna assai vessati , 5o
£ verginelle tenere , che impressi
Portano i cuori di recente lutto ;
£ molti dalle acute aste guerrieri
Nel campo un dì feriti , a cui rosseggia
Sul petto ancor l’insanguinato usbergo.
ODISSEA.
Accorrean quinci e quindi , e tanti a tondo
Aggiravan la fossa , e con tai grida ,
Ch’io ne gelai per subitana tema.
Pure a Kuriloco ingiunsi , e a Perìmede
Le già scannate vittime e scojate 60
Por su la bamma y e multi ai Dei far voti ,
Al prepotente Fiuto, e alla tremenda
Pruserpina : ma io col brando ignudo
Sedea , nè consenlla che al vivo sangue ,
Pria ch’io Tiresia interrogato avessi ,
S’accustasser deil'Ombre i vóti capi.
Primo ad ofirirsi a me fu il simulacro
D’filpennre, di cut non rìnchiudea
La terra il corpo nei suo grembo ancora.
Lasciato in casa l’avevam di Circe 70
Non sepolto cadavere e non pianto :
Chè incalzavaci allor diversa cura.
Piansi a vederlo , e ne sentii pietade ,
E , con alate voci a lui converso ,
Elpenore , dìss’io , come scendesti
Nell’oscura caligine? Venisti
Più ratto a piè , ch’io su la negra nave.
Ed ei , piangendo : O di Laerte egregit^
Prole, sagace Ulisse , un nequitoso
Demone avverso , e il molto vin m’olFese. 80
Stretto dal sonno alla magione in cima ,
Men disciolsi ad un tratto { e , per la lunga
Di calar non membrando interna scala ,
Mossi di punta sovra il tetto , e d'alto
Precipitai : della cervice i nodi
Ruppersi , ed io volai qua con lo spirto.
Ora IO per quelli , da cui lunge vivi ,
Por la consorte tua , pel vecchio padre ,
Che a tanta cura t'allevò bambino ,
Pel giovane Telemaco , che dolce 9-'
Nella casa lasciasti unico germe ,
Ti prego , quanto io so , cne alla Circóa
Isola il legno arriverai di nuovo ,
Ti prego che di me , signor mio , Togli
Là ricordarti , ond’io non resti , come
Della partenza spiegherai le vele ,
Senza lagrime audietro e senza tomba ,
E tu veiighi per (questo ai Numi in ira.
Ma con quell’armi , ch'io vestia , sul fuco
Mi poni , e in riva dei canuto mare 100
A un misero guerrìer tumulo innalza ,
Di cui favelli la ventura etade.
Queste cose m’adempìi ; ed Ì1 buon remo ,
Ch'io tra i compagni miei , mentre vivea.
Solca trattar , sul mio sepolcro infìggi.
Sventurato , io risposi , a pìen fornita
Sarà , non dubitarne , ogni tua voglia.
Così noi sedevam , meste parole
Parlando alternamente , io con la spada
Sul vivo sangue ognora , e a me di con tra 1 10
^ r lized by Coogle
t.s ODI.'
I<a rm ma lieve ilei compagno , a cui
Soggeria multi accenti il suo disastra.
Comparve in questo dell’antica madre
L'Ombra sottile , d’Antichlca , che nacque
Dal magnanimo Autolico « e a quel tempo
Era tra i vivi , ch’io per Troja sciolsi.
La vidi appena , che pietà mi strinse ,
E il lagrimar non tenni : ma nè a lei ,
Quantunque meiidolesse) io permettea
Al sangue atro appi esser, se il vate prima 120
Favellar non s’uclia. Levossi al line
Con laureo scettro nella man famosa
L'alma Tcbana di Tirosla , e ratto
Mi riconobbe , e dis.se : Uomo infelice ,
Perchè , del Soie abbandonati i raggi ,
Le dimore inamabili de' morti
Scendesti a visitar ? Da questa fossa
Ti scosta , e torci in altre parte il brando ,
Si ch’io beva del sangue , e il ver ti narri.
Il piè ritrassi , e invaginai l'acuto i5o
D’argentee borcliie tempestato brando.
Ma ei , poiché bevuto ebbe, in tal guisa
Movca le labbra: Rinomato Ulisse ,
Tu alla dolcezza del ritorno aneli ,
E un Nume invidioso il ti conieiide.
Come celarti da Nettun , che grave
Contra te concepì sdegno nel petto
Pel figlio , a cui spegnesti in fronte l’occhio?
Pur ) sebbene a gran pena , Itaca avrai ,
Sol che te stesso e i tuoi compagni ai}'reui,.i4^
Quando , tutti dei mar vinti i perigli,
Approderai col ben formato legno
Alla verde Trinacria isola , in cui
Pascoli del Sol , che tutto vede , ed ode ,
] nitidi montoni e i buoi lucenti.
Se pasciTanno illesi , e a voi non caglia,
Che della patria, il rivederla dato,
Benché a stento , vi fia. Ma , dove osiate
I.ana o corno toccargli, eccidio a’ tuoi ,
P. alla nave io predico , ed a te stesso. i5o
E ancor che morte tu schivassi, tardo
Fora , ed iiifaiusto , e senza un sol compagno,
K su nave straniera, il tuo ritorno.
Mali oitra ciò t’aspetteranno a casa :
Protervo stuol di giovani orgogliosi.
Che ti spolpa , ti mangia . e alla divina
Moglie con doni aspira. É ver che a lungo
Koti rimarrai senza vendetta. Uccisi
Dunque o per frode, o alla più chiara luce ,
Nel tuo palagio i temerarii amanti, 160
Prendi un ben fatto remo, e in via ti meUi :
Nè rattenere il piè che ad una nuova
<rente non sii , che nou conosce il ma*re ,
Nè cosperse di sa! vivande gusta ,
Nè delle navi dalle rosse guance,
de' politi remi , ale di nave ,
Notizia vanta. Un manifesto segno
D'esser nella contrada io ti prometto*
Quel di , che un'altro pellegrino , a cui
T’abbatterai per via , te quell’arnese , 1 70
Con che al vento su l’aja il gran si sparge,
Portar dirà su la gagliarda spalla ,
Tu repente nel suol conficca il remo.
Poi , vittime perfette a re Nettuno
Svenate , un loro , mrariele , c un verro ,
Piedi ; e de! cielo agli abiUiili tuUi
.S S E A
Con l'ordine dovuto oflri ecatombe
Nella tua reggia , ove a te fuor del mare,
E a poco a poco da muta vecchiezza
Mollemente consunto, una cortese 180
Sopravverà morte tranquilla , mentre
Felici intorno i popoli vivranno.
L'oracol mio , che non t’inganna , è questo.
Tiresia , io rispondea, cosi prescritto,
(Chi dubbiar ne potrebbe?) hanno i Celesti.
Ma ciò narrami ancora : io della madre
L'anima scorgo , che tacente siede
Appo la cava fossa , e d’uno sguardo ,
Nou che d'un motto , il suo iigliuol non degna.
Che far degg’io, perchè ini riconosca? 190
Ed egli : Troppo bene io nella mente
Lo ti porrò. Quai degli spirti al sangue
Non dileso da tc giunger potranno ,
Sciorran parole non bugiarde: gli altri
Da te si ritrarran taciti indietro.
Svelate a me tai cose , in seno a Dite
Del profetante Re l'alma s’immerse.
Ma io di là non mi togliea. La madre
S’accostò intanto, nè del negro sangue
i’rima bevè , che ravvisommi, e queste 200
Mi drizzò lagritnando alate voci :
Deh come, hgliuol mio, sceudestu vivo
Sotto l'atra caligine ? Chi vivé,
Difficilmente questi alberghi mira ,
Però che vasti fiumi e paurose
Correnti ci dividono , e il temuto
Oceàn , cui varcare ad uom non lice ,
Se noi trasporta una dedalea nave.
Forse da Troja , e dopo molli errori , ’
Con la nave e i compagni a questo bujo 210
Tu vieni ? Nè trovar sapesti ancora
luca tua? nè della tua consorte
Riveder nel palagio il Cc«ro volto?
O madre mia , necessità , risposi ,
L’alma iudoviua a interrogar m’addusse
Del Tebano Tiresia, Il suolo Acheo
Non vidi ancor, nè i liti nostri attinsi ;
Ma vo ramingo , e dalle cure oppresso,
Dappoi che a Troja ne’ puledri bella
Seguii, per disertarla, il primo Atride. 220
Su via , mi narra , e schiettamente , come
Te la di lunghi sonni apportatrice
Parca domò. Ti vinse un lungo morbo,
O te Diana, faretrata assalse
Con improvvisa non amata freccia ?
Vive l’antico padre, il figlio vive,
Che in Itaca io lasciai? Nelle man loro
Kesta , o passò ad altrui la mia ricchezza ,
K ch’io non rieda più , si fa ragione ?
K la consulte mia qual cor , qual mente 23o
.Serba ? Dimora col fanciullo , c tutto
G-elosamente custodisce , o alcuno
Tra i primi degli Achei forse impalmoUa?
Riprese allor la veneranda madre :
I.a moglie tua non lasciò mai la soglia
Del tuo palagio ; e lentamente a lei
Scorron nel pianto i di , scorron le notti.
.Stranier nei tuo retaggio, in sin ch'io vissi ,
Non entrò : il figlio su i paterni campi
Vigila in pace, e alle più illustri mense , 240
Cui l’invita ciascuno , e che non dee
Chi nacque al regno dispregiar, s’asside.
50
LIBRO UNDECIMO.
IVTa in villa i di passa Laerte , e mai
A cittade non vien : colà non letti ,
Non cidtri , o strati sontuosi , o manti.
Di vestimeiita ignobili coveno
Dorme tra i servi al l’ocolare il verno
Su la pallida cenere ; e se torna
L'arida estade, o il verdeggiante autunno,
Lettucci umili di raccolte i'ogiie a5o
Stesi a luì qua e là per la l'ecoiida
Sua vigna preme travagliato, e il duolo
Nutre piangendo la tua sorte: arrogi ,
l.a vecchiezza increscevole che il colse.
Non altrimenti de’ miei stanchi giorni
Giunse il termine a me , cui non Diana,
Sagittaria infallibile , di un sordo
(^)uadrelio assalse, o di que' morbi invase,
Che soglion trar delle consunte membra
l.'anìma fuor con odiosa tabe : 2C>>
]VTa il desio di vederli , ma l’ailànno
Della tua lontananza , ma i gentili
Modi e costumi tuoi , nobile Ulisse,
La vita un dì sì dolce hannomi tolta.
lo , pensando tra me , l’estinta madre
Volea stringermi al sen : tre volte corsi ,
<)uale il mio cor mi sospingea , vèr lei ,
È tre volte m’uscì fuor delle braccia ,
Come nebbia sottile , o lieve sogno.
Cura più acerba mi trafisse ; e ratto, 270
Ahi , madre , le diss’io , perchè mi sfuggi
D’abbracciarti bramoso , onde anco a Dite,
3^e man gittando l’un dell’altro al cullo ,
Di duol ci satolliamo ambi , e di pianto ?
Fantasma vano , acciò più sempre io m’anga ,
Forse l’alta Proserpina mandommi ?
O dogli uomini tutti il più infelice,
La veneranda genitrice aggiunse ,
No , l'egregia Proserpina , di Giove
La figlia , non t’inganna. È de’ mortali 280
Tale il destili , dacché non son |iiù in vita ,
Che i muscoli tra sè , Tossa ed i nervi
Non si congiungan più : tutto consuma
La gran possanza didTardente foco ,
Come prima le bianche ossa abbandona ,
F vagola per l'aere il nudo spirto.
Ma tu d’uscire alla superna luce
Da questo bujo affretta ; e ciò che udisti ,
Fi porterai nell’anima scolpito ,
Penelope da te risappia un giorno. 29"'
Mentre cosi favellavain , sospinte •
Dall’inclita Proserpina le figlie
Degli eroi com parlano , e le consorti ,
K traean della tossa al margo in folla.
Io, come interrogarle ad una ad una
Rivolgea meco, e ciò mi parve il meglio.
Stretta la spada , non patia che tutte
Beessero ad un tempo. Alla sua volta
Così accorrea cias<;una , e l’onorato
Licnaggio, ed i suoi casi a me narrava 5do
Prima s’appreseutò l’illustre Tiro,
Che del gran Salmonéo figlia , e consorte
Di Creteo, un de' figliuoi d’Eolo , sè disse.
Costei d’un fiume ncH’anaore accesa , .
DelTEiiipéo divin, che la più bella
Sovra i più ameni campi onda rivolve,
S|>esso a bagnarsi in quegli argenti entrava.
L azzurro !Numc che la terra cinge ,
Nettuno , in forma di'quel Dio , corcossi
Delle sue vorticose acque alla luce ; 5 10
K la porporeggìante onda d’uitorno
Gli stette , e in arco si piegò , qual monte ,
Lui celando , e la giovane , cui tosto
Sciols’ei la zona virginale, e un casto
Sopore infuse. Indi per man la prese,
E chiamolla per nome , e tai parole
Le feo : Di questo amor , donna , t’allegra.
Compiuto non avrà Tanno il suo giro ,
Che diverrai di bei fanciulli madre ,
Quando vane giammai degl’lmmorfali 620
Non riescoii le no^ze. 1 bei fanciulli
Prendi in cura, e nutrisci. Or vanne , e sappi,
Ma il sappi sola , che tu in me vedesti
Nettuno , il Nume che la terra scuote.
Disse ; e ne’gorghi suoi Taccolse il mare.
Ella di Neleo e Pelia , oud’ora grave ,
S’alleviò. Forti del sommo Giove
Ministri , Tun nell’arenosa Pilo,
NeU’ampia l’altro , e di feconde gregge
Ricca laolco , ebbe soggiorno e scetiro. 53n
Quindi altra prole , Eaòn , Ferete , e il chiaro
Domator di cavalli Amitnóne,
Diede a Creteo costei , che delle donne
Reina parve alla sembianza , e agli atti.
Poi d’Asópo la figlia , Antiopa , venne ,
Che dpITamor di Giove andò superba ,
E due figli creò , Zeto e AnTiòue.
Tebe costoro dalie sette porte
Primi fondare , e la munir di torri :
Chè mal potean la spaziosa Tebe 34o
Senza torri guardar, benclrè gagliardi.
Venne d’Amfitrìòn la moglie , Alcmena ,
Che al Saturnide l’animoso Alcide ,
Cor di leone , partorì. Megara ,
Di Creonte magnanimo figliuola ,
E moglie delTiavitto Ercole, venne.
D’Edipo ancor la genitrice io vidi ,
La leggiadra Epicasta , che nefanda
Per cecità di mente opra commise ,
L’uom disposando da lei nato. Edipo 35o
La man , con che avea prima il padre ucciso ,
Porse alla madre : nè celaro i Dei
Tal misfatto alle genti. Ei per crudele
Voler de’ Numi nell’amena Tebe
Addolorato su i Cadméi regnava.
Ma la donna , cui vinse il proprio affanno ,
L’Infame nodo ad un’eccelsa trave
Legato , scese alla magion di Plulo
Dalle porte infrangibili , e tormenti
Lasciò indietro al liglluol, quanti ne danno 5Go
Le ultricl Furie , che una madre invoca.
Vidi colei non men, che ultima nacque
AlTIaside Anfìòn, cui l’arenosa
Pilo negli anni andati , e il Minì'éo
Orcomeno ubbidia ; Tegrcgia Glori,
Che Neleo di lei preso a sè congiunse ,
Poscia ch’egli ebbe di dolali doni
La vergine ricolma. Ed ella il leo
. R lecco di vaga e di lui degna prole ,
Di Nestore , di Croniio , e dell’eroe 570
Perecllinéuo ; e poi di quella Pero ,
Che maraviglia fu d’ognl mortale.
Tutti i vicini la chiedeau: ma il padre
Sol conccdeala a chi k* belle vaahe
ODISSEA
6o
Dalla lanata spaziosa fronte ,
Che appo sé rileneasi il forte Iflde ,
Gli riniénasse , non leggiera impresa ,
Dai pascoli di Eliaca. L’impresa
Melampo assunse » un indovino illustre ;
Se non che a lui s’attraversaro i lati ^ 38o
E pastori salvatichi , da cut
Sod'rir dovè d'aspre catene il pondo.
Ma non prima , già in sè rivolto l'anno ,
1 mesi succedettersi , ed i giorni ,
£ compier le stagioni il corso usato,
Che Ilicle , a cui gli olacoli de’ Numi
Svelati avea rìrreprensibil vate ,
1 suoi vincoli ruppe; e così al tempo
L'alto di Giove s'adempiea consiglio.
Leda comparve, da cui Tindaro ebbe 3^o
Due figli alteri , Castore e Polluce,
L’un di cavalli domatore , e l'altro
Pugile invitto. Benché l’alma terra
Bitengali nel sen , di vita un germe
fCosi Giove tra l’Ombre anco gli onora)
Serbano : ciascun giorno , e alternamente,
Bì’apron gii occhi , e chiudonil alla luce ,
E gloriosi al parvan degli Eterni.
Dopo costei mi si parò davanti
D'Àluéo la consorte , Ihmidéa , 4°^
Cui di dolce d'amor nodo si strinse
I>o Scuotiterra. Ingenerò due figli ,
0*0 a un Dio pari , e l’inditu liialte,
Che la luce dei Sol poco fruirò.
Nè di statura ugual, nè di beltade ,
Altri nodrì la comun madre antica,
Sol che Ira tutti d’Oriun si taccia.
Non avean tocco il dfcim’annu ancora ,
Che in largo nove cubiti , c tre volte
Tanto cresciuti erano in lungo i corpi. 4*o
tenesti volendo ai sommi Dei su l'etra
Nuova portar sediziosa guerra ,
L'Ossa sovra l'Olimpo , e sovra l’Ossa
L’arborifero Pelio impor tentaro ,
Onde il cielo scalar di monte in monte ;
E il fean , se i volti pubertà infioTava :
Ma di Giove il figliuolo e dì Latona
Sterminolli ambo , che del primo pelo
Le guance non ombravano, ed il mento
Fedra comparve ancor, Procri e Arianna, 420
Che l'amante Teséo rapì da Creta ,
£ al suol fecondo della sacra Atene
Condor volea. Vane speranze ! In Nasso,
Cui cinge un vasto mar, fu da Diana ,
Per l’indizio di Bacco , aggiunta e morta.
Nè restò Mera inosservata indietro ,
Nè Climene restò , nè l’abborrita
Erilile , che il suo diletto sposo
Per un aureo monii vender poteo.
Ma dove io tutte degli eroi le apparse 43‘»
Figlie nomar volessi , e le consci ti ,
Pria mancheriami la divina Notte.
£ a me par tempo da posar la testa
O in nave o qui, tutta del mio ritorno
Ai Celesti lasciando , e a voi , la cura.
Tacque. 1 Feaci per l’oscura sala
3(avaiisi muti , e nel piacere assorti.
Ruppe il silenzio l’immortal Regina ,
La hracciobianca Arete : Feaccsi ,
Che vi par di costui ? del auo sembiante? 440
Della maschia persona ? e di quel senno
Ohe in lui risiede ? Ospite è mio , ma tutti
Dell’onor , ch'io ricevo , a parte siete.
Non congedate iu fretta , e senza doni ,
Chi nulla tien , voi , che di buono in casa
Per favor degli Dei Unto serbate.
Qui favello Echenéo , che gli altri tutti
Vìucea d'etade : Fuor ael segno, amici ,
Arete non colpì con la sua voce.
Obbediscasi a lei : se non che prima
Del He l'esempio attenderemo, e il detto.
Ciò sarà ch’ella vuole , Alcinoo disse ,
Se vita e scettro a me lascian gli Dei.
Ma , benché tanto di partir gli tardi ,
L’oapite indugi sino al nuovo Sole ,
Sì ch’io tutti 1 regali insieme accoglia.
Cura esser dee comun che lieto ei parta ,
£ più , che d'altri , mia , s'io qui son primo.
Alcinoo re , che di grandezza e fama ,
Riprese Ulisse, ogni mortale avanzi, 4^
Sei mesi ancor mi riteneste , e sei ,
F fida scorta intanto e ricchi doni
M'apparecchiaste , io non dovrei sgradirlo :
Chè quanto io tornerò con man più piene
V miei sassi natii , tanto la gente
Con più onore accorrummi e con più affetto*
Ed Alcinoo io risposta : Allora , Ulisse ,
Che ti adocchiamo, un impostor fallace,
D’alte menzogne inaspettato fabbro ,
Scorger non suspcttiam , quali benigna 47<>
La terra qua e là molti ne pasce.
Leggiadria di parole i labbri t’orna ,
Nè prudenza minor l'alberga in petto,
l.'opre de’ Greci e le tue duglie , quasi
Lo spirto della Musa in te piovesse ,
Ci narrasti così , ch'era un vederle.
Deh siegui^ e dimmi , se t'apparve alcuno
Di tanti eroi che veleggiaro a Troja
Teco, e spenti rimaservi. La Notte
Con lenti passi or per lo ciel cammina , 480
E • finché ci esporrai stupende cose ,
Non fìa chi del dormir qui si rammenti.
Quando parlar di te sino all’Aurora
Ti consentisse il duol , sino all’Aurora
lo penderei dalle tue labbra immoto.
V'ha un tempo, Alcinoo, di raca>nti,edhav-
Ulisse ripigliò, di sonni un tempo. ' (vi.
Che se udir vuoi più avanti , io nou ricuso
(.a sorte di color molto più dura
Rappresentarti , che scampar dai rischj 490
D’una terribil guerra , e nel ritorno ,
Colpa d'una rea donna , ohimè ! perirò.
Poiché le femminili Ombre famose
T>a casta Proserpina ebbe disperse.
Mesto , e cinto da quei che fato uguale
Trovar d'Egisto negl'infidi alberghi.
Si lexò d’Agamennune il fantasma.
Assaggiò appena dell'oscuro sangue.
Che ravvisommi ; e dalle tristi ciglia
Versava in copia lagrime, e le mani 5ioa
Mi stendea di toccarmi iiivan bramose :
Che quel vigor , quella possanza , ch’era
Nelle sue membra ubbidienti ed atte ,
Derelitto l'avea. Lagrime anch'io
Sparsi a vederlo, e intenerii nell'alma^
£ taì voci, nomandolo, gli volsi;
ooglc
6i
LIBRO U N D E C I M 0.
O inclito d’Atréo figlio , o de’ prodi
He f Agaroennòon , qual destili ti vinse ,
£ i lunghi t’arrecò sonni di Morte?
Kettuno in mar ti domò forse, i fieri 5io
Spirti eccitando de’ crudeli venti ?
O t’offesero in terra uomini ostili ,
Che armenti depredavi e pingui gregge ^
O delle patrie mura, c delle caste
Donne a difesa , roteavi il brando ?
Laerziade preclaro, accorto Ulisse
Ratto rispose dell’Atride l’Ombra ,
Me non domò Nettuno all’onde sopra ,
Nè m’ofiesero in terre uomini ostili.
Bgisto , ordita con la mia* perversa 52o
Donna una frode , a se iuvitommi , e a mensa,
Come alle greppie incoiisapevol bue.
L’empio mi trucidò. Cosi morii
Di morte infelicissima ; e non lunge
Gli amici mi cadeau, quai per illustri
Nozze , o banchetto sontuoso , o lauta
A dispendio comun mensa imbandita ,
Cadono i verri dalle bianche saune.
Benché molti a’ tuoi giorni o in folta pugna
Vedessi estinti , o in singolar certame , 63o
Non solita pietà tocco t’avrebbe,
Noi mirando, che stesi aWospitali
Coppe intorno eravam , mentre correa
Purpureo sangue il pavimento tutto.
La dolente io sentii voce pietosa
Della figlia di Priamo , di Cassandra ,
Cui Clitennestra m’uccìdea da presso ,
La moglie iniqua ; ed io , giacendo a terra ;
Con moribonda man cercava il brando :
Ma la sfrontata si rivolse altrove , 5«o
Nè gli occhi a me, che già scendea tra l’Ombre,
Chiudere , nè compor degnò le labbra.
No , più rea peste ,.più crudel non dassi
Di donna , che sì atroci opre commetta t
Come questa infedel , che il danno estremo
Tramò , cui s’era vergine congiunta.
Lasso ! dove io credea che , ritornando ,
Figliuoli e servi m’accorrian con festa.
Costei , che tutta del peccar sa l’arte ,
Sè ricopri d’infamia , e quante al mondo 55i»
Verranno, n le più one.^te anco, ne asperse.
Oh quanta , io ripigliai , sovra gli Atridi
I.e femmine attiraro ira di Giove !
Fu di molti de’ Greci Elena strage !
£ a te , cogliendo dell’assenza il tempo ,
Funesta rete Clitennestra tese.
Quindi troppa tu stesso, ei rispondea ,
Con la tua donna non usar dolcezza ,
Nè il tutto a lei svelar , ma parte narra
De’ tuoi secreti a lei , parte ne taci , 5Go
Banchè a te dalla tua venir disastro
Non debba : che Penelope , la saggia
l'iglia d’lc.ario , altri consigli ha in core.
Moglie ancor giovinetta , e con un bimbo,
Che dalia mamma le pendea contento,
Tu la lasciavi , navigando a Troja:
£d oggi il tuo Telemaco felice
Già s’asside uom tra gli uomini, e il diletto
Padre lui vedrà un giorno , ed egli al padre
Giusti baci porrà sovra la fronte. 5y'
Ma la consorte mia nè questo almeno
Mi consentì , ch’io satollassi gli occhi
Nel volto del mio figlio , e pria mi spense.
Credi al fine a’ miei detti , e ciò nel fondo
Serba del petto : le native spiagge
Secretameute afferra , e a tutti ignoto ,
Quando fidar più non si puote in donna.
Or ciò mi conta , e schiettamente : udisti ,
Dove questo mio figlio i giorni tragga ?
In Orcomeno forse ? O forse tieuio 58o
Pilo arenosa , o la rapace Sparla
Presso re Menelao? Certo non venne
Finor sotterra il mio gentile Oreste:
Ed io : Perchè di ciò domandi , Atride ,
Me , cui nè conto è pur , se Oreste spira
Le dolci aure di sopra , o qui soggiorna ?
Lode non merla il favellare al vento.
Così parlando alternamente, e il volto
ni lagrime rigando, e il suol di Dite,
Ce ne stavam di'sconsolati ; ed ecco 5qo
.Sorger lo spirto del Peliade Achille,
Di Patroclo . d’Aiitiloco e d’Ajace ,
Che gli Achèi lutti , se il Peiide togli,
Di corpo superava e di sembiante*
Mi riconobbe del veloce al corso
Kacide Pimago ; e , lamentando ,
O , disse , di Laerte inclita prole,
Qual nuova in mente , sciagurato, volgi
Macchina , che ad ogni altra il pregio scemi ?
Come osasti calar ne' foschi regni , 600
Degli estinti magìon , che altro non sono
Che aeree forme e simulacri ignudi ?
Di Feleo , io rispundea , figlio , da cui
Tanto spazio rimase ogni altio Gr^co,
Tiresia io scesi a interrogar , che l’arte
Di prender m’insegnasse Itaca alpestre.
S«>mpre involto ne’ guai , PAcaica terra
Non vidi ancor , nè il patrio lido attinsi.
Ma dì te , forte Achille , uom più br-ato
Non fu , nè giammai fia. Vivo d’un Nume Gio
T’onoravamo al pari , ed or tu regni
.Sovra i defunti. Puoi tristani morto?
Non consolarmi della morte, a Ulisse
Replicava il Pellde. Io pria torrei
S'^rvir bifolco per mercede a cui
Scarso e vii cibo difendesse i giorni ,
Che del Mondo defunto aver l’impero.
Su via , ciò lascia , e del mio figlio illustre
Parlami in vece. Nelle ardenti pugne
Corre tra t primi avanti ? K di PeJéo , fiso
Del mio gran genitor , nulla sajiesti ?
Sieguon fedeli a reverirlo i molti
Mirmidoui , o nelPEUada , ed in Ftia
Spregiato vive per la troppa etade ,
Che le membra gli agghiaccia ? Ahi! ebegnar-
Sotto i raggi del Sol più non mi lice : (darlo
Che pas.sò il tempo che la Troica sabbia
D’esanimi io covrìa corpi famosi ,
Proteggendo gli Achei. S’io con la forza ,
Che a que’giorni era in me, toccar potessi 63o
Per un istante la paterna soglia ,
V chiunque oltraggiarlo , e degli onori
Fraudarlo ardisse , questa invitta mano
Metterebbe nel core alto spavento.
Nulla i io risposi , di Peléo , ma tutto
Del figliiiot posso , e fedelmente, dirti ,
Di Neottolemo tuo, eh»* all’oste Achiva,
Io stesso sopra cava e d’uguai hauchi
Digitized by Coogic
6a ODISSEA
Munita nave rimenai da Sciro. |
Sempre che ad Ilio tenevam consulte t 640 !
Primo egli a favellar s’alzava in piedi | |
Nè mai dal punto deviava : soli I
Gareggiavam con lui Nestore ed io. |
Ma dove Tarmi si prendean , confuso
Già nou restava in fra la turba , e ignoto. |
Precorrea tutti , e di gran lunga » e intere
X.e falangi struggea. Quantici mandasse ,
Propugnacol de' Greci , anime all'Orco ,
Da me non t'aspettare. Abbiti solo ,
Che il Telefide Euripilo trafisse 65o
Fra i suoi Cetéi , che gli moriano intorno ;
Euripilo di Troja ai sacri muri
Per la impromessa man d'una del Rege
Figlia venuto » ed in quell'oste intera ,
Diipn il deiforme Mennone, il più bello.
Che del giorno dirò , che il lior de' Greci
Nel construtto da Epéo cavallo salse,
Che in cura ebb'io , poiché a mia voglia solo
Aprissi , o rinchiudeasi , il cavo agguato ?
Tergeansi capi e condottier con mano 660
De umide ciglia , e le ginocchia sotto
Tremavano a ciascun ; nè bagnare una
Lagrima a lui , nè dì pallore un'ombra
Tingere io vidi la leggiadra guancia.
Bensì prieghi porgeaini j onde calarsi
Giù del cavallo , e della lunga spada
Palpeggiava il grand’else , e l'asta grave
Crollava , mali divisando a Troja.
Poi , la cittadc incenerita , in nave
Delle spoglie più belle adorno e carco 670
Montava , e illeso : quando lunge , o presso ,
Di spada , o strai , non fu giammai chi vauto
Del ferito Neottolemo si desse.
Dissi; e d'Achille alle veloci piante
Per li prati d'asfodelo vestiti
L'alma da me sen giva a lunghi passi ,
Lieta , che udì del figliuol suo la lode.
D’altri guerrieri le sembianze tristi
Compariano ; e ciascun suoi guai narrava.
Sol dello spento Telamonio Ajace 68o
Stav.i in disparte il disdegnoso spirto ,
Perchè vinto da me nella contesa
Dell’armi del Pelìde appo le navi.
Teti , la madre veneranda, in mezzo
pose , e giudìcaro i Teucri e Palla.
Oh cótta mai non avess'io tal palma ,
Se Talina terra nel suo vasto grembo
Celar dovea sì gloriosa testa ,
Ajace , a cui d’aspetto e d'opre illustri,
Salvo l'irreprensibile Pelide ^ C90
Non fu tra 1 Greei chi agguagliarsi osasse \
Io con blande parole , Ajace , dissi ,
Figlio del somnao Telamon , gli sdegni
Fer quelle maledette arme concetti
Dunque nè morto spoglierai? Fatali
Certo resergli Dei quell'arme ai Greci,
Che in te perderò una sì ferma torre.
Noi per te nulla men , che per Achille ,
Dolenti andlam; nè alcun n'è incolpa, il credi:
Ma Giove , che infinito ai bellicosi <700
Danai odio porta , la tua morte volle.
Su via , t’accosta , o Re . porgi cortese
L'orecchio alle mie voci , e la soverchia
Forza del generoso animo doum.
Nulla egli a ciò : ma , ritraendo il piede ,
Fra l'altre degli estinti Ombre si mise:
Pur , seguendolo io quivi , una risposta
Forse data ei m’avria ; se non che voglia
Altro di rimirar m’ardea nel petto
Minosse io vidi , del Saturnio il chiaro 7 10
Figliuol , che assiso in trono , e un aureo scettro
Stringeudo in man , tenea ragione aU'Ombre ,
Che tutte , qual seduta e quale iu piedi ,
Conto dì ^ rendeangìi entro l'oscura
Di Fiuto casa dalle larghe porte.
Vidi il grande Orìon , che delle fiere,
Che uccise un dì sovra i boscosi monti ,
Or gli spettri seguia de' prati Inferni
Per l’asfodelo in caccia : e maneggiava
Perpetua mazza d'iufrangibil rame. 720
Ecco poi Tizio , della 'Terra figlio',
Che sforzar non temè l'alma di Giove
Sposa , Latona , che volgeasi a Filo
Per le ridenti Fanupée campagne.
Sul terren distendevasi , e ingombrata
Quanto in dì nove ara di tauri un giogo ;
È due avoltoi , l’un quinci , e l'altro quindi ,
Ch'ei con mano scacciar tentava imUrno,
Rodeangli il cor, sempre ficcando addentro
Nelle fibre rinate il curvo rostro. 75o
Stava là presso con acerba pena
Tantalo in piedi entro un argenteo Iago ,
La cui belTonda gli toccava il mento.
Sitibondo moslravasi , e una stilla
Non ne potea gustar : chè quante volte
Chinava il veglio le bramose labbra ,
Tante l'onda fuggia dal fondo assorta ,
Sì che appariagli ai piò solo una bruna
Da un Genio avverso inaridita terra.
Piante superbe , il me;lagrano , il pero , 740
K di lucide poma il melo adorno ,
B il dolce hco , e la canuta oliva ,
Gli piegavan sul capo i carchi rami ;
E in quel clTegU stendea dritto la destra p
Vèr le nubi lanciava i rami il vento.
Sisifo altrove smisurato sasso
Tra l'una e l'altra man portava, e doglia
Pungealo inenarrabile. Costui
La gran pietra alla cima alta d'uo monte ,
Urtando con le man , coi piè pontando , 760
tSpingea : ma giunto in sul cìglioii non era ,
Che risuspinta da un poter supremo
Rotolavasi rapida pel (bino
Sino alla valle la pesante massa.
Ei nuovamente di tutta sua torza
Su la cacciava : dalle membra a gronde
Il sudore colavagli , e perenne
Dal capo gli salia di polve un nembo.
D’Èrcole mi s’offerse al fin la possa ,
Anzi il fantasma : però ch'ei de’ Numi 7C0
Giocondasi alla mensa, e cara sposa
Gli siede accanto la dai piè leggiadro
Ebe , di Giove figlia e di Giunone ,
Che muta il j>asso coturnata d'oro.
Schiamazzavan gli spirti a lui d’intorno ,
Come volanti augei da subitana
Tema compresi ; ed ei fosco , qual notte ,
Con Parco in mano, e con lo strai sul nervo ,
Ed in atto ad ognor di chi saetta ,
* Onendamenle qua e là guatava.
G3
LIBRO D U
Ma il petto attraversaragli una larga
r>’ór cintura terrìbile , sn cui
Sturiate vedeansi opre ammirande ,
Orai , cinghiai feroci ,'e Ir-on torvi »
U pugne , e stragi , e aanguinose.morti:
Cintura , a cui l’eguale o prima , i> dopo ,
Non fabbricò , qual che si fosse , il mastro*
Mi sguardò, riconobbemi , e con voce
L.ugubre , O , disse , di Laerte tìglio ,
Ulisse accorto , ed infelice a un’ora , 780
Certo un crudo t’opprime avverso fato ,
Qual sotto i rat del Sole anch’io sostenni.
Figliuol quantunque dell’egioco (ìiove , ;
Pur , soggetto vivendo ad uom, che tanto j
Valea manco di me , molto io suflfersi.
Fatiche gravi ei m’addossava , e un tratto
Spedimmi a quinci trarre il Can trifauce ,
Che la prova di tutte a me più dura
Sembravagli ; ed io venni , e quinci il Cane
Tnfauce trassi ripugnante indarno , 790 |
O D E C I M O. .
D’Brmcte col favore e di Minerva.
Tacque , e nel più profondo Èrebo scese.
Di loco io non movrami , altri aspettando
De’ prodi , che sparirò « è ornai gran tempo.
E que’ duo forse mi sarieo comparsi
Ch^io più veder bramava , eroi primieri ,
Teseo e PIritoo , gloriosa prole
Degrimmortali Dei. Ma un infinito
Pupol di spirti cou frastuono immenso
Si ragunava \ n in quella un improvvisa 800
Timor m’assalse , non l’orribii testa
Della tremenda Gorgone la Diva
Proserpina inviasse a me dall’Orco.
Dunque senta dimora al cavo legno
Mussi , e ai compagni comandai salirlo ,
K liberar le funi ; ed i compagni
Ratto il saltano , e s'^assideaii su i banchi.
Pria Paleggiar de’ remi il cavo legno
Mandava innanzi d'Oceàn su Poiide :
Poscia quel , che levossi, ottimo vento. 810
LIBRO DUODECIMO
ARGOMENTO
Ritori^p alPisola di Cifre, esequie d'E1|iennre , e parlebta d'Uliase. Questi , ammaestralo da Circe vince iì
pericolu delle Sirene , schiva le Pietre erranti , e passa tra Scilla e Cariddi , mm però scasa perdita di due de’
coTiipagni. Arrivo alPisola Trioacria, cioè alla Sicilia, ove i cumpagoi uccidono i buoi del Sole, e cihansi delle
loro carni. Giove fulmina la nave, e tutti pcrisctjno , eccetto Ulisse, che su gli avanti della nave sì |mi>r. Io
tale stalo ribussa tra Scilla e Cariddi , salvaodusi da quest’ultima oun un'arte maravigliusa j e deqx) dicci giorni
giunge airisola di Calipso. £ qui lia fine la sua narraticoe.
P oicTiÈ la nave usci dalle correnti
Del gran fiume Oceano , ed all’Eéa
Isola ginn.se neirimmenso mare ,
J.à I 've gli alberghi dell’Aurora , e ì balli
Sono, e del Sole i lucidi Levanti ,
Noi dalla nave , che fu in secco tratta ,
Scesi , e corcati su la muta spiaggia ,
Aspettammo dell’Alba il sacro lume.
Ma come del mattin la bella figlia
Colorò il ciel con le rosate dita , 10
Di Circe andaro alla magione alcuni ,
Che dell’estinto KIpenore la fredda
Spoglia ne riportassero. Troncammo
Frassini e abeti, e all’infelice amico,
Dolenti il core , lagrimosi il cìglio,
L'esrquie femmo, ove sporgea più il lido.
Nè prima il corpo e le armi ebbe arse il foco,
Che noi, composto un tumulo, ed eretta
Sopravi una colonna, il ben formato
Remo infiggemmo della tomba in cima. so
Mentr’eravamo al tristo uflìcio intenti,
Circe, che d’Aide ci sapea tornati,
S’adoriiò, e venne in fretta, e con la Dea
Venner d’un passo le serventi Ninfe,
Forza di carni e pan seco recando ,
E rosso vino, che le vene infiamma.
L’inclita tra le Dee stava nel mezzo,
E COSI favellava : O sventurati ,
Lhe in carne viva nel soggiorno entraste
D’Aide , e di cui la sorte è due fiate 3o
Morir , quando d’ogni altro uomo è una sola ,
Su via , tra i cibi scorra ed i licori
Tutto a voi questo di su le mie rive.
Come nel ciel rosseggerà l’Aurora ,
Navicherete; ma il cammino, e quanto
Dì saper v’è mestieri , udrete in prima ,
81 che non abbia per un mal consiglio
Grave in terra , od in mare , a incorvì danno.
Chi persuaso non saiiasi ? Quindi
Tra lanci piene e coronate tazze, 40
Finche il Sol si mostrò , sedemmo a mensa.
11 Sol celato , ed imbrunito il mondo ,
Si colcaro ì compagni appo la nave.
Ma Circe me prese per mano , e trasse
Da parte , e a seder pose ; ìndi , seduta
Di runtra , interrogommì , ed io su tutto
La satisfeci pienamente. Allora
Tai parole sciogliea Tìliustre Diva:
Tu compiesti ogni cosa. Or quello ascolta ,
Ch’io vo’manifestarti , e che al bisogno So
Ti tornerauuo nella mente i Numi.
Alle Sirene giungerai da prima ,
Che ailàscinan chiunque i lidi loro
Con la sua prora veleggiando tocca.
Chiunque i lidi incautamente atì'erra
Delle Sirene, e n’ode il canto, a lui
Nè la sposa ledei , nè Ì cari figli
Verraimo incoutro su le soglie in festa.
Digitized by Googic
ODISSEA
6i
Le Sirene , sedendo in un bel prato ,
Mandano un canto dalle argute labbra , 6<.>
Che alletta il passeggier : ma non lontano
D’ossa d'umani putreiatti corpi ,
£ di pelli marcite ) un monte s'alza.
Tu veloce oltrepassa , e eoo mollila
Cera de’ tuoi cosi l’orecchio tura,
Che non vi possa penetrar la voce.
Odila tu , se vuoi ; sol che diritto
Te della nave all'albero i compagni
Leghino , e i piedi stringanti , e le mani:
Perchè il diletto di sentir la voce 70
Delle Sirene tu non perda. K dove
Pregassi , o comandassi a’ tuoi di scìorti |
Le ritorte raddoppino, ed i lacci.
Poiché trascorso tu sarai , due vie
Ti s’apriranno innanzi ; ed io non dico ,
Qual più giovi pigliar , ma , come d’ambo
Kagionato t'avrò , tu stesso il pensa.
Vedrai da un lato discoscese rupi
Sovra l’onde pendenti , a cui rimbomba
Dell’azzurra Anfìtrite il salso botto. 80
Gl'Iddìi beati nella lor favella
Chìamanle Erranti. Hon che ogni altro augello,
Trasvolarle non sanno impunemente
Kè le colombe pur , che al padre Giove
Recan Tambrosia : la polita pietra
Sempre alcuna ne fura , e della spenta
Surroga in vece altra colomba il padre.
^ave non iscampò dal periglioso
Varco sin qui : chè de' navigli tutti
Le tavole del pari e i naviganti 90
Sen porta il vincitor flutto, e la pregna
Di mortifero foco atra procella.
Sola quell’Argo , che solcava il mare ,
Degli uomini pensiero , e degli Dei ,
Trapassar valse , navigando a Coleo :
£ se non che Giunon , cui molto a cuore
Giasone stava , di sua man la spinse ,
Quella non meno avrian contra le vaste
Rupi cacciata i tempestosi flutti.
Dall’altra parte havvi due scogli: l'uno 100
Va sino agli astri , e fosca nube il cinge ,
Nè su l’acuto vertice, l’estate
Corra , o l'autunno, un puro ciel mai rìde.
Montarvi non potrebbe altri , o calarne ,
Venti mani movesse e venti piedi:
Sì liscio è il sasso , e la costa superba.
Nel mezzo vòlta all'Occidente, e all’Orco
S’apre oscura caverna, a cui davanti
Dovrai ratto passar ; giovane arciero ,
Che dalla nave disfrenasse il dardo, no
Non toccherebbe l'incavato speco.
Scilla ivi alberga , che moleste grida
Di mandar non rista. La costei voce
Altro non par che un guajolar perenne
Di lattante cagnuol : ma Scilla è atroce
Mostro , e sino ad un Dio , che a lei si fesse,
Non mirerebbe in lei senza ribrezzo.
Dodici ha piedi , anteriori tutti ,
Sei lunghissimi colli , e su ciascuno
Spaventosa una testa , e nelle bocche I2i>
Dì spessi denti un triplicato giro ,
£ la morte più amara in ugni dente.
Con la metà di sè nell’incavato
Sp^co profondo ella s’attufla , e fuori
Sporge le teste , riguardando intorno ,
Se delfini pescar , lupi , o alcun puote
Di que' mostri maggior , che a mille a mille
Chiude Anfìtrite ne' suoi gorghi , e nutre.
Nè mai nocchieri oltrepassaro illesi :
Poiché quante apre disoneste bocche , i3o
Tanti dal cavo legno uomini invola.
Men l'altro s’alza contrapposto scoglio ,
E il dardo tuo ne colpiria la cima.
Grande verdeggia in questo , e d’ampie foglie
vSelvaggio fico j e alle sue falde assorte
La temuta Cariddi il negro mare.
Tre fiate il rigetta , e tre nel giorno
L’assorbe orribilmente. Or tu a Cariddi
Non t'accostar, mentre il mar negro ioghiotte:
Chè mal sapria dalla mina estrema 140
Nettuno stesso dilivrarti. A Scilla
rienti vicino , e rapido trascorri.
Perder sei de'compagiii entro la nave
Torna più assai , che perir tutti a un tempo.
Tal ragionava ; ed 10 : Quando m'avvegna
Schivare , o Circe , la fatai Cariddi ,
Respinger , dimmi il ver , Scilla non deggio ,
Che gli amici a distruggermi s'avventa ?
O sventurato, rispondea la Diva ,
Dunoue le pugne in mente ed i travagli i5o
Rivolgi ancor , nè ceder pensi ai Numi ?
Cosa mortai credi tu Scilla ? Eterno
Credila , e duro , e faticoso , e immenso
Male , ed inespugnabile, da cui
Schermo non havvi , e cui fuggir fìa il meglio.
Se indugi, e vesti appo lo scoglio Tarmi ,
Sbucherà , temo , ad un secondo assalto ,
R tanti de’ compagni un’altra volta
Ti rapirà , quante spalanca bocche.
Vola dunque sul pelago, e la madre l6o
Cratéi , che al mondo generò tal peste ,
E ritenerla , che a novella preda
Non si slanci , potrà , nel corso invoca.
Allora incontro ti verran le belle
Spiagge della Trinacria isola , dove
Pasce il gregge del Sol , pasce l’armento :
Sette branche di buoi , d'agnelle tanti ,
E dì teste cinquanta i branchi tutti.
Non cresce, o scema , per natale, o morte ,
Branco ; e le Dive sono i lor pastori , 170
Faetusa e Lampezie il crin ricciute,
Che partorì d'iperione al figlio ,
Ninfe leggiadre, la immortai Neera.
Come l’augusta madre ambo le Ninfe
Dopo il felice parto ebbe nodrite ,
A soggiornar lungi da sè mandolle
Nella Trinacria ; e le paterne vacche
Dalla fronte lunata , ed i paterni
Monton lucenti a custodir lor diede.
Pascoleranno iniat J , e a voi soltanto 180
Calerà del ritorno? il suol nativo.
Non però senza guai , fiavi concesso.
Ma se giovenca molestate, od agna ,
Sterminio a te predico , e al legno , e a* tuoi.
R pognam , che tu salvo ancor ne andassi.,
Riederai tardi , e a gran fatica , e solo.
Disse ; e sul trono d'or l’Aurora apparve.
Circe, non molto poi , da me rivolse
Per l'isola ì suoi passi \ ed io , trovata
La nave , a entrarvi , e a disnodar la fune, 190
65
LIBRO DUODECIMO.
Confortava i compagni ; ed i compagni
V'entraro , e a’assidean 6U i banchi , c asaisi
Fean co* remi nel mar spume d’argento.
].a Dea possente ci spedì un amico
Vento di vela gonHator , che fido
Per l’ondoso rammin ne accompagnava :
•St che , depo-Hti nella negra nave
Dalla prora cerulea i lunghi remi , ,
Sedevamo, di spingerri e guidarci
Lasciando al tjinonier la cura , « al vento. 300
Qui , turbato del core , Amici , io dissi ,
Degno mi par che a tutti voi sia conto
Quel , che predisse a me l’inclita Circe.
5^oltate adunque , acciocché » tristo o lieto,
Non ci sorprenda ignari il nostro iato.
Sfuggire in pria delle Sirene il verde
Prato, e la voce dilettosa ingiunge.
Vuole ch’io l’oda io sol : ma voi diritto
Me della nave all’albero legate
Con fune sì, ch’io dar non pos^a un crollo; 310
i! dove di slegarmi io vi pregassi
Pur con le ciglia , o comandassi , voi
Le ritorte doppiatemi « ed i lacci.
Mentre ciò loro io discopria , la nave ,
Che area da poppa il vento, in picciol tempo
Delle Sirene aU’isula pervenne.
Là il vento cadde, ed agguagliossi il mare,
L i’onde assonnò un demone. 1 compagni
Si levar pronti , e ripiegar le vele,
£ nella nave collocarle : quindi 320
Sedean sui banchi, ed imbiancavan l’onde
Co’ forti remi di polito abete,
lo la duttile cera , onde una tonda
Tcnea gran mazza , sminuzzai con destro
Rame afiìlato; ed i frammenti n’iva
Rivoltando e premendo in fra le dita.
Ké a scaldarsi tardò la molle pasta ;
Perocché lucidissimi dall'alto
Scoccava i rai d’Iperione il figlio.
De’ compagni incerai senza dimora 3.^0
Le orecciiie di mìa mano ; e quei diritto
Me della nave all'albero legare
Con fune , i piè stringendomi , e le mani.
Poi su ì banchi adagiavansi , e co’ remi
Ratteano il mar, che ne tornava bianco.
(ri,ì , vogando di forza , eravam , quanto
Corre un grido dell’uomo, alle Srene
Vicini. Udito il flagellar de’ remi ,
B non lontana amai vista la nave,
Un dolce canto cominciaro a sciorre: 340
O molto illustre Ulisse, o degli Achei
Somma gloria immortai, su via , qua vieni ,
Ferma la nave, e il nostro canto ascolta.
Nessun passò di qua su negro legno ,
Che non udisse pria questa, che noi
Dalle labbra mandiam , voce soave;
Voce , che inonda di diletto il core,
R di molto saver la mente abbella.
Che non pur ciò , che sopportare a Troja
Per celeste voler Teucri ed Argivi , a5o
Noi conosciam , ma non avvien su tutta
La delle vite serbatrire terra
Nulla, che ignoto o scuro a noi rimanga.
Così cantaro. Ed lo , porger volendo
Più da vicino il dilettato orecchio ,
Cenno ai compagni fea , che ogui legame
ODISSEA
Fosseini rotto; e quei più ancor sul remo
Incurvavano il dorso, e Feriinede
Sorgea ratto , ed Kuriloco , e di nuovi
Nodi ctiigeaiimi, e mi premean più ancora. i6o
Come trascorsa fu tanto la nave ,
Cile noti potea la perigliosa voce
Delle Sirene aggiungerci , coloro
A sé la cera dall’orecchie tosto ,
E dalle membra a me tolsero i larrl.
Già rimanea l’isola indietro j ed ecco
Denso apparirmi un fumo e vasti flutti ,
E gli orecchi intronarmi alto fragore.
Ne sbigottirò i miei compagni , e i lunghi
itemi ni man lor caddero , e la nave , 370
Che de’ hdi suoi remi era tarpata ,
Là immantinente s’arrestò. I^Ia io
Di su , di giù per la corsia movendo ,
H con blanda favella or questo , or quello
De’ compagni abbordando , O , dissi , meco
Sin qua passati per cotanti aflàmii ,
Non ci sovrasta un maggior mal, che quando
L’iiinnìto vigor di Folilemo
Nell’antro ci chiudea. Pur quinci ancora
Col valor mio vi trassi , e col mìo senno , 280
K vi ha dolce il rimembrarlo un giorno.
Via , dunque, via , ciò ch’io comando , tutti
Facciam : voi, stando sovra i banchi , i’onde
Percotete co’ remi , e Giove, io spero,
Concedeià dalle correnti scampo.
Ma tu , che il timon reggi , abbiti in mente
Questo , nè l’obblìar : guida il navìglio
Fuor dei fumo e del fiotto , ed all’opposU
Rupe ngnur mira , e ad essa tienti, o noi
Getterai nell’orribile vorago. ago
Tutti alla voce mia ratto ubbidirò.
Se non ch’io Scilla , ìmmedicabii piaga ,
Tacqui , non forse, abbandonati x banchi |
L’un sovra l’altro per soverchia tema
Della nave racciassersi nel fondo.
E qui , di Circe , che vletommi l’arme ,
Negletto il disamabile comando,
lo dell’arme vestiami , e con due lunghe
Nell’impavida mano aste lucenti
Salia sul palco della nave in prua , 5oo
Attendendo colà , che Pefferata
Abitatrice dell'infame scoglio
I ndi , gli nmici a m’involar , sbalzasse ;
Né , perché del ficcarli in tutto il bruno
Macigno stanchi io mi sentissi gli occhi ,
Da parte alcuna rimirarla io vaisi.
Navigammo addolorati intanto
Per l’angusto sentier : Scilla da un lato ,
Dall'altro era l’orribile Cariddi ,
Che del mare inghiottia l’onde spumose.
Sempre che rigettavale, siccome
Caldaia in molto rilucente foco ,
Mormorava bollendo; e i larghi sprazzi,
Che andavan sino al cielo, in vetia d'ambo
Gli scogli ricadevano. Ma quando
I salsi flutti ringhiottiva , tutta
Commoveasi di dentr«» , ed alla rupe
Terribilmente rimbombava intorno,
K , l’onda il seno aprendo , uii’azzurrigoa
Sabbia parrca nell’imo fondu: verdi 320
la; guance di paura a tutti io scòrsi.
Mentre in Cariddi tenevam It: ciglia,
y
Digìtized by
66 ODI
Una mortf t^menflone vicina ,
Sci de* compagni , i più di man ga|(IÌardi,
Scilla rapimmi dal navìglio, lo gli occhi
Torsi, e lì vidi che levati in alto
Braccia e piedi agitavano, ed Ulisse
Chiamavan , lassi ! per l'estrema volta:
Qual pcscator che su pendente rupe
Tuffa di bue silvestre in mare il corno 35o
Con lunghissima r.anna , un’infedeio
Bsca ai minuti abitatori offrendo ,
£ fuor li trae dell’onda , e palpitanti
Scagliali sul terren: non altrimenti
Scilla t compagni dal naviglio alzava ,
£ innanzi divoravali allo speco ,
Che dolenti mettean grida , e le mani
Nei gran disastro mi stendeauo indarno.
Fra i molli acerbi casi , ond'io sostenni
Solcando il mar , la vista , oggetto mai 34o
B) cotanta pietà non mi s'offerse.
Scilla e Cariddi oltrepassate, in faccia
La feconda cì apparve isola amena ,
Ove il gregge del Sol pasce , e l'armento ;
£ ne giungean dall'ampie stalle a noi
I belati su l'aure ed i muggiti.
Gli avvisi aìlor mi si svegliare in mente
Bel Tebsn vate e della maga Circe , ~
Ch’io l'isola schivar del Sol dovessi ,
Di cui rallegra ogni vivente il raggio. 35o
Ond'io , Compagni , lor dicea , per quanto
Siate angosciati , la sentenza udite
Bel Teran vate e della maga Circe ,
Ch’io l’isola schivar debba del Sole,
Bi cui rallegra ogni vivente i) raggio.
Circe affermava che il maggior de’ guai
Quivi c'incoglieria. Lasciarla indietro
Ci cuDvien dunque con la negra nave.
Colpo taì detti fu quasi mortale.
Nè a molestarmi Euriloco in tal guisa 36o
Tardava : Ulisse , un barbaro io ti chiamo.
Perchè di forze abbondi , e mai non cedi ,
Nè fibra è in te che non sìa ferro , a' tuoi
Contendi il toccar terra , e di non parca
Cena sul lido ristorarsi. Esìgi
Che in mezzo le notturne ombre su questo
Pelago a caso erriani , benché la notte
Gravi produca dis?istrosi venti.
Or chi fuggir potrà l’uUimo danno ,
Bove repente un procelloso fiato 370
Bi Mezzodì ci assalga , o di Ponente ,
Che , de’ Numi anco ad onta , il legno sperda ?
S’obbedisca oggi alla divina notte ,
£ la cena nell'isola s’appresti.
Come il dì spunti , salirem di nuovo
La nave , e nell’immensa onda entreremo.
Questa favella con applauso accolta
Fu dai compagni ad una ; e io ben m’avvidi
Che mali un Genio prepotente ordia.
£iiriloco, io risposi, oggimai troppa, 38o
Tutti contra ad un sol , forza mi fate.
Giurate almeno , e col più saldo giuro ,
Che se greggi truviam , troviamo armenti ,
Non sia chi , spìnto da stoltezza iniqua ,
Giovenca mxiaa , o pecorella offenda ;
Ma tranquilli di ciò pasteggerete ,
Che in don vi porse la benigna Circe,
Quelli giuraro, e non sì tosto a fine
S S E A
L’inviolabll giuro ebber condotto ,
Che la nave nel porto appo una fonte Sqo
Fermaro , e ne smontano , e lauta cena
Solertemente appareerhiàr sul lido.
Paga delle vivande e de’ licori
I.a naturale avidità pungente,
Risovveniansi di color che iScilla
Dalla misera nave alto rapiti
Vorossi, e li piangean , finché discese
Su gli occhi lagriroosi il dolce sonno.
Già corsi Bvea del suo camroin due terzi
La notte , e derhinavano le stelle , 40O
Quando il cinto di nembi olimpio Giove '
Destò un gagliardo , turbinoso vento ,
Che la terra coverse , e il mar di nubi ,
£ la notte di cielo a piombo cadde.
Ma come poi l’oricrinita Aurora
Colorò il c:iel con le rosate dita ,
Tirammo a terra il legno, e in cavo speco
De’ seggi ornato delle Ninfe, ch'ivi
I lor balli tessean , Tintroduceramo.
Subito io tutti mi raccolsi intorno , 410
K , CompHgni , diss'io, cibo e bevanda
Reslanci ancor nella veloce nave.
Se non vogllam perir, lungi , vedete,
La man dal gregge e dairarniento : al tSole»
Terribil Din , che tutto vede, ed ode ,
Pascono i monton pingui e i bianchi tori.
Dissi } e acchetarsi i generosi petti.
Per un intero mese Austro giammai
Di spirar non restava , e poscia fiato
Non sorgea mai,chedl Levante od' Austro. 430
Finché il pan non fallì loro , ed il vino ,
Ubbidienti , e della vita avari ,
Risp<*ttavan l’armento. E già la nave
Nulla contcnea più. Givano t^dunque.
Come il bisogno li pnngea , dispersi
Per l'isola , d’augelli e pesci in traccia ,
Con archi ed ami , o di quale altra preda
Lor venisse alle man ; però che forte
Rodeali dentro l’importuna fame.
Io , dai compagni scevro , una remota 45o
C'arcai del piede solitaria piaggia ,
Gli Eterni a supplicar , se alcun la via
Mi dimostrasse del ritorno ; e in parte
Giuntò , che d'aura non sentissi colpo •
Sparsi di limpid'oiida , e a tutti alzai
Gli abitanti del cielo ambo le palme.
Nè guari andò , che d’un tranquillo sonno
Gli occhi ed il petto riempièrmi i Numi.
Euriloco frattanto un mal consiglio
Pose innanzi ai compagni: O da sì acerbe 440
Sciagure oppressi, la mia voce udite.
Tutte odiose certo ad uom le morti :
Ma nulla tanto , che il perir di fame.
Che più sì tarda ? Menìam via le belle
Giovenche , esagrifici ai Numi ufifriamo.
Chè se aS'errar ci smà dato i lidi
Nativi , a) Sole Iperiono un ricco
Tempio illustre alieremo , appenderemo
Multi alle mura preziosi doni.
K dov’ei, per li buoi dalla superba 45o
Testa crucciato, sperder voglia il legno ,
Nè alcun Dio ^li contrasti , io tolgo l'alma
Pria tra i flutti esalar , che , su deserta
Isola stando , intiSichir più a lungo.
67
I. I B R O D U
Disse ; e tutti assentìano. Incuntaneiite,
Del Sui cacciate le più belle vacche
Di Irunte larga » e con le corna in arco ,
Che dalla nave non pascean lontane,
Stavano ad esse in torno ; e , tòlte prima ,
Per diletto che avean di candid'orzo , 460
Tenere tòglie dì sublime quercia ,
Voti leano agli Dei. Curopìuti i voti.
Le vittime sgozzare, e le scojaro ,
£ , le cosce tagliatone, di zirbo
Le coprirò doppiate , e ì crudi broni
Sopra vi collocaro. Acqua , che il rosso
Viuo scusasse , onde patian disagio ,
Versavan poi su i sacrifici ardenti ,
£ abbrostian tutti gl’intestini. Quindi,
Le cosce ornai combuste , cd assaggiate 47^
Le interiora , tutto l’altro in pezzi
Fu messo, e inlitto negli acuti spiedi.
E a me usci delle ciglia il dolce sonno.
Sorsi , e alia nave in Iretta io mi condussi.
^1a vicina del tutto ancor non m^era,
Ch’io mi sentii dall’avvarnpate carni
Muovere incontro un odoroso vento,
£ gridai , lameutando , ai Numi eterni r
O Giove padre , e voi , Dei sempre stanti ,
Certo in un crudo e latal sonno voi 480
Mi seppelliste , se doveasi intanto
Compier da cotestoro un tal misfatto.
Nunzia non tarda dell’ucciso armento,
Lampezie al Sole andò di lungo peplo
Coperta. Il Sole , in grande ira montato ,
Si volse ai Numi , e , Giove , disse , e voi
Tutti, immortali Dei , paghino il fio
Del Laerzlade Ulisse i rei compagni ,
Che le giovenche trucidarmi osaru,
Della cui vista , o ch’io per la stellata 490
Volta salissi , o discendessi , nuovo
Diletto ciascun di prendea il mio core.
Colpa e pena in lor sia d’una misura :
O calerò nella magiou di Plutu ,
£ al popol morto porterò mia luce.
£ il iiìmbitero Giove a lui rispose :
Tra gl’immortali , o Sole , ed i mortali
Vibra su l’alma terra , e in cielo , i raggi.
Io senza indugio d’uii sol tocco lieve
Del fulmine allocato il Jor naviglio Soo
Siracelierò del negro mar nel seno.
Queste cose Calipso un giorno udia
Dal messaggìer Mercurio , e a me narrolle
Ea ricciuta il bel crin Ninfa Caiipso.
Giunto alla nave, io rampognava or questo
De’ compagni , ed or quel : ma violato
L armento fu, nè avea compenso il male.
Strani prodigi intanto agl'infelici
Mostravano gl'iddìi : le fresche pelli
Strisciavau sul terren , mnggian le incotte 5io
Carni , e le crude , agli schidoni intorno ,
£ de' buoi lor sembrava udir la voce.
Fur del fior deirarmenlu ancor sei giorni
Si cibaro i colpevoli. Comparsa
La settim’alba, il turbinoso vento
Siancossi : e noi ci rimbarcammo, e , alzato
L’albero prontamente, e dispiegate
Le bianche vele , ci mettemmo in mare.
Di vista già della Trinacrìa usciti ,
Altro non ci apparta che il cielo e l'onda , 5io
O D E C I M O.
Quando Ì1 Saturnio sul veloce legno
Sospese io alto una cerulea nube ,
Sotto cui tutte intenebràrsi Tacque.
I.a nave non correa che un tempo breve ;
Poiché ratto uno stridulo Pooente,
Infuriando , imperversando, venne
Di contra , e ruppe con tremenda buQa
Le due funi delTalbero , che a poppa
C'idde ; ed antenne in uno , e vele e sarte
Nella sentina scesero. Percosse 53o
L'alber, cadendo , al timoniere ìn capo ,
K Possa fracas^ógli ; ed et da poppa
Saltò nel mar , di palombaro iu guisa ,
K cacciata volò dal corpo Palma.
Ma Giove , che tonalo avea più volte ,
Scagliò il fulmine suo contro la nave ,
Che si girò , dal fulmine colpita
Del Saturnio, e s’empif’o di zolfo tutta.
Tutti fuor ne cascarono i compagni ,
K ad essa intorno Pondeggiaiite sale , 640
Quai corvi , li portava j e così Giove
Il ritorno togliea loro , e la vita,
lo pel naviglio su e giù muvea ,
Finché gli sciolse la tempesta ì fianchi
Dalla carena , che rimase inerme.
Poi la base dell'albero Pirata
Onda schiantò : ma di taurino ciiojo
[\ iveslidlo una striscia , ed io con questa
L’albero e la carena in un legai ,
E sopra mi v’assisi; e tale i veuti 55o
Esiziali mi spingean su Tonde.
Zefiro a un tratto rallentò la rabbia :
Seiionchè sopraggiuiise un Austro in fretta ,
Che, nujandomi forte , in vèr Cimddi
Kicondur mi volea. L'intera notte
Scorsi su i flutti ; e col novello Sole
r ra la grotta dì Scilla , e la currenta
Mi ritrovai della fatai vorago ,
Che in quel punto ìnghioiUa le salse spume.
Io, slanciauaomi in alto, a quel selvaggio 56o
.M'aggrappai fico eccelso , e mi v’attenni,
Quai vipistrello ; chè nè dove i piedi
Fermar , nè come ascendere , io sapea ,
Tanto eran lungi le radici , e tanto
Remoti dalla mano i lunglii , immensi
Rami , che d’ombra ricuprian Cariddi.
Là dunque iu m’attenea , bramando sempre
Che rigettati dall'orrendo abisso
Fosser gii avanzi della nave. Al fino
Dopo un lungo desio vennero a galla* 670
Nella stagion che il giudicante , sciolte
Varie di caldi giovani contese ,
Sorge dal foro , e per cenar s’avvla ,
Dell'onde uscirò i sospirati avanzi.
Le braccia apersi allora , c mi lasciai
Giù piombar con gran tonfo alPonde in mezzo,
Non lunge da que' legni j a cui in’assisi
DI sopra , e delle man remi io mi feci.
Ma degli uomini il padre e de' Celesti
Di rivedermi nnu permise a Scilla ^ 6So
Chè toccata sariami orrida morte.
Per nove dì mi trabalzava il fiotto,
E la decima notte ì Dei sul lido
Mi gettar delPOgigia isola , dove
Caiipso alberga , la divina Ninfa,
Che raccoglieami amica , e in molte guise*
Digitized by Googic
6S
ODISSEA
Mi confortava. Perchè ciò ti narro? I Le odia con leco la tua casta donna ,
Tki cose , Alcinoo illustre , ieri le udivi , | E ciò ridir , ch’io dissi , a me non torna. 590
LIBRO DECIMOTERZO
ARGOMENTO
Naovi regali ad Ulii*e. Tutto c collocato nella nave , che ad Itaca dee condurlo. Egli s'accommiata dal re
e c’iiulKirca. 1 Feaci il depongono in su la spiaggia, mentre doniita j e al lor ritorno Nettuno couverte in pietra
la nave loro. DesUUisi , Ulisse non ricomwcc la patria per cagioo d una nebbia , che Fallade gli levò iDt<»rao.
QuesU gli appare in forma di pastorello ; grinsegna , qu.*l modo dovrà tenere per uccidere i Proci j e gli suggerisce
di nascondere in uu antro vicino i doni che i Feaci, in pirlcndo, avean lasciati sulUdo. Finalmente il trasforma
in vecchio mendico, acciocché niuno in Itaca il riconosca.
Statarsi tutti per l’oscura sala
Taciti , immoti , e nel diletto assorti.
Cust al fìiie il silenzio Alciuuo ruppe :
Poiché alla mia venisti alta , c di rame
Solido c liscio ediUcata casa ,
IMo * Ulisse , non cred’io che al tuo ritorno
Voiide t’agiteran , comunque afllitto
T’abbia sin qui co’ suoi decreti il iato.
Voi tutti , che votar nel mio palagio
T)el serbato ai più degni ardente vino io
Solete 1 nappi , ed ascoltare il vate ,
T’animo a quel , ch’io vi dichiaro , aprite.
Te vesti e 1 oro d’artiHcio miro ,
T ogni altro don , che de’ Feaci i capi
Pecaro al iorestier, l’arca pulita
Già nel suo grembo accolse. Or d'iin treppiede
Anco e d’uu’urna il presentiam per testa.
Indi farem , che tutta in questi doni ,
l>i cui male potremmo al grave peso
Kegger noi soli , la città concorra. 3u
Ùisse; e piacquero i detti, eal proprioalbergu
Ciascun , le piume a ri trovar , si volse.
Ma come del mattin la bella figlia
Aperse il ciel con le rosate dita
Vèr la nave aiirettavansi , portando
li bel , che onora l’iiom , bronzo loggiato.
To stesso re , ch’entrò per questo in nave ,
Attentamente sotto i banchi il mise,
Onde , mentre daran de’ remi iu acqua ,
Tfoii impedisse alcun de’Feacesi 3c>
Giovani , e l’ofTendesse urna o treppiede.
T'è di condursi al real tetto, dove
Ta men.«ia gli attendea , tardato i prenci.
Per lor u’Alcinoo la sacrata possa
tJn bue quel giorno uccise al ghirlandato
Tàtre nubi Signor deU'Universo.
Arse le pingui cosce , un prandio lauto
Celebran iie'ameiite; e il venerato
Dalla gente Demodoco , il divino
Camor, percuote la sonante cetra. 4o
Ma Ulisse il capo alla diurna lampa
Spesso torcea , so tramontasse al fine ;
Chè il ritorno nel cor sempre gli stava.
Quale a villan , che dalla prima luce
Co’ negri tori e col pesante aratro .
Un terreo franse riposato e duro,
Cade gradito il Sole iu occidente |
Pel desio della cena , a cui s'avria
Con lo ginocchia , che gli treman sotto j
Tal cadde a Ulisse in occidente il Sole. 5o
Tosto agli amanti del remar Feaci,
E al re più , che ad altrui , cosi drizzossi :
Facciansi , Alcinoo, i libamentì , e illeso
Mandatemi \ e gl’Iddii vi guardili sempre.
Tutti ho già i miei desir: pronta è la scorta ,
E della nave in sen giacciono i doni ,
JJa cui vogliano i Dei che prò ini vegna.
I Vogliano ancor , che in Itaca l’egregia
Consorte io trovi , e i cari amici in vita.
Voi, restandovi qui , serbate in gioja 6o
Quelle , che uniste a voi , vergini spose ,
E i dolci figli che ne aveste: i Numi
V’ornin d’ogni virtù , nè possa mai
I di vostri turbar pubblico danno.
^ Tacque} e applaudia ciascuno, e molto instava
5»i compiacesse allo stranier , da cui
Uscita era si nobile favella.
Ed Alcinoo all’araldo allor taì detti:
Fontonoo , il vino mesci , « a tutti in giro
Porgilo, acciò da noi, pregato Giove, yo
S’accommiati oggimai l'ospite amico.
Mescè l’araldo il vino , e il porse in giro }
E tutti dai lor seggi agl’immortali
Numi libare. Ma il divino Ulisse ,
Sorse, e d’Arete in man gemina pose
Tazza rotonda , e tai parole sciolse :
Vivi felici dì, regina illustre ,
Finche vecchiezza li sorprenda , e morte ,
Comun retaggio degli umani. Io parto :
Te del popol, de’figli e del marito 8o
II rlspesto feliciti e l’amore.
Disse, e varcò la soglia. Alcinoo innanzi
Muover gli fece il banditor, che al ratto
Legno il guidasse e al mare; e Arete dietro
Tre serve gli spedì , l’uiia con tersa
Tunica in mano, ed un lucente manto .
L’altra con la fedele arca , e con bianchi
Pani la terza, e rosseggianti vini.
Tutto da lor, come sul lido furo,
I remiganti tolsero , e nel fondo no
Della nave allogar ; poi su la poppa
Steser candidi lini e bella. coltre ,
Dove tranquillo il forcstier dormisse.
Vi montò egli , e tacito corcussì,
Digitized by Google
69
LIBRO DECIMOTEIIZO.
E qui sedean su i banchi , e, poiché sciolta
Dal traforato sasso ebber la fune ,
Faljgavan co’ remi il mar canuto.
Ma un dolce tonno al Laerziadc , un sonno
Profondo , ineccitabile , e alla nuu te
Per poco epual , su le palpebre scese. loo
Come talvolta in polveroso campo ^
Quattro maschi destrieri a un cocchip aggiunti,
E tutti dal flagel percossi a un tempo,
Sembrai! levarsi nel voto aere in alto,
E la proscritta via compier volando:
Si la nave correa con aita poppa ,
Dietro da cui prccinilava il grosso
Del risonante mar flutto cilestro.
Correa sicura , nè l’avria sparviere , |
Degli augei velocissimo , raggiunta , ilo j
Con si celere prora i salsi flutti ^ ,
Solcava , un uom seco recando ai Dii
Pari di senno, che ìiirmiti adanni
Durati avea tra Tarmi , avea tra Tonde ,
E allur , d’ubblto sparsa ogni cura , in braccio
D’un sonno placidissimo giacea.
Quando comparve quel si fulgid’astro ,
Che della rosea Aurora è raesjisggiero,
La ratta nave ad Itaca approdava.
Il porto è qui del marin vecchio Forco, 120
Che due sporgenti in mar lidi scoscesi,
E Tuno alTaliro ripieganti incontra,
Sì dal vento riparano e dal fiotto,
Che dì fune raestier non v'han le navi.
Spande sovra la cima ì larghi rami
Vivace oliva , e presso a questa un antro
S’apre amabile , oDaco, ed alle Ninfe
Ka)adi sacro. Anmrc ed urne, in cui
Forma» le iuduslri pecchie il inel soave,
Vi SOI! di marmo tutte, e pur di marmo ’3o
Lunghi telai , dove purpurei drappi,
Maraviglia a veder, tesson le Nini'e.
Perenni onde vi scorrono , c due porte
Mettono ad esso: ad Aquìlon si volge
L’una , c schludesi aìl’uom } l'altra , che Noto
Guarda, ha più del divino , ed un mortale
Per lei non varca : ella è la via de’ Numi.
II! questo porto ai Feacesi conto
l.lirittameiite entiò l’agile nave ,
Che sul lido andò mez2a : di sì forti 140
Remigatori la spingeaii le braccia !
Si gittaro nel lido ; e Ulisse in prima
Culbianchi lini e con la bella coltro
Sollevar dalla nave, e seppellito
Nel sonno , siccom'era , in su Tarena
Pose rio giù. Poi ne levare i doni ,
Ch’ei riportò dalla Feacia gente
Per favor di Minerva , e al piede uniti
Li collocaro della verde oliva ,
Fuor del cammin , non s’avvenisse in loro i5o
Viandante, e la man su lor mettesse,
Mentre l'eroe dormia. Quindi ritorno
Fean con la nave alla natia contrada.
Nettuno intanto , che serbava in mento
Le minacce che un dì contra il divino
Laerzìade scagliò , cosi il pensiero
Ne spiava di Giove : O Giove padre ,
Chi più tra 1 Dei m’onorerà, se onore
Nieganmi ì Fear.esl , che mortali
^ono , e a me dvoa Turigine ? lu credea iflo
Che della sua nativa isola ai sassi
Giunger dovesse tra gli aHanni Ulisse,
Cui nuu invidiava io quel ritorno*
Che tu gli promettesti , e d^l tuo capo
Confermasti cui cenno. Ma i Fi aci
Dormendo il traspoitàr su ratta nave ,
E in Itaca il deposero , e il colniaro
Di doni in bronzo, e in oro, e in bei tessati:
Ricchezza immensa , c qual dall'arsa Troja
Recato ei non avria , se con la preda, I70
Che gli toccò , ne ritornava illeso.
O della terra srijotilor possente,
Il nubiadunator Giove rispose ,
Qual parola parlasti ? Alcun de' Numi
Te in dispregio non ha , nè lieve fóra
Dispregiar Dio sì poderoso e antico.
Ma dove uom troppo di sue forze altero
T’osasse ingiuriar , tu ne puoi sempre ,
Qiial più t'aggradirà , prender vendetta.
Mi starei forse , o nubipadre Giove, 180
Neltun riprese , s'io dal tuo cornirrio
Non mi guardassi ognora ? Io de' Feaci ,
Perchè di ricoudur gli ospiti il vezzo
Perdano al Hn , strugger vorrei nel mare
L'inclita nave ritornante ; e in oltre
Grande alla lor città montagna Imporre.
Ciò , replicava il Nubipadre, il meglio ,
Ottimo Nume , anco a me sembra : quando
I Fcacesi scorgerai! dal lido
Venir la nave a tutto corso , e poco 190
Sarà lontana, convertirla in sasso ,
Che di naviglio abbia sembianza, e oggetto
Si mostri a ognun di maraviglia ; e in oltre
Grande alla lor città montagna imporre.
Lo Scuutiterra , udito questo appena ,
Si portò a Scheria in fretta , e qui leruiossi.
Ed ecco spinta dagl’illustri remi
Su per Tonde venir l'agile nave.
Egli àppressulla , e convertilla in sasso ,
E d’un sol tocco della man divina 2ou
La radicò nel fondo. Indi scomparve.
Molte allor de' Feaci in mar famosi
Fiir le alterne parole. Ahi chi nel mare
Legò la nave , che vèr noi solcava
L'acqiie di volo, e che-apparia già tutta ?
Così , gli ocelli volgendo al suo vicino,
Favellava talun ; ma rìmaiiea
La cagion del portento a tutti ignota.
Se non che Alcinoo a ragionar tra loro
Prese in tal foggia: Oh Dri! còl lo io mi veggo, a 10
Qual dubbio v’ha? dai vaticiuiì antichi
Del padre : che dicea , come sdegnato
Netlun fosse con noi , perchè securo
Ricondticiam su l’acque ogni mortale.
Dicea , che insigne de’ Feaci nave ,
Dagli altrui nel redirc ai porti suoi ,
Distruggerla iieli’oscure onde , e questa
Ciltade coprirla d’alta montagna.
Così arringava il vecchio , ed oggi il tutto
Si compie. Or via , sotiomettiainci ognuno: 220
Dai riumdur cessiam gli ospiti nostri ,
E dodici a Nettuno eletti tori
Sagrìfichìam , perchè di noi gl’iiicresca,
Nè d’alto monte la cttià ricuopra.
Disse. Penetrò in quelli uii timor sacro ,
E i corjiigei i tori apparccchiaru.
Digitized by Googic
ODISSEA
70
Mentre intorno alValtar prìeghi a Nettuno
Driuavan della Scherìa i Duci e i Capi^
Stregliossi il pari agl’immortali Ulisse,
Che su la terra sua dormia disteso , a3o
Nè la sua terra riconobbe ; stato
N'era iungc gran tempo , e Palla cinto
Ij’avea di nebbia , per celarlo altrui ,
E di quanto è mestier dargli contezza ,
Sì che la moglie, t cittadin , gli amici
Noi rav^TÌsin , che pria de’ tristi Proci
Fatto ei non abbia universal macello*
Quindi ogni cosa gli parea mutata ,
Le lunghe strade , i ben ditesi porti ,
£ le ombrose foreste , e Talte rupi. >4o
Sguardò termo su i piè la patria ignota,
Poi non tenne le lagrime , e la mano
Battè su l’anca, e lagrimando disse :
Misero ! tra qual nuova , estrania gente
Sono io ? Chi sa , se nequitosa e cruda ,
O giusta in vece , ed ospitale e pia ?
Ove questa recar nrolta ricchezza ,
Ove ire io stesso ? Oh nella Scherìa fosse
Kimasta , ed io giunto all’eccelsa casa
D’altro signor magnanimo , che accolto nSo
Dolcemente m’avesse , e rimandato
Securamente ! lo dove porla ignoro ,
Nè lasciarla vo’ qui , che altri la involi.
Men che saggi eran dunque , e men che probi
De’Feacesi i Condottieri e i Capi,
Che non alla serena Itaca , come
Dicean , ma in questa sconosciuta piaggia
Coudur mi fèru. Li punisca Giove
D-.;’ supplici custode , a cui nessuno
Celasi , e che non lascia inulto un fallo. 360
Queste ricchezze noveriam , reggiamo ,
Se via non ne portò nulla la nave.
Dette tai cose , i trìpodi superbi
Contava , e l’urne , e l’oro , e le tessute
Vesti leggiadre; e non falliaglì nulla.
Ma la sua patria sospirava , e molti
Lun^o il lido del mar romoreggiante
Passi e lamenti fca. Pallade allora,
Di pastorello delicato in forma ,
Quale un figlio di re mostrasi al guardo, 270
S’utlèrse a lui : doppia e ben fatta veste
Avea d’intorno agli omeri , calzari
Sotto i piè molli , e nella destra un dardo.
Gioì Ulisse a mirarla , e incontanente
Le mosse incontro con tai detti : Amico ,
Che qui primiero ini t’aOacci , salve.
Deh non mi t’aQacciar con alma ostile :
Ma questi beni e me serba , che abbraccio
X.e tue ginocchia » e te , qual Nume , invoco.
Che terra è questa? che città? che gente? 2do
Una dell’ondicintc isole forse?
O di fecondo continente spiaggia ,
Che scende in sino al mar ? Schietto favella.
Stolto sei bene , o di lontan venisti ,
La Dea rispose dall’azzurro sguardo,
Se di questa contrada , ospite , chiedi.
Cui non è nota ? La conosce appieno
Qual ver l’Aurora , e il Sol , qual vèr l’oscura
Notte soggiorna. Àlpestra sorge , e male
Vi si cavalca , nè si stende assai. 390
Sterile non però torna : di grano
Kisponde, e d'uva , e la rugiada sempre
Bagnala , e il nembo : ottimo pasco i buoi ,
£ le capre vi trovano , verdeggia «
D’ogni pianta , e perenne acqua l’irriga.
Sin d’ilio ai campi , che dal suolo Acheo ,
Come sentii narrar , molto distanno,
D’Itaca giunge , o forestiero , il nome.
Al nopie della patria , che su i labbri
Dell’immortal sonò figlia di Giove, 3oo
S’empiè di gioja il Laerziade , e tardo
A risponder non fu , benché , volgendo
Nel suo cor sempre gli artifici usali ,
Contraria al vero una novella ordisse.
Io già d’itaca udia nell’ampia Creta ,
Che lungi nel mar giace , e donde io veoni ,
Metà recando de’ miei beni, e ai figli
Lasciandone metà. Di Creta io fuggo ,
Perchè vi uccisi Orsiloco, il diletto
D’Idomenéo lìgliuul , da cui nel corso 3io
Uom non era colà che non perdesse.
Costui di tutta la Trojana preda ,
Che tanti in mezzo all’onde, in mezzo all’armo,
Travagli mi costò, volea fraudarmi ,
Sdegnato, ch’io d’altri guerrieri duce
Sotto il padre di lui servir negassi.
In quel ch’ei nella strada uscia dal campo,
Gli tesi insidie con un mio compagno,
£ di lancia il ferii. Notte assai fosca
L’aere ingombrava, c, non che agli altri, a lui.
Che di vita lo spogliai , rimasi occulto. 320
Trovai sul lido una Fenìcia nave,
£ a quegrillustri naviganti ricca
Mercede offersi , e li pregai che in Pilo
Mi ponessero . o in Elide divina ,
Dominio degli £pèi. Se non che il vento
Indi gli svolse, e forte a ior mal cuore;
Chè inganni non pensavano. Venimmo,
Notturni errando , a questa piaggia , e a forza
Di remi, e con gran stento, in porlo entrammo.
Nè della cena favellossi punto, 33o
Benché ciascuno in grande uopo ne fosse ;
Ma , del naviglio alfa rinfusa usciti ,
Gìacevam su l’arena. Ivi un tranquillo
Sonno me stanco invase ; e quei , levate
Dalla nave , e deposte , ov’io giacca ,
Le mie ricchezze, in vèr la popolosa
Sidone andaro , e me lasciar nel duolo.
Sorrise a questo la degli occhi azzurra ,
E con man careggìollo ; e uguale a donna 54o
Bella , di gran sembiante , e di famosi
Lavori esperta , in un momento apparve,
£ a così fatti accenti il volo sciolse :
Certo sagace anco tra i Numi , e solo
Colui saria, che d’ingannar nell’arte
Te superasse! Sciagurato , scaltro ,
Di frodi insaziabile , non cessi
Dunque nè in patria dai fallaci detti ,
Che ti piaccion così sin dalla culla ?
Mudi questo non più: che d’astuzie ambo 55o
Maestri siam : tu di gran lunga tutti
D'inventive i mortali , e di parole
Sorpassi ; tutti io di gran lunga i Numi.
Dunque la figlia ravvisar di Giove
Tu non sapesti , che a te assisto sempre
Nelle tue provo , e te conservo, e grazia
Ti fei trovare appo i Feaci? E or venni
1 Ter amiuonirti, c per celate i fatti
oogic
LIBRO DECIMOTERZO.
Col mìo soccorso a te splendidi doni ,
Non che narrarti ciò , che per dentino 36o
Nel tuo palagio a sopportar ti resta.
Tu soiTrì, benché astretto, e ad uomo o a donna
L’arrivo tuo non palesar ; ma tieni
Chiusi nel petto i tuoi dolori , e solo
Col silenzio rispondi a chi t’oltraggia.
E tosto il ricco di conaigli Ulisse :
Difiicilmente , u Dea , può ravvisarti
Mortai , cui t’appresenti , ancor che saggio,
Tante forme rivesti. Io ben rammento
Che visitar tu mi degnavi un giorno , 370
Mentre noi , figli degli Achivi , a Troja
Combattevam : ma poiché l’alte torri
Kuinammo di Priamo , e su le navi
Partimmo , e un Dio l’Achiva oste disperse.
Più non ti scòrsi, o del Tonante figlia,
Nè m’avvidi unnua, che m’entrasai in nave,
Per cavarmi d’alianno. Abbandonato
Solo a me stesso , e afflitto io già vagando ,
Pinchè pria , che il tuo labbro in tra i Feaci
Mi contortasse , e nella lor cìttade 58o
M'introducessi tu , le mie sventure
<Trjmmortali finirò. Ora io ti priego
Pel tuo gran padre , quando in terra estrana ,
Non nella patria mia , crederai , e temo ,
Che tu dì me prender ti voglia gioco ,
Ti priego dirmi , o Dea , se veramente
Degli occhi Itaca io veggio , e del piè calco.
È la Dea che rivolge azzurri i lumi :
Tu mai te stesso non ubblii. Quind’io
Non posso ai mali abbandonarti in preda; 390
Tal mostri ingegno , tal facondia e senno.
Altri , die dopo error molti giungesse ,
Sposa e figli mirar vorria reprnte ;
E a te nulla sapere , o chieder piace.
Se con gran cura non assaggi e fenli
Prima la tua , che invan t’aspetta , e a cut
S<‘orron nel pianto ì di, scorron le notti.
Dubbio io non ebbi mai del tuo ritorno,
Benché ritorno solitario c tristo :
Se non che al zio Netiun con te crucciato
Dell’occhio che spegnesti al tìglio in fronte,
Repugnar non volca. Ma orti mostro
.D’itaca il sito , e a credermi io ti sforzo.
Ecco il porto di Forcine, e la verde
Frondosa oliva che gli sorge in cima.
Ecco non lunge l’opaco antro ameno.
Alle Najadi sacro : la convessa
Spelonca vasta riconosci , dove
Ecatombi legittime alle Ninfe
Sagrificar solevi. Ecco il sublime 410
Nerito monte , che di selve ondeggia
Disse , e ruppe la nebbia , e il sito apparve.
Giubbilò Ulisse alla diletta vista 1
Della sua patria, e baciò l’alma terra*
Poi , levando le man , subitamente
Le Ninfe supplicò: Nàjadi Ninfe,
Non credea rivedervi , e con devote
Labbra in vece io salatovi , o di Giove
Nate , a cui doni purgerem novelli ,
Se me in vita conserva, e dì felici ì^2o
A Telemaco mio concede amica
La bellicosa del Saturnio figlia.
Ti rassicura , e non temer , riprese
La Dea dagli occhi di celestro tinti ,
7»
Che d’ajuto io ti manchi. Or senza indugio
Nel cavo sen della divina grotta ,
Su via , poniam queste ricchezze in salvo ,
£ di ciò consultiam che più ti torna.
Tacque , ed entrava nella grotta oscura ,
Le ascosaglie cercandone ; ed Ulisse, 43o
L’oro ed il bronzo , e le superbe vesti
Portando , la scguia. Tutto depose
Acconciamente deil’Egioco Giove
La figlia , e lantro d’un macigno chiuse.
Ciò latto , al piè della sacrata oliva
Ambi sedendo, e investigando l’arte
Di tor di mezzo ì temerarii Proci ,
Cosi a parlar la prima era Minerva :
Studiar cuiivienti , o Laerziade , come
Metter la man su gli arroganti drudi , 440
Che regnano in tua casa , uggì è terz’anno ,
£ della moglie tua con ricchi doni
Chiedono a gara le bramate nozze.
Ella , ognor sospirando il tuo ritorno ,
Ciascun di speme e d’impromesse alletta ,
Manda messaggi a tutti , ed altro ha in cure.
Ah ! dunque , le rispose il saggio Ulisse ,
Me dell’Atride Agamennón l’acerbo
Fato atteiidea nelle paterne case,
Se il tutto , inclita Dea , tu non m’aprivi. 4$o
Ma tu la via , che a vendicarmi io prenda ,
M’uddita , e a me soccorri , e quell’audace
Spirto m'infondi , che accendeami , quando
Stemmo di Troja le famose mura.
Mi starai tu del pari al fianco sempre ?
10 pugnar con trecento allor non temo.
Sempre al fianco m’avrai , non m’uscirai ,
La Dea riprese dalle glauche luci ,
Di vista un sol momento in questa impresa.
Questi superbì , che le tue sostanze 460
Mandano a male , imbratteran di sangue
L’immenso pavimento , e di cervella.
Ma io cosi vo’ trasformarti ; Ulisse ,
Che riconoscer non ti possa uom vivo.
Cotcsta liscia , ed ancor fresca pelle ,
Che le membra flessibili ti cuopre,
Disseccherò , raggrinzerò ; di biondo
Nulla ti rimarrà sovra la testa ,
£ te cìrconderan mìseri panni ,
Da cui lo Sguardo di ciascun rifugga. 4?^
011 occhi poi si belli ora , e si vivaci ,
Saran si oscuri , e avran lai pieghe intorno ,
Che turpe ai Proci , e alla tua donna e al figlio.
Cui lasciasti bambiti , cosa parrai.
Tu prima cerca de’ tuoi pingui verri
Il fido guardian , che t’ama , ed ama
Telemaco , ama la tua saggia donna.
Il troverai, che guarderà la nera
Greggia che beve d'Arclusa al fonte,
£ alla pietra del Corvo addenta , e rompe 4^
La dolce ghianda, per la cui vìrlude
Il florido sul dosso adipe cresce.
Quivi ti ferma , ed al suo fianco assiso
D'ocni cosa il richiedi; cd io frattanto
Andrò alla bella nelle donne Sparta ,
In traccia del figlitiol , che vi s’addusse.
Onde saper di te dal bellicoso
Menelao biondo , e udir , se vivi, c dove.
Perchè non dirgliel tu , cui noto è il tutto ?
Rispose il ricco di consigli Ulisse,
Digitized by Coogic
O D I S S E A
7*
Forse perchVi su rinferondu mar«»
Tormenti errando , come il padre , e intanto
Le sue sostanze a male altri gli mandi?
Ciò non t'aHligga , ripigliò la Dea
Che cilestre in aitrui le luci intende,
lo stessa , nome ad acquistarsi e grido ,
Già l'inviava là , 've niilla il turba :
Là , 've tranquillo , e d’ogni cosa agiato ,
Nel regai siede dcll'Atride albergo.
So ben che agguati in nave negra i Proci Òoo
Tendergli , draiando a lui dar morte
Pria ch’ei tomi; ma invan : chè anzi , lui vivo,
Coprirà i suoi nemici , e tuoi , la terra.
Disse Minerva , e della sua potente
Verga l'eroe toccò. S'inaridisce
La molle cute , e si riiicrespa; rari
Spuntano » e bianchi su la testa I crini ;
Tutta d'un vecchio la persona ei prende
Rotto dagli anni , e stanco ; e foschi , estinti
Son gli occhi, in che un diviii foco brillava. 5 io
Tunica trista , e mala cappa in dosso
L’amica Dea cacciógli , ambo squarciate ,
Discolorate , affumicate e sozze j
Siipra gli vestì ancor di ratto cervo
Un gran cuojo spelato , e nella destra
Pose bastone : ed una vii bi-saccia ,
Che in più luoghi s'aprìa , per una torta
Coreggia antica agli omeri sospese.
Preso il consiglio che più acconcio parve ♦
L'un dall’altro staccarsi ; e alla divina Ò20
Sparta f del figlio in traccia , andò Minerva.
LIBRO DECIMOQUARTO
ARGOMENTO
TJlisse friuDge alla casa d’EumÀ). Condizione in cut trovasi questo buon servo , accoglienza ch’ei fa al «uo
padrone senza conuscerlo, e colloquio che bauoo tra loro. Ulisse fìnge d'esser di Greti , e racconta le sue falsi*
avventure. Sag^'idziod’Euméo , e cena. Sopravvenuta itua notte fredda e tempestosa, Ulisse con altra finta novella
ottiene un manto dal servo ; e questi va a coricarsi sotto una spelonca in guardia delle sue maodrc.
Eji , la riva lasciata , entrò in un’aspra
Strada , c per gioghi e per silvestri lochi ,
Là si rivolse , dove Palla móstro
Gli avea l’inclito Kuméo , di cui fra tutti
D’Ulisse i miglior servi alcun non era ,
Che i beni delpadrou meglio guardasse.
Trovollo assiso nella prima entrata
D'un ampio e bello ed altamente estratto
Becinto a un colle solitario in cima.
Il fabbricava Euméo con pietre tolte io
Da una cava propinqua, e mentre lungi
Stavasi Ulisse, esenz’alcun dal veglio
Laerte , o de Penelope , soccorso:
D'un’irta siepe ricingealo , e folti
Di bruna , che spezzò , quercia scorzata
Pali frequenti vi piantava intorno.
Dodici v’eran dentro una appo l'altra
Comode stalle , che cinquanta a fiera
Madri feconde ricevean ciascuna.
I maschi dormìan fuor ; molto più scarsi , 3o
Perchè scemati dall'ingordo dente
De’Proci , a cui mandar sempre dovea
L'ottimo della greggia il buon custode.
Trecento ne contava egli , e sessanta ;
£ presso lor, quando volgea la notte,
Quattro cani giacean pari a leoni,
Che il pastor di sua mano avea nodriti.
Calzari allor s'accomodava ai piedi ,
Di bue tagliando una ben tinta pelle,
Mentre chi qua > chi là , gìano i garzoni. 3o
Tre conducean la nera mamira , e il quarto
Alla cittade col tributo usato
Lo stesso Euméo spedìalo , e a que* superbi ,
Cui ciascun dì gli avidi ventri empiea
Della sgozzata vittima la carne.
Videro Ulisse ì latratori cani ^
E a lui con grida corsero : ma egli
S’assise accorto , e il baston pose a terra.
Pur fiero strazio alle sue stalle avanti
Sofl'ria , s’Euméo non era , il qual , veloce 4<>
Scagliandosi dall'atrto, e la bovina
Pelle di man lasciandosi cadere ,
Sgridava i suoi mastini , e or questo, or quello
Con spesse pietre qua , o là cacciava.
Poi , rivolto al suo re; Vecchio , gli disse ,
Poco falli non le n’andassi in pezzi ,
E il biasmo in me ne ricadesse , quasi
Sciagure altre io non pata , io , che dolente
vSiedo , e piango un signore ai Numi eguale ,
E i pingui verri all altrui gola allevo ; 5o
Mentr’ei s’agglra per estranie terre
Famelico e digiuno : ove ancor viva ,
E gli splenda del Sole il dolce lume.
Ma tu sieguimi , o vecchio, ed al mio albergo
Vientene , acciò , come di cibo e vino
Sentirai sazio il naturai talento ,
La tua patria io conosca , e i mali tuoi.
Ciò detto , gli entrò innanzi , e l’introdusse
Nel padiglione suo. Qui di fogliosi
Virgulti densi , sovra cui velloso 6o
Cuojo diste.se di selvaggia capra ,
Gli feo , non so qual più , se letto , o seggio.
]..'eroG gioia dell’accoglienza amica ,
E così favellava : Ospite , Giove
Con tutti gli altri Dei compia i tuoi voti ,
E d’accoglienza tal largo ti paghi
.E tu così gli rispondesti , Euméo :
Buon vecchio , a me non lice uno straniero ,
Fosse di te inen degno , avere a scherno ;
Chè gli stranieri tutti , ed i inendici 70
Vengon da Giove. Poco fare io pi»so ^
Poco potendo far servi che stanno
Digitized by Google
-3
LIBRO DECIMOOUARTO.
Sempre in timor sotto un novello impero:
Pure anco un picciul don grazia ritrova.
Colui iVaudaro del ritorno i Numi,
Che amor sincero mi portava , e dato
Podere avriami , e casa , e donna molto
Bramata ; e quanto al fin dolce signore
A servo dà , che in suo prò sudi , e il cui
Tiavaglio prosperar degnino i Dei , 6o
Come arridono al mio. Certo ei giovato ,
Se incanutiva qui , molto m’avrebbe.
3VTa perì l’inielice. Ah perchè tutta
D’Elena in vece non peri la stirpe
Che di cotanti eroi sciolse le membra ?
Quel prode anch’ei volger le prore armato,
Per l’onor degli Atridi , a Troja volle.
Detto così , la tunica si strìnse
Col cinto, ed alle stalle in fretta mosse,
K , tolti due dalla rinchiusa mandra 90
Giovinetti porcelli , ambo gli uccise,
Gli abbronzò , gli spartì, negli appuntati
Spiedi gl’iniisse : indi , arrostito il tutto ,
Caldo e fumante negli stessi spiedi
Recollo , e il pose al Laerziade innanzi ,
B di farina candida l’asperse.
Ciò fatto , e in tazza d’ellera mesciuto
L'umor dolce dell’uva , a lui di fronte
S’assìse , e rincorollo in questa forma :
Su via, quel mangia, o furestier, che a servi 100
Lice imbandir , di porcelletti carne :
Quando i più grandi corpi ed i più pingui
Li divorano i Proci , a cui non entra
Pietade in petto , nè timor de’ Numi.
Ma non anian gli Dei l’opre malvage ,
B il giusto ricuinpensano , ed il retto.
Quelli , che armati su le altrui riviere
Sc;enduuo , e a cui tornar Giove consente
Co’ legni carchi alla natia contrada ,
Spavento ad essi ancor delle divine 1 io
Vendette passa nel rapace spirto.
Certo per voce umana , o per divina ,
ITan della morte del mio re contezza ,
l’oichè nè gareggiar , come s’addice ,
Per la sua donna , nè ai dominii loro
Voglionsi ricondur; ma gli altrui beni
Senza pudore alcun struggono in pace.
Giove dì , o notte non produce, in cui
Una vittima o due , paghi li renda ,
B il più scelto licor bevono a oltraggio. 120
Dovizia molta ei possedea , qual venti
Sul continente , u in Itaca , mortali
Non felicita insieme. Udirla vuol ?
Dodici armenti nell’Epiro, e tante
Di pecorelle greggi e di majali ,
Tanti di capre comodi serragli ,
Di domestici tutto , e di stranieri
pastori a guardia. In Itaca serragli
Di capre undici , e larghi , e nell’estremo
Tutti della campagna, e con robusti i3o
Custodi , che ogni dì recano ai drudi
Qual nel vasto capril veg'gion più grassa
Bestia , e più bella. Io sovra i porci veglio ,
B della mandra il hor sempre lor mando.
Ulisse intanto senza dir parola
Tutto in cacciar la fame era , e la sete ,
B mali ai Proci macchinava in petto,
limi ranca ti ch’egli ebbe i bacchi spilli ,
omss£A.
Eiiméo la tazza , entro cui ber solea ,
Colma gli porse , ed ei la prese , e questi 140
Detti , brillando in core , ad Euméo volse :
Amico , chi l’uom fu si ricco e forte ,
Che del suo ti comprò , come racconti ?
Morto tu il dici per J’Atridc. Io forse
Conobbilo. Il Saturnio e gli altri Numi
Sanno , s’iu di lui visto alcuna posso
Contezza darti , io , che vagai cotanto.
Veccliio , rispose Euméo d’uomini capo ,
Pellegrin che venisse oggi il ritorno
Del Kege a nunziar, nè la sua donna i5o
Gli crederebbe , nè il diletto figlio.
Troppo usati a mentir son questi erranti ,
Che mestieri han d’asilo. Un non ne giunge ,
E alla reina mia non si presenta,
Che false cose non favelli , u vane :
Tutti ella accoglie con benigno aspetto,
Cento cose domanda , e dalle ciglia
Le cadono le lagrime : costume
Di donna , cui morì lo sposo altrove.
E chi m’accerta che tu ancor, buon vecchio, 160
Una favola a ordir non fossi pronto ,
Dove tunica e manto altri ti desse?
Ma ì cani , io temo , ed i veloci augelli
Tutta dall’ossa gli staccar la cute ,
O i pesci il divoraro , e Tossa ignudo
Giaccion sul lido nell’arena involte.
Così perìo , lungo agli amici afianno
I.asciandu, ed a me più, che ovunque io vada
Non ispero trovar bontà sì grande,
Non , se del padre e della madre al dolce 170
Nativo albergo io riparassi. È vero
Che rivederli ardentemente io bramo
Nella terra natia : pur men li piango
D’Ulisse, ond’io l’assenza ognor sospiro.
Ospite , così appena io nomar Toso ,
Benché lontan da me : tanto ei m’amava ,
Tal pigliava di me cura e pensiero.
Maggior fratello , dopo ancor la cruda
Sua dipartita , io più sovente il chiamo.
Dunque, l’eroe riprese , al suo ritorno 180
Non credi , e stai sul niego ? Ed io ti giuro ,
Che Ulisse riede ; nè già parlo a caso.
Ma tu la strenna del felice annunzio
M’appresta , bella tunica e bel manto,
Di cui mi coprirai , com’egli appaja.
Prima , sebben d’ogni sostanza scusso ,
Nulla io riceverei: cliè delle Inferno
Porte al par sempre io detestai chi vinto
Dalla sua povertade il falso vende.
Chiamo il Saturnio in testimonio, chiamo 190
L'ospitai mensa, e dell’egregio Ulisse
Il venerando focolar, cui venni :
Ciò , ch’io dico, avverrà. Quest’anno Istessu,
L’un mese uscendo, o entrando l'altro, il piede
Ei metterà nella sua reggia , e grande
Di chiunque il bgliuolo , e la pudica
Dolina gli oltraggia , prenderà vendetta.
E tu in risposta gli dicesti , Euméo :
Nè strenna , o vecchio, io ti darò , nè Ulisse
Metterà più nella sua reggia il piede. 200
Su via , tranquillo bevi , e ad altra cosa
Voltiam la lingua: chè mi cruccia troppo
Di sì nubii signor la rimembranza.
Lasciam da parte i giuramenti , e Ulisse
IO
Digitized byGoogle
ODISSEA
74
Venga , qual bramlam tutti , io » la regina ,
E l'antico Laerte , e il pari a un Nume
Telemaco, per cui tremando io vivo.
Questo fanciullo , che d’Ulisse nacque ,
È cui poscia , qual pianta in ilorid’orto,
Crebber gli Dei, sì ch’io credea che il padre aio
Di senno aggiiaglieria , come d'aspetto ,
La dritta mente or degli Eterni alcuno
Gli offese , io penso , o de' mortali. Ei mosse ,
J/orme paterne investigando , a Pilo ,
E ag«uafì i Proci lendongli al ritorno ,
Perchè tutto d'Arcesio il sangue manchi.
Or nè dì questo più : trarranlo a morte
Forse i neiiiki , o forse a voto ancora
Le insidie andranno , e la sua destra Giove
.Sul capo gli terrà. Ma tu gli aB'anni 220
Tuoi &te.ssi« o vecchio>e il tuo destin mi narra.
Chi sei tu ? Donde sei ? Dove i parenti ?
Dorè ia tua cìtià ? Qual ti menaro
Nocchieri , e di qual guisa , a con qual nave?
Certo in Itaca il piè non ti condusse.
Tutto , rispose lo scaltrito Ulisse ,
Schiettamente io dirò. Ma un anno intero ,
Che , fuori uscito a sue faccende ogni altro ,
Pa noi si consumasse ad una lauta
Nei padiglione tuo mensa tranquilla , 200
Per raccontar non basteria le pene
Di cui tessermi ai Pei piacque la vita.
Patria m’è Pampìa Creta , e mi fu padre
Picco uom , cui di legittima consorte
Molti nacquero in casa ecrebber figli.
Me compra donna generò , nè m’ebbe
Men per ciò de’ fratelli il padre in conto ,
L'iiacide Castór, di cui mi vanto
(ientirmi il sangue nelle vene , e a cui
Per fortuna , dovizia e illustre prole 240
Divin rendeasi dai Cretesi onore.
Sorpreso dalla Parca , e ad Aide spinto ,
Tra sè partito le sostanze i figli,
Gittate in pria le sortì , e me dì scarsa
Provvigion consolavo, ed’umil tetto.
Ma donna io tolsi di gran beni in moglie,
E a ine solo il dovei ; però eh’ io vile
Non fui d’aspetto , nè fugace in guerra.
E benché nulla oggi mi resti , e gli armi
M’opprimano, ed i guai , la messe, Ìo credo 260
Può dalla paglia ravvisarsi ancora.
Forza tra l'armi e ardir Marte e Minerva
Sempre infusero a me , quando i migliori
Per gli agguati io scegliea contra i nemici j
O allor che primo , e senza mai la morte
Dinanzi a me veder , nelle battaglie
Mi scagliava , e color , che dal niio brando
Si .sottraeaiio , io raggiungea con Tasta.
Tal nella guerra io lui. Me dcdia pace
Non diletiavan Parti , o della casa 260
Le molli cure , e della prole. Navi
Dilettavano , e pugne , e rilucenti
Dardi , e quadrelli acuti : amare , orrende
Cose per molti , a me soavi e belle.
Come varii deli’uom sono i desiri.
Prima che la greca oste Ilio cercasse ,
Nove f iate ìo comandai sul mare
Contra gente straniera j e la fortuna
Così m'arti&e , che tra ciò , che in sorte
Toccouinii delia preda, e quel ch’io stesso 270
A mio senno eleggea , rapidamente
Crebbe il mio stato , e non passò gran tempo |
Che in sommo pregio tra i Cretesi io salsi.
Ma quando Giove quel fatai viaggio
Prescrisse , che mandò tante alme a Fiuto ,
A me de’ legni ondivaghi , ed al noto
Per fama Idumenéo , diero il governo ,
Nè modo v’ebbe a ricusar : sì grave
Il popolo , e sì ardita , ergea la voce.
Colà nove anni pugnavam noi Greci , 280
E nel decimo al fin , Troja combusta ,
Kitornavamo ; e ci disperse un Nume.
Se non che Giove una più ria ventura
Contra me disegnò. Passalo un mese
'J‘ia i figli cari appena , e la diletta
Sposa , che vergili s’era a me congiunta ,
Novella brama dell’Egitto al lidi
Con egregi compagni , e su navigli
Ben corredati a navigar m’indusse.
Nove legni adornai ; nè a riunirsi 290
Tardò l'amica gente , a cui non poche
Pe’ sagrifizj loro e pe’ conviti ,
Che duraro sei di , vittime io dava.
Le seuinTalba in Oriente apparsa ,
Creta lasciammo , e con un Borea in poppa
Sincero e fido , agevoiineule , e come
Sovra un fiume a seconda , il mar fendemmo.
Nave non fu nè leggiermente offesa,
£ noi sicuri sedevam , bastando
I timonieri al nostro uopo , ed il vento. 3oo
Presa il di quinto la bramata foce
Del ricco di bell’onda Egitto fiume,
Io nei fiume arrestai le veleggianti
Navi , e ai compagni comandai che in guardia
De’ legni rìmaiussero , e la terra
Gisseio alcuni ad esplorar dalTalto.
Ma questi , da un ardir folle e da un cieco
Desio portati , a saccheggiar le belle
Campagne degli Egizj , a via menarne
Le donne e i figli non parlanti, i grami 3io
Coltivatori a uccidere. Ne giunse
loslo il remore alla città , nè prima
L’Aurora comparì , che i cittadini
Vennero , c pieno di cavalli e fanti
Fu tutto il campo , e del fulgor deU’armi.
Cotale allora il Fulminante pose
Desir dì fuga de' compagni in petto.
Che un sol lar fronte non osava : uccisi
Fur parte , e parte presi , e ad opre dure
Sforzati} e, ovuuque rivolgeansi gli occhi, 5ao
Un disastro appaila. Ma il Saturnide
Nuovo consiglio m’iiispirò ne] core.
Deh pertliè iielTEgitlo anch’io non caddi ,
Se nuovi guai m’apparecchiava il fato?
Io Telmo dulia le'»ta al suol deposi ,
Dagli omeri lo scudo , e gittai funge
Da me la lancia : indi ai cavalli incontro
Corsi e al cocchio del re , strinsi e baciai
Le sue ginocchia ; ed ei serbotnmì in vita..
Compunto di pietà , me , che piagnea , 35»
Levò nel cocchio , e al suo pahigio addusse.
È ver che gli altri m’a.ssalian con Tasto
Di rabbia accesi , e mi voieano estinto.
Ma il re lontani e con cenni e con voci
Teneali per timor dell’ospitale
(ìiove , che i dupplicanti, a cui mercede
Digitized by Coogic
LIBRO DECI
Dairiiom non s*«si , Tendìcar suol sempre.
Sctt'aniii io colà vissi ; e as^aì tesori
Baccolsi: doni mìporgea chiunqiif*.
Poi, volgendo l’ottavo anno, un Fenice 3^0
Comparve , uom f riudolento , e di menzogne
Gran fabbro, che già molti avea tradito.
Ideila Fenicia a segu tarlo , dove
Casa e poderi avea , costui piegummi ;
B seco io dimorai di sole un giro.
IVTa , rivolto già Tanno , e le stagioni
Tornate in se rol trapassar de’ mesi ,
Bd il cerchio dei dì lunga! compiuto ,
Far vela volle per la Libia, e finse
Non poter senza me carrnr la nave. .3òo
Che nave? in Libia vendermi a gran prezzo
Pensava il tristo. Io che potea ? Costretto ,
I)i nuovo il seguita» : benché del vero
Mi trascorresse per la mente un lampo.
Sm Creta sorse il rapido naviglio ,
Cile un gagliardo Aumlun feriva in poppa ,
Mentre gli ordia Tultimo eccidio Giove ,
Già nè più Creta si vedea, nè altra
Terra , ma cielo in ogni parte , o mare ,
<^)uando il Fulmìnator su) nostro capo 36u
Sospese d’alto una cerulea nube ,
Sotto a cui tutte intenebrarsi Tacque.
Tonò più volle , e al fin lanciò il suo telo
Coiitra la nave , che dei fiero colpo
Sì contorse , s’empieo di zolfo , e tutti
Ne radettero giù. Quai corvi, intorno
Le s’a^giravan su per Tonde , e Giove
Lor togliea con la patria anco la vita.
Salvò me solo nel mortai periglio :
Che alle mani venirmi lece ì) lungo 370
Albero della nave , a cui m’attenni ,
B così mi lasciai su i tempestosi
Flutti portar per nove giorni ai venti :
Fincliè la notte decima mi spinse
De’Tesproti alla terra il negro fiotto.
Qui de’Tesproti il sir, IVroe Fidane ,
Generoso m’accolse. A sorte il figlio
Sul lido mi trovò tutto tremante
Di freddo , e ornai dalla fatica vinto ,
B , con man sollevatomi , del padre 38<>
Al reai tetto mi condusse , e pormi
Tunica e manto si compiacque in dosso.
Quivi io d’UIisse udii. Diceami il rege ,
ClTei l’accolse , e il trattò cortesemente
Nel suo ritorno alle natie contrade j
E il rame e Tòr mostravami , ed il ferro ,
B quanto al fin di prezioso e bello
Ulisse avea raccolto , e nella reggia
Ueposto : forza , che per dieci eludi
Failri e figliuoli a sostener bastava.
E agciungea , che a Dudona era passato,
Per Giove consultare, e udir dall’alta
Quercia indovina . se ridursi ai dolci
Culli d’Itaca sua dopo sì lunga
Stagion dovea palesamente , o ignoto.
Poi , libando, giurò ch’era nel mare
Tratta la nave , e i remiganti pronti ,
Per rimenarlu in Itaca. Ma prima
Me stesso accommiatò : chè per ventura
Al ferace Dulichio un legno andava 4co
Di nocchieri Tesproii. Al rege Acasto
Costor dovean raccomandarmi , e in vere
M O Q U A R T O,
Un consiglio tessean , perch’io cadessi
Nuovamente ne’ guai. Come lontano
Da terra fu Tondivagaiite legno,
11 negro m’apparì giorno servile.
Tunica e manto mi spoglìaro, e questi
In dosso mi gettar laceri panni ,
K , venuti all’amena Itaca a notte ,
Me nella nave con ben torta e salda 410
Fune legaro. Indi n’iisciro, e cena
Frettolosa del mar presero in riva.
Ma un Nume ruppe i miei legami ; ed io
(tiù sdrucciolai pel timon lìscio , al mare
Mi consegnai col petto , e ad anil>e mani
Nòtando remigai sì , che in brev'ora
Fuor di lor vista io fui. Giunsi , ove bella
Sorgpa (li querce una foresta , e giacqui.
Quei , di me con dolore in traccia nio»si ,
Nè credendo cercarne invan più oltre , 430
Si rimbarcaro ; e me gTlddii , che ascoso
Facilmente m’avean, d’un uom saputo
Guidar l>enigni al pastureccio albergo ,
Poiché in vita il destin mi vuole ancora.
B tal fu a lui la tua risposta , Buniéu :
O degli ospiti misero, tu Taima
Mi commovesti addentro , i tuoi viaggi
Narrando , e i mali tuoi. Sol ciò non judo ,
Che d’UUsse dicesti ,e non tei credo.
Perchè, degno uom, qual sei, mentire indarno?
So anch’io pur troppo, qual dei suo riCurnu 4^0
Speme nodrir si possa , e l’infinito ,
Ctie gii portano 1 Numi , odio io conosco.
Quindi ei non cadde , combattendo , a Troja ,
O degli amici in sen dopo la guerra.
Sepolto avrianlo nubilmente j Greci ,
R dalla tomba sua venia un rilunipo
Di gloria al suo fìglìuuJ : ma iiionuiato
Le Arpìe crudeli sei rapirò in vece.
Tale io ne provo duo!', che appo la niandra 440
Vivomi occulto, ed a città non vado,
.Se non quando Penelope , comparso
Da qualche banda con novelle alcuno ,
Chiamami a sè per caso. Allora stanno
Tutti d’intorno alio straniero , e mille
Gli fan domande ; cosi quei , che duglia
Dell’assenza del re sentono io petto ,
Come color , che gioja j e le sostanze
Ne distruggon frattanto in tutta pace.
Ma io domande far dal dì non amo ,
Che mi deluse un vagabondo Btólo ,
Reo d’omicidio , che al mio tetto giunse.
Molto io l’accarezzava ; ed ei mi disse ,
Che presso Idomenco nell’ampia Creta
Veduto avealo risarcir le navi
Dalla procella sconquassate, e aggiunse
Che Testate o l’autunno , al suo paese
Capiteria ben compagiiato e ricco.
Or non volermi tu , vecchio infelice ,
Con falsi detti , poiché un Dio t’addusse , 4òe
Mulcere o lusingar : chè non per questo
Ben trattato sarai , ma perrliè temo
L’ospitai Giove , e che ho di te pietade.
Un incredulo cor , rispose Ulisse ,
Tu chiudi in te, quando a prestai mi feda
Nè co’ miei giuramenti indur ti posso.
Su via , fermisi un patto, e testimoni
Ne sian dalTalto gl’immortali Del.
DIgitizea oy Vjoogk'
O D I S S E A
Bie<Jerà il iun signor , com'io predissi ? ,
Tuuica e mautu vestimi , e a Duliclìio 47^
JVli manda , ov’io da molli giorni ir bramo.
Ha s*ei non torna , eccita i servi ^ e getta
Me capovolto da un’eccetsa rupe ,
Sì che più non ti beiiì alcun mendico.
Gran merto in vero , c memorabil nome ,
Il pastor ripigliò , m’acquisterei
Appo la nostra c la ventura elade ,
•Se, ricevuto avendoti e trattato
Ospitalmente, io t’uccidessi , e fuori
Ti traessi del sen l’anima cara ! 480
Come iratico io potrei preghiere a Giove
Porgere allora 1 Or della cena è il tempo.
1 miei compagni entreran tosto , e lauta
S’appresterà nel padiglion la mensa.
Così tra Jor diceano; ed ecco il nero
Gregge , e i garzoni che ne’ suoi serragli
Metteanlo : immenso delle pingui truje,
Che andavansi a corcar , sorse il grugnito.
Katto ai compagni favellala Euméo :
X’ottimo a me de’ porci , affinchè niuoja 490
Pel venuto di lungi ospite , e un tratto
?»oì pur festa facciam , noi , che soiiViamo
Per questo armento dalle bianche sanne ,
Menire in riposo e in gitqa altri le nostre
l'atiche sì divorano . e. gli affanni.
Detto cosi , con affilata scure
Quercia secca recise j e quelli un grasso
D anni cinque d’età porco menaro f
!E al focolare il collocar davanti.
INè de' Celesti Kuméo , che multo senno 5oo
INutriva in sè , dimeniicossi. 1 peli
Dal capo svelti del grugnante, in mazzo
Gittolli al foco, e innalzò voti ai Numi
Pel ritorno d’UlIsse. Indi un troncone
Della quercia , ch’ei fèsse , alto ievaudo ,
Percosse , e senza vita a terra stese
Da vittima. I garzoni ad ammazzarla ,
Ad abbronzarla c a farla in pezzi ; ed egli
1 crudi brani da ogni membro tolti
Parte metlcali su l’omento , e parte 610
Di farina bianchissima cospersi
Consegnavali al foco. Il resto tutto
Poi sminuzzaro, e l’abbrostiro infìsso
Cua mudo acconcio negli spiedi , e al fine
Dagli spiedi cavato in su la mensa
Poserlo. Euméo , che sapea il giusto e il rètto,
Sorse, o il tutto divise in sette parti :
Offrì l’ima alle Ninfe , ed al figliuolo
Di Maja , e l’altre a ciascun porse in giro.
Ha dell’intera del sannuto .schiena òso
Solo Ulisse onorava , e gaudio in petto
Spandea del Sire , che diceagli : Eumóo ,
Così tu possi caro al padre Giove
Viver , qual vivi a me , poiché si grande
Nello stato , in ch’io son , mi rendi onore.
E tu dicesti , rispondendo , Euméo :
O preclaro degli ospiti , ti ciba ,
D di quel godi , che imbandirti io valgo.
Concede , o nieua , il Correttor del mondo ,
Come gli aggrada più ; chè tutto ei puote, ò5o
Ciò detto , ai Numi le primizie offerse j
Xi , libato ch’egli ebbe , in man d’Ulisse ,
Che al suo loco sedea , pose la tazza.
Mesaulio , ch’ei del proprio, e noi sapendo
I Nè la regina , nè I..aerte , aver ,
Mentre lungi era il sir , compro dai Tafj ,
Il pane dispensò. Steiuleaiio ai cibi
La mano ; e , paga del mai^iar la voglia ,
Paga quella del , Mesanlio il pane
Raccolse , e gli altri a darle membra a) sonno
Ristorati affrettavansi e satolli.
Fosca sorvenne c disastrosa notte :
Giove piovea senza intervallo, e fiero
Di Ponente spirava un vento acquoso.
Ulisse allor , poiché vedeasi tanto
Carezzato da Euméo, tentare il volle ,
Se gli prestasse il proplro manto , o almeno
Quel o’alcun de’compagni aver gli fesse.
Euméo , diss’eglì , ascoltami , e j compagni
M’ascoltin tutti. Io millantarnii alquanto 55o
Voglio , qual mi comanda il folle vino ,
Che talvolta i più saggi a cantar mosse
Più là d’ogni misura , a mollemente
Rider , spiccar salti improvvisi , ed anclie
Quello a parlar , ch’era tacere il meglio.
Ma dacché un tratto a cicalare io presi ,
Nulla io terrò nel petto. Gii di quel fiore
Fossi , e tornassi in quelle forze , ch’io
Sentiami al tempo , che sott'llio agguati
Tendemmo, Ulisse, ed il secondo Atride, 56o
B , così ad essi piacque, io terzo duce !
Tosto che alla cittade all’alte mura
Vicini fummo , tra i virgulti densi ,
E nelle canne paludose a tvrra
Giacevam sotto l’armi. Impronta notte
Ci assalse : un crudo Tramuntan soffiava ,
Scendea la neve , qual gelata brina ,
B gfi scudi incrostava il ghiaccio. Gli altri ,
Che manti aveaiio e tuniche , tranquilli
Dermian , poggiando alle lor targlie il dosso.
Ma io , partendo dai compagni , il manto Ò70
Velia stoltezza mia lasciai tra loro ,
Von isperando un si pungete verno ;
B una tunica , un cingolo e uno scudo
Meco sol tolsi. Della fiotto il terzo
Era , e gli astri cadevano , e ad Ulisse ,
che mi giacea da presso , io tai parole ,
Frugandolo dei gomito , rivolsi :
Illustre e scaltro di Laerte jìglio ,
Cosi mi doma il gel , ch’io più tra i vivi 58o
Non rimarrò. Mi falla un manto. Un Dìo,
Che mi deluse , di vestirmi solo
La tunica inspirommi. Or quale scampo ?
Ei , le parole udite, un suo partito
Scelse di botto , come quei , che meno
\i consigli non fu , che all'arrai , proirto.
Taci , rispose con sommessa voce,
Che alcuu Greco non t’oda. E poi , del braccio
Facendo , e della man sostegno al mento ,
Amici , disse , un sogno . un divin sogno , 690
Dormendo m’avverti, che dilungati
Troppo ci siam dalle veloci navi.
Quindi al pastor dì genti Agamennòne
Gorra un di noi , perchè , se ben gli sembra ,
Ne mandi altri guerrieri , e ne rinforzi.
Disse , e Toante, d’Andremóne il figlio ,
Sorse , e corse al navil , deposto prima
Il porpureo suo manto; ed io con gioja
Men cinsi, e vi stetti entro, in sin che apparve
Sul trono d’òr la diliru^ea Aurora. 6oa
77
r I B n o DECI
Se quel fior, quelle forze io non piangesisì ,
Me torse alcun dei tuoi compagm , Kuméo ,
l’er riverenza e amore ad un buon verchio^
Di manto iuriiiria : ma or, veggendo
Questi miei cenci , ciBScuii tiemini a vile.
Tu così , Kuméo , gli rispondesti allora :
Bella fu , amico , la tua storia , e un motto
!Non t'uscì delle labbra o sconcio o vano.
r«?iò di veste , o d’altro , che infelice
Merta supplicante uomo , in questa notte 6to
Difetto non avrai. Ma , nato il Sole ,
T’adatterai gli usati panni intorno.
Poche son qui le cappe , e a suo pÌ««oere
Di tunica non puote alcun mutorsi :
Star dee contento ad una sola ognuno.
Come giunto sarà d'Ulisse il figlio ,
Ki di vestirti e di mandarti , dove
Ti consiglia il tuo cor, pensicr darassi.
S’alzò , così dicendo , e presso ai loco
Poneagii il letto , e di luuntoui e capre Gao
M O Q U A R T O.
pelli stendeavi , in che l’eroe sdrajossi ;
E d’uii largo il coprì suo denso manto ,
Ch'egli a sè stesso circondar soiea ,
Quando turbava il ciel fiera tempesta.
Così là giacque Ulisse ; e accanto a lui
Si corcaro i garzoni : ma corcarsi
Disgiunto da’ suoi verri Kuméo non volle,
l'uort uscito ei s’armava ^ e Ulisse in core
Gioia , mirando lui del suo re tanto
Curate i beni , benché lungi il creda. 63o
Prima ei sospese agli omeri gagliardi
L’acuta spada : indi a sè intorno un folto
iìTanto gìttò , che il difendea dal vento;
Tolse una pelle di corputa e grassa
Capra ; c un pungente dardo in man recossi ,
Degli uomini spavento c de’ mastini.
Tale s’andò a corcar, dove protetti
Dal soiTio d’ Aquilone i setolosi
Verri dormian sotto una cava rupe.
LIBRO DECIMOQUINTO
ARGOMENTO
Mioerva ippare di notte a Tclemaoo, e il conforta di tornare in Itaca. Ei ai con^^a da Menelao, e parte
col figliuolo di Nestore. Giunto a Pilo, si riitilMrca, «enza rientrare nella città; e accoglie mdU sua nave uu
indovino d'Argo, chiamato Tcocliim’no , che fu ct»stn-ttu lasciar la patria per ocnicidio. Frattanto nll(w|uii Ira
Cinse ed Euiuro ; il quale , nt-n riconoacendulo atMora , gli narra , coste da airsari Fcnidi rapilo fu mcntrVra
fanciullo, dairisola Siria, e venduto a Laerte. Icleuiarn , arrivato salvo alle spiagge d’iuca, manda alla atù
la nave , e va tutto solo alla casa d'Euméo , di cui conosce la CedcUà.
ELL’ampia Lacedemone Minerva
^ Entrava intanto ad ammonir d’Ulisse
L’inclita prole , che di far ritorno
Alle patrie contrade era già tempo.
Trovollo che giacca di Menelao
Kell’atrio con Pisistrato. Ingombrava
Un molle .sonno di Ncstorre i) figlio t
Ma PUlissUle , cui l'incerta sorte
Del caro pndre fieramente turba,
Pensavane ad ognora , c invan per Ini i o
D’nlto i balsami suoi spargea la notte.
La Dea , che azzurri gli occhi in giro muove,
Appressollo , e , Telemaco , gli disse ,
Non fa per te di rimanerti ancora
D’ Itaca fuori , e lungi dall’altera
Turba malnata degli arditi Proci,
Che , divisa tra lur la tua sostanza ,
Divorinsi al fin tutto , e , non che vano ,
Dannoso a te questo viaggio torni.
Lévati , e pressa il valoroso Atride 3o
Di congedarti , onde nel tuo palagio
Trovi la madre tua , che Icario il padre
Co’ fratelli oggiroai sforza alla mano
D’Eurimaco , il qual cresce i maritali
Doni , e ugni suo rivai d’ambito vince.
Guarda , non del palagio a tuo dispetto
Parte de’ beni con la madre l’esca :
Però che sai , qual cor s’abbia ogni donna.
Ingrandir brama del secondo .sposo
La nuova casa ; e de’ suoi primi figli , 3o
K di colui che vergine impalmollu ,
Non si rammenta più , più non ricerca ,
Quando ei nel bujo della tomba giace.
Tu , partita la madre , a quale ancella
Più dabbene ti sembri , e più sentita ,
Commetti il tutto , finché illustre sposa
Ti presentino al guardo i Dei clementi.
Altro dirotti , e il riporrai nel core.
Degli amanti i più rei , che tor dal mondo
Prima vorrianti , che alla patria arrivi , 40
Nel mar tra la pietrosa Itaca e Same
btaiino in agguato, lo crederò che indarno ,
K che la terra pria Fossa spolpate
De’ tuoi néroici chiuderà nel seno.
Non pertanto la nave indi lontana
Tieni , e notturno naviga : un amico
Vento t’invierà quel tra gli Ktertii ,
Chiunque sia , che ti difende e guarda.
Come d’itaca giunto alla più estrema
Riva sarai , lascia ir la nave , e tutti So
Alla città i compagni ; e tu il custode
Cerca de’ verri , che un graA ben ti vuole.
Seco passa la notte , ed in su l’alba
Mandai significando alla regina ,
Che a lei da Pilo ritornasti iDi-so.
Ciò detto , in un balen salse all’Olimpo.
Kgii l’amico dal suo dolce sonno ,
Urtandolo del piè, subito scoue,
Digitized by Coogle
ODISSEA
78
E gli drizzò queste paroìe : Sorgi ,
Fisistrato , ed al cocchio i corridori 6u
Solidouiighìati sottoponi , e accoppia ,
Se anche il viaggio nostro aver aee fine.
Telemaco , il Nestoride rispose,
Benché ci tardi di partir , non lice
Dell'atra notte carreggiar per l'ombre.
Foco l’Aurora tarderà. Sostieni
Tanto almen , che il di lancia esperto Atride
Ponga nel cocchio gli ospitali doni ,
E gentilmente ti licenzii. Eterna
L’ospite rimembranza in petto serba 70
Di chi un b^l pegno d’amtstà gli porse.
Disse; e nel trono d'òr l’Aurora apparve.
Il prode Menelao di letto allora
Sorto , e d’allato della bella Elcna ,
Venne alla volta lor; nè prima il caro
Figliuol d'Ulisse l'avvisò , che in Iretta
Della lucente tunica le membra
Cinse , e gittò il gran manto a sè d’intorno ,
Ed usci fuori , e l'abbordò , e gli dis-^e :
Piglio d’Atréo , di Giove alunno , duce 80
Di genti , me rimanda oggi al diletto
dativo ciel , cui già con l'alma io volo.
Telemaco , rispose il forte Atride ,
lo ritenerti qui lunga stagione
PTon voglio a tuo mal cuore. Odio chi suole
Gli ospiti suoi festeggiar troppo, o troppo
Spregiarli : il meglio sempre è star nel mezzo.
Certo peccan del par chi uisuortese
L’ospite caccia di restar bramoso ,
£ chi bramoso di partir l’arresta. go
Carezzalo indugiante, e quando scorgi ,
Che levarsi desia , dàgli commiato.
Tanto dimora sol , ch’io non vulgarl
Doni nel cocchio , te presente , ponga :
£ comandi alle femmine che un pronto
Conforto largo di serbate dopi
T’apprestin nella sala. É glorioso
Del par , che utile a te , dell'inliiiita
Terra su i campi non passar digiuno.
Vuoi tu aggirarti per la Grecia e l’Argo? 100
Giungerò i miei destrieri , e alle diverse
Città ti condurrò : treppiede , o conca
Di bronzo , o due bene appajati muli ^
O vaga d'oro eiiig'ìata tazza ,
Ci donerà ciascuno , e senza doni
Cìttade non sarà che ci accommiati.
Teif maco a rincontro : Menelao ,
Di Giove alunno , condottier di genti ,
Nei mio palagio , ove nessun che il guardi ,
Partendone , io lasciai , rieder mi giova , 1 10
Acciocché , mentre il padre indarno io cerco ,
Tutti io non perda i suoi tesori e miei.
Udito questo , ad Eiena e alle fanti
L’Atrìde comandò , s’apparecchiasse
Subita e lauta mensa. £teoné> ,
Che poco lungi dal suo re (iormia,
Sorto appena di letto , a lui sen venne ;
£ il foco suscitar , cuocer le carni ,
Orimpose Menelao ; nè ad ubbidirgli
Tardò un istante di Boete il tiglio. 120
NeH’odorata solitaria stanza
Menelao scese , e non già sol : chè seco
Scesero Eléna e Megapcnte. Giunti
Là I ’ve la ricca suppeilettil giace ,
Tolse l'Atride biondo una ritonda
Gemina coppa , e di levare un'urna
D'argento ai tìglio Megapente ingiunse.
Ma la donna fermossi all’arche innanzi ,
Ove i pepli giacean , che da lei stessa
Travagliati già furo , c variati l5o
Con Ogni sorta d’artificio. Eiéiia
Il più ampio traeane , ed il più bello
Per moltiplici fregi : era nel fondo
Dell’arca , e sì rilusse in quel che alzollo |
Che stella parve , che dai flutti emerga.
Con tai doni le stanze attraversare,
Finché furo a Telemaco davaiite ,
Cui questi accenti Menelao converse ;
Fortunato così , come tu il brami ,
Ti consenta, o Telemaco , il ritorno J4o
L’altitonante di Giuiion marito.
Io di quei, che possiedo , a te dar voglio
Ciò che mi sembra più leggiadro e raro :
'Un'urna etRgì'ata , argento tutta ,
Se non quanto su i labbri oro gialleggia ,
Di Vulcano iattura. Il generoso
Re di Sidone , Fedimo, donoila
A me , che d’IUo ritornava , e cui
Ricettò ne’ suoi tetti ; e a te io la dono.
L’Atride in mano gli mettea la tonda i5o
Gemina coppa: Megapente ai piedi '
Gli recò l'urna sfolgorante; e poi
Eiena , bella guancia , a lui di contra
Stette coi peplo su le braccia , e disse :
Ricevi anco da me , figlio diletto ,
Quest'altro dono , e per memoria tienlo
Delle mani d’Eléna. Alla tua sposa
Nel sospirato dì delle sue nozze
Le membra coprirà. Rimanga intanto
Della prudente genitrice in guardia ; 160
E tu alla patria terra , e alle superbe
Case de’ padri tuoi , giungi felice.
Ei con gioia sei prese ; e i doni tutti ,
Poiché ammirata la materia e l'arte
N'ebbe , allogò Pisistrato nel carro.
Quindi l'Atride dalla blonda testa
Ambi condusse nella reggia , dove
Sovra i troni sedettero. L'ancella
Subitamente da bel vaso d'oro
Nell'argenteo bacile acqua lucente 170
Spandea, stendea desco polito, in cui
La veneranda dispensiera i bianchi
Palli venne ad imporre , e non già poche
Delle dapi serbate , ond'è costude.
Eteonéo parila le carni , e il vino
Megapeiite versava ; e i due stranieri
La mano all’uno e all'altro ivan porgendo»
Ma come sazi! della mensa fòro ,
Ai^giogaro i cavalli ,e la vergata
Riga pronti salirò , e l’agitaro 180
Fuor dull'atrio e del portico sonante.
Uscì con essi Menelao , spumosa ,
Perchè libasser pria , ciotola d’oro
Nella destra tenendo , e de' cavalli
Fermossi a fronte , e , propinando , disse :
Salute , o prodi giovanetti , a voi
Hd al pastor de’ popoli salute
Per vostra bocca , a Nestore , che ftimmì
Dolce , qual padre , sotto i Teucri muri.
> Kd il saggio Telemaco a rincontro ; igo
Digitized by Gougic
79
LIBRO DECI
Tutto , non dubitar , di Giove alunno ,
Saprà il buon vecchio. Oh potess’io non manco
Toj>to ch’io sarò in Itaca , ad Ulisse
Mo.strai e i tonti e cosi ricchi doni ,
Ch’io da te ricevetti , e raccontargli ,
Quale accoglienza io n^ebbi e qual commiato!
Tal favellava ^ e a lui di sopra e a destra
Un’aquila volò, che bianca e grande,
Domestica oca con gli adunchi artigli
Dalla corte rapia. Dietro gridando 2oo
Uomini e donne le correan : ma quella
S’accostò , pur da destra , ai due garzoni |
B davanti ai deslrier rivolò in aito.
Tutti gioirò a cotal vista , e primo
Fu Pisistrato a dir : Nobile Atridc ,
Pensa in (e stesso , se a >e forile , o a noi
Tal prodìgio invVaro i Sempiterni.
Ei la risposta entro da sé cercava ,
Ma l’antivenne la divina £iéna ,
Dicendo , udite me. Quel ch’io indovino , 210
Certo avverrà : chè me l’iu.spìra un Nume.
Come questa volante aquila scesa
Dal natio monte , che i suoi parti guarda ,
Si rapi l’oca nel cortil nndrita ,
Non altrimenti Ulisse, alle paterno
Case venuto da lontani lidi ,
Su i Proci piomberà } se pur non venne,
£ inr non ap|>arecchia orrida morte.
E Telemaco allor : Così ciò voglia
L’altitonante di Giunon marito, 220
Come voti da me tu avrai , qunl Diva !
Disse, e ì destrieri flagellò , che ratti
Mosser per la ciltade, e ai campi uscirò.
Correan l’intero dì , squassando il giogo,
Che ad ambi stava sul robusto collo.
Tramuniò il Sole , ed ìmbrunian le strade j
£ i due giovani a Fera, e alla magione
Di Diócie arrivar , del prode figlio
D’Orsiloco d’Aiféo, dove riposi
£bber tranquilli , ed ospitali doni, a5o
Ma come al Sole con le man rosate
L’Aurora aperse le celesti porte,
I cavalli aggiogare , e risalirò
I-a vergolata biga , e Pagitaro
Fuor dell atrio e del portico sonante.
Sferzò i destrieri Pisistrato , e i destrieri
Di buon grado volavano: nè molto
Stetter di Pilo ad apparir le torri.
Allor cosi Telemaco si volse
Al figlino! di Nestorre : O di Nestorre 240
Figliuol , non desti a me fede , che sempre
Ciò tu faresti, che mi fosse gìoja?
Paterni ospiti siam , siam d’un’ctade ,
£ più ancor ci unirà questo viaggio.
Non mi guidare ultra il naviglio mio ,
Colà mi lascia : ritenermi il vecchio
Mal mio grado appo sè, di carezzarmi
Desioso , potrebbe ; e a me bisogna'
Toccare in breve la natia contrada.
Mentre così l’un favellava all’altro , 260
Che d’attener la sua promessa i modi
Discorrea con la mente , in questo parve
Dover fermarsi. Ripiegò i destrieri
Ver.so il mare e il naviglio j e i bei presenti,
Onde ornato il compagno avea l’Atride ,
Scaricò su la poppa. ludi , Su via ,
M O Q U I N T O.
Monta , disse , di fretta , e a’ tuoi comanda
Pria la nave salir, che me il mio tetto
Riceva , c il tutto al genitore io narri.
So , qual chiuda nel licito alma sdegnosa : a6o
Ti negherà il congedo , in su la riva
Verrà egli stesso , e benché senze doni
Da lui , cred’io , tu non jiarlissi , un forte
Della collera sua scoppio io preveggo.
Dette tal cose , alla città de’ Pilii
S[iiii.se i destrieri dal leggiadro crine ,
li all’eccelsa magion rapido giunse.
E Telemaco a’ suoi : Pronti la nave ,
Compagni, armate, e su moiitianivi , candiamo.
I.’ascoltaro , e ubbidirò. Immantinente 170
Montava , e s'assidea cia.scim su i banchi.
Ei , la partenza accelerando, a Palla
Prieghi alla poppa , c sagriHci olirla :
Quando esul dalia verde Argo ierace
Per non voluta uci is'ione ignoto
Viandante appres-vollo : era indovino,
K di Mclampo dalla stirpe sceso.
Nella madre di greggi inclita Pilo
Melampo prima soggiornava , e , come
Ricco noni , superbo vi abitava ostello: aoo
Poi , fuggendo la patria , ed il più illustre
Tra gli uomini Neléo , che i suoi tesori
Un anno intero riteneagli a forza .
Capitò ad altre genti , e duri lacci
Nell’albergo di Eliaco , e dolori
Gravi sostenne per la vaga figlia
Di Neleo , e per l’audace opta , cui messa
Gli avea nel capo la tremenda Erinni.
Ma scampò dalla morte , e a Pilo addasse
Le coutrastate altomugghianti vacche , 290
Si vendicò deU’infedel Neléo ,
E consorte al fralel la vaga Pero
Da Edace menò. Quindi all’altrice
Di nobili destrieri Argo sen venne , _
Volendo il fato che su i molli Argivi
Regnasse; sposa quivi scelse; al cielo
Levò le pietre della sua dimora ;
E i forti generò Manlio e Antifàte. ^
Di questo il grande Oicléo , nacque , e d’Olcléo
Il salvator di genti Anliarao , 3uo
Cui tanto amor Febo portava , e Giove.
Pur di vecchiezza non toccò la soglia :
Gilè , generati Anfiloco e AIcmeóne ,
Sotto Tebe peri dalla più avara
Donna tradito. Ma da Manlio al giorno
Olito uscirò e Polifide. L’Aurora ,
Per la beltà , che in Clilo alla splendea ,
Rapillo , e il collocò tra glTnimortali ;
E Febo , .spento Anliarao , concesse
Più , che ad altr’uom , de’ vaticinii il dono 3lo
A Polifide , il qual , ci ucciato al padre ,
Trapassò in Iperemia , ove a ciascuno
Del futuro squarciar solea il Vflame.
Figlio a questo era il pellcgrin che atetto
Di Telemaco al fianco , e si chiamava
Tcocliinéno : appo la negra nave ,
Mentr'ei libava e supplicava , il colse,
E a lui con voci alale , Amico , disse ,
Poi ch’io ti trovo a questi ufici intento ,
Pe'sagrifizj tuoi , pel Dio cui gli offri, 3ao
Per lo tuo capo stesso , e per cotesti
Compagni tuoi , non mi nasconder nulla
Digitized by Google
ODISSEA
8^
Di quanto io chiederò. Chi , e donde sei ?
Dove i parenti a te ? la patria dove ?
Stranier , cosi Telemaco rispose ,
Su i labbri miei non sonerà che il vero.
Itaca è la mia patria , il padre è Ulisse »
Se un padre ho ancor: quel, di cui forte io temo.
Però con negra nave e gente Hda^
Partii , cercando per diversi lochi 33o
Novelle di quel misero, cui luuge
Tien dalla patria sua gran tempo il fato.
E il pari ai Dei Teocllméno: Anch'io
Lungi erro dalla mia , dacché v’uccisi
Uom della mia tribù , che lasciò molti
Parenti e amici prepossenti in Argo.
Delle lor man vendicatrici uscito ,
Fuggo } e sieguo il destili che l’ampia terra
Con piè ramingo a calpestar mi tragge.
Deh su la nave tua me supplicante
Ricovra , e da color che vengon forse
Su i miei vestigi , tu , che il puoi , mi salva.
Il prudente Telemaco di nuovo : •
Dalla mia nave , in cui salir tu bramì |
Esser non potrà mai ch’io t» respinga.
Seguìnti pur : non mancheranti in nave .
Quei , che di darti è in me , doni ospitali.
Ciò detto , l’asta dalla man gli prese ,
E della nave stesela sul palco.
Poscia montovvi,e sedè in poppa, e almanco 35o
Seder sì feo Teocliméno. i^iulte
Dai compagni le funi , ei loro impose
Di correre agli attrezzi , ed i compagni
Ratti ubbidirò: il grosso abete in alto
Drizzare , e l’impiantaro entro la cava
Base , di corda raniiodaro al piede ,
£ le candide vele in su tirare
Con bene attorti cuoi. La Dea che in giro
Pupille tinte d’azzurrino muove ,
Precipite mandò dal ciclo un vento 35o
Destro t gagliardo , perchè in brevi istanti
Hisurasse del mar l’onde il naviglio.
Crune passò il buon legno , e la di belle
Acque irrigata Calcide, che il Sole
Già tramontava, ed imbrunlan le strade;
£ , spinto sempre da quel vento amico ,
Cui governava un Dio , sopra Fea sorse )
E dì là costeggiò TElide , dove
Regnan gli Kpei. Quinci il hgliuol d’Uiisse
Tra le scoscese Ecliinadi si mise , 070
Pur rivolgendo nel suo cor » se i lacci
Schiverebbe de* Proci , o vi cadrebbe.
Ma in altra parte Ulisse e il buon custode
Sedean sott’esso il padiglione a cena ,
£ non lunge sedean gli altri pastori.
Pago de’ cibi il naturai talento,
Ulisse favellò , tentando Euméo ,
S’ei , non cessando dalle cure amiche ,
Ritenerlo appo sè nella sua cara
Stalla intendesse , o alla città mandarlo. 38j
Euméo, disse , m’ascolta ; e voi pur tutti.
Tosto che il ciel s’inalbi , alla cittade ,
Ond’io te non consumi , ed i compagni ,
Condurmi io voglio a mendicar la vita.
Ma tu d’utili avvisi , c d’una scorta
pidata mi provvedi. Andrò vagando
Di porta in porta , e ricercando , come
Sforzami rea necessità , chi un pane
Mi porga , ed una ciotola. D’Ulìsse
Mi farò ai tetti , e alla sua donna saggia 390
Novelle recheronne , e avvolgeronimi
Tra i Proci alteri , che lasciarmi forse
Nella lor copia non vorran digiuno.
Io , che che piaccia lor , subito e bene,
Eseguirò ; poiché saper t’è d'uopo
Che per favor del messaggiero Ermete ,
Da cui grazia ed onore acquista ogni opra |
Tal son , che ne’ servigi , o il foco sparso
Raccor convenga , o le nsecchc legna
Fendere , o cuocer le tagliate carni ,
O il vili d’alto versare , uffici tutti
Che i minori prestar sogliono ai grandi ,
Me nessun vince su l’immensa terra.
Sdegnato assai gli rispondesti , Euméo:
Ahi ! qual peiisier ti cadde , ospite , iu capo?
Bramì perir, se raggirarti pensi
Tra i Proci , la cui folle oltracotanza
Sale del del sino alla ferrea volta.
Credi a te somigliare i lor donzelli?
Giovani in belle vestimenta , ed unti
La chioma sempre, e la leggiadra faccia,
Ministrano ai superbì ; e sempre carche
Delle carni , de’ pani e de’iicori
Splendono agli occhi le polite mense.
Rimani : che iiè a me, nè de’ compagni
Grave ad alcun la tua presenza torna.
Ma come giunto sia d’Ulisse il figlio
Da lui tunica e manto , e da lui sdorta
Riceverai , dove che andar t’aggradi.
Euméo , rispose il paziente Ulisse, 4to
Possa Giove amar te , siccome io t’amo ,
Te , che al vagar mio lungo ed all’inopia
Ponesti hne ! lo non so peggio vita :
Ma il famelico stomaco latrante
Gl’inopi a errar, per acchetarlo, sforza,
E que* mali a sofiVir , che ad una vita
Povera s’accompagnano , e raminga.
Or , quando vuoi ch’io teco resti, e aspetti
Telemaro , su via , della canuta
Madre d’Ulisse parlami , e del padre, 4^0
Che al tempo che il fìgliuul sciolse per Trojd ,
Della vecchiezza il limitar toccava.
Veggon del Sole in qualche parte x rai ?
O d’Aide la magìon freddi gli accolse ?
I Ospite, ripigliò Pindito Euméo,
Altro da me tu non udrai , che il vero.
Laerte vive ancora , e Giove prega
Che la stanca dal corpo alma gli tragga :
Tanto del figlio per l’assenza , tanto
Per la morte si duol della prudente 44*>
Moglie , che intat ta disposollo , e in trista
Morendo il collocò vecchiezza cruda.
La lontananza del suo figlio illustre
A poco a poco , ed infelicemente ,
Sotterra la condusse. Ah tolga Giove ,
Che qual in’è amico , e con amor mi tratta ,
Per una simil vìa discenda a Dite !
Fiuch’ella visse , m’era dolce cosa ,
Spbben dolente si mostrasse in faccia ,
L’interrogarla e il ricercarla spesso ; 460
Poich’ella mi nutrì con la de’ pepli
Vaga Clìmene , sua figlinola egregia ,
K de’ suoi parti l’ultimo. Con (jue»ra
Ciesceaini, c quasi m’onorava al pari.
8t
LIBRO DECI
Ma come fummo della nostra etade
Ambi sul primo invidiabil bore,
«Sposa lei fero Ìri Sanie, e ricchi doni
N’ebbero , cd iniinìti j e me con vesti
L.ef'giadre in dosso , e bei calzari ai piedi ,
Mandò i campi abitar la mia signora , 4^o
Cli*i di cor ciascun dì vie f>iu m'amava.
Quanto seco io perilctti ! K ver che questo
l'atiche dure, in che la vita io spendo,
Mi fortunano i Numi , e ch'io gli estrani
Finor ne alimentai , non die me stesso*
Ma di fatti conforto , o di parole
Sperare or da Penelope non lice:
Qlìè tutta in preda di superba gente
K la magion \ nè alla regina potino
Rappresentarsi e far domande i servi , 470
Pigliar cibo , e bevanda al suo cospetto ,
K poi di quello ancor, che l'alma loro
Sempre rallegra , riportare ai campi.
Euméo , rispose l’avveduto Ulisse ,
Te dalla patria lungi e da' parenti
Pargoletto sbalzò dunque il tuo lato?
Orsù , rio dimmi , e schiettamente: venne
La città disertata , in cui soggiorno
Avea la madre veneranda e il padre?
0 incautamente abbandonato fosti 4^
Presso le agnelle o i tori , e gente ostile
Ti rapì sulle navi , e ai tetti addusse
Li questo re, che ti comprò a gran prezzo?
K 1 a rincontro Kuioéo , d'uomini capo :
Quando a te risaperlo , ospite , cale ,
Tacito ascolta , e goditi , e alle labbra
Metti * assiso , la tazza. Or così lunghe
Le notti van , che trapassar si potino
Parte dormendo, è novellando parte.
Nè corcarti t’è d'uopo innanzi al tempo : 49®
Anco il gran sonno nuoce. Ove degli altri
Ciò piacesse ad alcuno , esca c s'addorma :
Ma , fatto bianco rOrìente , siegua ,
N oi digiuno però , grispidi verri.
L noi stnliam nel patliglione a mensa.
Ambi a viccmla delle nostre doglie
Liletto , rimembrandole , prendendo ;
Ptiirhè db' muli ancora uom , che solTerso
Molto , e molto vagò , prende diletto.
Cert’isola , se mai parlar ne udisti , 5oo
Giace a Lelo di sopra , c Siria è detta ,
T)ove segnati del corrente Sole
1 ritorni si veggono. Già grande
Non è troppo , ma buona ; armenti e greggi
Produce in copia , e ogni speranza vince
Col frumento e col vino. Ivi la fame
Non entra mai , uè alcun funesto morbo
C uisuma lento i mìseri mortali :
Mn come il crine agli abitanti imbianca ,
Cala, portando in man l’arco d’argento, 5io
Apollo con Artemide , e gli uccide
Li saetta non vista un dolce colpo. I
Lue cittadi ivi son di nerbo eguale j
l'Ormeiiidtì Ctesio , il mìo divino
Padre , dell'ima e l'altra il Cren reggea.
Capitò un giorno di Fenicj , scaltra
Gente , e del mar mìsnratriee illustre ,
Rapida nave negra , che infinite
Chuidea in sè stessa bagattelle industri.
Sedusser questi una l'eiitcia donna , 5ao
ODISSEA
M 0 Q U I N T O.
Che il padre schiava nel palagio ovea ,
Bella , di gran persona , e di leggiadri
Lavoti esperta. 1 maculati panni
Lavava al fonte presso il cavo legno,
Quando un di que’ ribaldi a ciò la trasse ,
Che alle femmine incaute , ancor che vote
Xoii sien d'ogiii virtude , il senno invola*
Poscia chi fosse , richiedeale , e donde
Venuta \ cd ella senza indugio l’alte
Del padre mio case additógTi , e disse : 63o
Io cittadina della chiara al mondo
Sidone metallifera , e del ricco
Aribaiite figliuola esser mi vanto*
Tafj ladroni mi rapirò un giorno ,
Che dai campi tornava , e mi venderò ,
Trasportata sul mare , a quel signore ,
Che bea degno di me prezzo lor diede*
Non ti saria , colui rispose allora ,
Caro dunque il seguirci , ed il superbo
De' tuoi parenti rivedere albergo ? 54®
Riveder lor, che pur sun vivi , e in fama
Di dovizia tra noi ? Certo mi lòra ,
La donna ripigliò, sol che voi tutti
Di ricondurmi al natio suol giuriate
Salva sul mar navigero , e sicura.
Disse; e tutti giuravano. £ in tal guisa
Tra Jor di nuovo favellò ta donna :
Statevi or cheti , e o per trovarmi al fonte
£ incontrarmi tra via , nessun mi parli.
Kisaprcbbelo il vecchio, e di catene 5So
Me graverebbe , sospettando , e a voi
Morte , crcd'io , macchiiieria. La cosa
Tenete dunque in seno , e a provvedervi
Di quanto v'è mestier , pensate intanto.
La nave appìen vettovagliata e carca ,
(Giungane a me l’annunzio in tutta fretta,
iCd io , non che altro , recherò con meco
Quanto sotto alle man verramml d'oro.
Altra mercè vi darò ancora : un figlio
Di quest’ottimo re nel suo palagio 56o
Rallevo , un vispo tal , che ad ogn'istante
Fuor mi scappa di casa. Io vi prometto
Alla nave condurlovì; nè voi
Picciol tesor ne ritrarrete, ovunque
Per venderlo il meniate a estranie genti*
Disse, e alla reggia ritornò. Coloro,.
Nel paese restando un anno intero ,
F<-au di vitto e di merci immenso acquisto*
Fornito il carco , e di salpare in punto ,
Un messaggio alla femmina spedirò , 57 1
Uomo speitir d'accorgimenti mastro,
Che con un bello , aureo monile , e d'ambra
Vagamente intrecciato , a noi sen venue*
Madre ed ancelle il rivolgean tra mano ,
Prezzo non lieve promettendo , c a gara
Gli occhi vi lenean su. Tacitamente
Quegli ammiccò alla donna: indi alla Davo
Drizzava i passi. Ella per inatio allora
Presemi , e fuori usci : trovò le mense
NeiPatriu, e i nappi , in che bevean del padre
I commensali al parlamento andati 6S0
Con esso il padre caro ; e di que’ nappi
Tre , che in grembo celò , via ue portava j
£<1 io seguiala nella mia stoltezza.
Già tramontava il Sole , e di tenebre
Ricopriasi ogui strada ; e noi veloci
IX
8i
ODISSEA
(ìjungemmo al porto f alla Ffnicia nave.
Tutti salili , campagne acquose
Fendevam lieti con un vento in poppa f
Che da Giove spiccavasi. Sei giorni 690
Le fendevamo , e notti sei : ma Giove
Il settimo non ebbe agli altri aggiunto >
Che dalla Dea d’avventar dardi amante
Colpita fu la nequitosa donna.
Nella sentina con rimbombo radde»
f^)uasi trafitta folaga. Tra l’acq le
scagliaro i Temei » esca luiura
Ai marini vitelli ; e nella nave
Solo io rimasi, abbandonato e mesto.
Fui Tonda e il vento li sospinse ai lidi 600
D’Itaca , dove me comprò Laerte.
£ così questa terra , ospite, io vidi.
Lumeo , rispose il paziente Ulisse ,
IVIoito a meTalma commovesti in petto»
Narrando i casi tuoi. Ma Giove almeno
Vicin tosto ti pose al male ìl bene »
Poiché venisti ad un signor cortese » ,
Che quanto a rallegrar, non che a serbare ,
La vita è d’uopo, non ti niega. Ed io
Sol dopo lunghi e incomodi viaggi 610
l>i terra in terra , a queste rive approdo.
Tali fra lor correan parole alterne.
Dormirò al fin , ma non un lungo sonno :
Chè in ^ggio a comparir d’oro la bella
Già non tardò ditirosata Aurora.
Frattanto di Telemaco i compagni
Presso alla riva raccogliean le vele.
L’albero dechinàr, lanciaro a remi
La nave in porto , Tancore gittaro»
Ed i canapi avvinsero. Ciò fatto , 610
Sul lido asciano, ed allestian la cena.
KIntuzzata la fame , e spenta in loro
La sete ,.Voi , così d’Uiisse il figlio,
Alia città guidatemi la nave ,
Mentre a’iniei campi ed ai pastori io movo.
Del cielo alTimbrunir, visti ì lavori»
Io pure inurberommi , e in premio a voi
Lauto domane imbandirò convito.
Ed io dove ne andrò , figlio diletto ?
Teodiméno disse. A chi tra quelli , C3o
Che nella discoscesa Itaca sono
Più potenti, offrirommi? Alla tua madre
Dritto ir dovronne , e alla magion tua bella ?
Il prudente Telemaco riprese:
lo stesso in miglior tempo al mio palagio
T'invicrci , dove cortese ospìzio
Tu non avresti a desiare. Or male
Capiteresti ; in non sarei con tcco ,
Nè te vedria Penelope , che scevra
Dai Proci , a cui raro si mostra , tele
Nelle più alte stanze a oprare intende.
Un uom bensì t’additerò , cui franco
Puoi presentarti ; Eurimaco , del saggio
Polibo il figlio , che di Nume in guisa
Onoran gTÌtacesi. Egli è il più prode ,
R il regiiojniù , che gli altri , e la consorte
D’Uli&se affetta. Ma se pria , che questo
Maritaggio si compia , i Proci tutti
Non scenderaimo ad abitar con Fiuto ,
L’Olimpio il sa , benché sì alto alberghi. 660
Tal favellava } ed uh augello a destra
Gli volò sovra il capo , uno sparviere ,
Ratto nunzio d’Apollu : avea nell’ugne
Bianca colomba , e la spennava , e a terra
Fra lo stesso Telemaco e la nave
Le piume ne spargea. Teodiméno
Ciò vide appena, che il garzon per mano
Prese , e il trasse in disparte , e sì gli disse :
Senza un Nume, o Telemaco, l’augello
Non volò a destra. Io, che di contra il vidi, 6G0
Per augurale il riconobbi. Stirpe
Più regia della tua qui non si trova ,
Qui possente ad ognor fia la tua casa.
Cosi questo , Telemaco rispose ,
S’avverj , o forestier , cora'io tai pegni
Ti darei d’amistà , che te , chiunque
Ti riscontrasse, chiameria beato.
Quindi si volse in cotal guisa al fido
Suo compagno Pirèo: Figlio di dito ,
Tu , che le voglie mie Testi mai sempre C70
Tra quanti a Pilo mi seguirò, e a Sparla,
Condurmi il forestiero in tua magione
Piacciati , e usargli , finché io vengo, onore.
Per tardi , gli rispose il buon Firéo,
Che tu venissi , Io ne avrò cura , e nulla
D’ospitale saia che nel mio tetto ,
Dove il condurrò tosto, ei non riceva.
Detto, salse il naviglio , e dopo lui
Gli altri saììanlo , e s’assidean su i banchi.
Telemaco s’awiiiae i bei calzari 680
Sotto i piè molli , e la sua valid’asta
Rameappuntata , che giacea sul palco
Della nave, in man tolse} e quei le funi
Sciolsero. Si spingean su con la nave
Vèr la città, come il garzone ingiunse;
Ed ei studiava il passo , in sin che innanzi
Gli s’aperse il cortile , ove le molte
S’accovacciavan setolose scrofe ,
Tra cui vlvea l'inclito Eumeo, che, o fosse
Nella veglia o nei sonno, i suoi padroni 690
Dormendo ancor , non che vegliando , amava
I
Digilized by Coogle
LIBRO D E CI M 0 S E S T 0
ARGOMENTO
Lclitiu d'Eum^ airarrÌTo di Telemaco , che mandalo alladttii« per avvertir del suo ritorno la madre. Minerva
appare ad Llisae, gli restituisce le sue sembiause^ e gli cuniaoda di scoprirli al fìgliuulu. luUutu rjue* Bruri
chVninu in agguato ^ accortisi del riloruo dì Telemaco ^ e->coDu di<|uello, e si reodono io Itaca. Euuiéo ^ eseguilo
l’ordioe y ai ricuudua: alla villa y ne riconosce [*erù Lliise , cui Pallade nuovamente trasfurma.
Xj inclito Eiiméo nel padiglione , f Ulisse,
llacceso il luco ìii su la prima luce ,
Le^gier pasto allesiiaiio ; e l'uori al campo
Cu* neri porci uscian gli altri custodi.
Ma i cani iatrator , non che a Triemaco
Non abbajar , festa gli feano intorno.
S’avvide Ulisse del blandir de' cani ,
E d’uomo un calpestìo racccdsu , e queste
Voci drizzò al pastur': Certo qua , Kuméo , io
0 tuo compagno o conoscente, giunge j
Eoirhè , lontani dal gridare , i caui -
Latratori carezzatilo , ed il basso
De’ suoi vicini piè strepito io sento.
Non era Ulisse al fin di questi detti ,
Clic nell’atrio Telemaco gli apparve.
Balzò Euméo stupefatto , e a lui di mano
1 vasi , ove mescea l’ardente vino ,
Caddero : andogli incontro , e il capo , ed ambi
Gli baciò i rilucenti occhi e le mani ,
E un largo pianto di dolcezza sparse. 2u
Come tenero padre un figlio abbraccia ,
Che il decim'anno da remota piaggia
Kitorna , unico figlio , e tardi nato ,
Per cui soflVì cento dolori, e cento :
Non altrimenti Eumóo , gittate al collo
Del leggiadro Telemaco le braccia ,
Tutto baciollo, quasi allora uscito
Dalle branche di Morte , e lagriniandu ,
Telemaco , gli disse , amato lume ,
Venisti adunque ! Io non avea più speme .^o
Di te veder , poiché volasti a Pilo.
Su via , diletto figlio , entrar ti piaccia ,
Sì ch’io goda mirarti or , che d’altronde
Nel mio soggiorno capitasti appena.
Baro i campi tu visiti , e i pastori :
Ma la città ritientì , e la funesta
Turba de'Proci che osservar ti cale.
Entrerò , babbo mìo, quegli rispose:
Chè per le , per vederti , e le tue voci
Per ascoltare , al padiglione io veglio. 4o
Pestami nel palagio ancor la madre?
O alcun de’Fruci disposolla , o nudo
Di coltri e strati , e ai suzzi aragnì in preda
Giace del figlio di Laerte il letto ?
Nel tuo palagio, ripigliava Eumóo ,
Rimali con alma intrepida la madre ,
Benché nel pianto a lei passino i giorni ,
Passili le notti ; ed ella viva indarno.
Ciò detto, l’asta dalla man gli prese,
E Telemaco il piè mette sul marino 5o
Della soglia , ed entrava. Ulisse a lui
Lo scauno , in cui sedea , cesse : ma egli
Dal lato suo non consentìalo , e , Statti',
P'orestier, disse , assiso: un altro seggio
Noi troverem nella capanna nostra,
Nè quell’uomo è lontan , che dar mel puote.
Ulisse , indietro fattosi , di nuovo
Sedea. Ma il saggio guardìan distese
Virgulti verdi , e una vellosa pelle ,
E il garzon v’adagiò. Poi le rimaste Co
Dal giurilo addietro abbru.stolate carni
Lor recò su 1 taglieri; e ne’cauestri
Posti l’un sovra l’altro in fretta i pani,
£ il rosso vino nelle tazze infuso ,
Ad Ulisse di centra egli s’assise.
Sbramato della mensa ebbero appena
Il desiderio natura) , che queste
Telemaco ad Euméo dnzzu parole :
Babbo , d’onde quest’ospite r In che guisa
E quai nocchieri ad Itaca il meuaru ?
Certo a piedi su l’onda ei qua non venne.
E tu così gli rispondesti , Kuinùo :
Nulla , figliuoi , ti celerò. Natio
Dell’ampia Creta egli si vanta , e dice
Molti paesi errando aver trascorsi
Per volontà d’un Nume avverso. Al fine
Sì calò giù da una Tesprozia nave ,
K al mio tugurio trasse. Io tei consegno.
Quel che tu vuoi , ne fa : sol ti rammrnia
Lh’ei di tuo supplicante ambisce il nome. 8o
Grave al mio cor , Telemaco riprese ,
Parola , Euméo , tu proferisti. Come
L’ospite ricettar nella paterna
Magion poss'io ? T roppo io son verde ancora,
Nè rispinger da lui con questo braccio
Chi primo l’assalisse, io ini confido.
- La madre sta infra due , se , rispettando
La comun voce e il maritai suo letto ,
Viva Col figlio , e la magion governi ,
O a quel s’unisca degli Achei , che doni (j
Le presenta più ricchi , ed è più prode.
Bensì al tuo furestier tunica e manto ,
E una spada a due tagli , e bei calzari
Dar voglio, e là inviarlo , ov’ei desia.
Che se a te piace ritenerlo , e cura
Prenderne, io vesti , e d'ogni sorta cibi.
Perchè te non consumi, e i tuoi compagni.
Qua manderò. Ma cli’ei s’accusu ai Proci ,
Che d’ingiurie il feriscano , e d’oltraggi
Con dolor mio , nun sarà mai ch’io sofl'ra. too
Che potrìa contro a tanti e sì valenti
Nemici un sol , benché auimoso e forte ?
Nobile amico , così allora Ulisse ,
Se anco a me favellare or si concede ,
H cor nel petto mi si rode , udt'iulo
La indegnitade in tua magion de’Froci ,
Mentre di tal sembiante Ìo pur ti veggo.
Cedi tu Tokjntario ? O in odio forse
Per l’oraco! d’un Dio t'ha la cittade?
O i fratelli abbandònanti , cui tanto i io
Digitized by Google
84 O B I S
S'tìffida l'uom nelle più 3nre imprese ?
P'Tchè con questo cor l'età mia prima
TJon ho? Perchè non son d'Ulisse il figlio?
Perchè Ulisse non son ? Vorrei che tronco
Per mano estrana mi cadesse Ì1 capo ,
fi’io , nella reggia penetrando » tutti
I^'on mandassi in rovina. £ quando ancora
3VIe soverchiasse l’inlinita turba,
Perir torrci nella mia reggia ucciso
Pria che mirar tuttora opre si turpi , ilo
Gli ospiti mai menati , violate
Ahi colpa ! le fantesche , ed inghiottito
A caso , indarno , e senza fine o frutto ,
Quanto sì miete ogni anno e si vendemmia.
Straniero , eccoti il ver , ratto rispose
Il prudente Telemaco: non tutti
31 'odiano ì cittadin , nè deTratellI,
Cui tonto l’uom nelle più dubbie imprese
Aiuole appoggiarsi , ricliiamarmi io posso.
Volle il Saturnio che di nostra stirpe i3o
D età in età spuntasse un sol rampollo.
Arresio generò Laerte solo ,
Laerte il solo Ulisse, e poscia Ulisse
3Io lasciò nel palagio , unico figlio ,
I)i cui poco godè : quindi piantossi
INeraira gente al nostro albergo iinserio.
Quanti ha I)ulichio e Same , e la selvosa
iacinto , e la pietrosa Itaca prenci ,
C ascun la destra della madre agogna.
pnia uè rigettar può , nè fermare 140
I.e inamabili nozze. Intanto ì Proci
Cuopruno i deschi con le pingui membra
I)e)le sgozzate vittime , e gli averi
IVIi struggo!) tutti ; nè andiù multo forse ,
Che più grata sarò vittima io stesso.
31a Ciò dc’Nunit su i ginocchi posa.
Ilabbo , tu vanne rapido , e alla madre
Amarra che salvo io le tornai da Pilo,
('osi narralo a lei , clic alcun non Poda
Begli Achivì , e qua riedì , ov’io m’arresto. i5o
Jien sai , che multi del mio sangue han sete.
£ tu in risposta gli dicesti , £uméo :
Conosco , veggo , ad uom , che intende , parli.
3tfa non vorrai che messo aU’ml'elice
Xaerte ancor per la via stessa io vada ?
Pi , pensoso d'Ulìsse un tempo e tristo ,
l'ur dei campi ai lavor guardava intento
£ , dove brama nel pungesse , in rasa
Pasteggiava co’ servi. Ed oggi è fama
Che da quel di che navigasti a Filo , 160
Kè pasteggiò co' servi , nè de' campi
P.ù ai lavori guardò : ma sospirando
S^iede, e piangendo, e alle scarne ossa intanto
S'afEgge , ohimè ! l'inaridita cute.
Gran pietade ! Telemaco riprese.
3Ta lasciamolo ancor per brevi istanti
T^ella sua doglia. Se in man nostra tutto
Posse , il ritorno a procurar del padre
3fon si rivolgerebbe ogni mia cura ?
Esponi adunque l’ imbasciata , e rìedi , 170
Kè a lui pe' campi divertir ; ina solo
Priega la madre , che in tua v^-ce al vecchio
Secreta imbascìatrice c frettolosa
La veneranda economa destini.
Detto cosi , eccitolio ; ed eì con mano
Presi i calzari^ e avvintiseli ai piedi ,
S E A
Subitamente alla città tendea.
Non parti dalla stalla il buon custodei
Che l’armigera Dea non se ne addesse.
Scese dal cielo , c somigliante in vista 180
A bella e grande , e de' più bei lavori
Femmina esperta , si fermò alla porta
Del padiglioii di contra . e a Ulisse apparve.
Telemaco non vìdela : cliè a tutti
Non si Diostran glTddii. Videla il padre ,
K i mastini la videro , che a lei
Kon abbajàr , ma del cortil nel fondo
Trepidi si chiaro e guajolanti.
Ella accennò cu' sapracciglì . e il padre
La intese , ed uscì tuuri , e innanzi stette o
Nella corte alla Dea , che sì gli disse :
0 Laerziade generoso e accento ,
Tempo è che al tuo fìgliuol tu ti palesi ,
Onde, sterminio meditando ai Proci,
Moviate uniti alla città. Vicina ,
Ed accinta a pugnar , tosto m'avrete.
Tacque Minerva , e della verga d'oro
Tuccollo. £d ecco circondargli a un tratto
Belle vesti le membra , e il corpo farsi
Più grande e più robusto ; ecco le guance 30o
Stendersi , e già ricolorari>ì in bruno ,
E all’azzurro tirar su per lo mento
1 peli , che parean d'argento in prima.
La Dea spati , rientrò Ulisse ; e il figlio ,
Da maraviglia preso e da terrore ,
Chinò gli sguardi , e poscia , Ospite , disse ,
Altro da quel di prima or mi ti mostri,
Altri panni tu vesti , ed a te stesso
Più non somigli. Alcun per fermo sei
Degli abitanti dell’Olimpo. Amico 210
Guardane , acciò per noi vittime grate ,
(irati s'ofl'rano a te doni nell’oro
Con arte sculti : ma tu a noi perdona.
Non sono alcun deg’lmmortali , Ulis.se
Gli risporideo. Perchè agli Dei m'agguagl»?
Tuo padre io son : quel per cui fante sodi i
Nella tua fresca età sciagure ed onte.
Così dicendo , baciò il figlio , e al pianto,
Che dentro gli occhi avea costantemente
Ritenuto sin qui , l’uscita aperse. 220
Telemaco d’aver su gli occclii il padre
Credere ancor non sa. No, replicava ,
Ulisse tu , tu il genitor non sei ,
Ma per maggior mia pena un Dio m’inganna.
Tai cose oprar non vale uom da tè stesso ,
Kd è mestier che a suo talento il voglia
n ingiovanire , od invecchiarlo , un Nume.
Bianco i capei testé , turpe le vesti
Eri , ed ora un Celicelo pareggi.
Telemaco , riprese il saggio eroe , a3o
Poco per veritade a te s'addice ,
-Mentre po.ssiedi il caro padre , solo
Maraviglia da luì trarre e spavento ;
Chè un altro Ulisse aspetteresti indarno.
Sì , quello io son , che dopo tanti adunili
Durati e tanti, nel vigesim'anno
La mia patria rividi. Opra fu questa
Della Tritonìd bcllico.sa Diva ,
Che qual più aggrada a lei , tale mi forma ,
Ora un canuto mendicante , e quando
Giovane con bei panni al corpo intorno :
Però che alzare uu de mortali al cielo ,
by Googit:
85
LIBRO OECIMOSESTO.
0 nogìì abi&si porlo , c lieve ai Numi.
Cu») detto , s’a9»ì»«. Il tiglio allora
Del geiititor fi’abbaiidunò &ul collo «
In lagrime scoppiando ed in singhiozzi.
Ambi un vivo desir senlian del pianto :
Nè di voci ai debili e stridenti
Risonar s'ode il saccheggiato nido
D'aquila o d'avoUojo , a cui pastore l5u
Rubò i figliuoli non am or pennuti ,
Come de’pianti loro e delle grida
lUiseramente il padigiioii sonava.
R già piagnenti e sospirosi ancora
^.asciali avriaìi » tramontando, il Sole,
Me il figlio al padre non dìccu : Qual nave ,
Radre , qua ti condusse , e quai nocchieri ?
Certo ili Itaca il piè non ti portava.
Celerò il vero a te? l'eroe rispose.
1 Fcaci sul mar dotti , e di quanti aGo
Giungono errando alle lor piagge , iudustri
Ricoiuluttori , me su ratta nave
Dormendo per le salse onde guidare ,
R in Itaca ueposero. Mi lèro
Di bronzo in oltre e d'uro , e Intesti f)armi ,
Bei doni , e molli , che in proionde grotte
Ver consiglio divin giaccioumi ascosi.
Rd io qua venni al hn , teco de'Procr
Nostri nemici a divisar la strage ,
Coll l’avviso di Pallade. Su , via , 370
Contali 8 me , sì ch’io conosca , quanti
L'tuuini sono , e quali , e nella mente
Libri , se contra lor combatter soli ,
O in ajuto chiamare altri convegna.
O padre mio , Telemaco riprese ,
10 sempre ridia te celebrar la fama
Bellicoso di man , di mente accorto t
Ma tu cosa dicesti or gigantesca
Cotanto , che alta maraviglia tiemmi.
Due soli battagliar con molti e lorti? 280
Non pensar , che a una decade , o a due sole ,
Montili: sono assai più. Cinquantadue
Ciiovani eletti da Dulichto uscirò ,
R sei donzelli li seguiano. Venti
Ne mandò Same , e quattro ; e abbaudonaro
Venti Zbciiito. Itaca stessa danne
Dridici , e tutti prudi ; e v’ha con essi
Meduntc araldo , ed il cantor divino ,
R due nell'arte loro incliti scalchi.
Ci aflronterem con questa turba intera , 2qo
Che la nostra magìoii possiede a furjw ?
Temo, che allegra non ne avrem vendetta.
rinvenir si può r hi a noi soccorra
Con pronto braccio e cor dunque tu pensa.
Chi a noi soccorra ? rispondeagli Ulisse.
Giudicar lascio a te, fìglio diletto.
Se Tallade a noi basti, e busti Giove,
O cercar d’altri , che ci ajuti , io deggla.
R il prudente Telemaco: Quantunque
Siedan lungi da noi su l'alte nubi , 3oo
Nessun ci può meglio ajntar di loro ,
Che su ì mortali imperano, e su ì Divi.
Non sederan da noi lungi gran tempo ,
11 saggio Uhsse ripigliava , quando
Sarà della gran lite arbitro Marte.
Ma tu il palagio su l’aprir dtdi'alba
Tiora, e t'aggira tra i superbì Proci.
Me poi simile in visla ai uu uiendtco
Dispregevole vecchio il fido K'iméo
Nella cittade condurrà. Se oluaggio 3lO
Mi verrà latto tra le uoalre uiuiu ,
SollVilo ; e dove ancor tu mi vedessi
Trar per li piè fuor della soglia , o segno
D’aceibi colpi far, lo sdegno allVeiia.
Sol di cessar dalle follie gli esorta
Parole usando di mele cousperse ,
A cui non baderun : però che pende
L'ultimo sovra lor giorno fatale.
Altro dirotti , e tu f(HÌe| conserva
Nel tuo pi'Uo ne fa. Sei tu mio tiglio? 320
Scorre per le tue vene il sangue mio ?
Non oda aleuti ch'è in sua magione Ulisse j
K nè a Lacrte pur , nè al lido Euiuéo ,
Nè alla stessa Penelope , ne venga.
Noi soli spì'erein , tu ed io , l'ingegno
Dell’ancelle e de’ servi } e vedreiu imi ,
Qual ci rispetti , e nel suo cor ci tema ,
U quale a me non guardi , e le non curi ,
Benché fuor dell’infanzia , e non da jeri.
Padie, riprese il giovineltu illustre, 33o
Spero che me conoscerai tra poco ,
E ch'io nè ignavo ti parrò , nè folle. *
Ma troppo utile a noi questa ricerca ,
Credo, non fora; e c<ò pesar ti stringo.
Vagar dovresti lungamente, e indamo,
Visitando i lavori , e ciascun servo
Tentando; e intanto i Proci entro il palagio
Ogni sostanza tua struggon tramjuiili.
Ben tastar puoi delle iaiitesche 1 alma ,
Qual colpevole sia , quale iiiuoceiite : 3^0
Ma de' famigli a investigar pt:' campi
Soprastare io vorrei , se di vittoria
Segno ti diè l’egidarmalo Giove.
Mentre si feaii da lor queste parole.
La nave, che Telemaco e i compagni
Condotti avea da Pilo, alla cittade
Giunse , e nel porto entiò. Tiraro in secco
Gli abili servi , e disarmaro il legno ,
K di dito alla casa i preziosi
Duui recaro dell'Atride. In oltre
Mosse un araldo alla niagiou d'UIisse
Nunzì'ando a Penelope che il tiglio
Ne’ campi suoi si truttcnt a , perch'ella ,
Visto entrar senza lui nel porto il legno ,
Di nuovo pianto non bagnasse il volto.
L’araldo ed il pastor dier Tua nell altro
Con la stessa imbasciata entro i lor petti.
Vè pria varcar della magiou la soglia ,
Che il bauditor gridò tra le fdnte»che:
Heina , è giunto il tuo diletto tiglio.
Ma il pastore a lei sola , ed all’oreu hio ,
Ciò tutto espose , che versato in cure
felemaco gli avea : quindi alle iiiaudre
Ritornare aHVettavasi , l’eccelse
Case lasciando , e gli steccati a tergo.
Ma tristezza e dolor t’animo invane
De’ Proci. Uscirò del palagio , il vasto
Cortile aUraversaro , ed alle porte
S>*deaa davanti. Amici , in colai guisa
Eurimaco a parlar tra lor lu il primo,
Kbhen , che dite voi di questo , a cui
Fede sì poca ciascliedun pregiava ,
Viaggio di Telemaco ? Gran cosa
CvUo, e couduUa audau^uu-uie a Bue.
5Go
370
Digitized by Googic
ODISSEA
86
Cunvìeu nave mandar delle mìftliori'
Con buoni remiganti , acciocché tornì
Quella di botto , che agli agguati stava.
Profferte non avea Pultirae voci,
Che Auhnomo , rivolti al lido gli occhi ,
Un legno scorse nel profondo porto , 38o
Ed altri intesi a ripiegar le vele,
Altri ì remi a deporre , e , dolcemente
Kidendo , non s’ mvii messaggio alcuno ,
Disse , già dentro sono : o un Num« accorti
Li fece , o trapassar videro , e indarno
Giunger tentaro del garzon la nave.
Sorsero , e al lite andato. Il negro legno
Fu tratto in secco , e disarmato j e tutti
Per consultar si radunato i Proci.
Kc con lor permettean che altri sedesse, 690
Giovane o vecchio ; e cosi Antinoo disse :
Poh ! come a tempo il dilivraro i Numi !
L'intero di su le ventose cime
A vicenda sedean gli esploratori :
Poi , dato volta il sol , la notte a terra
Mai non passammo , ma su ratta nave
Stancavam Ponde sino ai primi albori ,
Tendendo insidie al giovane, e Pestremo
Preparandogli eccidio. E non pertanto
Nella sua patria il ricondusse un Dìo. 400
Coiisultiam dunque , come certa morte
Dare al giovane qui. Speriamo indarno
La nostra impresa maturar, s'ei vive:
Chè non gli falla il l>eiino ^ e a lavor nostro
J.a gente , come un dì , più non inchina.
Non aspettiam che a parlamento ei chiami
Gli Achivi tutti , nè crediam che lento
Si mostri, e molle troppo. Arder di sdegno
Veggolo , e, sorto in piè , dir che ruiiia
Noi gli ordivamo, e che andò ilcolpoa vòto.410
Prevenirlo è mestieri , e o su la via
Della cittade spegnerlo , o ne'campì.
Non place forse a voi la mìa favella ,
K bramate ch'ci viva , e dei paterno
Hetaggio goda interamente? Adunque
Noi dal fruirlo ritiriameì, Puno
Disgiungasi dall'altro, e a! proprio albergo
Si renda : indi Penelope rìchìena,
E quel cui sceglie il fato , e che offre a lei
Più ricchi doni, la regina impalmi. 4^0
Tutti ammutirò a cotai voci. Ai fine
Sorse tra lor delPArezìade Niso
La regia prole , Ànfìiiomo , che , duce
Di quei competitor che dal ferace
Dulichio uscirò , e di più sana mente
Tra ì rivali dotato , alla regina
Men, che ogni altro , sgradìa cu'detti suol.
Amici , disse, troppo forte impresa
Struggere affatto un reai germe. I Numi
Domandiamone ìn pria. Sarà dì Giove
Questo il voler? Vibrerò il colpo io stesso,
Non che gli altri animar ; dov'ei decreti
Diversamente , io vi consiglio starvi.
Così d'Arezio il figlio, e non indarno.
S’aÌ2:aro , e rientrar nell’ampia sala ,
E sovra i seggi nitidi posaro.
Ma la casta Penelope , che udito
Avea per bocca del fede! Medonte
Il mortai rischio del figliuol , consiglio
Prese di comparire ai traculauU 4W
Proci davante. La divina donna
Usci dell'erma stanza; e con le ancelle
Sul limitar della Dedalea sala
Giunta , e adombrando co'sottili veli ,
Che le pendean dal capo , ambe le guance ,
Antinoo rampognava in questi accenti :
Antinoo , alma oltraggiosa , e di sciagure
Macdiiiiator ; nella città v’ha dunque
Chi tra gli eguali tuoi primo vantarti
Per saggezza osi , e per facondia? Tale 45o
Giammai non fosti. Insano! e al par che insano.
Empio , che di Telemaco alla vita
Miri , e non curi ì supplici , per cui
Giove dall’alto si dichiara. Ignoto
Forse ti fu sin qui , che fuggitivo
Qua riparava , e sbigottito un giorno
Il padre tuo , che de'Tespruti a danno
Co'Tafj predator s'era congiunto?
Nostri amici eran quelli , e porlo a morte
Voleanu , il cor volean trargli del petto , 460
Non che i suoi campi disertar : ma Ulisse
Si levò, si frammise ; e, Jjenchè ardenti ,
Li ritenea. Tu di quest’uom la casa
Ruini e disonori ; la consorte
Ne ambisci , uccidi il figlio , e me nel fondo
Sommergi delle cure. Ah ! cessa , e agii altri
Cessare ancor , quanto è da te , comanda.
Figlia illustre d’icario , a lei rispose
Eiirimaco di Polibo , fa core ,
E sì tristi pensier da te discaccia. 47<*
Non è , non fu , non sarà mai chi ardisca
Contro il figlio d’UlishC alzar la inaiio ,
Me vivo , e con questi occhi in fronte eperti.
Di cotestui , cosa non dubbia , il nero
Sangue scorrerla giù per la mia lancia.
Me il distruttor delle cittadi Ulisse
Tolse non rado sovra i suoi ginocchi ,
Le incotte carni nella man mi pose,
L’almo licor m'offri. Quindi uom più caro
Io non ho dì Telemar.o , e non voglio 4^^
Che la morte dai Proci egli paventi.
Se la mandan gli Dei, chi può scamparne?
Così dicea , lei confortando , e intanto
L'eccidio del figliuol gli stava in core.
Ma ella salse alle sue stanze , dove
A lacrimar si dava il suo consorte ,
Finciiè, per tregua a tanti affanni, un dolce
Sonno inviolle Pocchiglauca Palla.
Cuti la notte comparve il fido Euméo
Ad Ulisse e a Telemaco , che , pingue 490
Sagrìfìcato ai Numi adulto porco,
Lauta se ne allestìan cena in quel punto.
Se non che Palla al Laerzìade appresso
Fecesi , e , lui della sua verga tocco ,
Nella vecchiezza il ritornò dì prima ,
E ne'primi suoi cenci ; onde il pastore
Noi ravvisasse in faccia, e, mal potendo
Premer nel cor la subitaua giuja ,
Con l'annunzio a Penelope non gisse.
Ben venga il buon pastur ! così primiero 5oo
Telemaco parlò. Qual corre grido
Per la citta ? Vi rientraro i Proci ?
0 mi tcndon sul mare insidie ancora ?
E tu così gli rispondesti , Euméo :
La mente a questo Ìo non avea , |mssando
Fra i cittadini : chè portar l avvidu ,
ùigitized by Google
87
LIBRO DEC
K di botto redir , fu sol mia cura.
Bensì m'avvenni al baiidìtor. clip primo
Corse parlando alla regina. Un'altra
Cosa dirò , quando la vidi in ate^sso. 5io
Prendendo li monte , che a Mercurio sorge >
K la cittade signoreggia f vidi
Rapidamente scendere nel porto
Nave d’uomini piena , e d’aste acute
Carca , e di scudi. Sospettai che il legno
I M O S E S T O.
Fosse de'Proci ; nò più aranti io seppi
À tai voci Telemaco sorrise »
Pur sogguardando i! padre, egli occhi a un tempo
Df’l custode schivando. A questo modo
Fornita ogni opra , e già parati ì cibi , 5ao
D’una egual parte in questi ognun godea.
Ma come il lor desio più non richiese,
Si corcaro al Hit tutti , ed il salubre
Dono del sonno ricettar nel petto.
LIBRO DECIMOSETTIMO
ARGOMENTO
Arrivo prima di Telemaco alla città, e poi dTjlisse acrompa^oalo da Euméo. UlUie c iosultatn dal capra |o
Melaoiio , e riccooflciuto alle porte del paUazo dal vecchio cane Argo, che ne muore di giuja. Eotralu dcÌU
sala io forma di vecchio mendico , va iotorao accatUodo, e Anliooo lo scaccia superbamente da sè , e uuo sgabello
gli landa contro, rcocluiw gli ià saper per Euioco, die desidera di lurbrgli. llis£v>sU d'Uiissc.
TT OSTO che aperse del mattìn la figlia
Con rosea man Tcteree porte al sole ,
Telemaco , d’Ulisse il caro germe ,
Che inurbarsi volea , sotto le piante
S'arvitise i bei calzari , e la nodosa
Lancia , che in man ben gli scattava , tolse |
E queste al suo pastor drizzò parole :
Babbo, a cittadc io vo , perche la madre
Veggami , e cessi Ì1 doloroso pianto,
Che altramente cessar , credo , non puote. io
Tu rinfelice forestier la vita
Guidavi a mendicar : d'un pan , d*un colmo
Nappo non mancherà chi io consoli.
Nello stato in ch'io sono , a me non lice
Sostener tutti. Montaranne in ira ?
Non farà che il suo male. Io dal mio lato
Parlerò sempre con diletto il vero.
Amico , disse allora il taggìo Ulisse ,
Partire intendo anch'io. Più , che ne’ campi ,
Nella ciitade accattar giova: mi frusto 30
Chi vorrà, porgerammi. Io più d'etade
Non sono a rimaner presso le stalle ,
p' obbedire un padron, checche m’imponga.
Tu vanne : a me quest'uom sarà per guida ,
Come tu ingiungi , sul che prima il foco >
Mi scaldi alquanto , e più s’innalzi il sole.
Triste , qual vedi , ho vestimcnta , e guardia
Prender degg'io dal mattutino freddo ,
Che sul rammin che alla ciMa conduce ,
Ed è, sento, non breve, oiFender puommi. 3o
Telemaco senz’altro in via sì pose,
Mutando i passi con prestezza, e mali
Nella sua mente seminando ai Proci.
Come fu giunto al ben fondato albergo.
Portò l’asta , e appoggiolla ad una lunga
Colonna , e in casa , la marmorea soglia
Varcando , penetrò. Primiera il vide
La nutrice Èuricléa , che le polite
Felli slendea su i variati seggi,
E a lui diritta, lagrimando , accorse: 40
Poi tutte gli accorrean l'altre d'Ulìsse
Fa.itesche intorno , c tra le braccia stretto
Su le spalle il baciavano , e sul capo.
Fratunto useia della secreta stanza.
Pari a Diana , e all'aurea Vener pari ,
La prudente Penelope, che al caro
Figlio gettò le man , piangendo , al collo ,
E la fronte baciògU , ed ambo gli occhi
Stellanti ; e non restandosi da) pianto,
Telemaco , gli disse , amata luce , So
Venisti adunque 1 Io non credea più i lumi
Fissare in te , daccliè una ratta nave.
Centra ogni mìo deslr : dietro alla fama
Dei genitor furtivamente a Pilo
T’addusse. Parla : quale incontro avesti ?
Madre , del grave rischio ond’io campai ,
Replicava Telemaco , il dolore
Non rinno^rmì in petto , e lo spavento.
Ma in alto sali con le ancelle : quivi
Lavata , e cinta d'una pura veste 60
membra delicate , a tutti i Numi
Ecatombe legittime prometti,
Se mi consente il vendicarmi Giove.
10 per un degno forestier, che venne
Meco da Pilo, andrò alla piazza. Innanzi
Co’miei fidi compagni io lo spedii ,
E commisi a Piiéo , che in sua magione
L’introducesse, esilio al mio ritorno
Con onore il trattasse, e con aHbtto.
Non indarno ci parlò. Lavata , e cinta 70
Di veste pura il delicato corpo ,
Penelope d'integre a tutti i Numi
Ecatombe votavasi , ove al figlio
11 vendicarsi consentisse Giove.
Nè Telemaco a uscir fuor del palagio
Molto tardò : l’asta gli empirà la mano ,
E due bianchi il seguian cani fedeli.
Stiipia ciascun , mentr’ei mutava il passo :
Tal grazia sovra lui Palla diffuse.
Gli alteri Proci stavangli da questo 80
Lato , e da quel , voci parlando amiche |
Ma nel profondo cor fraudi covando.
Se non ch’ei tosto sì sciogtiea da*essì ;
E là , dove sedea Mentore , dove
Antifo ed Aliterse , che paterni
Gli eran compagni dalla prima etade,
A posar s’avviò : quei d’ogni cosa
L addimatidaro. Sopraggiunse intanto
Digitized by Google
83 odi;
Piréo, lancia famosa , il qual noi foro
Per la cittatle il forestier menava , go
A cui s’alzò Telemaco , e s’offerse.
E così primo l'avellò Piréo :
Telemaco , farai che al mio soggiorno
Ven^an le donne lue per qiie’superbi
Doni , onde Menelao ti fu cortese.
E il prudente Telemaco : Piréo ,
Ignoto c ancor di queste cose il fine.
Se i Proci , me secretarnepte anciso ,
Tutto dividcransi il mio retaggio,
Prima , che alcun di loro , io di que’doni loo
Vo’che tu goda. E dove io lor dia morte ,
A me lieto recar li potrai lieto.
Disse , e guidò nella sua bella casa
L’ospite sventurato. Ivi, depostd
Sovra ì troni le clamidi vellute ,
Sceser nel bagno ; e come astersi ed unti
Per le servili man furo , c di manto
Vago e di vaga tunica vestiti ,
Su i ricchi seggi a collocarsi andare.
E qui Pancella da bellaureo vaso Ho
Purissim’acqua n^l bacii d’argonlo
Versava , e steudea loro un liscio drsco ,
Su cui la saggia dlspensicra i bianchi
Pani venne ad imporre , e non già poche
Delle dapi non fresche , ond’è custode.
Penelope sedea di fronte al caro
Figlio , e non lungi dalle porle ; e fini
Velli purpurei , a una polita sede
Poggiandosi , lorcea. Qne’due la destra
Steudeano ai cibi ; nè tu pria repressa i2u
X.a fame loro , e la lor sete spenta ,
Che in tai voci la madre i labbri apriva :
Io , figlio , premerò , salita in alto ,
Quel che divenne a me lugubre letto ,
Dappoi che Ulisse inalberò le vele
Co’figliuoli d’Atréo ; lugubre letto.
Ch’io da quel giorno del mìo pianto aspergo.
Non vorrai dunque tu, prima che i Proci
Entrino alle magion , dirmi se nulla
Del ritorno del padre udir t’avvenne? i3o
E il prudente Telemaco a rincontro:
Madre , il tutto Ìo dirò. Pilo trovammo,
Ed il pastor de’popoli Nestorrc:
Qual padre accoglie con carezze un figlio
Dopo lunga stagion d’altronde giunto ,
Tal me in sua reggia , e tra Tillustre prole,
La bianca testa di Nestorre accolse.
Ma diceami , che nulla udì d’Ulisse ,
0 vivo fosse, 0 fatto polve ed ombra.
Quindi al pugnace Menelao maiidommi 140
Con buon cocchio e destrieri j ed io là vidi
L’argiva Eléna , jkt cui Teucri e Greci ,
Cosi piacque agli Dei , tanto sudato.
Il bellicoso Menelao repente
Chiedeami, qual bisogno alla divina
ìSparta m’avesse addotto. Io non gli tacqui
Nulla , e l’Atride : Ohimè ! d’nn eroe dunque
Volean giacer nel letto uomini imbelli ?
Siccome allor che malaccorta cerva ,
1 cerbiatti suoi teneri e lattanti i5o
Depoati in tana di leon feroce ,
Cerca , pascendo , i gioghi erti e l’erbose
Valli profonde j e quello alla sua cava
lliede frattanto, e cruda morte ai fi^lì
S E A
Porta , e alla madre ancor: non altrimenti
Porterà cruda morte ai Proci Ulisse.
Ed oh piacesse a Giove, a Febo e a Palla ,
Che qual si levò un di cuntra l’altero
Filomelide nella forte Lesbo,
K tra le Iodi degli Achivi a terra tGo
Con mano invitta , lotteggiando , il pose ,
Tal costoro affrontasse ! Amare nozze
Foran le loro , e la lor vita un punto.
Quanto alla tua domanda , il re soggiunso,
Ciò raccontarti senza fraude intendo ,
Cile un oraeoi verace , il marin vecchio
Proteo, svelommi. Asseverava il Nume,
Che molte e molte lagrime dagli occhi
Spargere il vide in soliUrio scoglio,
Soggiorno di Calijwo, inclita Ninfa, 170
Che rimandarlo nìega ; ond’ei , cui solo
Non avanza un naviglio , e non compagni
Che il carreggiti del raar sull’ampio dorso
Star gh convien della sua patria in bando.
Ciò 111 Lparta raccolto , io no partii ;
E un vento in poppa m’invìaro i Numi,
Che rattissimo ad Itaca mi spinse.
Con tai voci Tdnmaco alla madre
L anima in petto scompigliava. Insorse
Teocliméno allora : O veneranda 180
Della gran prole di Laerte donna ,
Tutto eì già non conobbe. Odi i miei detti :
Vero e integro sarà l’oracol mio.
Piimo tra i Numi in testimonio Giove,
E la mensa ospitai chiamo, ed il sacro *
Del grande Ulisse limitar , cui venni :
Lo sposo tuo nella sua patria terra
Siede , o cammina . le male opre ascolta ,
F. morto a tutti gli orgogliosi Proci
Nella sua mente semina. Mei disse ino
Chiaro da! cielo un volator , ch’io scórsi ,
E al tuo figlio mostrai , sedendo in nave. *
L la saggia Penelope: Deh questo ,
Ospite , accada J Tali e tanti avresti
Del mio sincero amor pegni , che ognuno
li chiameria , scontrandoti , beato.
Mentre così parlando , c rispondendo
Di dentro ivan la madre , il figlio e il vate
Gli alteri Proci alla magion davante
Dischi lanciavan per diletto, e dardi 200
Sul pavimento lavorato e terso,
Della baldanza lor solito arringo.
Ma, giunta l’ora della mensa , e addotte
Le vittime da tutti intorno i campi ,
Medonte, che nel genio ai Proci dava
Più, che altro in fra gli araldi; e ai lor banchetti
Sem pre assistea , G iovani , disse ,*quando
Godeste ornai de’ giochi , entrar v’aggradi ,
Sì che il convivio s’imbandisca. Ingrata
Cosa «on parnii il couvivare al tempo. 210
Sorsero immantinente, ed alle voci
Del baiiditor non repugnaro. Entrati,
Deposer su le sedie i manti loro.
Pingui capre scaniiavansi , e i più grandi
iMontoni, e grossi porci , e una buessa
Di branco; e il prandlos’eppreslava. E intanto
Dai campi alla cittadc andar d’un passo
Preparavansi Ulisse ed il pastore.
Pria favellava Euméo d’uomini rapo :
Stranier , se il mio piacere io far pute.'^sì , 220
Digitized by Coogic
Sg
LIBRO DECIHOSl’TTIMO.
Tu dellr stiliti rimarresti a guardia.
Ma , {K)ichè partir bramì , e ciò pur vuoisi
Dal mio aignur , le mi rampogne io temo ,
Però che gravi i>on Tire de’ Grandi ,
Muviam : già vedi che scemato è ii giorno ,
K infredderà più l’aere in %èr la sera.
Tairosrad noni, che non lo ignora, insegni,
Ripigliò il Laerzwde. Ebhen^ moviamo :
Ma vammi innanzi , e da , se da mia pianta
Il recidesti , un forte legno , a cui a3o
Per la via , che nmivagia odo, io mi regga.
Disse^ e agli omeri suoi per una torta
Curdfi il .suo rotto e vii zaino sospese ,
K il bramato basimi porsegli Enméo.
Quindi le stalle abbandonar , dt cui
Rimaneanu i famigli a guardia , e i cani.
CoiI vèr la città sotto le forme
D’un infelice mendicante e vecchio,
V. curvo sul bastone , e con le membra
Nelle vesti più turpi , il suo re stesso 240
L’amoroso pastore allor guidava.
Già , vinto il sentiero a^p^o, alla cittade
Si f« an vicini , ed appai la la bella ,
Donde nttignea ciascun , fonte artefatta ,
Che una pura tra Terhe onda volvea.
Construsserla tre regi : Itaco prima ,
Poi Neritoe Polittore. Rotondo
D’alni acquidosi la cerchiava un bosco.
Fredda ciidea l’onda da un sasso , e sopra
Un aliar vi sorgen sacro alle Ninfe , a5o
Dove oflVia preci il viandmite , e doni.
Qui di Dolio il figliuol , Melanzio , in loro
S' incontrò : comiucea le capre, il fiore
D<»! gregge, ai Proci ; e il seguìan due pastori.
Li vide appena , che bravolli , e indegne
Saettò in loro , e temerarie voci ,
Che tutto coinmovean d’Ulìsse il core.
Or si , dicca , che un tristo a un tristo è guida.
Giove ii forma , indi gli accoppia. Dove
Meni tu quel ghiottone , o buon porcajo, a6o
Quel memlico importuno , e delle mense
Peste , che u molte signorili porte
Logorerassi gli omeri , di pane
Frusti chiedendo , non tn pplcd» , o conche ?
Se tu le stalle a custodir me! dessi ,
E a purgarmi la corte , e a’ miei capretti
La frasca molle ad arrecar , di solo
Bi'vuto siere ingrosserìa ne’ lianchì.
Ma , poiché solo alle tristi opre intese ,
Travagliar non vorrà , voria più presto , 270
Di porta in porta domandando, un ventre
Pascere insaziabile. Ma senti
Cosa che certo avvenir dee. Se all'alta
Magion s’accosterà del grande Ulisse,
IRulti sgabelli di man d’uom lanciati
Alla sua testa voleranno intorno,
E le coste trarraimogli di loco.
Ciò disse , ed appressollo , e nella coscia
Gli diè d’un calcio , come stolto ch’era ,
Nè dalia via punto Io mosse : fermo 380
Restava Ulisse , e in sé volgea , se l’alma
Col nodoso baston torgli dovesse ,
O in alto sollevarlo , e su la nuda
Terra gettarlo capovolto. Ei Pira
Contenne, e sopportò. Se non ch’Enméo
Al caprar si converse , e improveroUo ,
ODISSEA
R , levate le man . molto pregtiva ;
O belle hglie delPEgioco , Ninfe
Nàjadi , se il mio re v’arse giammai
Dagiielli e di capretti i pingui lombi , 2go
Empiete il voto mio. Rieda , ed un Nume
La via gli mostri. Ti cadria , caprajo ,
Quella supeibia dalle ardite ciglia ,
Con cui Vieni oltraggioso, e si frequente*,
Dai campi alla città. Quindi per colpa
De’ cattivi pastori a mal va ii gregge.
Oh , oh , Melanzio ripigliò ui b <tto ,
Che mi latra oggi quello sraltro cane ,
Che un giorno 10 spedirò sovra una bruna
Nave dalla serena Itaca lunge, 3oO
Perchè a me in copia vettovaglia trovi?
Cosi il Dio dal sonante arco d’argento
Telemaro uccidesse oggi , o dai Proci
Domo fosse il garzon , come ad Ulisse
Non sorgerà della tornata il giorno !
Ciò detto , ivi lasciolli ambo , che lento
Moveano il piede, e , suo cammiri seguendo ,
D'Ulissealla inagiun ratto pervenne.
Subito entrava , e s’assidea ira i Proci
Di rimpetto ad Eurimacu , che tutto 3io
Kra il suo amore ; nc i donzelli accorti ,
E la solerle dispensiera , innanzi
Un solo istante 5’ indugiato a ]>orglt
Quei p.*irte delle carni , e i pani questa
Ulisse ed il pastore al regio albrrgo
Giungeano intanto. S’arre.‘'laro , udita
L'armonìa dolce della ca^n cetra :
Gilè l'usata canzon Femio intonava.
Tale ad Ruméo,che per man prese, allora
Favellò il Laerziade: Euiiiéo , d'Uiisse 3ao
La brlla casa ecco per certo. 1 ora ,
Renelle tra molte , il ravvisarla lieve.
L'un pian su l’altro monta, è dì muraglia
Cinto il cortile , e di slecc ifi , doppie
Sono e salde le porte. Or chi espugnarla
Polria?Gran prandio vi .si tiene, io credo :
Poiché l'odor delle vivande ^aIc,
£ risuona la celerà , cui fida
Voller compagna de’convili i Numi.
K tu così gli rispondesti , Humói» : 55o
Facile a te, che lunge mai dal seguo
Non vai, fu il riconoscerla. Su , via,
Ciò pensiam , che dee farsi. O tu primiero
Entra , c ai Proci ti mesci , ed io qui resto ;
O tu rimani , e metterommi io dentro.
Ma troppo a bada non islar : chè forse ,
Te v^’ggendo di fuor , potrebbe alcuno
Percuoterti , o scaeciarti. Il tutto pensa.
Quel veggio anch’io, che a Ila tua meli le splende,
Gli replicava il paziento Ulisse. 5^o
Dentro mettiti adunque: io rimarrommì.
Nuovo ai colpi non sono e alle ferite ,
E la costanza ni’ìnsegnaro i molti
Tra Tarmi e in mar danni sofferti , a cut
Questo s’aggiungerà. Tanto cqmanda
La forza invitta delTingprdo ventre,
Per cui cotante l’uom dura fatiche ,
E navi arma talor , che guerra altrui
DelTinfecotido mnr portan su ì campi.
Così dicean tra lor , quando Argo, il cane, 35o
Ch’ivi giacca , del paziente Ulisse ,
La testa j ed ambo sollevò gli orecchi.
13
Digitized by Google
I S s E A
cp O D
Nnfrillo nn giorno di sua man IVroo ,
Ma còme , spinto dal suo fato a Troja ,
Poco frutto potè. Bensì condurlo
Contra i lepri , ed i cervi , e le silvestri
Capre solca la gioventù robusta.
Negletto allor giacca nel molto limo
I): muli e buoi sparso alle porte innanzi,
ririchè, i poderi a fecondar d’Ulis.se , 5Go
Nel togliessero i servi. Ivi il buon cane,
Di turpi zecche pieii , corcato stava.
Com’egli vide il suo signor più presso^,
E , benché tra qiic’cenci , il riconohhe.
Squassò la coda festeggiando , ed ambe
X.e orecchie , che drizzate avea da prima ,
Cader lasciò : ma incontro al suo signore
Muover , siccome un di , gli fu disdetto.
Ulisse, riguardatolo , s’asterse
Con man furtiva dalla guaticia il pianto , 670
Celandosi da Enméo , cui disse tosto r
Eutnéo, quale stupor ! Nel fimo giace
Cotesto , clic a me par cane sì bello.
Ma non so, .se del pari ei fu veloce,
O n>illa valse, come quei da mensa,
Cui nutron per bellezza i lor padroni.
r tu così gli rispondesti . £umén :
I)el mio re lungi morto è questo il cane.
Se tal fosse di corpo e d’atti , quale
I.asciollo , a Troja veleggiando, Ulisse, 38o
Sì veloce a vederlo e sì gagliardo.
Gran maraviglia ne trarresti: fiera
Non adocchiava , che del folto bosco
(Ili fuggisse nel fondo , e la cui traccia
Perdesse mai. Or l'infortunio ei sente.
Perì d’Itaca hinge il suo padrone.
Nè più curan di lui le pigre ancelle:
Che pochi dì stanno in cervello i servi ,
(Quando il padrone lor più non impera.
I/onnìveggonte di Saturno figlio Sgo
Mezza toglie ad un uoni la sua vìrtude,
Come sopra gli giunga il dì servile.
Ciò detto , il piè nel sontuoso albergo
Mi.se , e avvìossi drittamente ai Proci;
Ed Argo , il fido can , poscia che visfo
Ebbe dopo dieci anni e dieci Ulisse , ''
(Ili occhi nel sotiiio della morte chiuse.
Ma l’egregio Telemaco fu il primo
Che scorgesse il pastor nella superba
Sala passato; e a sé il chiamò cl’un cenno. 400
Ed ei , rivolto d’ogni intorno il guardo,
iL“vò uno scanno ivi giacente, dove
Seder solca lo scalco , e le infinite
Carni partire ai banchettanti Proci,
l.evollo , ed a Telemaco di contra
Il piantò presso il desco , e vi s’assi.se ;
E delle carni a lui pose (lavanti
I.o .«calco , e pani dal canestro tolti.
Ulisse ivi a non molto anch’egli entrava
Siili il ne’cenci e nel bastoii nodo.so , 4*0
Su cui piegava il tergo , a un infelice
Paltonier d'anni carco. Entrato appena,
Sopra il frassineo limitar .sedea ,
Con le spalle appoggiandosi ad un saldo
Stipite cipressi!! , cui già perito
Fabbro alz,ò a piombo , e ripolì con arte.
T^lemaro il pa.stor chiama , e , togliendo
(^filanto avea pane il bel canestro, e quauta
Carne nelle sue man rapir potea ,
Questo, gli dice, all’ospite tu reca, 470
E gli comanda che a ciascun de’Proci
S’accosti mendicando. A cui nel fondo
Dell’inopia cascò , nuoce il pudore.
Andò il pastor repente, e , allo straniero
Sofi’ermandosi in faccia , Ospite, dis.se.
Ciò ti manda Telemaco , e t’ingiunge
Che mendicando ti presenti a ognuno
De’Proci in giro. A cui nel fondo , ei dice ,
Dell’inopia cascò, nuoce il pudore.
E il Laerziade rispondea : re Giove , 43o
Telemaco dal ciel con occhio guarda
Benigno sì, cli’ei nulla brami indarno.
Detto ciò solo , prese ad ambe mani
Ulisse il tutto , e colà innanzi ai piedi
Su la bisaccia ignobile sei pose.
Finché il diviii Demodoco cantava ,
Cibavas! l’uoni saggio : al tempo stesso
L’un dal cibo cessò , l’altro dal canto.
Strepitavano i Proci entro la sala :
Ma Palla , al figlio di I.acrte apparsa , 446
[/esortò i pani ad accattar dai Proci ,
Tastando chi più asconda o nien tristezza ,
Benché a tutti la Dea scempio destini.
F.i volse a destra , e ad accattar da tutti
GIo , stendendo la maii , come se mai
Esercitato non avesse aitr’arte.
Mossi a pietade il soccorreano , e forte
Stiipiaiio , e domamlavansi a vicenda ,
Chi fosse , e d’onde il lorestier venisse.
E qui Melaiizio , Udite , o deH'illustre 45o
Penelope, dicea , vagheggiatori.
L’ospite io vidi , a cui la via mostrava
De’ porci il guardìaii : ma da qual chiara
Stirpe disceso egli si vanti , ignoro.
Guardian famosissimo, Antinóo
Così Euniéo rimbrottò , perchè costui
(xiiidastì alla città ? Ci mancali forse
Vagabondanti paltonieri infesti.
Delle mense flagello ? O , die d’Ulisse
(^)ui si nutra ciascun, poco ti cale, 460
Che questo ancor , donde io noti so , chiamasti?
E tal risposta tu gli festi , Euméo :
Prode, Autinoo , sei tu , ma ben non parli.
Chi un forestiero a invitar mai d’altronde
Va, dove tal non sia che al mondo giovi ,
Come profeta , o sanator di morbi ,
0 fabbro industre in legno, o nobil vate.
Che le nostr’alme di dolcezza inondi ?
Questi invitansi ognor , non un mendico
Che ci consumi , e non diletti , o serva. 470
Ma tu i ministri del mio re lontano
Più , che ogni altro de’Proci , e de’rainistri
Me più , che ogni altro , tormentar non cessi.
Nen men curo io però , finché la saggia
Penelope e Telemaco deiforme
Vivono a me nella magion d’Ulisse.
Ma Telemaco a lui : Taci , parole
Non cangiar molte con Antinoo. E usanza
Di costui l’assalir con aspri detti
Chi non l’ofl'ende , e incitar gli altri ancora. 480
Poi , converso a quel tristo ; In ver, soggiunse,
Cu'ra di me, qual padre, Autinoo , prendi ,
Tu , che l’o.spite vuoi sì duramente
Quinci sbanciire. Ah noi consenta Giove!
Digitized byGoogle
9»
LIBRO DECI OSE T TIMO.
Dagliene: io, non che oppormi , anzi redigo.
madre d’annojare , o alcun tie'a<*rvt
Del {Kidre mìo , tu non temer per questo.
IVlu ci)sa tal non è da te , cut solo
La propria gola soddisfar talenta.
O alto di favella e d'alma indoino , 4qo
D'Eupite disse imumtanenle il liglio^
Che parlasti , Telemaco? Se i Vroci
Quel don , th^o serbo a lui , gli Tesser tutti f
Starsi almeno ei durila tre lune in casa
Da noi lontano} e, lo sgabello preso,
Su cui tenea beendo i molli piedi ,
Aito in aria il mostrò. Gii altri cortesi
Gli eran pur d'alcuii che, sì ch’ei Irovossi
Di carni e pani la bisaccia colma.
Mentre alla soglia, degli Achivi i doni 5ou
Per gustar, rituniavu, ad Antinoo
Si fermò innanzi , e disse : Amico , nulla
Dunque mi porgi ? Degli Achivi il primo
Mi sembri , come quei , che a re sumigliu.
Quindi più ancor , che agli altri , a te s'addice
Largo mostrarli : io le tue lodi , il giuro ,
Per tutta spargerò l'irouiensa terra.
Tempo già fu , ch'io , di te al par felice ,
Belle case abitava , e ad un ramingo ,
Qual fosse, e in quale stato a me venisse , 5io
Del mio Jarglu : molti avea servi , e nulla
Di ciò falliumi , onde gioìscoii quelli
Che ricchi e fortunati il mondo chiama.
Giove, il perchè ci ne sa, strugger mi volle,
£i , che in Egitto per mio mal mi spinse
Con ladroni tnohivaghi : viaggio
Lungo e funesto. Nell'F.gitto fiume
Fermai le ratte navi , ed ai compagni
Bestaruc a guardia ingiunsi, e quell ignota
Terra ire alcuni ad esplorar dall'alto. 620
Ma questi da un ardir folle e dn un cieco
Desio portati , n saccheggiarle belle
Campagne degli Ivgìzj. u via menarne
Le donne e i figli non parlanti , i grami
Coltivatori a uccidere. Voluiiiie
Tosto il romvirealla città; uè prima
L'Alba s’imporpoiò, che i cittadini
Vennero , e pieno di cavalli e fanti
Fu tutto il campo , e del fulgor dell'armì.
Cotale allora il Fuliniuante pose 53o
Desir di fuga de’ compagni in petto,
Che un sol far testa non osava : uccisi
Fur parte , e parte presi , e ad opre dure
Sforzati ; e ovumpic rivoigeansi gii occhi,
Un disastro apparìa. Me consegnaro
A Demetore Jaside, che in quelle
Parti era giunto , e dominava in Cipro,
Dond* io, carco di mali , al fin qua venni.
£ di nuovo cosi d'Eupitc il nglio:
Qual Genio avverso una si fatta lue , 540
Le nostre mense a conturbar , ci addusse?
Tienli nel mezzo , p dal mio desco luiige,
Se un’altra Egitto amara , c un’altra Cipro
Trovar non brami in Itaca, lo mendico
Mai non con.obbi più impudente e audace.
T'ofTri a ciascun Tun dopo l’altro, e allarga
Ciascun per te la maii senza consiglio :
Gilè rotto cade ogni ritegno , dove
Regna la copia , e daU’aitrui si dona.
Poh ! replicava il Laerziade, iiidìetro 55o
Ritirandosi alquanto, alla sembianza
Poco l’animo atiunque in te risponde.
Chi mai creder potria che pur di »ule
A supplicante tu daresti uji grano
Dalla tua mensa , tu , che un frusto darmi
Dall’altrui non sapesti , e così ricca ?
Montò Antinoo in più furia , e , torve in lui
rissando le pupille , Ora tu non penso ,
Che uscirai quinci con le niembia saiiu ,
Poscia che ali’oiite ne venisti. Disse , 660
E alleiTÒ lo sgabello, ed avvcntoilo ,
l'I in su la punta della <leslra spalla
Percosse il lorestiero. Ulisse lei ino
Stette, qual rupe, nè d'Anliiioo il colpo
Smosselo: bensì tacito la testa
Crollò, agitando la vendetta in core,
ludi sul limitar sedea di iiumo ,
De^iosto il zaino tutto pieno , e ai Proci
favellava cosi: Competitori
Dell’illustre reina, udir vi piaccia 670
Ciò che il cor dirvi mi cotitamlii. Dove
Pe' campi, per la greggia o per l'armento
Pugnando è l’uom ferito, il porta in pace.
Me per la trista ed impurluna fanie,
Gran fonte di disastri , Antinoo olle.'C.
Ma se ha propiz) i Dei , se ha fune ultrici ,
Citi non ila nulla , delia morte il giorno
Pria , che quel d^lie tiozzi* , Antinoo colga.
E d'Eupiie il figliiiol : Tranquillo e assisti,
Cibati , o foreatiere , o quinti sgombra , .òifa
Acciò gli schiavi , poiché sì favelli ,
Per li piedi c le maii te del palagio
Non traggati fuori , e tu ne vada in pezzi.
Tutti d’ira s’accesero , ed alcuno ,
.Mal, disse, lesti, Kupitide, un tapino
Viandante a ferir. Sciaurato ! S’cgli
Degli abitanti dell'Ol impo losae ?
Spesso d'estrano pellegrino in forma
Per le cittadi si raggira un Nume,
Vestendo ogni sembianza , e alle malvage 5q'>
De’mortoU opre, ed alle giuste guarda.
Ta> Voci Antinoo dispregiava. Intanto
Della percossa rea gran duo! nel petto
Teieuiacn nodrìa. Non però a terra
Dalle ciglia una lagrima gli cadde.
Sol crollò aucb'ei tacitamente il capo ,
Ruminando nel cor l’alta vendetta.
Ma la saggia Penelope, cui giuiiso
L’annunzio in alto dell’indegno colpo,
fra le ancelle proruppe in questi accenti : 600
Deh cosi lui d'uii de'suoi dardi il Nume
Dal famoso d'argento arco ferisca !
Ed Euriiiotne u lei : Se gl’Iminori.ili
Fesser pieni i miei voti , a un sol de'Proci
Non mostreriasi la nuuv'alba in cielo.
Nutrice mia , Penelope riprese,
Mi spiaccion tutti , perchè tutti ingiusti :
Ma del par che la morte Antinoo abbono.
Move per casa un ospite infelice
Dalla sua fame a niriidicar costretto. 610
Ciascun gli dà , tal ch’ei ii’ha il zaino colmo ,
E d’Èupite il figliuol d'nuo >g libello
Nella punta dell'omero il percuote.
Cotesti accenti tra le ancelle assisa
Liberò dalie labbra ; e in quella Uiis.se
11 suo prandio compiva. Ma la icgiiu ,
Digilized by Coogle
ga O D 1 S
Buméo chiamato a sè , Va , gli dicea »
De' pastori il più egregio , ed a me invia
Quel forestiere, onde in colloquio io seco
Hi restringa , e riciùedagli , se mai 6au
D’IJlissc ud'i , se il vide mai con gli occhi ,
£i , che di gran viaggi uom mi ra»seinbra
£ tu cosi le rispondesti , Euméu :
Oh volesser gli Achei per le, regina ,
Tacersi alcuni istanti l £t tal favella •
Che somma in cor ti verseria dolcezza.
Io (re giorni appo me l'ebbi , e tre notti ,
Che fuggito era da un’odiata nave :
Kè però tutti mi narrò ì suoi guai.
Qual racceso dai Numi illustre vate 63o
Voce sì grata agli ascoltanti innalza ,
Che rurecchio , fissando in lui le ciglia ,
iie dal canto riman., tendono ancora:
Tal mi beava nella mia capanna.
Dissemi che di padre in figlio a Ulisse
Dell’ospitalità stringcalo il nodo:
Che nativo di Creta era , del grande
Hinosse culla \ o che di là , cadendo
D’un mal sempre nell’altro, a'tuoi ginocchi
Venia di gramo supplicante in atto. 640
H’aifermò che d'Ulisse avea tra i ricchi
Tesproti udito, che vive anco, e molti
J^ll’avita magion tesori adduce.
La prudente Penelope a rincontro ;
Vanne , ed a me Piuvìa , sì ch’io Pa«:olti.
Gli altri o fuor delle porte o nel palagio
Trastullili pur , poscia che han lieto il core.
Crescono i monti delle lor sostanze ,
Di cui solo una parte i servi loro
Toccano j ed essi qui l’intero giorno 65o
Danchettan lautamente, e il iior del gregge
Struggendo e deiParmento , e le ricolme
Della miglior vendemmia urne vòtando ,
Fanno una strage: nè v’iia un altro TJlìsse,
Clic atto a fermarla sia. Ha l’eroe giunga,
£ piena con Telemaco di tanti
Darbari oltraggi prenderà vendetta.
Finito non uvea , che il figlio ruppe
In un alto starnuto , onde la casa
Kisonò tutta. La regina rise, 6G0
£ , va , disse ad Humóo, corri , e il mendico
JVIandami. Starnutare alle mie voci
Hon udisti Telemaco? Maturo
De’Proci è il iato , nè alcun fìa che scampi.
Ciò senti ancora , e in mente il serba. Quando
Verace in tutto eì mi riesca , i cenci
Gli cangerò di botto in vesti belle.
Corse il fido pastore , e allo straniero,
Standogli presso, Ospite padre, disse,
Te la saggia Penelope, la madre 670
Ti Telemaco, vuole : il cor la spinge
D’inisse a ricercar , benché sul dato
S £ A
Le abbiali sin qui le sue ricerche duolo.
Quando verace ti conosca , i cenci
Ti cangerà di botto in vesti belle.
Cibo non mancherà chi ti largisca ,
Se tu l’andrai per la città chiedendo.
Huméo , rispose il paziente Ulisse,
Alla figlia d’icario, alla prudente
Penelope , da me nulla del vero 6S0
Si celerà. So le vicende appieno
D’Ulisse , con cui sorte io m’ebbi eguale :
Ma la turba difficile de’Pruci ,
Di cui del ciri sino alla ferrea volta
Monta l’audace tracotanza , io temo.
Por testé , mentr’io già lungo la sala ,
Nulla oprando di mal , percos:<o io fui ;
£ non prevenne il doloroso insulto
Telemaco, non che altri. 11 sol cadente
Ad aspettar nelle sue stanze adunque 690
Tu la conforta. Mi domandi alloia
Del ritorno d'Ulisse innanzi al foco :
Poiché il vestito mio mal mi difende.
Tu il sai . cui prima supplicante io venni.
Diè volta , udito questo il buon pastore;
£ Penelope a luì , che già la soglia
Col piè varcava : Non mel guidi , Euméo ?
Che pensa il foresiier ? Tema de’ Proci ,
O vergogna di sé , forse occupollo ?
Guai quel mendico , cui ritieii vergogna l 700
Ma tu così lé rispondesti , Eumeo:
Ei , come altri farebbe in pari stato ,
De’ superbi schivar Ponte desia.
Bensì l’esorta sostener , regina ,
Finché il dì cada. Così meglio voi
Potrete ragionar sola con solo.
Gran senno in lui , chiunque sìa , dimora ,
F.lla riprese r chè sì audaci e ingiusti
Non ha Finterò mondo uomini altrove.
Euméo ritornò ai Proci , e di Telemaco 7x0
Parlando , ond-? altri non potesse udirlo ,
All’orecchia vicin , Caro , gli disse ,
f.e marni re , tua ricchezza e mio sostegno ,
A custodire io vo. Tu su le cose
Qui veglia , e più sovra te stesso , e pensa
Che i giorni passi tra una gente ostile ,
Cui prima , ch’ella noi , Giove disperda.
Sì , babbo mio , Telemaco rispose.
Partì, ma dopo il cibo , e al di novello
Torna, e vitnnie pingui adduci teco, 720
Tacque; ed Euméu sovra il polito scanno
Nuovamente sedea. Cibato , ai campi
Ire aCFiettossi , gli steccati addietro
Lasciando, e la magìmi d'uomini piena
(rozzoviglianti , cui piacere il ballo
Era , e il canto piacer , mentre spiegava
L'ali sue nere sovra lor la Notte.
Digiiized by Coogle
LIBRO D E G I M 0 T T A V 0
ARGOMENTO
ComlMUijDeDto Ira Irò ed Ulisw , che rimane al di sopra. Penelope si presenU ai Proci y e sì la^a cbe
iosultÌDO glioapilì, e che, aspiraodu alle omze di lei, in vece di ofterirle i duni secuudu il O'Stutue, divorino
le sue S4.<staave. Duni dc'i’roci a Pi‘oeU*|ie. Sopravvenuta, la notte, LKsse è insultatu nuuvauicute , prinu con
parole dall'ancella Melaolu, e poi da Eurimaco, che uno sgabello, come già lece Antiooo , lanciagli contro.
XJn accattante pubblico sorvenne,
3>i nieudicare per laciltiule u«ato,
Famulo vurator , che mai non tlii>&a
Per mollo cibo , e per vin molto , Rasta ,
^ gigante a vederlo , ancor che poco
X)i ioiza e cuore in ȓ gran corpo tosse.
Egli avra nome Aniéu: rosi cliiamollo,
^’el di che iiaique , la diletta madie.
Ma dai giovani tutti Irò nomalo
Era , come colui che le imbasciaie io
portar solca , (piai gliene desse il carco.
G-iunto iu appena , che scacciava Ulisse
Xlalla sua casa , cd il mordea co' detti :
Vecchio , via dal vestibolo, se vuoi
Cli' io non ti tragga iuor prr un de' piedi.
Kon vedi l’ummìccar , perdi'io ti tragga.
Di tutti a me? Pur m'arrossisco, e stonimi.
Ma levali , o alle prese io con te veglio.
Bieco Ulisse guatolio , e . Sciagurato ,
P ispose, in opra io non t'ollendo, o in voce, 3u
Kè che alcuno a te doni , anco a man piene ,
T' invidio io punto. Questa soglia entrambi
Ci capirà. Tu non dovresti noja
Del mio bene sentir , tu , che un mendico
Mi sembri al par di me. Dìspensaturi
Delle ricchezze alTuom sono i Celesti.
Invitarmi a pugnar non ti consìglio.
Onde inhammuto, benché vrccbio, d’ira
Le labbra io non t'insanguini , ed il petto.
Più assai traiujuiUo io ne sarei domane: 3u
Chè alla niagion del tiglio di Laerte
Biiorno iar tu non potresti , io credo.
Poh , sdegnato lì pezzente Irò riprese,
Più volubili i detti a questo ghiotto
Corrono , e ratti più , ihe non a veci hia ,
Che sempre al focolar s’aggira intorno.
S’io queste maii pongogli addosso , tutti
Dalle mascelle , come a ingordo porco
Entrato ita le biade , i denti io schianto.
Or bene , un cinto senza più li cuopra , 4^
£ questi ci conoscano alla pugna ,
die tosto avremo, lo veder voglio , come
Con uom combatterai tanto più verde.
Così sul liscio limitar dell'alto
Porte garrìan d'ingiuriosi motti.
Avviso'sciie Antiuoo , e , dolcemente
Bìdendu , sciolse lai parole : Amici ,
Nulla di sì giocondo a questi alberghi
Gli abilator dell'etra unqua maiidaro.
Si bisticcian tra lor l’o«pite ed Irò , 5o
£ già le man frammischiano. Su , via.
Meglio alla zuffa raccendiamli ancora.
Tutti s'alzaro , nelle risa dando ,
£ ai due straccioni s’aB'ullaro intorno.
£ Antinoo così : Nobili Proci ,
Seiitito un peusìer mio. Di qua’ ventrigli
Di capre , che di sangue e grasso empiuti
Sul loco stai! per la lutiira iena ,
Scelga qual più vorrà chi vince , e quindi
D'ogiiì iiustto convito a parte aia ; Co
Nè più tra noi s'aggiri aliro cencioso.
Ciò piacque a tutti. Ma Taccono eroe ,
Cui noti iàllian le astuzie , Amici , dtsso ,
Ad uum dagli anni e da) disastri rutto
Con giovane pugnar non panni bello.
K pur botte a ricevere , e ferite
La rea mi spitig«i itnpeTiusa fame.
Ma voi giurate alineii che nessuno, Irò
Ter favorir, me della niaii gagliarda
Percuoterà , male adopiaudu : troppo 70
Mi tornerebbe aliar duro il cimento.
Gturaro. £ di T'eiemacu Ìii tal guisa
La sacra possa laveilò: Straniero ,
Di re.'<piriger costui ti detta il core?
Ke.’ìpingilu : nè alcun temer de’Proci.
Chi t’oseià percuotere, con molti
A combattere avià. Gli ospiti io curo,
E tal favella non condannan certo
Eurimaco ed Antinoo , ambo prudenti.
Disse; e ciascuno approvò il detto. Ulisse 80
Si spogliò tosto , c de'suoi panni un cinto
Formussi , c nudi i lati omeri , nudo
Mostrò il gran petto e le robuste braccia ,
E i magni liancfii discoprì : Minerva ,
Che per lui scese dalTOlimpo , tutte
Ue’pojioli al |>astor le membra crebbe.
S'upiro i Proci iieramenle, e alcuno
Così direa, volgendosi al vicino y
Irò, g à non più Irò , in su la te^la
S'avrà tratto egli stesso il suo malanno , 90
Tai iianchi ostenta e tali braccia il veglio !
A queste voci malamente dTro
1/aiiiino commoveasì. E non pertanto
Col cinto ai lombi , e pallido la faccia ,
Gii schiavi a forza il cunduceau : su Tossa
TremavangU le carni. Antinoo allora
Prendealo a rimbrottar: Millantatore,
Perchè or non muori, o ache nascesti un giorno,
Tu , che sì temi , e tremi uom dagli aifuniii ,
Non men che dall'età, snervato e domo? 100
Ala odi quel che di te fia. Se a terra
Con vincitrice man colui ti mette ,
lo te gettato m una ratta nave
Manderò nelTEpiro al rege Echeto ,
Flagello de’inortali , il qual ti mozzi
Gli orrecchi e il naso con acerbo ferro ,
E, da stracciarsi crudi , a un can vorace
Butti gii svelti genitali in preda.
Un tremor gli entrò in corpo ancor più forte;
Ma il condusser nel mezzo. I due campioni 1 10
Le mani alzare : dubitava Ulisse ,
Se del pugno così dar gli dovesse ,
Digitized by Googic
ODISSEA
9i
Cile lui caduto abbandonasse l’alma ,
O atterrarlo , e non più , con iniuor colpo.
Questo partito scelse , onde agli Achiri
Celarsi meglio. Irò la destra spalla
Ad Ulisse colp: ; ma Ulisse in guisa
Sotto l’orecchia l’investì nel cullo,
Che fossa iVacassògli : uscìagli il rosso
Sangue lùorper la bocca, ed ei mugghiando 120
Cascò , digrignò i denti , e il pavimento
Calcitrando batte. Gli amanti a quella
Vista , levate le lor braccia in alto ,
Scoppiavan delle risa. Intanto Ulisse |
X.’nu de’pledi aH’erratogli , il traea,
Pel vestibolo t’uor sino alla corte ,
E aU'eutraia del portico. Ciò l’atto
Col dosso al muro l’appoggiò, gli pose
Bastone in mano , e , Qui , gli disse , or siedi,
E scaccia dal palagio i cani e i ciacchi j i3o
E'è più arrogarti , così vii , qual sei ,
Su gli ospiti dominio e su i mendichi:
Che un’altra volta non t'incontri piaggio.
Così dicendo, si gittava intorno
Alle spalle il suo zaino , e al limitare
Ritornava , e sedeavi. Rientrare
Culi dolce riso in su le labbra i Proci f
Ed a lui blande rivolgean parole :
Ospite , Giove a te con gli altri Numi
Quanto più brami , e t’è più caro , invii, 140
A te , che la città smorbasti a un tratto
Di questo insaziabile accattone.
Che ad Echeto , degli uomini flagello ,
Tra poco andrà su gli Epiroti lidi.
Così parlare ; e dell’augurio Ulisse
Gudea nell’alma ; eAntinuu un gran ventriglio
Di sangue e di pinguedine ripieno
Gli recò innanzi. Ma il valente Aniinomo
Due presentògli dal canestro tolti
Candidissimi pani , e, propinando i5o
Con aurea tazza , Salve , disse , o padre,
Forestier , salve : se infelice or vivi ,
Eieti scorranti almeno i dì futuri.
Aniinomo, l’eroe scaltro rispose,
D’intendimento , e di ragion dotato
Mi sembri , e in questo tu ritrai dal padre ,
Da Niso Dulichiense , ond’io la fama
Sonare udìa , buono del par , che ricco,
Da cui dicontl nato } e fede ancora
!Ne fa il tuo senno , e le parole e gli atti. 160
A te dunque io favello , e tu i miei detti
Ricevi , e serba in te. Sai tu di quanto
Spira , e passeggiti su la terra , o serpe ,
Ciòcheal mondo ha v vi di più infermo?È l’uomo.
Finché stato felice i Dei gli danno,
E il suo ginocchio di vigor fiorisce ,
INon crede che venir dcbbagli sopra
D’infortunio giammai. Sopra gli viene?
Con ripugnante alma indegnata il soffre:
Che quali i giorni son , thè foschi o chiarì, 170
De’ mortali il gran padre e de’Celesti
D’alto gli manda , tal dell’uomo è il core.
Vissi anch’io vita fortunata e illustre,
E , secondando la mia forza , e troppo
Nel genitor fidando e ne’germani ,
Non giuste, vaglia il vero , opre io commisi.
Ma ciascuno a ben far dee por l’ingegno ,
£ quel, che dai Numi ha, fruir tranquillo :
Nè costoro imitar , che iniquamente
Struggono i beni , e la pudica donna 180
Oltraggiali d’un eroe , che lungo tempo
Dalla sua patria e dagli amici , io credo ,
Lontano ancor non rimarrà ; che a questi
Luoghi anzi è assai vicino. Al tuo ricetto
Quindi possa guidarti un Dio pietoso ,
K torti agli occhi suoi , com’egli appaja:
Poiché decisa senza molto sangue ,
Messo ch’egli abbia in sua magione il piede.
Non Ha tra i Proci e lui l’alta contesa.
Libò ciò detto, e accostò ai labbri il nappo, igo
E tornoilo ad Anfiiioino. Costui
Per la sala iva , conturbato il core,
E squassando la testa , ed il suo male
Divinando , ma itivan : f uggir non puote,
Legato anch’ei da Palla , onde cadesse
Per l’asta di Teleuiaco. Nel seggio.
Donde sorto era , ai ripose intanto.
Ma d’icario alla figlia, alla prudente
Penelope, la Dea dai glauchi lumi
Spirò il disegno di mostrarsi ai Proci , 220
Perchè lor s’allargasse il core in petto
Di nuova speme, ed in onor più grande
Presso il consorte e il figlio ella salisse.
Diede , nè ben sa come , in un grau riso ,
E tai detti formò : Sento un desire
Non pria sentito di mostrarmi ai Proci ,
Eurinome , bench’io tutti gli abborra.
Utile avviso in lor presenza io bramo
A Telemaco dare , il qual troppo usa
Con que’suptrbi giovani , che àcceuti 210
Ti drizzan blandi, e iiisidiariti da tergo.
Saggio è il consiglio , Euriuoine rispose.
Va , figlia , dunque , ed il tuo nato asseuua.
Ma pria ti lava , e su le guance poni
L’usato unguento. Apparir vuoi con faccia
Dalle lagrime tue solcata e guasta ?
Quel pianger sempre , e dall’un giorno all’altro
Nullo divario far , poco s’addice.
Già venne il figlio neH’età fiorita ,
In cui vederlo con l’onor del mento 220
Si ardentemente supplicavi ai Numi.
Per zelo che di me l’alma ti scaldi ,
Replicava Penelope , di bagni ,
Eurinome , u di lise) , or non parlarmi.
Il dì che Ulisse s'imbarcò per Troja , •
Tolsermi ogni beltà dal volto i Numi.
Bensì Autonoe mi chiama , e Ippodaraia ,
Che da lato mi stieno. Ai Proci sola
Non olTrirommi: chè pudor iiiel vieta.
Tacque; e la vecchia Eurinome le donne 200
A chiamar tosto , e ad affrettarle , uscio.
Ma t’occhiazzurra Dea , nuovo pensiero
Formando nella mente, alla pudica
Figlia d’icario un molle sonno infuse.
Mentre giacca sovra il suo seggio , e tutte
Il molle sonno le sciogliea le membra,
Palla Minerva di celesti dopi
La riforma , perchè di lei più sempre
Invaghisser gli Achei. Pria su le guance
Quella , che tien dalla bellezza il nume , 240
Sparse divina essenza , onde si lustra
La inghirlandata d’òr Vener , se mai
Va delle Grazie al dilettoso ballo :
Poi di corpo la crebbe , c ricolmoUa
DIgitized by Google
9»
LIBRO DEC
Nel volto, e tal su lei candor distese,
Che Tavoriu tagliato allora allora
Ceder doveale al paragon. La Diva
Risali deirOlintpo in su le cime.
Venner le aiinelle strepitando , e ratto
Si riscosse Penelope dal sonno , 25o
F. con man gli occhi stropicciossi , e disse:
Qual dolce sonno delia sua lese 'ombra
We infelice copii l Deh cosi dolce
IVIorte subitamente in me la casta
Artemide scoccasse; ed io Petade
Più non avessi a consumar nel pianto,
iìospiraiidu il valor sommo, infinito
D'iin eroe , cui non sorse in Grecia il pari.
Cosi detto , scendea dalle superne
J.ucide stanze al basso, e non già sola , 260
]Vla con Autonoe e lpp4>damia da tergo.
Sul limitar della Dedalea sala ,
Ove i Proci sedean , trovasi appena ,
Che arresta il piè tra l'una e l’altra ancella
J/ottima delle donne , e co'sottili
Veli del capo ambe le guance adombra.
Senza forza restaro e senza moto:
L’alma più inteneria-, si raddoppiava
J)elle nozze il desire in ogni petto.
EU.1 queste a Telemaco parole : 270
piglio j io te più non riconosco. Sensi
>iutrìvi in mente più maturi e scorti
Kelia tua fanciullezza ; ed or che grande
Ti veggio , e in un’età più ferma entrato ,
Or , cne stranier , che a riguardar si fèsse
La tua statura e la beltà , tc prole
D'uom beato diria , più non dimostri
Giustizia , o senno. Tollerar sì indegno
Trattamento d’un ospite in tua reggia !
Oltraggio sì crude! , che vendicato 280
Kon siagli , puote a un forestier qui usarsi ,
Che su te non ne cada eterno scorno ?
Il prudente Telamaco rispose ;
Wadre , perchè ti crucci , io non mi sdegno.
Meglio, che pria ch’io di fanciullo uscissi ,
Le umane cose , il pur mi credi , intendo ,
Li tra lor non confondo il torto e*il dritto.
ISIa tutto oprare , o antiveder , non valgo ,
Circondato qual sono e insidiato
Da fiera gente , e d’assistenti solo. 2t)0
Quanto alla lotta tra l’estranio ed Irò ,
Parte i Proci non v^ebbero, e del primo
Fu la vittoria. Ed oh ! piacesse al padre
Giove, e alla Diva Fallade , e ad Apollo ,
Che tentennasse a cotestor già domi
La testa , e si sfasciassero le membra ,
Liei vestibolo agli uni , e agli altri in sala :
Come a quelPIro , che alle porle or siede
Dell’atrio, il capo qua c là piegando,
D’un ebbro in guisa, e che su i piedi starsi 5oo
Kun può , nò a casa ricondursi : tanto
Le membra riportonne .afflitte e peste.
Così la madre e il fìglio. Indi tal voci
Eurimaco a Penelope drizzava:
Figlia d’icario , se te vista tutti
Avesser per Tlasìo Argo gli Achlvi,
Turba qui di rivali assai più folta
Banchetterìa dallo spuntar dell’Alba :
Che non v’ha donna che per gran sembiante ,
Per bellezza e per senno a te s’agguagli. 3io
M 0 T T A V 0.
E la nobile a lui d’icario figlia :
Eurimaco , virtù , sembianza , tntto^
Mi rapirò gli Dei , quando gl» Argivi ^
Sciol&cr per Troja , c con gl» Argivi Ulisse.
S’egli , riposto in sua magione il piede ,
A reggere il mio staro ancor prendesse,
Ciò mia gloria sarebbe, e beltà mia.
Ora io m’angoscio : tanti a me sul capo
Mal» pioijìbaro. Ei , d’ imbarcarsi inatto,
Prese la mia con la sua destra , e, Donna, 320
Disse, non credo io già che i iorti Achei
Da Troja tutti riederanno illesi:
Poiché sento pugnaci essere i Teucri,
(iran sagiltarj , e cavalieri egregi ,
Che pel campo agitar sanno i destrieri
Rapidamente : quel che in breve il fato
Delle guerre terribili decide.
Quiiidi , se me ricondurran gli Eterni ,
0 Troja riterrà morto , o cattivo ,
Sposa , io non so. Tu sovra tutto veglia. 33o
Rispetta il padre mio , la madre onora ,
Come oggi , od ancor più, fìnch’io soi» luiige.
E allor che del suo pel vedrai vestito
Del figlio il mento , a qual ti fia più in grado ,
Lasciando la magion , vanne consorte.
Tal favellava ; cd ecco giunto il tempo.
L’ infausta notte apparirà , che dee
Portare a me queste odiose nozze ,
A me ♦ cui Giove ogni letizia spense.
Ma ciò la mia tristezza oggi più aggrava , 340
Che gli usi antichi mm si guardar» punto.
Color, che donna illustre , e d’uom possente
Figlia un di ambiano , e contendean tra loro,
Beile conduCean vittime , gli amici
Per convitar della bramala donna ,
E doni a questa olTiian: non già raltru»
Slniggeano impunemente a mensa assisi.
Disse, e l’eroe gioì ch'ella in tal modo
D» ’ Proci i doni procurasse , e loro
Molccsse il petto con parole blande , 55a
Mentre in fondo del core altro volgea.
Ma così Antinoo allori Nubìl d’icario
Figlia , saggia Penelope , ricevi
1 doni ,*che gli Achei già per ofi’rirli
Sono , e cui fora il ricusar stoltezza :
Ma noi di qua non ci torrem , se un prima
De’ piu illustri fra noi te non acquista.
Piacquero i detti ; e alla sua casa ognuno
Per li doni spedì. L'araldo un grande
Recò ad Antinoo, e vario cassa» bel peplo, 36o
Che avea dodici d’òr fibbie lampanti
Con ardiglioni ben ricurvi aitate.
Kiiriinaco un monile addiir si fece.
D’oro , e intrecciato d’ambra , opra da insigne
Mastro sudata , che splendea qual sole.
Due serventi portaro a Euridamante
Finissimi orecchini a tre pupille ,
Donde grazia infinita ascia di raggi.
Fregio non fu men prezioso il vezzo.
Che re Pisandro , di Polittor figlio , 370
Dalle mani d’un servo ebbe ; e non meno
Bell» d’ogni altro Acheo parvero i doni.
difina Penelope, seguita
Dairancelle , co’ doni alle superne
.Stanze montava ; e » Proci al ballo e al canto •
Fiuchè , a romper nel mezzo ì lor diletti ,
Digitized by Coogic
96 ODI
L’ombra notturna sovra lor cadesse.
Caduta sovra lur l’umbra notturna ,
Tre gran bracieri saettanti luce ,
Cui legne secche e dure , e fesse appena , 3tì<.>
Nodrìano , i servi collocar nel mezzo ;
E alluniàr qua e là più faci ancora.
Cura di questi fuochi aveauo alterna
Le donne del palagio. A queste feo
Tal detti il ricco di consigli Ulisse :
Schiave d’UIisse, del re vostro assente
Per sì lunga stagion, la veneranda
Begina vostra a ritrovar salite.
Fusi rotando , o pettinando lane^
Sedetele vicino, e ne’snoi mali Sqo
La coniortatc. Mio pensier frattanto
Sarà, che ai Proci non i'allisca il lume.
Quando attendere ancor volesser l’Alba ,
Me non istancheran : cliè molto io sono
Da molto tempo a tollerare avvezzo.
Questi detti lor feo. Riser le ancelle,
E a vicenda guarda vansi , e schernirlo
Con villane parole una Melante ,
Bella guancia , s’ardìa. Dolio costei
Generò , ma Penelope nutrilla , 400
Siccome figlia , nulla mai di quanto
Lusinga le fanciulle, a lei negando:
F>è s’afflisse per ciò con la regina
Melanto mai , che anzi tradìala , e s’era
A Eurlmaco d’amor turpe congiunta.
Costei pungea viliaiiaim-nte Ulisse:
Ospite miserabile , tu sei
Un uomo , io credo , di cervello uscito ,
Tu , che in vece d’andar neJl’oflìcina
D’un fabbro a coricarti , o in vii taverna , 410
Qui tia una schiera te ne stai di prenci ,
Lungo cianciando, e intrepido. Alla mente
Ti .salì senza forse il molto vino ,
O d’uom briaco hai tu la mente , e quindi
Senza construtto parli. O esulti !anto,
Perchè il ramingo Irò vincesti ? Bada,
Non alcun qui senza indugiare insorga ,
Che , d'Iro assai miglior , te nella testa
Con le robuste man pesti e t’insozzi
Tutto di sangue , e del palagio scacci. 420
Bieco gnatolla , e le rispose Ulisse:
Cagna , io ratto a Telemaco i tuoi sensi ,
Perch’el ti tagli qui medesmo in pezzi, *
A riportare andrò. Così dicendo ,
Le femmine atterrì , che per la casa
Mosser veloci , benché a tutte forte
Le ginocchia tremassero: sì presso
Ciò ch’ei lor detto avea , ctedeano al vero.
Ei si fermò presso i bracieri ardenti ,
La luce ravvivandone , e tenendo 43o
GII occhi ne’Proci ognor, mentre nemiche
Cose agitava, e non indarno, in petto.
Minerva intanto non lasciava i Proci
Rimanersi dall’onte , acciò in Ulisse
Crescer dovesse col dolor lo sdegno.
Eurimaco di Polibo parlava
Primo , l’eroe mordendo , e a nuovo riso
Provocando i compagni : Udite, amanti
DeU’i:icllta regina , un mio pensiero ,
Che tacer non poss’io. Non senza un Nume 440
Venne costui nella magion d'Ulisse.
Splender gli veggo , come face , il capo ,
S .S F. A
Sovra cui non ispnnta un col capello.
Quindi , al rovesciator delle munite
Città converso , Forestler , soggiunse ,
Vorreste a me servir , s’io ti pigliassi
Per assestar nel mio poder le siepi ,
E gli alberi piantar ? Buona mercede
Tu ne otterresti : cotidiano vitto ,
E vestimenti al dosso , e ai piè calzari. 4bt>
Ma perchè sol fosti di vizj a scuola ,
Anzi , che faticar, pìttocar vuoi,
Onde se t’è possibile , sfamarti.
Eurimaco , rispose il saggio Ulisse,
Se tra noi gara di lavor sorgesse
A primavera , quando il giorno allunga,
E con adunche in man falci taglienti
Ci liienesse un prato ambo digiuni
Sino alla notie , e non mancasse l’erba ;
O fosser da guidare ad ambo dati 4^®
Grandi, ros'si , gagliardi, e d’erba sazj
Tauri d’eladee di virtude uguali ,
E date quattro da spezzar sul campo
Sode bubitlce col posante aratro ,
Vedresti il mio vigor, vedresti . come
Aprir saprei dritto e profondo il .solco!
Poni ancor, che il Saturnio un’aspra guerra
Da qualche parte ci volgesse adtiosso,
Ed io scudo e due lance , ed alle tempie
Salda celata di metallo avessi , 470
Misto ai primi gtierrier mi st^orgeresti
Nella battaglia, e l’importuna fame
Gittare a me non oseresti in faccia.
Or protervo è il tuo labbro , e duro il core ,
E forte in certa guisa , e grande sembri ,
l’f rchè con poca gente u.si , e non brava :
Ma Ulisse giunga , o appressi almeno, e queste
Porte , benché assai larghe , a te già vólto
Negli amari , cred’io , passi di fuga ,
Deh come a un tratto sembreriano anguste! 480
Eurimaco in maggior collera salse,
E , guardandolo bieco ; Ah ! doloroso ,
Di.^se , vuoi tu ch’io ti diserti? Ardisci
Così gracchiar fra tanti , e nulla temi ?
O il vili t’ingombra , o tu nascesti pazzo ,
O quel vinto Irò ti cavò di senno.
Ciò detto , prese lo .sgabel : ma Ulisse
S’abbassava d’Anfinomo ai ginocchi ,
Per can.sarsi da Eurlmaco , die in vece
Nella man destra del coppier percosse. 49®
Cascata rimbombò la coppa in terra,
E il pincerna ululando andò riverso.
.Strepitavano i Proci entro la sala
DalTombre cinta della notte ; e alcuno ,
Mirando il suo vicin , Morto , dicea .
Prima che giunto qua , Tospile fosse!
Portato non ci ayrìa questo sì grave
Tumulto. Or si battaglia , e per chi dunque ?
l’er un nieudico 5 e già svanì de’nostri
Prandj il diletto , ed il più vii trionfa. 5oo
E Telemaco allor : Che insania è questa ,
Miseri , a cui non cal più della mensa ?
Certo vi turba e vi coiiunnove uii Dio.
Su , via , poiché de’cibi e de’licori
Tacerà il desiderio in tutti voi ,
Ite a corcarvi , se vel detta il core,
Ne’vostri alberghi , che nessuno io scaccio.
Tutti , mordendo il labbro , alle sicure
Digitized byGoogle
LIBRO DECIMOTTAVO.
97
Parole di Telemaco stupirò.
Ma tra lor sorse Anfinomo , l’illustre 5io
Figliuol di Niso : Amici, a chi ben parla
Sinistro più non si risponda , o acerbo ,
Kè l’ospite s’oltraggi , o alcun de’servi ,
Che in corte son del rinomato Ulisse.
Muova il coppiere in giro , e poscia , fatti
I libamenti , nelle nostre case ,
Le membra al sonno per offrir, si vada ,
£ si lasci a Telemaco la cura
Dello stranier , quando al ano tetto el renne.
Disse, e non tii, cui non piacesse il detto, òao
L’inclito Mulio, il Dulichiense araldo
D’Anfinomo , versò dall’urna il vino ,
K a tutti in giro nelle tazze il porse ;
Ed i Proci libavo , e del licore
Dolce , qual mele , s’inondaro il petto.
Ma com’ebber libato, e a piena voglia
Bevuto , ognun , per dar le membra al sonno,
Afiifettò di ritrarsi al proprio albergo.
LIBRO DECIMONONO
argomento
Partili i Proci , trasportano Ulisse e Telemaco Panni nelle sUnre superiori. Telemaco va a coricarsi ; e Penelope
scende per favellar con Ulisse, che solo è rimasto. Questi finge una storia , che la regina ode con grande commozion
d’animo. I.a nutrice Euricléa riconosce, lavandolo, Ulisse. Pcncloi^ gli narra un sogno, c gli palesa il cimento,
che intende proporre ai Proci , come condirion delle nozsie , alle^quali nop può oramai piu sottrarsi.
Etti 'ampia sala rimaneo l’eroe.
Strage con Palla macchinando ai Proci.
Subito al figlio si converse, e disse :
Telemaco , levar di questi luoghi
L’armi conviene , e trasportarle in alto.
Se le bell’armì chiederanno i Proci ,
Con parolette a lusingarli volto ,
10 , lor dirai , dal fumo atro le tolsi ,
Perchè non eran più quali lasciolle
Ulisse il giorno , che per Troja sciolse; io
Ma deturpate, scolorate, ovunqne
11 bruno le toccò vapor del foco.
Sovra tutto io temei , nè senza un Nume
Destossi in me questo timor , non furso
Dopo molto volar di dolci tazze
Tra voi sorgesse un’improvvisa lite,
E l’un l’altro ferisse , ed il convito
Contaminaste , e gli sponsali. Grande
Allettamento è all'uom lo stesso ferro.
Telemaco seguì del suo diletto 20
Padre il comando , e alla nutrice , cui
Tosto a sè dimandò , Mamma , dicea ,
Su via, ritieni nelle stanze loro
Le femmine rinchiuse , in sin ch’io l’armi ,
Cile qui nella mia infanzia , e nell’assenza
Del padre , mi guastò neglette il fumo ,
Tr.ìsporti in alto. Collocarle io voglio,
Dove del foco non le attinga il vampo.
£d Euricléa , Figlio, rispose ; in petto
Deh ti s’annidi al fin sénno cotanto , 3o
Che regger possi la tua casa , e intatti
Serbar gli averi tuoi ! Ma chi la strada
Ti schiarerà ? Quando non vuoi che innanzi
Con le fiaccole in man vndan le ancelle.
Il lorestier , Telemaco riprese.
Chi si nutre del mio , benché venuto
Di lunge, io mal non patirollo inerte.
Tanto bastò a colei , perchè ogni porta
Del ben constrntto ginecèo fermasse.
Ulisse incontanente e il caro figlio, 4®
Correano ad allogar gli elmi chiomati,
Gli umbilicati scudi e Paste acute ;
ODISSEA
E avanti ad ambo l’Atenéa Minerva ,
Tenendo in mano una lucerna d’oro ,
Chiarissimo spargea lume d'intorno.
E Telemaco al padre: O padre, quale
Portento ! Le pareti ed i laci palcni ,
E le travi d’abete e le sublimi
Colonne a me rifulgorare io veggio.
Scese, io credo , qua dentro alcun de’Numi. 5e
Taci , rispose Ulisse : i tuoi pensieri
Rinserra in te , nè cercare oltre. Usanza
Degli abitanti delPOlimpo è questa.
Or tu vanne a corcarti : io qui rimango
J.e ancelle a spiar meglio , e della saggia
Madre le inchieste a provocar , che molte
Certo , ed al pianto miste , udire avviso.
Disse ; e il figliuolo indi spiccossi , e al vivo
Delle faci splendor nella remota
Cella si ritirò de’ suoi riposi , 60
J/Aurora ad aspettar : ma nella sala ,
Strage con Palla agli orgogliosi Proci
Architettando , rimanea l’eroe.
La prudente reina intanto uscìa
Pari a Diana , e all’aurea Vener pari ,
Della stanza secreta. Al foco appresso
L’usato seggio di gran pelle steso ,
E cui d’Icmalio d’ingegnosa mano
Tutto d’avorii e argenti area commesso ,
Le collocaro : sostenea le piante 70
Un polito sgabello. In questa sede
La madre di Telemaco posava.
Yenner le ancelle dalle bianche braccia
A tor via dalle mense il pan rimasto ,
E i vóti nappi , onde bevean gli amanti.
Poi dai bracieri il niezzuspentu foco
Scossero a terra , e nuove legna , e molte ,
Sopra vi accatastar , perchè schiarata
La sala fosse, e riscaldata a un tempo.
Melanto allor per la seconda volta 80
Ulisse rampognava: Ospite , adunque
La notte ancor t’avvolgerai molesto
IPer questa casa , e adocchierai le donne ?
Fuori , sciagurato , esci , e del convito^,
i5
98 ODI
Che ingoiasti , t’appaga , o rer, pcrcoMO
Da questo tiazo , salterai ìa soglia.
Con torvo sguardo le rispose Ulisse:
Malvaj'la f perchè a me guerra sì atroce?
Percliè la faccia mia forse non lustra?
Perch’io mal vesto , e, dal bisogno astretto , 90
Qual tapino uomo , e viandante, accatto ?
Felice uu giorno anch’io splendidi ostelli
Tra le genti abitava , e ad un ramingo ,
Qual fosse » o in quale stato a me s'ollVisse ,
Dd mio largìa ; molti a\ea servi , e nulla
Di ciò mi venia meno, ond’è chiamato
Ricco , e beata l'uom vita conduce.
Ma Giove, il figlio di Saturno , e nota
La cagione n’è a lui , disfar mi volle.
Giiar^ però , non tutta un giorno cada , 100
Donna , dal viso tuo quella beitade ,
Di cui fra l’altre ancelle or vai superba :
Guarda , non monti in ira , e tì punisca
La tua padrona; o non ritorni Ulisse ^
Come speme iie’petti ancor ne vive.
12 s’ei perì, tal per favor d’Apollo
Fuor venne il figlio dell’acerba eiade ,
Che femmina, di cui sien turpi i fatti,
Ma! potila nel palagio a lui celarsi.
Udì tutto Penelope , e l’ancella ilo
Sgridò repente: O temerario petto,
Caglia sfacciata , io pur nelle tue colpe )
Che in testa ricadrannoti , ti colgo.
Sapevi ben , poiché da me l’udisti ,
Ch’io lo straniero interrogar volea ,
Uu conforto cercando in tanta doglia.
Dopo questo , ad Furinome si volse
Con tali accenti : Furinome, uno scanno
Reca , e una pelle , ove , sedendo , m’oda
L'ospite favellargli , e mi risponda. 120
Disse ; e la dispensiere un liscio scanno
Recò in fretta , e giù pose , e d’una densa
Pelle il copti. Vi s’adagiava il molto
Dai casi aiUilto , e non mai domo , Ulisse |
Cui Penelope a dir così prendea :
Ospite, io questo chiederotti in prima.
Chi ? di che loco ? e di che stirpe sei ?
F Ulisse , che più là d’ogni uomo seppe :
Donna, esser può giammai pel mondo tutto
Chi la lingua snodare osi in tuo biasmo ? i5o
La gloria tua sino alle stelle sale ,
Qual di re sommo, che sembiante a un Nume,
L su molti impelando uomini, e forti,
Sostiene il dritto : la ferace terra
Di folti gli biondeggia orzi e frumenti.
Gli arbor di frutti aggravansi , robuste
Figliati le pecorelle, il roar dà pesci
Sotto il prudente reggimento, e giorni
L’intera nazion m<;na felici.
Ma pria , che della {latria e del lignaggio , 140
Di tutt’altro mi chiedi , acciò non cresca
J)Ì tal memorie il dolor mio più ancora.
Un infelice io son , nè mi conviene
Seder , piagnendo , nella tua magione:
Chè isuoi confini ha il pianto, e ai luoghi vuoisi
Mirare , e ai tempi. Se non tu , sdegnarsi
Ben potria contro a me delle serventi
Tue donne alcuna , e dire ancor, che quello ,
Che fuor m’esce degli occhi , è il molto vino.
£ la saggia Feueiope a rincontro : i5o
; S F A
Ospite , a me virtù , sembianza , tutto
Rapito fu dagl’immortali , quando
Co’ Greci ad Ilio navigava Ulisse.
S’ei , r'ieutraiido negli alberghi aviti ,
A reggere il mio stalo ancor togliesse |
Ciò mia gloria sarebbe , c beltà mia.
Or le cure m’oppriniuno , che molte
Mandato a me gli abitator d'Olimpo.
Quanti hu Dulichio e Sanie , e la selvosa
Zacmto, e lu serena Itaca prenci , 160
Mi timbiscon ripugnante ; e sottosopra
Volgoli COSI la reggia mia , che poco
Agli ospiti ornai fomini , e ai supplicanti
Veder , nè troppo degli araldi io curo.
Io mi consumo, sospirando Ulisse.
Quei m’aiTretlano intanto all’abborrito'
Passo , ed io cuntra lor d’inganni m’armo.
Pria grande a oprar tela sottile , immensa ,
Nelle mie stanze , come un Dio spiroinmi ,
Ali diedi, e ai Proci incontanente io dissi: 170
Giovani , amanti miei , tanto vi piaccia ,
Quando già Ulisse tra i defunti scese,
Le mie nozze indugiar , ch’io questo possa
Lugubre ammanto per l’eroe Laerte ,
Acciocché a me non pera il vano stame ,
Prima fornir , che l’iiiclem»-i)tc Parca
Di lunghi sonni apportatrice il colga.
Non vo’ che alcuna delle Achee mi morda,
Se ad uom , che tanto avea d’arredi vivo ,
Fallisse un drappo, in cui giacersi estinto. 180
A questi detti s'acchetaro. Intanto
Io , finché il dì splendea , l’insigne tela
Tesseva, e poi la distessea la notte
Di mute faci alla propizia fiamma.
Un triennio cosi l’accorgimento
Sfuggii degli Achei tutti, e fede ottenni.'
Ma , giumumi il quarto anno , e le stagioni
Tornate in tè con lo scader de’mesi ,
E de’celerl di compiuto il giro ,
Còtta dai Proci , {ler viltà dì donne 190
Nulla di me curanti , alla sprovvista ,
E gravemente ìmproverata , il drappo
Condurre al termin suo dovei per forza.
Ora io nè declinar le odiate nozze
»So , nè trovare altro compenso. A quello
M’esortano i parenti , 0 non comporta
Che la sua casa gli si strugga , il figlio ,
Che ornai tutto conosce , e al suo retaggio
Intender può , qual cui da gloria Giove.
Ad ogni modo la tua patria dimmi , 200
Dimmi la stirpe : d'una pietra certo
Tu non uscisti, o d’uim quercia , corno
Suona d’altri nel mondo antica fama.
O veneranda , le rispose Ulisse ,
Donna del Laerz'iade , il mìo lignaggio
^Sa|)er vuoi dunqne? Io te l’insfgno. È vero,
Che augumento ne avran gli aOanni miei ,
Naturai senso di chiunque vìsse
Misero peilegriii mult’anni e molti
Dalla patria lontau : ma tu non cessi 210
D’intrrrogarmi , e satisfarti io voglio.
Bella e feconda sovra il negro mare
Giare una terra , che a’appelU Creta ,
Dalle salse ondt; d’ognì parte attinta.
Gli abitanti v’abbondano, e novanta
Coatien citudì , e la favella è mista :
99
LIBRO DECIMONONO.
Poiché vi son gli Achei, sonvi i natii
Magnanimi Cretesi ed i Cidoiiii ,
£ i Dui li in tre divisi , c i buon Pelasgi.
Gnosso vi sorge, città vasta , in cui 320
Quel Minosse regnò , che del Tonante
Ogni nono anno era agli arcani ammesso.
Ei generò Ecucaìione , ond'io ,
Cui nascendo d’Etòn fu posto il nome,
Eac(jni , e nac(]ue il mio frate Idomenéo
X)ì popoli pastor»chedi virtute
Primo , non che d'età , co’degni Atridi
Ad Ilio andò su le rostrate navi.
Là vidi Ulisse, ed ospitah doni
Gli feci. A Creta spinto avealo un forte 23o
Vento , che , meiitr’eì pur vèr la superba
Truja tendea , dalle Malcc lo svolse,
E il fermò nell’Amniso , ove lo speco
D'ililia s’aprc in disastrosa piaggia ,
Si che scampò dalle burrasche appena.
Entrato alla città , d'idometiéo ,
Che venerando e caro egli chiamava
Ospite suo , cercò: se non che il giorno
Correa decimo , o undeciino , che a Troja
Passato il mio Irateilo era sul mare. 240
Ma io l’addussi nel palagio ; a cui
E'ulla d'agi mancava , e dove io stesso
Quell’onor gli rendei , ch'io seppi meglio.
È fu pec opra mia che la cittade
Bianco pan , dolce vino , e buoi da mazza |
1 suoi compagni a rellegrar, gli diede.
Dodici di nell’isola rcstàru,
Perchè levato da uu avverso Nume
Imperversava un Aquilon si hero ,
Che a stento si reggea l’uomo su i piedi. 260
Quello il di terzodecimo al fm cadde j
E solcavan gli Achei Tonde tranquille.
Coai fingt-a, menzogne molte al vero
Simili prulFerendo : ella , in udirle ,
Pianto versava , e distruggeasi tutta.
£ come neve che su gli alti monti
Subito vento d’Occideiile sparse,
Sciogliesi d’Euro all’improvviso fiato ,
Si che gonfiati al mar corrono I fiumi :
Tal si stemprava in lagrime , piangendo 260
L’uom suo diletto , che sedeale al fianco.
Ditlla consorte lagrimosa Ulisse
Pietà nelTalma riseiiila: magli occhi
Stavangli , quasi corno o ferro fosse,
Nelle palpebre immoti , e gli stagnava
Nel petto ad arte il ritenuto pianto.
Ella , poiché dì lagrime fu sazia ,
Cosi ripigliò i detti : Ospite , io voglio
Far prova ora di te , se , qual racconti ,
Ulisse, e i suoi, tu* ricettasti in Creta. 270
Dimmi : qua! panni rivesfianlo? e quale
Di lui , de’suot compagni era {'aspetto ?
Rispose il ricco di consigli Ulisse :
VIgesini’anno è ornai ch'egli da Creta
Si drizzò a Truja , e il favcliaro , o donna ,
Di sì antica stagion duro mi sembra.
Io tutta volta ubbidirò , per quanto
Potrà sovra di sè tornar la mente.
Un folto Ulisse avea manto velloso
Di porpora , cui doppio unìa sul petto 280
Fermaglio d'oro , e nel dinanzi ornava
Mirabile ricamo : un can da caccia
Tenea co’piedi anteriori stretto
Vajo cerbiatto , e con aperta bocca
Sovra lui , che tremavane , pendea ;
K sttipìa il mondo a rimirarli in oro
KfHgiati ambo così, che Tuno
Soifoca l’altro , e già l’addenta , e l'altro
Fuggir sì sforza , e palpita ne’pìedi.
In do-tso ancora io gli osservai si molle 290
Tunica , e fina sì , qual di cipolla
Vidi talor l'inaridita spoglia ,
K splendea , come il Sol ; tal che di molte
Donne, che l'adocchiàr, fu maraviglia.
Ma io non so , se in Itaca gli stessi
Vestiti usasse, o alcun di quei , che seco
Partirò su la nave, o in !ur magioni
Viaggiante l’accolsero, donati
(vii avesse a lui: che ben voluto egli era,
l'ì pochi Tagguagliaro in Grecia eroi, 600
So , che una spada del più fino rame ,
E un bel manto purpureo , e una talare
Vesta in dono io gii porsi , e alTimpalcata
Nave il guidai di riverenza in seguo.
Araldo , che d’età poco il vincea ,
L'acconipagnava : alto di spaile, e grosso ^
Uov'io rappresentarlo a te dovessi,
Nero la cute , ed i capelli crespo ,
K chiamavasi Euribate. Fra tutti
I suoi compagni Tapprezzava Ulisse , 9io
Come più di pensieri a sè conforme.
A queste voci maggior voglia in lei
Surse di pianto , conosciuti 1 segni ,
Che sì chiari e distinti esporsi udiva.
Fermato il lagrimare, Ospite , disse ,
Di pietà mi sembrasti, e d'ora iunaiizì
Di grazia mi parrai degno, o d'ouore.
Io stessa gli recai dalla secreta
Stanza piegate le da te descritte
Vesti leggiadre , io nel purpureo manto 5ao
La sfavillante d'òr fibbia gii affissi.
Or nè vederlo più , nè accorlu in questa
Sua dolce terra sperar posso. Ahi crudo
Destin ben fu , che alla malvagia Troja ,
Nome abborrito, su per l’onda il trasse!
D'Ulisse , egli riprese , inclita donna ,
Al bel corpo , che struggi , ornai perdona»
Nè più volerti macerar nelTalma ,
L’uom tuo piangendo. Nongià ch’io ten bìasmì:
Chè ognuna spento quell’uom piange, acuì d3o
Vergine, sì congìuiue, e diede infanti,
Benché diverso nel valor da Ulisse,
Che agli Dei somigliar canta la lama.
Ma resta dalle lagrime, e l’orecchio
Porgi al mio dir , che sarà vero e integro.
Io dc’Tesproti tra la ricca gente ,
Ch’ei vive, intesi , e già ritorna , e molti
Tesor , che qua è là raccolse , adduce.
E ver che perde il legno e i suoi compagni ,
Delia Trinacria abbandonando i lidi, 340
Per la giusta di Giove ira . e del Sole ,
Di cui morto que'folli aveaii Tarnieiiio.
II mar , che tutti gTinghiottì , sospinse
Lui su gli avanzi delia nave infranta
.Al caro degli Dei popol Feace.
Costor di cuore il rìverlan qual Nume ,
Colmavanlo di doni , e in patria salvo
llicoudurrd il voleau : su non che nuora
Digilized by Googlt
uro ODI
Terre Teder pellegrinando , e motti
Te&ori radunar « più saggio arvifio 55o i
Parve all’eroe d’accorgimenti mastro , I
p< cui non v’ha chi di saver non ceda. ,|
Così a me de’Tesproti il re Fidò ne
Disse f c giurava , in sua luagion libando , j
Che varata la barca era , e parati
Color che deon ripatrìarlo. Quindi
congedò : chè , per Dulichio a sorte j
De vele alzava una Tespruzia nave.
!Ma ei mostrommì in pria , quanto area Uli^«e
Kaccolto errando, e che una casa intera 36o
Per dieci etadi a sostener bastava.
Poi soggiungeami , che a Dodona ir volle ,
Giove per consultare , e udir dall’alta
Quercia indovina , se ridursi ai dolci
Campi d’itaca sua dopo si lunga
Stagion dovesse alla scoperta , o ignoto,
iialvo è dunque , e vicin ; nò dagli amici
Disgiunto , c «chiuso dalle avite mura
Gran tempo rimarrà. Vuoi tu ch’io giuri ?
Prima il Saturnio in testimonio io chiamo, 370
Sommo tra i Numi , ed ottimo , e d’Uhsse
Poscia il sacrato locolar, cui venni :
Tutto, qual dico, seguir dee. Quest’anno ,
D’uno uscendo de'uesi , o entrando l'altro ,
Varcherà Ulisse le paterne soglie.
Oh s’avveri l Penelope rispose.
Tai dell’aflfetto mio pegni tu avresti ,
Che quale, o forestiero , in te con gli occhi
Desse , dirla : Vedi mortai beato !
Ma altro io penso, e quel ch’io penso, fìa: 38o
Nè riedeià il consorte, nè tu scorta
Impetrerai \ chè non v'ha piu un Ulisse
Qui , se pur v'era un giorno, e non fu sogno,
Un Ulisse non v’ha , che i venerandi
Ospiti accor nel suo reai palagio
Sappia , ed accommiatarli. Or voi, mie donne,
Davate i piedi allo straniero , e un denso
Di coltri e vesti e splendidi mantelli
Detto gli apparecchiate , ov'ei corcato
Tutta notte si scaldi in sino all’Alba. 5^o
D’Alba comparsa in Oriente appima,
Voi tergetelo e ungetelo; ed ei mangi
Seduto in casa col mio figlio , e guai
De’servi a quel che ingiuriarlo ardisse ! •*
Ufficio più non gli saia commesso ,
per cruccio ch’ei moslrasseiie. Deh corno
Sapresti , o forestier ch’io l’altre donne
Vinco, se vinco , di bontade e senno, |
Mentre di cenci e di squailor coverto !
Pastegg ir ti lasciassi entro l’albergo? 400
Cose brevi son gii uomini. Chi nacque
Con alma dura , e duri sensi nutre ,
De sventure a lui vivo il mondo prega ,
D il maledice morto. Ma se alcuno
Ciò, che v’ha di più bello, ama , ed iti alto
Poggia con rintelletto , in ogni dove
<ili ospiti portan la sua gloria , e vola
Dlernu il nome suo di bocca in bocca.
Saggia del figlio di Laerte donna,
Ripigliò Ulisse, le vellose vesti 4to
Cadeanmì io odio , ed i superbi manti f
Da quel dì che su nave a lunghi remi
Lasciai di Creta i ncvicosi munti,
lo giacerò , qual pur solea , passando
S S E A
Le intere notti irfsonne. Oh quante notti
Giacqui in sordido letto , e deirAurora
Mal corcato affrettai la sacra luce !
Nè a me de’piedi la lavanda piace :
Nè delle donne , che ne’iuui servigi
I Speudonsi, alcuna toccherà il mio piede, 410
Se nòn è qualche annosa e onesta vecchia,
, Che al par di me sofferto abbia a’suoi giorni,
j A questa il piè non disdirei toccarmi.
I E l’egregia Penelope di nuovo :
Ospite caro , pellegrin di senno
Non capitò qua mai , che di te al core
Mi s’accosta«se più , di te , che in mudo
Leggiadro esprimi ogni prudente senso.
Una vecchia no molto avvisata e scorta ,
Che nelle braccia sue quell’infelice 43o
Raccolse uscito dal materno grembo ,
E buon latte gli dava , ed il crescea.
Ella , benché di vita un sofHo in lei
Rimanga sul ti laverà le piante.
Via , fedele Kuricica , sorgi, e a chi d’anni
Pareggia il tuo signor, le piante lava.
Tal «e'piedi vederlo , e nelle mani
Parmi in qualche da noi lontana parte:
Chè ratto i’uom tra le sciagure invecchia.
Euricléa con le man coperse il volto , 44^
E versò calde lagrime, e dolenti
Parole articolò : Me sventurata,
Figlio, per amor tuo! Più, che altri al mondo,
Te, che noi merli , odia il Saturnio padre.
Tanti non gli arse alcun i!i>iidi lombi ,
Tante ecatombe non gli i>fferse , come
I Tu , di giunger pregandolo a tranquìiia
; Vecchiezza , e un prode allevar figlio ; ed ecco
Che del ritorno il dì Giove ti spense.
Obuon vegliardo, allor che a un altoalbergo45o
I Xf’alcun signor lontano et jiellegriuo
j S’appresserà , PinsuUeran le donde,
r Qual te insultaro tutte queste serpi ,
I Da cui Ponte schivandone e gli oltraggi ,
Venir tocco ricusi ; etl a me quindi
r.a hglia saggia del possente Icario
Tal ministero iinpoii , che non mi grava.
I lo dunque il compierò, sì per amore
' Della reina, e si p'T tuo : che Torte
i Commossa dentro il sen Palma io mi sento. 460
Ma tu ricevi un de'mtei detti ancora :
Fra molti grami forestier, che a qiiesta
Magion s’awicinaro, un sol , che Ulisse
Nella voce, iie’piedi, in tutto il corpo ,
Somigliasse cotanto , io mai noi vidi.
Vecchia , rispose lo scaltrito eroe ,
Così chiunque ambo ci scorse, afferma :
Correr tra Ulisse e me , qual tu ben dici ,
Somiglianza cotal,che Puh par l’altro.
L’ottima vecchia una lucente conca 47^
Prese . e molta iredd'acqua entro versovvi ,
E su vi sparse la bollente. Ulisse ,
Che al focolar sedea, vèr Poinbra tutto
Si girò per timor , non Euricléa
Scorgesse, brancicandolo, Pantica
Margine, ch’eì portava in su la coscia,
K alla sua fraude si togliesse il velo.
Euricléa nondimen , che già da presso
Fatta gli s’era , ed il suo re lavava,
‘ Il seguo ravvisò della ferita 480
101
LIBRO DECIMONONO.
Dal biacco dente d’uti cinghiale impressa
Sul munte di Parnaso ; e ciò fu , quando
Delia 6ua madie al genitur lamo.so
Garzone andò , ad Auiòlico , che lutti
Del rapir vinse , e del giurar iieirartì,
Per favor di Mercurio, a cui «i grate
Coiice d'agnelli ardeva , e di capretti ,
Che ogni duo pas.'^o accompagnava il Nume»
Autólico un dì venne ali'llacese
Popolo in mezzo, e alia città , che nato 49^
Kra di poco alta sua hglia un ligllo.
Questo Euricléa su le giuticchia all'avo
Dopo il convito pose , e feo tai detti :
Autólico , tu stesso il nume or trova
Da imporre in fronte al grazioso pa rto ,
l'er CUI stancasti co’tuoi voti ì Numi.
D prontamente Autólico in risposta :
Genero, e hglia mia , quel gl'imp(»rrete
Nome , ch'io vi dirò. D'uomini e donne
Su l'altrice di molti immensa terra óoo
Spavento io fui ; dunque si chiami I^iisse.
10 poi, se , di bambiii fatto garzone,
Ke» superbo verrà materno albergo
Sovra il Parnaso, ove ho le mie ricchezze,
Doni gli porgerò , per cui più lieto
Discctideià da me , che a ma non salse.
A ricevere Ulisse andò lai doni,
£ Autólico l'accoUe, ed i suoi hglì ,
Con amiche parole, e aperte braccia}
£ l'Avola Anhtéa,strettoio al petto, 5io
11 capo, ed ambi gli baciò i begli occhi.
Ai Hgii il padre comandò , nè indarno.
La niensu: un bue di cinque anni meuaro,
Lo bcojùr, Pacconciàr, tutto il partirò}
£ i brani , che ne fur con arte fatti ,
Negli schidoni infìssero , e ugualmente
Li dispensar, domi che gli ebbe il foco.
Così tutto quel dì d'ugual per tutti
Piandio godcaii sino all'occaso. 11 Sole
Caduto , e appar.sa della notte l'ombra , Sso
La dolcezza provar , cui reca il sonno.
JVIa come liglia del matliu l'Aurora
Mi mostiò 111 ciel ditirosata e bella,
I figliuoli d’Autòlico ed Ulisse
Con molti cani a una gran caccia uscirò.
La vestila di buschi alta montagna
Salgono, e in breve tra i ventosi gioghi
Veggonsi di Parnaso. Il Sol recente,
Dalle placide sorto acque profonde
DeU’Occàn , su i rugiadosi campi 53o
Saettava i suoi raggi, e i cacciatori
Scendeano in una valle: innanzi i cani
Ivan , fiutando te salvatic'orme}
B co’hgli d' Autólico , pallando
Una lancia , che lunga umbra gittava ,
Tra i cani e cacciatori andana Uiisse.
Smisuialo cinghiale in così folta
Macchia giacea , che nè di venti acquosi
P^orza, iiè raggio mai d’acuto Sole
La percoleva , nè le piogge afi'utto 54o
V'entravano: coprìa di secche foglia
Gran dovizia la terra. Il cìnghia) fiero,
Che al calpestìo , che gli sonava intorno ,
Appressare ogiior più sentìa la caccia,
Sbucò del suo ricetto, e orribilmente
Kizzaudo i peli della sua ccr\ ice ,
E con pregni di foco occhi guatando ,
Stette di contra. Ulis^ il primo , l'asta
Tenendo sopramano , impeto lece
In lui , ch'ei d'impiagare ardca dì voglia: 35o
Ma la fera prevennelo, ed il colse
Sovra il ginocchio con un colpo obliquo
Della gran sauna , e ne rapì assai carne }
Nè però della coscia all'osso aggiunge,
l'erilla Ulisse allor nell'omer destro,
Dove il colpo assestò : scese profonda
L'aguzza punta della fulgid’asta }
K il mostro su la polvere cade,
Mettendo un grido , e ne volò via l'alma.
Ma d'Autólico i figli a Ulisse tutti 6Go
'i'ravagliavansi intorno: acconciamente
Fasciar la piaga , e con possente incanto
U sangue tie arreslaro, e dell'amato
Padre all’albergo il tiasportaro in fretta.
Sanato appieno , e di bei doni carco ,
Contenti alla cara Itaca contento
Lo rimandaro. Il padre suo Laerte
K la madre Anticléa giotun pur troppo
Del suo ritorno, e il richiedean di tutto,
E più della ferita j ed ei narrava , 670
Come, invitato a una silvestre guerra
Da’Hgiiuoli deH’avu , il bianco dente
Piagollo d'iin cinghiai sovra il Parnaso.
Tal cicatrice l’amorosa vecchia
Conobbe, brancicandola , ed il piede
Lasciò andar giù : la gamba nella conca
(^dde . ne rimbombò il concavo rame ,
E piegò tutto da una banda , e in terra
L'acqua si sparse. Gaudio a un'ora e duolo
La prese , e gli occhi s'empièr di pianto , 58o
E in uscir le tornò la voce indietro.
l'rorup|>c al fin , prendendolo pel inei>to :
Caro figlio , tu sei per certo Ulisse ,
\è io , uè io ti ravvisai, che tutto
Pria non avessi il mìo signor tastato.
Tacque ; e guardò Penelope , volendo
Mostrar che l’amor suo lungi non età.
Ma la reina nè veder di coutra
Poteo , nè mente por: chè Palla Ìl core
Le torse altrove. Ulisse intanto strinse 690
JoQ la man destra ad Euricléa la gola ,
E a sè tirolla con la manca , e di&>e :
Vutrice , vuoi tu perdermi ? Tu stessa.
Si , mi tenesti alla tua poppa un giorno ,
k' nell'anno ventesimo soflùrte
Pene iiiBnite , alla mia patria io venni.
Via, poiché mi scopristi , e un Dìo sì volle ,
Taci , e di ine qui dentro altri non sappia :
Però ch’io giuro, e non invau , che s'io
Con l’ajuto d'^’Numi 1 Proci spegno , 600
N'è da to pur, beuchò mia balia , il braccio ,
Che l’altre donne ucciderà , ritengo.
Figlio qual mai dal core osò parola
Salirti in su le Libbra ? ella riprese.
Non mi conosci tu ne! petto un'alma
Ferma ed inespugnabile ? Il segreto
lo serberò , qual dura selce , o bronzo.
Ciò senti ancora , e tei rammenta : dove
Spengaii gli Dei per la tua mano i Proci ,
Delle donne in palagio ad una ad una 610
Qual t'ingiuria , io dirotti , e qual t'uiiura.
Nutrice, del tuo indizio uopo iiuu havvi ,
Dìgitized by Google
O D I S S E A
loa
Kìpigliò UHsse. Io per me stesso tutta
Le osserverò , couoscerolle : solo
Tu a tacer pensa » e lascia il resto ai Numi.
La vecchia tosto per iiuov’acqua uscio ,
Sparsa tutta la prima. Asterso ch’ebbe
Ui isse , ed unto , ei nuovamene ai loco ,
Calde aure a trarne, s'accostò col seggio,
£ co’panni la margine coverse. 620
E Penelope allor: Brevi parole,
Ospite, ancora. Già de’dolci sonni
li tempo è giunto per color , cui lieve
Doglia consente il ricettarli in petto :
Ma doglia a me non lieve i Numi diero.
Finché riluce il di, solo ne'pianti
Piacere io trovo, e ne’sospiri , mentre
Guardo ai lavori dell'ancelle , e a'mieì.
La notte.poì , quando ciascun s’addorme ,
Che vai corcarmi , se le molte cure 63o
Crudele iiitorqp al cor muovonmi guerra?
Come allor che di Pandaro la iiglia
Ne’giorni primi d*-l rosato aprile.
La ìioriscente Filomela, assisa
Degli arbor suoi trae le piu dense fronde ,
Canta soavemente , e in cento spezza
«Suoni diversi la instancabil voce,
Iti, chea Zeto partorì piangendo,
Iti caro , che poi barbara uccise
Per insania , onde piu sé non conobbe : 640
Non altrimenti io piango , e Palma incerta
In questa or piega , ed ora in quella parte ,
S’io stia col figlio , e intégro serbi il tutto ,
Le sostanze , le serve , e gU alti tetti ,
Del mio consorte rispettando il letto ,
£ del popol le voci ; o quello io siegua
Degli Acliel tra i miglior , che alle mie nozze,
Doni infiniti presentando , aspira.
Sino a tanto che il figlio era di senno ,
Come d'età , fanciullo ancor, lasciata 65o
Questa Ìo mai non avrei per altra casa :
Ma or ch'ei crebbe , e delia pubertade
Già la soglia toccò , men priega ei stesso ,
Non potendo mirar lo strazio indegno ,
Che di lui fan gli Achivi. Or tu , su , via ,
Spiegami uti sogno , ch'io narrarti intendo.
Venti nella mia corte oche io nutrisco,
E di qualche.diletto emmi il vederle
Coglier da limpid'acqua il biondo grano.
Meutr’io le osservo, ecco daiPaltu monte 65o
Grande aquila calar curvorostrata ,
Frang'?re a tutte la cervice , tutte
L'ima su l'altra riversarle spente,
E risalir vèr l’etere divino.
Io mettea lai , benché nel sogno , e strida ,
£ le nobili Achee dal crin ricciuto
Veoìano a me , che miserabilmente
L'oche plorava dall’agugiia morte,
£ a me intorno affolla vausi. Ma quella,
Kivolando dal eie! , su lo sporg'^nte 670
Tetto sedeasi , e con umana voce ,
Ti raccheta , dìceami , e spera , o figlia
Del glorioso Icario : un vana sogno
Questo non è , ma visìon verace
Di ciò che seguirà. Nell'oche i Proci
Kavvisa , e in queste d'aquila sembianze
Il tuo consorte , che al fin venne , e tutti
Stenderà nel lor sangue a terra i Proci.
Tacquesi ; e Ìl soiuiu ubbandonommi , ed io,
Gittaudo gli occhi per la corte , vidi 6S0
Le oche mie , che nel truogolo , qual prima ,
I graditi frumeiiti ivan beccando.
Donna, risposo di Laerte il figlio,
Altramente da quel , che Ulisse leo ,
Non lice il sonno interpetrar ; Peccidio
Di tutti i Proci manifesto appare.
E la saggia Penelope: Non tutti ,
Ospite , i sogni investigar si ponno.
Scuro parlano, e ambiguo, e non risponde
L’effetto sempre. Degli aerei sogni 690
Sori due le porte, una di corno , e f'aftra
D’avorio. Dall’av.orio escono i falsi ,
B fantasmi cori sé fallaci c vani
Portano : i veri dal polito corno ,
E questi mai l'uom non iscorge indarno.
Ah ! creder non poss'io che quinci uscisse
L’ immagia fiera d’un evento , donde
Tanta verrebbe a me gioja , e a) mio figlio.
Ma odi attento 1 detti miei. Già l’Alba ,
Che rimuover mi dee da questi alberghi , 700
Ad apparir non tarderà. Che làrmi ?
Un giuoco io propor vo'. D )dici pali ,
Qnai puntelli di nave , iuturnu a cui
Va del fabbro la man , piantava Ulisse
L’un dietro all'altro con anelli in cima}
Ed ci , lunge tenendosi , spiiigea
Per ogni anello la pennuta freccia.
Io tal cimento proporrò. Chi meglio
Tender l'arco sapra fra tutti i Proci ,
E d’anello in anello andar col dardo , 710
Lui seguir non ricuso . abbandunaiido
Questa sì bella , e ben fornita , e ricca
Miigion de' miei verd’anni , oud’auche in sogno
Dovermi spesso ricordare io penso,
0 veneranda , ripigliava Ulisse , .
Donna del Laerziade , una tal prova
Punto non differir : pria , che un de’ Proci
Questo maneggi arco lucente, e il nervo
Ne tenda, e passi pe’ ritoudi ferri ,
Ti s'ofTrirà darante il tuo consorte, 720
E Penelope al fine : Ospite , quando ,
Vicino a me sedendoti , il diletto
Protrar della tua voce a me volessi ,
Non mi cadrebbe su le ciglia il sonno.
Ma non può sempre l'uom vìvere insonne :
Chè le gge a tutto stabilirò , e meta
8u la terra fruttifera gli Eterni.
lo , nelle stanze alte salita , un letto
Premerò , che divenne a me lugubre
Dal dì , che Ulisse il canape funesto 75«
Per la nemica sciolse infamia Troja.
Tu nel palagio ti riposa, e a terra
Sdràjati , o , se ti piace , a te le mie
Doime appareccineran , dove corrarti.
La reg.iia , ciò detto , alle superne
Montò sue stanze , e non già sola j ed ivi
Sino a tanto piangea l'amato Ulisse,
Che un dolce sonno sovra lei spargesse
La cifestra negli occhi augusta Diva.
Digitized by Google
LIBRO VENTESIMO
argomento
Ulisse si idraj» nciralrio , t oaserra la disonestà deirancclle. Chiede a Giore qualche segno farorerole ; M •
esaudito. Tementi di Melanaio , e arcoglieiua amorevole di FiW. Ctesippo bccia cootroad LiUse un pie di
bue: ma noi coglie. VaUcinio diTeoaiméno. I Frtà se ne fan beffici e sdierniscono Llisse ancora e Tclemao».
Il magnanimo figlio di Lafrte
Giacca nciratrìo. Una recente pelle
Steso aveasi di bue con altre molte
Di pingui agnelle dagl^ingordi Achei
Sagrificate: e d’un velloso manto
J.iii già corcato Eurìnome coverse.
Qui co* pensieri suoi l'eroe vegliava ,
Sventure ai Proci divisando. Intanto
X.e ancelle , che solcano ai Proci darsi ,
Uscirò di lor camere , in gran rìso , ^ io
Prorompendo tra loro, e in turpe gioja.
Ei forte l’alma si senlia commossa ,
E bilanciava , se avventarsi , e tutte
Porle a morte dovesse in un istante ,
O consentir che per l’estrema volta
Delinquesser le tristi ; e in sè frenica.
E come allor che ai cagnolini intorno
Gira la madre, e , se un ignoto spunta ,
J.atra , e brama pugnar : non altrimenti
Egli, che mal palla l’opre nefande, 20
Alto fremea nel generosi» petto.
Pur, battendosi lanca, e rampognando
Egli Stesso il suo cor , Sofl'ri , gli disse ,
Tu , che assai peggior male allur sofiristi p
Che il Ciclope fortissimo gii amici
Wi divorava. Tollerar sapesti ,
Finche me fuor del/anlro il senno trasse,
Qiiand’io già delta vita era in su l’orlo.
Et cosi i moti reprimea del core ,
Che ne’recinti suoi cheto si stette. 3o
Non lasciava però su l’tin de’fianchi
Di voltarsi , o su l’altro in quella guisa ,
Che pien di sangue e d’adipe ventriglio
Uom , che sì strugge di vederlo incotto ,
D’un gran foco all'ardor volge e rivolge.
Su questo ei si voltava , o su quel fiancOi
IMeditando fra sé, come potesse
Scagliarsi al fin centra i mainali prenci.
Conira molti egli solo j ed ecco , scesa
Di cielo, -a lui manifestarsi in forma 4^
D’una mortale l'Atenéa Minerva.
Stcltfgli sovra il capo, e tai parole
Gli volse : 0 degli umani il niù infelice,
Perchè i conforli rifiutar del sonno?
Sci pur nel tuo palagio , appo la fida
Tua donna , e al fianco d ui» figliuolo ,acui
Vorrìano aver l’ugnale i padri tulli.
Il ver parlasti , o Dea , rispose Ulisse :
Se non die meco io mi consiglio , come
Scagliarmi ai Proci svergognati incontro » 5o
Mentre in folla og; or son quelli, ed io solo.
In oltre io penso , e ciò più ancor mi turba ,
Che , quando col favore anco m’avvenga
Del Tonante , e col tuo , cacciarli a Dite ,
Non so dove sottrarmi a quella turba
Che vengiarli vorrà. Tu questo libra.
Tristo l riprese la negli occhi azzurra ,
L’uomo a un compagno suo crede, a un mortale
Peggior di sè talvolta , e meno esperto,
E tu non a me Diva , e a me , che in ogni 60
Travaglio tuo sempre ti guardo? Sappi,
Che se cinquanta d'uomini parlanti
Fosserci intorno pugnatrici schiere,
Sparsi per la campagna i greggi loro
Tua preda diverrìano, e i loro armenti.
Chétati, e il sonno nel tuo seii ricevi:
Ghè vegliando passar la notte in guardia
Troppo è molesto. Uscirai fuor tra poco
Da tutti senza dubbio i mali tuoi.
Disse , c un sopor dolcissimo gl’infuse : 70
Kc pria le membra tutte quante sciolte
Gli vide , e sgombra d’ogni aJlànno l'alma ,
Che all’Olimpo tornò rinclita Diva.
Ma il sonno sen fuggi dagli occhi a un tratto
Della reina , che già sovra il molle
Letto sedeasi , c ricadea ne) pianto.
Come sazia ne fu , calde a Diana
Preghiere alzò la sconsolata donna :
0 del Saturnio figlia , augusta Dea ,
Deh ! nel mio seno unde’tuoi dardi socca, 80
E ratto poni in libertà quest’alma,
O mi rapisca il turbine , e trasporti
Per l’aria , e nelle rapide correnti
Dell’Oceàn retrogrado mi getti.
Così già le Fandaridi sparirò ,
Che per voler de’Numi alla lor madre
Crucciati , e al padre, nella mesta casa
Orfanelle rimaste , erano , e sole.
Venere le nutrì di dolce mele ,
Di vili soave e di rappreso latte: 90
Senno c beltade aovia ogni altra donna
Giuno compartì loro, Artemi un'alta
Statura , ecl ai lavori i più leggiadri
Mano e intelletto la gran Dea d’Atene-
Già Venere d Olimpo i gioghi eccelsi
Montato avea , per dimandar le nozze
Delle fanciulle al fuminanie Giove,
Che nulla ignora , e i tristi eventi e i lieti
Conosce de'mortali ; e quelle intanto
Dalle veloci Arpie furo rapite, lOO
E in balia date alle odiose Erinni.
Così d’Itaca me tolgano i Numi ,
O d’un de’dardi suoi ruricrinita
Diana mi ferisca ; ond’io ritrovi ,
Benché ne’regni della morte, Ulisse,
E del mio niantaggio uom non rallegri|
Che di lui fia tanto minore. Ahi lassa !
Ben regger pnossi la più ria sventura,
Quando , passati lagrimando i giorni ,
Le notti almen ci riconforta il sonno | 1 io
Digitized by Google
O D I S S E A
Che su )beni l’obblio sparge, c su i mali.
Ma sogni a me fallaci un Nume invia :
E questa Tu»tte ancor mi si corcava
Da presso il mio consorte in quel sembiante
Che area nei di che su la nave ascese.
Tacque; e sul trono d*òr l’Aurora apparve.
Ulisse udì le lagrimose voci ,
Ed in sospetto entrò , che fatta accorta
Dì lui si fosse , e già pareagll al capo
Vedersela vicina. Alzossi , e il manto 120
E i cuoi , tra cui giacca , raccol.se , e pose
Sovra una sedia, e la bovina pelle
Fuor portò del palagio. Indi , levate
mani ; a Giove supplicava : 0 Giove
Padre, e Dei tutti , che per terra e mare
Me dopo tanti aSanni al patrio nido
lUconauceste , un lieto augurio in bocca
Mettete ad uu di quei che nelPinterno
Vegghiano; e aU’aria aperta un tuo prodigio,
Giove , mi mostra. Così , orando , disse. i5o
Udillo il sommo Giove , e incontanente
Dal sublime tonò lucido Olimpo ,
E l’eroe giubbilonne. Al tempo istesso
Donna , che il grano macinava , detti
Presaghi gli mandò, donde non lungi
Del pastor delle genti eran le mole.
Dodici donne con assidua cura
Giravan ciascun dì dodici mole ,
E in bianca polve que’fruraenti ed orzi
Kiducean , che dell’uom son forza e vita. 140
Le altre dorrolan dopo il travaglio grave :
Ma quella , cui reggean manco le braccia ,
Cqmpiuto non l’avea. Costei la mola
Fermò di botto , e feo volar tal voci ,
Che segnale al re fiiro : O padre Giòve ,
Degli uomini signore e degli Dei,
Forte tonasti dall'eterea volta ,
E non v’ha nube. Tal portento è ài certo
Per alcun de'mortali. Ah ! le preghiere
Anco di me infelice adempii, o padre, i5o
Cessi quest'oggi nella bella sala
Il disonesto pasteggiar de’Proci,
Che di fatica m’hanno, e di tristezza
Presso un grave macigno ornai con.sunta.
L'ultimo sia de’lor banchetti questo.
Della vece allegravasi , e del tuono
L'illustre figlio di Laerte, e l’alta
Già in pugno si tenea giusta vendetta.
L'aìtre fantesche raccoglieansi intanto,
E un foco raccendean vivo e perenne. 260
Ma il deiforme Telemaco di letto
Surse , vestì le giovanili membra ,
L'acuto brando all'omero sospese ,
Legò sotto i piè molli i bei calzari ,
E una valida strinse asta nodosa
Con fino rame luminoso in punta.
Giunto alla soglia , s’arresto col piede,
£ ad Euriclca parlò : Cara nutrice,
11 trattaste voi ben di cibo e letto
L’ospite? O forse uon curato giacque? 270
Anco la madre mia, benché sì saggia ,
Sfallisce in questo : ehi è men degno, onora,
£ non cura onorar chi più sei merta.
Ed Euricléa : Figliuol , non incolparmi
La 'innocente tua madre. A suo piacere
£evea Ibspite assisoe quanto all'esca|
Domandato da lei , disse , mestieri
Non ne aver piu. Come appressava l'ora
Del riposo e del sonno, apparecchiargli
C’jmpose un letto : ma i tappeti molli 180
Rifiutò , qual chi vive ai mali in grembo.
Oorcossi nel vestibolo su fresca
Pelle di tauro e cuoi d'aguelle : noi
D'una vellosa clamide il coprimmo.
Telemaco, ciò udito, usda dell’alte
Stanze , al foro per ir , con l'asta in mano ;
E due seguianlo pieveloci cani.
Colà gli Achei dagli schinieri egregi
Raccolti Pattf-ndean : mentre l’antica
D Opi di Pisenòr figlia, le ancelle ino
Stimolando , Affrettatevi , dicea ♦
Parte a nettar la sala : e ad inaffiarla ,
E le purpuree su i ben fatti seggi
Coverte a dispiegar; parte le mense
Con le umide a lavar forate spugne ,
E i vasi a ripolire , e ì lavorati
Nappi rotondi ; ed al profondo fonte
Parte andate p»*r l'acqua , e nel palagio
Recatela di fretta, i Proci mollo
Non tarderan: selleciiar li/lee 300
Questo dì , che festivo a tutti splende.
Tutte ascoltato, ed ubbidirò. Venti
Al fonte s’avvìàr delle nere acque :
L'altre gli altri conipieano interni ufllci.
Vennero i servi degli Achivi, c secche
Legna con arte dividean ; le donne
Venner dal fonte ; venne Euniéo , guidando
Tre , della mandra fior , nitidi verri ,
Che nel vasto corti! pascer lasciava.
Quindi, fermate nel suo re le ciglia , aio
Vecchio , imparato a rispettarti forse,
0 , disse , a t’oltraggiar scguon gli Achei ?
Eumco , rispose il re, piacesse ai Numi
Questa gente punir, che nell'altrui
Magion rei fatti, ingiuriando, pensa,
E dramma di pudor non serba in petto!
Cosi tra lor dicean , quando il caprajo
Co'più bei della greggia eletti corpi ,
L'avido ventre a riempir de'Proci ,
Giunse , Melanzio ; e seco due pastori. 220
Ei le capre legò sotto il sonante
Portico , e morse nuovamente Ulisse :
Stranier , molesto ci sarai tu ancora ,
Mendicando da ognun ? Fuori una volta
Non uscirai ? Difficilmente, io credo.
Noi ci dividerein, che l'un dell'altro
Assaggiate le man non abbia in prima :
Però che tu villanamente accatti.
Altra mensa in città diuiqne non fuma?
Nulla l’otfeso eroe : ma sol crollava 23o
Tacitamente il capo, e la risposta,
Che farà con la man , tra sè solgea.
Filezio in quella sopraggiunse terzo ,
Grassa vacca iiienatido, e pingui capre,
Cui traghettò su passeggierà barca
Gente di mar , che a questa cura intende.
Le avvinse sotto il portico, e vicjiio
Fattosi a Eurnéo, l'jiiterrogava : Euméo ,
Chi è quello stranier , die ai nostri alberghi
Testé arrivò? Quali es.ser dice , e dove 240
La sua terra nativa, e i padri suoi ?
Lasso! uu Monarca egli mi sembra iu vista.
Digitized by Coogic
t I B R O V K
Certo |)tace «gli Dei metter uel fondo
Delie sventure i viandanti « quando
Si deistina da loro ai rt^ tal sorte.
Disse y e appressando il lure.stiero , e a lui
La man porg»*ndo, Ospite padre , salve ,
Soggiunse : almeu , se nella doglia or vivi ,
Sorganti più sereni i giorni estremi !
Giove , qual inai di le Nume più crudo , 260
Che alla fatica e aU^iuforlunio in preda
1^;)CÌ i m<jrtali , cui la vita desti ?
Freddo sudur bagnommi , e mi scempierò
Gli occhi di piaii’u , immaginando Ulisse f
Cui veder parmi con tai panni in dosso
Tra gli uomini vagar , se qualche terra
Sostienio ancora , e gli risplende il Sole.
Sventurato di me ! L^inclito Ulisse
A me fanciullo delle sue giovenche
La cura diè ne*Cefaleni campi \ 260
£d io sì le guardai , che in siihnitn
L’armento crebbe dalle larghe fronti.
Questo sul mare trasportar per esca
Deggiu a una turba di signori estrani ,
Che nè guarda al hgliuol , nè gli Dei teme :
^Mentre dc’beni del mio Sir lontano
La parte , cui finor perdonò il dente ,
Con gli occhi ella divora , e col desìo.
Ora io stommi fra due: perchè lea cosa
Certo sarìa , vivo il figliuolo, a un’altra 170
Gente con ramientu ir^ ma d’altra parte
Pesami fieramente appo una niandra
Restar, che a me divenne ornai straniera.
£ se non fosse la non morta ppeme ,
Che quel misero rieda , e spci da i Proci ,
lo di qualque uiagiianimo p.idrone
Giù nella corte rìpiiralo avrei:
Che tai cose durar più non si panno.
£ l’eroe si gli rispuiidea ; Pastore ,
Poiché malvagio non mi sembri, e stolto, 2S0
£ senno anche dimostri , udì i miei delti,
£ il giuramento che su questi sit'de.
10 pria tra i Numi in testimonio Giove,
£ la meiisH ospitai chiamo , e d'Ulisse
11 venerando tucular , cui venni:
Giungerà il figlio di Laerte , e all’Orco
Precipitargli usurpatori Proci
Vedianlo , se tu vuoi , gli occhi tuoi stessi.
Ospite, questo il Satiirnide adempia,
Replicò il guardian : vedresti, come 200
Intrepido seguir del mio signore
l.a giusta ira io saprei. Tacque ; ed Euméo
S’uiiìa con esso , e agt’Inimuriali tutti
Pel ritorno del re preghiere fea.
Morte intanto a Telemaco s’ordìa
Dai Proci. K ver , che alla sinistra loro
Uiraquila comparve altovolaiite ,
Che avea colomba trepida tra Pugne.
Tosto Aiifìnomo sorse , e , Amici , disse ,
Lasciarti da un lato la cruenta trama , 3t>0
Cui più , che ìnvan , si pensa ; ed il convito
Ci sovvenga più presto, li il detto piacque.
I Proci eii’ruro noi palagio, e i manti
Sovra i seggi deposero : le pingui
C'ipre e i montoni s’immolaro , corse
D'*'verrÌ il sangue, e la buessa , onore
Dell’armento , cadè. Furo spai lite
Le abbrustolate vuccre, e mesciuto
omssxA.
N T E S I M O. io5
Nell’urne il rosso vino. Euméo le tazze,
Filrzio i pani dispensò ne’vagbi 3io
Canestri : ma dall’urue il buon licore
Mela ozio nelle ciotole versava.
K già i prenci volgeano all'apprestate
Mense il peiisier , quando d' Ulisse il figlio,
Non senza un suo perché seder fe'il padre
Pressa il marmoreo limitar su ruzzo
Scanno , ed a picciol desco; e qui una parte
Gl’imbandì delle viscere , e gl’iafuse
Vermiglio vino Ìii tazza d’oro, e tale
Parlò : Tu pur siedi cu’prenci , e bevi. 320
10 dalle lingue audaci e dalle mani
Ti schermirò : che 11011 è questo albergo
Pubblico, ma d'Ulisse , ed a me solo
Egli acquistollo. E voi [renate , o Proci,
Le luan , non che le lingue , onde contesa
Qui non a’acceiida, esubitana rissa.
Strinser le labbra , ed inarcar le ciglia.
Ed Àntinoo così : La minacciosa ,
Compagni , di Telemaco tavella ,
Per molesta che sia , durarla vuoisi. 33o
Giove il protegge: chè altramente imposto,
Benché canoro arriiigatur , gli avremmo
Silenzio eterno da gran tempo. Disse:
£ il dispregiò TeUriiiaco , c si tenne.
Già i banditori recatumbe sacra
Degli Dei conducean per la cittade,
E raccoglieansi Ì capeduti Acliivi
Sotto il bosco frondifero d' A pollo,
Di cui per cotanto aero il dardo vola.
£ al tempo sGsso, incotte ornai le carni , 340
Nel palagio d'Ulisse , e dagli acuti
Si hidoiii tratte, e poi divise in brani,
L'alto vi ai tenea prandio solenne.
Parte uguale con gli altri anco ad Ulisse
Fu posta innanzi Boi ministri , come
Volle il caro figliuol : nè degli oltraggi
Però Minerva cunscnlìa , ciie i Proci
Rimettessero un punto , acciocché al rege
L'ira più addentro penetrasse in petto.
V’era tra loro un nuivagio uom'. che avea3jo
Nome Ctesip^K) , e dimorava in Same*
Costui , fìdando ne’tesur paterni ,
l.a consorte del re con gli altri ambiva.
Sarse , e tal favellò : Proci , ascoltate :
11 forestier , qual conveniasi , utteiino
Parte uguale con noi. Chi mai vorrìa
Di Telemaco un ospite fraudarne ,
Chiunque fosse? Ora io di fargli intendo
Un nobii don, ch'egli potrà in mercede
Dar poscia o al bagnajtiulo.oa qual trai serri 36o
Gii piacerà deirimmortule Ulisse.
Così dicendo , una bovina zampa
Levò su da un canestro , e con gagliarda
Mano avventulla. L’iiicoiicusso eroe
Sfuggilla , il capo declinando alquanto ,
Ktl in quell’atlu d'un colai suo riso
Sardonico ridendo : e il piè dtl bue
A percuotere andò nella parete.
Meglio d’as>ai per te , che noi cogliesti ,
Si Telemaco allora il tracotante 370
Ctesippo rabbuffò: uiegliu , che il colpo
L’oste schivas.^e ; però ch’io nel mezzo
Del cor seiiz’àicun dubbio ui/asta acuta
Tavrei piantata , e delle nozze in vece
14
Digitized by Googic
ODISSEA
luC
Ct^lebrate t’avria Tesequie il padre,
pine dunque agl^nsulti. Io più fanciullo
IVon son , tuttu m’è noto , ed i confini
Segnar del retto , e del non retto , io'valgo.
Credete voi ch’io soffrirei tal piaga
Nelle sostanze mie, se forte troppo 58o
Non fosse impresa il frenar molti a un solo?
Su via , cessate dairoflese , o , dove
Sete del sangue mio l'alme vi punga ,
Prendetevi il mio sangue. Io dò pria voglio ,
Che veder ciascun giorno opre sì indegne ,
I forestieri dileggiati , e spesso
Battuti ,e nello splendido palagio
Contaminate , oh reità ! le ancelle.
Tutti ammutirò , e sol , ma tardi molto »
Favellò il Damastoride Agelao : 39
Nobili amici , a chi parlò con senno ,
Nessun risponda ingiurioso « avverso;
Nè forestier più si percuota , o altr’uomo
Che in corte serva uel divino Ulisse.
Io poi darò a Telemaco e alla madre
Util consiglio con parole blande ,
Se in cor loro entrerà. Finché speranza
Del ritorno d’Ulisse a voi fioriva ,
Gl’indugi perdonare) ed i pretesti
Vi si poteano , e ÌJ trarre in lungo i Proci: 400
Chè ) qtiando apparsa la sua faccia fosse ,
Di prudenza lodati avrìavi il mondQ.
IVIa chiaro parmi che più Ìo man d'Ulìsse
II ritorno non è. Trovala madre
Dunque , e la pressa tu , che a quel de’Proci ,
Che ha più virtude , e più doni offre ) vada :
Onde tu rientrar ne'beni tutti
Del padre possi, e alla tua mensa in gioja ,
Non che in pace ) seder ) mentre la madre
Del nuovo sposo allegrerà le mura. 410
E il prudente Telemaco, per Giove ,
Rispose ) e per li guai del padre mio ,
C'h’erra , o perì , dalla sua patria lungo
Ti protesto , Agelao , ch’io della madre
Non indugio le nozze ; anzi la esorto
Quello a seguir che più le aggrada , ed offre
Doni in copia maggior : ma i Dii beati
Tolgali che involontaria io la sbandisca
Da queste soglie con severi accenti.
Disse, e Minerva inestinguibil riso 420
Destò ne’Procì, e nc travolse il senno.
Ma il riso era stranier su quelle guance :
Ma sanguigne inghiottìan delle sgozzate
Bestie le carni , e poi dagli occhi a un tratto
^igorgava loro un improvviso pianto,
H di previsa disventura il duolo
N'e’ lor petti regnava. E qui levossi
’J'focliniéuo , il gran profeta , e disse :
Ah miseri , che veggio ? £ qual v’incontra
Caso funesto ? Al corpo intorno , intorno 4^*^
D’atra notte vi gira al capo un nembo.
Urlo fiero scoppiò : bagnatisi i volti
D’involontarie lagrime; di sangue
Tingoiisì le pareti ed i bei palchi ;
L’atrio s’empie e il cortil d’ómbre, che in fretta
Giù discendon nell’Èrebo; disparve
Dal cielo il Sole , e degli aerei campi
Una densa ceiìgìne ìnduunossì.
Tutti beffarsi del profeta , c queste
Voci Eurimaco sciolse : Il forestiero, 44o
Che qua venne testé non so da dove ,
Vaneggia , io penso. Giovani , su , via ,
Mettetel fuori, acciocché in piazza ei vada ,
Poscia che qui per notte il giorno prende.
£ Pindovino, Eurimaco , rispose ,
Coleste guide , che vuoi darmi , tienti.
Occhi ho iu testa , ed orecchi , e due piè sotto,
E di tempra non vile un’alma In petto.
Con tai soccorsi io sgombrerò, scorgendo
Il mal , che sopra voi pende , e a cui torsi 460
Non potrà un sol di voi , che gli stranieri
Oltraggiate, e studiate iniquitadi
Nella magion del pari ai Numi Ulisse.
Ciò detto, uscì da loro, ed a Firéo ,
Che di buon grado il ricevè , s'addusse.
Ma i Proci , riguardandosi a vicenda ,
E beffe d'ambo i forestier facendo ,
Provoca van Telemaco. Non havvi ,
Talun dtcea , chi ad ospiti stia peggio ,
Telemaco , di te. L’uno è un mendico 460
Errante , ornai di fame e sete morto ,
Senza prodezza , senza industria , peso
Disutil della terra ; e l’altro un pazzo ,
Che , per far del profeta , in piè si leva.
Vuoi tu questo seguir , ch’io ti propongo ,
Sano partito ? Ambo gittiamlì in nave ,
K li mandiam delia Sicilia ai lidi.
Più gioveranno a te, se tu li vendi.
Telemaco di luì nulla curava :
Ma levati tcnea tacito gli occhi
Nel genitor, Sempre aspettando il punto ,
Ch’ei fatto contra i Proci impeto avrebbe.
In faccia della sala, e in su la porta
Del ginecèo , da un suo lucente seggio
Tutti i lor detti la regina udìa.
B quei , ridendo , il più soave e lauto ,
Però che molte avean vìttime uccise ,
Convito celebrar : ma più iogioconda
Cena di quella non fu mai , che ai Proci ,
Degna mercè della neouizia loro , 4^*^
Stavan per imbandir ralla ed Ulisse.
Dìgitized by Coogle
LIBRO VENTESIMOPRIMO
argomento
P«*nelope , per ifpirasìon di Minerve , propone il cimento dellareo , pr«*U di quello sputare tra i rrr>c» . rSe
saprà teoderlu , e spinger secondo la iiripctsU legge lo strale. Telemaco apiMrecchia il giuoco, ed egli stesa»
pruovasi il primo y pensando di ritenere in casa , se il giuoco gli riesce , la madre ; ma in sul più bello il padre
gli comanda di starsi. Si pruovano alcuni Proci, ed iimiilineote. Ksooou intanto Filexio edEuim^i; e Llisje li
sif^ue, siscuupre, e dà loro gli ordini più opportuni. Nuovi ed inutili tentativi , do|xi ì quali Auliiiou suggerisce
di diiferire al giorno appresso ii cimento. Ulisse anchVgli vuoi cimruUrsi, e i Proci a'oppuogono indarno Egli
esamina l'arco, il tende cuu molta facilità, e spinge la treccia secondo il rito felicusiiuameulc.
M A Palla , occhio azzurrino , alla prudente
Figlia d^lcario entro lo spirto mise
Di propor Tarco ai Proci , e i lerrei anelli ,
Nella casa d’Ulisse : acerbo gioco,
E di strage principio , e di vendetta.
La donna salse alla magìon più alta ,
E dell’abil sua man la bella e ad arte
Curvala chiave di metallo prese
Pel manubrio di candido elefante.
Ciò fatto , andò-con le fedeli ancelle io
Nella stanza più interna , ove i tesori
Serbavansi del re: rame, oro e ferro
Ben travagliato. E qui giacea pur l'arco
Ritorto, e il sagittilero turcasso,
Che molte dentro a sé frecce chiudea
Doloriferc : doni , che ad Ulisse ,
Cui s’abbattè nella Laconia un giorno ,
Feo l'Éurltide ilito ai Numi eguale.
S’incontraro gli eroi nella magione
D’Orsìloco in Messenia. Di Messeiii ao
Una masnada pecore trecento
Co’ lor custodi su le lunghe navi
l^apito avea dagl’ltacesi paschi ;
E a richiederle il padre , e gli altri vecchi ,
Giovane ambasciator per lunga strada,
Mandaro Ulisse. D'altra parte Ulto
In traccia sen venia delle perdute
Sue dodici cavalle , e delle forti
Alla lor mamma pazienti mule ,
Donde mina derivògU , e morte ; 3o
Però che Alcide , il gran iìgliuol di Giove ,
D’opere grandi fabbro , a lui , che accolto
Nel suo pais^io avea , non p» ventando
Nè la giustizia degli Dei , nè quella
Mensa ospitai che gli avea posta innanzi ,
Tolse iniquo la vita , e le giumente
Dalla forte unghia in sua balia ritenne.
Queste cercando , s’abbattè ad Uliss" ,
E l’arco gU donò , che il chiaro Eurito
Portava , e in man del suo diletto figlio 4o
Pose morendo negli eccelsi alberghi.
E il Laerziade un’adilata sp;;da
Diede , e una lancia noderosa a Iflto ,
D’un’amistà non lunga unico pegno :
Chè di mensa conoscersi a vicenda
Lor non fu dato , ed il ligUuol di Giove
L’Euritide divino innanzi uccise.
Quest’arco Ulisse , allorché in negra nave
Alle dure traea belliche prove ,
Noi togliea mai , ma per memoria eterna 5o
Del caro amico alla parete appe'io
l^asciar solcalo , e sol gravarne il dosso
Nell’isola natia gli era diletto.
Come pervenne alla secreta stanza
L’egregia donna, c il limitar di quercia
Sali construtto a squadra e ripoljto
Da fabbro indiistre , che adat*ovvi ancora
Le imposte ferme e le lucenti porte ,
Tosto la fune dell’anello sciolse,
£ introdusse la chiave, ed i serrami 6o
Respinse : un rimugghiar , come di tauro ,
Che di rauco boato empie la valle ,
S’udì , quando le porte a lei s’apriro.
Ella montò su l'elevato palco ,
Dove giaceano alle bell’arche in grembo
Le profumate vesti , c , distendendo
Quindi la man , dalla cavicchia l’arco
Con tutta distaccò la luminosa
Vagina , entro cui stava. Indi s’assise ^
E , quel posato su le sue ginocchia , 70
Ne’ pianti dava , e ne’ lamenti : al fine
Dalla custodia sua l'arco fuor trasse.
Ma poiché fu di lai sazia e di pianti ,
Scese , c de* Proci nel cospetto venne ,
Quello in man sostenendo, e la faretra
Gravida di mortifere saette:
Mentre le ancelle la segiiìan con ce.sta
Del ferro piena , che leggiadro a Ulisse
Di forza esercizio era , e <li destrezza.
Giunta ove quei sedean , fermava il piede 80
Della sala dedalea in su la soglia
Tra l’una e l'altra ancella , e co’sottili
Veli del crine ambo le guance ombrava.
Poi sciogiiea tali accenti : O voi, che iti questa
Casa , lontano Ulisse , a forza entraste ,
Gl’interi giorni a consumar tra i nappi ,
Nè di tal reità miglior difesa
Sapeste addur , che le mie nozze , udite.
Quando sorse il gran dì , che la mia mano
Ritener più non deggio , ecco d’Ulisse qo
L’arco , che per certame io vi propongo.
(3hi tenderalio , c passerà per tutti
Con la freccia ''olanle i ferrei cerchii ,
Lui seguir noi; ricuso , abbandonata
Questa sì bella , e dì ricchezze colma
Magion de’miei verd’nnnì, ond’anche insogno
Dovermi spesso ricordare io penso.
Disse; e, chiamato Euméo, recare ai Proci
L’arco gl’in^iunse, e degli anelli il ferro.
Ki Ugrimando il prese, c nella sala 100
Deposelo; e Fileno in altra parte,
Visto l’arma del re, pianto versava.
Ma sgridava]! Anticuo in tai parole :
Sciocchi villani , la cui mente inferma
Olirà il presente dì mai non si stende,
Perchè tal piagnistèo? Per«hè alla donna
by Coogle
ODISSEA
108
L'ulma nel petto commovete , qua&i
Per sé stefsa nun dolgasi abbasunsa
Del perduto cousorte? O qui sedete
Taciti a bere, o a singhiozzare uscite, 110
£ lasciate a noi l'arci», impresa molto,
Vaglia il ver; iurte per noi tutti , e a gabbo
Da non pigliar : chè non havvi uom tra noi
Pari ad UÌisse per curvarlo. Il vidi
!NegU anni miei più teneri , rd impressa
2Vle ne sta in mente da quel dì l’imago.
Così d’Eupite il figlio; e non pertaulu
11 nervo conlidavusi piegarne,
E d'anello in anel mandar lo strale.
IVIa dovea prima rinrailibil Treccia lao
Gustare in vece dallVroe scoccata,
Cui poc’anzi oltraggiava , e incontro a cui
Aizzava i compagni a mensa assiso.
Qui tra i Proci parlò la sacra forza
Di Telemaco: Oh Dei! Me Giove al certo
Cavò di senno. La diletta madre
Dice un altro consorte , abbandonando
Queste mura , seguir , benché sì saggia ,
£ folle io rido , e a sollazzarmi attendo.
Su via, poiché a voi, donna, in premio s’ofire,
Cui non i’Àcaica terra, c non la sacra ( i3o
Pilo , ed Argo , Micene, Itaca stessa
Vanta l’eguale, o la feconda Epiro;
£ il sapete voi ben , nè , ch’io ri lodi
Xa genitrice, oggi è mestier ; su via ,
Con vane scuse non tirate in lungo
Questo certame, e non rifugga indietro
Dalia tesa dell’arco il vostro braccio.
Cìmenterommi anch’io. 8’io tenderollo,
£ ne’ferri entrerò con la mia freccia , 140
Me qui lasciar per nuove nozze in duolo
Xa genitrice non vorrà , fuggire
^^un vorrà da un figliuui , che ne’paternx
Giochi la palma riportar già vale.
Surse , ciò detto, ed il purpureo manto
D»gli omeri deposto, c il brando acuto ,
Scavò , la prima cosa , un lungo fosso ,
Xe colonnette con gli anelli in cima
Piantovvi , a squadra dirizzolle , e intorno
Xa terra vi calcò. Stupìano i Proci i5o
Vedendole piantare a lui sì bene ,
Bench’egli a nessun pria viste le avesse.
Ciò fatto , delle porte andò alla soglia ,
£ , fermatovi il piè , Tarco tentava.
Tre fiate trar volle il nervo al petto,
'Tre dalla man gli scappò il nervo. Pure
^on disperava che la (piarta prova
Più felice non fosse. F. già, la corda
Traendo al petto per la quarta volta ,
Teso avvia l’arco : ma il vietava Ulisse iGo
D’un cenno , e lui , che tutto ardea, frenava.
£ Telemaco alìor, ?^uml l soggiunse ,
O debile io vivrò dunque, e dappoco
Tutto il mio tempo , o almen la poca etade
Forze da ributtar chi ad oltraggiarmi
Si scagliasse primier , non dammi ancora.
Ma voi , che siete più gagliardi , l’arma
Tastate adunque , e si compisca il gioco.
Detto così, l’arco ei depose a terra,
£. all’iucoliate tavole polite 170
X’appoggiò della porta , e posò il dardo
cerchio, che delfarco il sor^rpo ornava.
Poi s’assise dì nuovo. E Antiiiuo, il figlio
D'Eupite, favellò : Tutti , o compagni ,
Dalla destra per ordine v’alzate ,
Cominciando ciascun , donde Ìl vermiglio
Liror si versa. Il detto piacque, e primo
L’Enopide Leode alzossi , ch’era
Loro indovino , e alla bell’urna sempre
Sedea più presso. Odio alla colpa ei solo 180
Portava , e gli altri riprendea. Costui
L’arco lunato cd il pennuto strale
Si recò in mano , c alla soglia ito , e fermo
Su i piedi; tentò il grave arco , e noi te»« :
Chè sentì intorno alla ribelle corda
Prima stancarsi la man liscia e molle.
Altri , disse , sei prenda ; io certo , amici ,
Noi tenderò : ma credo, ben , che a molti
Sarà morte quest’arco, È ver che meglio
Torna il morire, che il giù torsi vivi
Da quella speme altissima, che in queste
Mura raccolti sino a qui ci tenne.
Spera oggi alcun, non che in suo core il brami,
La regina impalmar : ma , come visto
Questo arnese abbia , e maneggiato , un’altra
Chìedeià dell’Achee peploaddobbate,
Nuziali presenti a lei porgendo,
£ a Penelope il fato uom , che di doni
Ricolmeralla , condurrà d’altronde.
Cosi parlato , ei mise l'arco a terrra , 200
£ all’inroHate tavole polite
L'appoggiò della porta , e po.sò ÌI dardo
Sul cerchio , che delfarco il .sommo ornava.
Quindi tornò al .suo seggio. E Autinoo in tali
Voci proruppe : Qual inuiestu , acerbo
Dalia chiostra de’denti a te , Leode ,
Detto sfuggì , che di furor ra’infismma ?
A noi dunque sarà morte quest'arco ?
Se tu curvar noi puoi , la madre incolpa ,
Che d’archi uom non ti lece, e di saette : 210
Ma gli altri Proci il curveranno, io penso.
Disse, e al custode d^l caprino gr*-gge
Questo precetto diè: Meianzio accendi
Possente foco nella sala , e appresso
Vi poni seggio , che una pelie ctiopra.
Poi di bianco e indurato atlipe reca
Grande , ritonda massa , acciocché s’unga
Per noi l’arco , e si scaldi , ed in tal guisa
Questo certame si conduca a fine,
Meianzio accese un istancabii foco , 220
R con pelle di sopra un seggio pose.
Poi di bianco e indurato adipe massa
Grande e tonda recò. L’arco unto e caldo
l’iegar tentaro i giovani. Che valse ,
Se lor non rlspondean le braccia imbelli?
Ma dalla prova s’astenean finora
Eiirimaco ed Antlnoo, che de’Procì
£i an di grado e di valore 1 primi.
Uscirò intanto del palagio n un tempo
Il pastor de'majali , e quel de'imoi, 23a
E Ulisse dopo. Didle porte appena
Fuor sì irovaro, e del cortil , ch’ei , dolci
Parole ad ambi rivolgendo, Eumeo,
Disse, e Filezio, favellar degg’io,
O i detti ritener ? Di ritenerli
L’animo non mi dà. Quali sareste
D’Ulisse a prò, se d'improvviso al rostro
Cospetto innanzi il presentasse un Nume?
LIBRO VENTESIMOPRTMO.
Al Proci , 0 a lui , «occorreste voi ?
Ciò, che nel cor vi sta , venga sul labbro. 240
O Giove padre , sciamò allor FIUzio ,
Adempì il voto mio ! L’eroe qua giunga ,
E un Nume il guidi. Tu vedresti , o vecchio ,
Quale in me l’ardir fora , e quale il braccio.
Ed Eiiméo nulla meno agli L)ei tutti
Pel ritorno de! re preghiere alzava.
£i, come certo a p*eii fu della mente
Sincera e hda d’ambtduo , soggiunse :
In casa eccomi io stesso , io, che, sofferte
Sventure senza numero \ alla terra aòo
jVativa giunsi ne) vigesi m’anno.
So che H voi soli deMato io spunto
Tra i servi miei: poiché degli altri tutti
Non udii che un bramasse il mio ritorno.
Quel’ ch’io farò per voi , dunque ascoltate.
Voi da me donna e robe , ove dai Numi
D’rsterminar mi si conceda i Proci ,
Voi case dalla mia non lungi estrutte
Riceverete; ed io terrovvi in conto
Di compagni a Telemaco, e fratelli. 260
Ha perchè in forse non res'iate punto,
Eccovi a segno manifesto il colpo,
Che d'un fiero cinghiai la bianca sanna
M’impresse il di ch’io sul Parnaso salsi
Co’figliuoli d’Autólico. CIÒ detto ,
Dalla gran cicatrice i panni toLe.
Quei , tutto visto attentamente, e tocco,
Piagnean, gittate dì Laerte a) figlio
Le mani intorno , e gli omeri e la testa ,
Strìngendo), gli baciavano; ed Ulisse 270
Lor baciò similii>ente e mani e capo.
£ già lasciati il tramontato Sole
IragrimoH gli avria, se «osi Uli.sse
Non corregurali: Fine ai p‘aiiti. Alcuno
Potrìa vederli , uscendo, e riportarli
Di dentro. Udite. Nella sala il piede
Ripnniam tutti , io prima , e poscia voi,
£ d’un .segnale ci accordiamo. I Proci,
Che a me si porga la faretra e l’arco.
Non patiraii : ma tu , divino 'Eumòo, 280
L’uno e l'altra mi reca , e di’aile donne ,
Che gli usci rhiudan delle stanze loro;
E per romor nessuna , o per lamento ,
Che i’orecrhio a ferir le andasse a un tratto,
Mosti i.si fuori , ma quell’opra siegua ,
Che avià tra mano allor , nè se ne smaghi. 1
Roccomando a te poi , Fiiezio illustre , I
Serrar la porta del cortile a chiave»
E con ritorte rafforzarla in fretta.
Entrò, ciò detto, e donde pria sorto era, 2go
S'assise ; ed ivi a poco entrare i servi.
Già per le mani Eiirimaco il grand’arco
.Si rivolgeva , ed a’rai quinci e quindi
Della fiamma il vibrava. Inutil cura!
Meglio che gli altri non per questo il tese.
Gemè nel cor superbo, c queste voci
Tra ì sospiri mandò: Lasso ! un gran duolo
Di me stesso e di voi sento ad mrora.
Nè già sol piango le perdute nozze:
Chè nell'ondicerchiata Itaca, e altrove, 3oo
Sul capo a molte Achée s’increspa il crine,
piango, ( he , se di forze a) grande Ulisse
Tanto cediam da non curvar quest’arco,
Sì rideran di noi l’età future.
log
No, TEupitide Àntinoo a lui rispose ,
Ciò , Kurimaro, non fia : tu stesso il vedi.
.Sacro ad Apollo è questo di. Chi l’arco
Tender potrebbe ? Deponiamlo , e tutti
Lasiamo star gli anelli, e non temiamo
Che alcun da dove son , rapirli ardisca. 3io
Su via , l abi! coppier vada co’nappi
Ricolmi in giro , e , poiché avrem libato ,
Mettiam l’arco da parte. Al di novello
Melaneio a noi le più fiorenti capre
Guidi da tutti i branchi , onde , bruciati
1 pingui lombi al glorioso arciere,
Si riprenda il ciiin^iito , e a fin s’addnca.
Piacque il suo detto. I banditori tosto
L’acqua diero alle man , l'urne i donzelli
Di vino incoronaro , e il dis|>**nsaro 3ao
Con le tazzo^ augurando , a tutti in giro.
Come libato , e a piena voglia tutti
Bevuto ebber gli amanti , il saggio Ulisse ,
Che stratagemmi in cor sempre agitava,
Così lor faveifò: Competitori
Dell’inclita regina , udir v’aggradi ^
Ciò che il cor dirvi mi consiglia e sforza.
Eurimaco fra tutti , e il pari a un Nume
Antinoo , che parlò si acconciamente ,
L’orecchio aprire alle mie voci io priego. 33a
Perdonate oggi ail'arro, e degli Eterni
Noti ostate al voler ; forza domane
A cut lor piacerà , daranno i Numi.
Ma intanto a me , Proci, queil’artna : io prova
Voglio far del mio braccio , e veder »'io
Nelle membra pieghevoli l'antico
Vigor mantengo , o se i mìe lunghi errori
Disper.so Uhanno , e i molti miei di.-agi.
Riiifocolàrsi a ciò , forte temendo ,
Non il polito arco ei piegasse. £ Antmoo 3^o
Lo sgridava in tal guisa : O miserando
Degli ospiti , sei tu fuor di te stesso ?
Voli ti Contenti , che tranquillo siedi
Con noi prìncipi a mensa , e , che a uull’altro
Stranìer mendico si concede , vieni
D-lle vivanrle e de’sennoiii a parte?
Certo te offì*nde il saporoso vino ,
Che tracannato avidamente , e senza
Modo e termine alcuno, a molti iiocque.
Vocque al famoso Eitriz'ion Centauro, 3bo
Quando venne tra i Lapiti , e nell’alta
-^asa ospitale di Piritoo immensi,
Compieso di furor, mah commise.
Molto ne dolse a quegli eroi , che incontro
m gli avventa ro , e del vesiibol fuori
frasserlo , e orecchie gli mozzaro e nari
Con affilato brando ; ed ei , cui spento
Dell’iritelletto il lume av«*an le tazze ,
Sen già manco nel corpo c nella meuie.
Quindi s’accese una ciuenta pugna 36a
fra gli sdegnati I.àpiti e i Centauri :
Ma , gravato dai vili , primo il disastro
Eiirlzion portò sovra se stesso.
Cosi te pur grave inlortiiniu aspetta ,
.Se l’arco tenderai. D'd popol tutto
Non fia chi s’alzi in tua chiesa , e noi
Vd Echeto , degli uomini il igeilo ,
Dalle cui mati nè tu salvo uscirai ,
Pi manderem su rapido naviglio.
Chetati adunque , ed il pensiero impronto 370
Digitized by Googic
1 10
ODISSEA
Di confender co’giovani tì spoglia.
Qui Penelope disse : Antiiiou , quali
Di Telemaco mio gli ospiti sietio , •
Tarpo ed ingiusto è il tempestarli tanto.
Densi tu forse , che ove lo straniero »
Fidandosi di sé, l’arco tendesse,
Me quinci condurrìa moglie al suo tetto ?
Nè lo spera egli , nè turbato a mensa
Dee per questo sedere alcun di voi.
Cosa io veder non so , che men s’addica. 38o
Ed Eurimaco a lei : D’Icario figlia ,
Non v’ha fra noi , cui nella mente cada ,
Che te pigli a consorte uom che si poco
Degno è di te. Ma degli Achei le lingue
Temiamo , e delle Acnee. La più vii bocca
Ve’, grideria , quai d’un eroe la donna
Chiedono a gara giovinotti imbelli ,
Che nè valgon piegare il suo bell’arco,
Mente un tapino , un vagabondo . un giunto
Testé , curvollo agevolmente, e il dardo Sgo
Per gli anelli mandò. Tal griderebbe ;
E tinto aiidria d’infamia il nostro nome.
E cosi a lui Penelope rispose ;
Eurimaco , non lice un nome illustre
Tra i popoli agognare a chi d'egregio
Signor la casa dal suo fondo schianta.
Perchè tinger voi stessi il nome vostro
D’infamia / È lo stranier di gran sembiante,
Ben complesso di membra , e generosa
La stirpe vanta , e non volgare il padre. 400
Dategli il risplendente arco , e veggiamo.
Se il tende , e gloria gli concede Apollo
Prometto , e non invan , tunica bella
Vestirgli , e bella clamide , ed in oltre ,
Un brando a doppio taglio , e un dardo acuto
Mettergli in mano , e sotto ai piè calzari ;
E là inviarlo , dove il suo cor mira.
Madre , disse Telemaco , a me solo
Sta in mano il dare, o no , qnell’arco, io credo:
Nè ha in lui ragione degli Achivi alcuno , 410
Che son nell'alpestra Itaca signori,
O nell’isole prossime alla verde
Elide , chiara di cavalli altrice.
E quando farne ancor dono io volessi
Al forestier ch’invidiar mel punte?
Ma tu rientra ; ed al telajo e al fuso , ,
Come pur suoli , con le ancelle attendi.
Cura sarà degli uomini quell’arma,,
E più che d’altri , mia : chè del palagio
Il governo in me sol , madre , risiede. 4^o
Attonita rimase , e del figliuolo
Con la parola , che nell’alma entrolle ,
Risali in alto tra le fide ancelle.
Quivi , apprendo alle lagrime le porte,
Ulisse , Ulisse a nome iva chiamando:
Finché un dolce di tanti e tanti aifanni
Sopitor sonno le mandò Minerva.
L'arco Enméo tolse intanto, e già il portava,
E i Proci tutti nel garriano , e alcuno
Cosi dicea de’giovani orgogliosi : 4^0
Dove il grand’arco porti , o disonnato
Porcajo sozzo? Appo le troje in breve
Te mangeran fnor d’ogni umano ajuto
Gli stessi cani di tua man nutriti ,
Se Apollo è a noi proprizio , e gli altri Numi.
Impaurito delle lor rampogne ,
L’arco ei depose. Ma dall’altra parte
Con minacce Telemaco gridava :
Orsù , va innanzi con quell’arco. Credi
Che l’obbedire a tutti in prò ti turni ? 44o
’ou cura , ch’io con ìscagliati sassi
Dalla cittade non ti cacci al campo,
u minor d'anni , ma di te più forte.
Oh così , qual di te , piu forte io fossi
De’Proci tutti , che qui sono l Alcuno
Tosto io ne sbalzerei fuor del palagio ,
Dove il tesser malanni è lor bell’arte.
Tutti scoppiaro in un giocondo riso
Sul custode de’ verri , e della grave
Cantra il garzone ira allentaru. Euméo , 460
'Fraversata la sala , innanzi a Ulisse
Fermossi, ed il grande arco in man gli mise.
Poi , chiamata Eurietéa , parlò in tal forma :
Saggia Enricléa , Telemaco le stanze
Chiuder t’ingiunge , e deH’ancelie vuole ,
Che per rumor nessuna , o per lamento ,
Che l’orecchio a ferir le andasse a un tratto ,
Mostrisi fuori , ma quell’opra siegua ,
Che avrà tra mano allor , nè se ne smaghi.
Non parlò al vento. La nutrice annosa 4^
Tutte impedì le uscite, e al tempo istesso
Filezio si gittò tacitamente
Fuor del palagio , e rinserrò le porte
Dei cortil ben munito. Una gran fune
D’Egizio giunco per navigli intesta
Giacca sotto la loggia ; ed ei con quella
Più ancor le porte raSurzò. Ciò fatto ,
Rientrava , e la sedia , ond'era sorto ,
Premea di nuovo , riguardando Ulisse.
Ulisse l’arco maneggiava , e attento 47®
Per ogni parte rivoltando il giva ,
Qua tastandolo , e là , se i muti tarli
Ne avesser mai ròse le corna , mentre
N’era il signor lontano. E alcun, rivolti
Gli sguardi al suo vicino , Uom , gii dicea ,
Che si conosce a maraviglia d’archi ,
È certo , o un arco somigliante pende >
A lui dalla domestica parete ,
O fabbricarne un di tal fatta ei pensa :
Così questo infelice vagabondo 480
L’arco tra le sue man volta e rivolta !
E un altro ancor de’giovani protervi :
Deh così in bene gli riesca tutto ,
cóme teso da lui sàrà quell’arco 1
Ma il Laerziade, come tutto l’ehhe
Ponderato , e osservato a parte a parte ,
Qual perito cantor, che, le ben torte
Minuge avvinte d’uiia sua novella
Cetera ad ambo i lati , agevolmente
Tira , volgendo il bischero , la corda : 490
Tale il grande arco senza sforzo tese.
Poi saggio far volle del nervo* aperse
r.a mano , e il nervo mandò un suono acuto ,
Qual di garrula irondliie è la voce.
Gran duolo i Proci ne sentirò , e in volto
Trascoloraro ; e con aperti segni
Fortemente tonò Giove dall’alto.
Gioì l’eroe, che di Saturno il figlio,
Di Saturno , che obliqui ha pensamenti ,
Gli dimostrasse il suo favor dal cielo *, 5*)o
li un aligero strai , che su la mensa
Risplendea , tolse ; tulle l’altre frecce.
Digitized byGoogle
1 1 1
L I U R O V E N T K S I M O P U I M O.
Che gli Achivi assaggiar dovean tra poco |
in sè chiudevale il concavo turcasso.
Posto su l’arco , ed incoccato il dardo ,
Traea seduto , siccom’era , al petto
Con la man destra il nervo ; indi la mira
Tra i terrei cerchi presp, e spinse il telO|
Che , senza quinci deviare « o quindi ,
Passò tutti gli anelli alto ronzando. 6lo
Subitamente ai rivolse al figlio ,
£ , Telemaco, disse , il forestiero
Xou ti svergogna , parmi. Tu punto Innge
Dal segno uuu andai , uè a tender l'arco
Faticai molto : le mie forze intere
Serbo , e non merto villanie dai Proci.
Ma tempo è ornai che alla cadente luto
Lor s’appresti la cena*, e poi si tocchi
I.a cetra molticorde , e s'atzi il rantu ,
lu che più di piacer la mensa acc]Oista. 5io
Dis^c, e accennò co’ sopraccigli. Allora
Telemaco , d’Uiisse il pegno caro ,
r.a spada cìnse , impugno l’asta , e , tutto
Uisplendendo uell'arnii , accanto al padre ,
Che pur seduto rimanea , locossi.
LIBRO VENTESIMOSECONDO
ARGOMENTO
Ulisse comìDcia la gran veodettayC il primo che uccide, sactUoduIo , è Anliooo. Kurimaco tenia rii placarli,
ma indarno; e, dopo aver cooforUto i compagni a cunibaUere, è ucciso anchVgli da Llissc. Tcieuiaro aiiiiuazza
Anfiiiùiiio. Poi, mentre il padre segue a maneggiar l'arco, va a prender le altre armi così per lui, ct'tue per
se e |>er li due pasturi. Mclaozio fa il iiierlesiino per li Proci. Puuuiunc di luì. Minerva couqtartsce ad Plissé
io forma di Mentore, e rincoraggia. Appresso ,scuopre l'Egida, e mette i Proci in grande scompiglio Tutti
rimangono uccisi, e sulamenlc son nrparoiiati il poeta Femio e randdo Medunte. Elisio della {mesia. l.r donne
ctilpevoli obbligate sono a traj|Hirtsr fuori i cadav«*ri : indi punite. Plissé purifica con fuoco e zolfo la casa, e
chiama a sè le altre donne , che gli fiinno gran festa , e ch'egli sulnUi riconosce.
OvRSE , e spogliossi de* suoi cenci Ulisse ,
E sul gran limitare andò d’un salto ,
L’arco tenendo , e la faretra. 1 ratti
Strali , onde gravida era , ivi gittossi
Uavante ai piedi , e ai Proci disse : A fine
Questa difficìl prova è già condotta.
Ora io vedrò , se altro bersaglio , in cui
Nessun diede sin qui , tocccir m’avvieuei
£ se me tanto privilegia Apollo.
Cosi dicendo , ei dirigea Vamaro io
Strale in Aiitinoo. Antiiioo una leggiadra
Stava per innalzar coppa di vino
Colma , a due orecchie, e d’oro; ed alle labbra
Già l’appressava : nè pensier di morte
Nel cor gli si volgea. Chi avrìa creduto
Che ira cotanti a lieta mensa assisi
Un sol , quantunque di gran forze, il nero
Fabbricar gii dovesse ultimo iato?
Nella gola il trovò col dardo Ulisse,
£ si colpillo , che dall’altra banda 30
Pel collo delicato usci la punta.
Ei piegò da una parte , e dalle mani
La coppa gli cadè : tosto una grossa i
Vena di sangue mandò fuor pel naso ;
Percosse colle piante , e da se il desco
Respinse, sparse le vivande a terrai
£d 1 pani imbrattavansi , e le carni.
Visto Antinoo cader, tumulto ì Proci
Fèr nella sala , e dai lor seggi alzaro ,
Turbati raggirandosi , e guardando 3o
Alle pareti qua e là : ma lancia
Dalle pareti non pendea, nè scudo.
Allor con voci di grand^ira Ulisse
Metteansi a impi overare : Ospite , il dardo
Ne’ petti umani malamente scocchi.
Parte non avrai più ne’ giuochi nostri ;
Anzi grave mina a te sovrasta.
Sai tu che un uomo trafiggesti , ch’era
Dell’ltacense gioventude il fiore ?
Però degli avvoltoi sarai qui pasto 40
Così , pensando invuloiiiario il colpo ,
Dicean : nò s’avvcdcaii folli , che posto
Ne* confini di Morte aveaii già il piede.
Ma torvo riguardulli , e iu questa guisa
Favellò Ulisse : Credevate , o cani ,
Che d’ilio più non ritornassi, e intanto
La casa disertar , stuprar le ancelle,
£ la consorte mia , me vivo, ambire
Costumavate, non temendo punto
Nè degli Dei la grave ira , nè il biasmo 5o
Permanente degli uomini. Ma renne
La fatai per voi tutti ultima sera.
Tutti inverdirò del timoie , e gli occhi ,
Uno scampo a cercar , volsero intorno.
Solo , e in tal forma , Eurimacn rispose:
Quando il vero tu sii d’ Itaca Ulisse
Fra noi rinato, di niolt’opre ingiuste,
Che si nel tuo palagio , e si iie’ campi
Commesse furo , ti quereli a dritto.
Ma costui , che di tutto era cagione , 60
Eccolo in terra , Antinoo. Ei deli' ingiuste
Opre fu l’autor primo ; e non già lauto
Pel desiderio delle altere nozze ,
Quanto per quei del regno , a cui tendea ,
Insidiando Ìl tuo figliuolo: occulte
Macchine , che il Saturnio in man gli ruppe.
Poiché morto egli giace , alla tua gente
Perdona tu. Pubblica emenda farti
Noi promettiamo: promettiam con venti
Tauri ciascuno : e con oro , e con bronzo , 70
Quel vóto riempir, che ne’ tuoi beni
Gozzovigliando aprimmo ; in sin che il core
Digitized by Google
113
0 D I S
AUa letizia ti si schiuda , e sgombri
L'ira, onde a grau ragione arse da prima.
Bieco miroUo , e replicògii Ulisse:
Dove, Eurimaco, tutte ancor mi deste
I/ercdità vostre paterne , e multi
Beni stranieri vi poneste accanto ,
10 questa man uon riterrei dal sangue.
Che la vendetta mia piena non fosse. 8o
Or, qual dtMue vi piacerà, scegliete,
Combattere , o fuggir , se pur v'ha fuga
Per un solo di voi : ciò ch'io non credo.
Ciascun de'Proci il cor dentro mancarsi
S*‘i)tì, e piegarsi le ginocchia sotto.
Ed Eurimaco ad essi: Amici, indurilo
Sperate, che le braccia egli non muova.
L’arco una volta , ed il turcasso assuuti ,
Diafrenerà dal limitare i dardi ,
Finché tutti ci atterri. Alla battaglia 90
Dunque si pensi : distringiam le spade,
E , delle mense alle letali frecce
8cudo facendo a noi, piumbiamgli sopra
Tutti in un gruppo. Se da quella porta
Scacciarlo ne riesce , e la cittade
Scorrere , alzando al ciel subite voci,
Dal saettar si rimarrà per sempre.
Disse , e l’acuto di temprato rame
Brando a due tagli strinse , e su lui corse
Con terribili grida. In quella Ulisse , 100
Votato l’arco , al petto il colse . e il pronto
Kel fegato gl'inlisse acerbo strale.
Lasciò Eurimaco il brando, e dopo alquanti
Giri curvato su la mensa cadde ,
H i cibi riversarousi e la cop[>a.
!Ma ei battè sopra la terra il capo,
iNell’alma tapinandosi, cd il seggio ,
Che già premer solea , con ambo i piedi
Forte snringando , scusse : al fine uu'atra
Tutto il coverse sempiterna notte. 1 10
]VIa d'altra parte Anfìnomo avveotnssi
Col brando in man contra iVroe, se mai
Dalla soglia diavellerlo potesse.
11 prevenne Telemaco , e da tergo !
Tra le spalle il feri con la pungente
Lancia , che fuor gli riuscì dei petto.
QueU’infelice rimbombò caduto ,
E con tutta la fronte il suol percosse.
Ma il garzon soUraeasi , abUmdunando
La lancia entro d'Anhuomo : tornea , l3 i
Non alcun degli Achei, nienir’egli chino
Starìasi Tasta a scouticcare intento ,
Di furto il martellasse , o con la spada
Sopra mano il iensse alla scoperta.
Quindi ricovrò ratto , e in un baleno
Al curo padre fu vicino, e e lui,
Padre, disse , uno scudo , e lance due ,
£ un adatto alle tempie elmo lucente
Ti'recherò , m’ai mero io stesso , ed armi
A Filezio darò , datò ad Enméo. l5o
De’coiisigli il miglior sembrami questo.
Sì , corri I Ulisse gli rispose , e riedi ,
Finché restano a me dardi a difesa :
Ma riedi prestamente, onde gli Achei
Me. che son solo , non ismuovan quinci.
Ubbidì il Hglio, calla superna stanza ,
Dove Tarmi giaceano, andò di passo
Lanciato , e targhe quaiUu, cd otto lance
S E A
Prese, e quattro lucenti elmi di chioma
Equina folti , e in brevi istanti al caro 140
Geni tur si rendè. Qui del metallo
Munì egli primo la persona, e i serri
Tarimenti le belle anni vestirò ,
Ed all’accxirto eroe stettero intorno.
Questi , finché le frecce a lui bastato,
Togliea la mira , ed imbroccava ognora,
E cadeau Tun su l’altro i suoi uemici.
Ma poiché le infallibili saette
Gli fur venute meii l’arco ei deposc ,
£ Tappoggiò del ben fondato albergo iSo
.4.1 nitido parete. Indi le spalle
Si carco d'uno scudo a quattro doppit ,
L’elmo dedaleo con IVquina chioma
Piaiitossi in capo , e due possenti lance
N'*lla man si recò ; sovra la testa
Gii ondeggiava il cimier terribilmente.
Era in capo alla sala , e nel parete
Del ben fondato albergo una seconda
Di congiunte assi rinforzata porta,
Che in pubblico mettea non largo calle. 160
Di questa , p‘*r cui .sol s’apriva un passo ,
Ulisse volle il fido Ruiuco pt-r guardia.
Agelao v'ebbe l’occhio , e disse : Amici ,
Non ci sarà chi quella porta sforzi ,
£ sparga voce, e il popolo a romoro
Levi , perchè costui cessi dai colpi ?
Ciò , rispose Melaitzio , ad alcun patto
Non possiamo, Agelao di Giove alunno.
Le porte del cortil troppo vicine
Sono , ed angusta è quell'uscita, e un solo,
Cui non manchi valor, cento respinge.
Pur non temete, lo porterò a voi Tarmi
Dalla stanza superna , in cui riposte
Da Ulisse e dal iigliuol senz’altro luro.
Detto , andar su e giù per Taita scala ,
Entrar , pigliar duiiici targhe , e bmee
Tante, e lauti criniti elmi, ed il tutto
Mettere in man de’palpitanti Proci,
Fu di pochi momenti opra felice.
Turbar l'animo Ulisse e le ginocchia 180
Languir sentì , ratto che ai Proci vide
Prender gli elmi , e gli scudi , e le lunghe asta
Ir con la destra palleggiando *, e allora
L’arduo conobbi)» dell'assuuta impresa.
.Si converse al (igiiuol tosto , e Telemaco,
; Con dolenti gli disse alate voci ,
Certo il caprajo , o delle donne alcuna ,
Raccende contra noi quest'aspra guerra.
E Telemaco a lui , Padre , rispose ,
Io sol peccai, non altri , io, che la salda 190
Porta lasciai iiirzzo tra chiusa e aperta.
Ed un esplurrilur di me più astuto
vSi giovò iiitanto del mio fallo. Or vanne
fu , prode Euinéo , chiudi la porta , e sappi,
Se ciò vieti da uiTanceila . o dalla trista ,
Come parmi più ver , di Dolio prole.
Mentre tali correaii voci tra loro ,
Melaiizio per le belle armi di nuovo
Salse. AducchioUo Kuméo ; né a dir tardava
Così ad Uiis-^e , che lontan non gli era: 200
Laerziude diviii, quella rea peste,
Di cui noi sospeitiam , sale di nuovo.
Pdriami chiaro ; degg’io porlo a morte,
Se sopra ^ 0 qua coiidurlo ,
'.OOglc
LIBRO VENTE
r^rchè a te innanzi d’ogni suo delitto
Mt*ntamrnte il fio paghi una volta ?
E il Ulisse: A sostenere i Proci,
Come che ardenti , io coi mio figlio basto.
Filezio dunque , e tu , poichiV l’avrete
Entro la AtAiiza rovesciato a terra, aio
Ambo i piedi stringetegli , e le mani
•Sul tergo, chiusa dietro a voi la porta ;
£ lui d una insolubile catena
Cinto tirate sino all’alte travi
Lungo una gran colonna, acciocché il tutto
Sconti con morte dolorosa e lunga.
Pronti i fervi ubbidirò. Alla sublime *
Camera s’afVrcttar , da lui , che dt'ntro
/£ra , e cercava nel più interno l’arme,
'Afon visti e mm s**ntiti \ e si piantaro 220
Quinci e quindi alla porta. £1 per la soglia
Passava rat'o, in una man portando
Luminosa celata , ed un vetusto
A^ell’altra , e largo e arruginito sctido.
Che gli omeri gra\ò del buon I«aerte
Sul primo lìor dell’età sua : deposta
Poscia , e dimenticato , e da cui rotte
Le corregge pendevano. Veloci
L’assaltar , l’ahbrandìr, lo strascinerò
Lentro pel ciulFo , e l’atlerràr dolente : i5o
Indi ambo i piedi gli legaru , ed ambo
Sovra il tergo le man , qual di Laerte
Comandò il figlio ; e lui d’una catena
Insolubile cinto in sino alTalte
’fravi tirar lungo una gran colonna.
£ cosi allor tu il deridesti, Knméo :
Helanzio , or certo vegghierai la notte
Sul letto molle , come a te s’addico ,
Corcato i nè uscirà dalle correnti
LeirOceàn, che tu non la vagheggi ,
L’Aurora in trono d’or, quando le pingui
Capre alla mensa condurrai de’Proci.
Tal fu Melanzit» fra legami acerbi
Sospeso , c abb mdonato ; e quei con l’arme
Sceser, la porta risplendendc chiuda ;
£ presso al ricco di consigli Ulisse ,
Forza spiranti e ardire, il piè l'ermaro.
Così quattro guerrieri in su la soglia
Brano ; e nella sala un numeroso
PrappeUo, c non ignobile. Ma Palla, 25o
J.’nrjnipotcnte del Saturnio figlia,
Con la l'accia di JUeatore , e la voce,
Tra le due parti d'improvviso apparve.
Gioì a vederla il I.aerdale , e disse :
^fentore , nii seconda , e tì rammenta
Del tuo dolce compagno , onde a IrHÌarti
Non raro avesti , e a cui sei d’armi eguale.
Coaì l'eroe : ma non gli tace il core ,
Che la sua Diva in Mentore s’afconde.
Dall’altra parte la garrìano i Proci , 260
E primo il Damastoride Agelao
A minacciarla fu : Mentore, bada ,
Che a pugnare in suo prò cuiitra gli Achivi
Non ti seduca favellando Ulisse.
Però che quando per man nostra ucci.si
Giaceraii , come ho fede , il padre c il figlio ,
Morrai tu ancora , e il sangue tuo darai
Per CIÒ che oprar nella magione or pensi.
Che più ? Te latto cenere , co’b mi
D'Uiis>e in monte andià quant’or possiedi 270
OU1SSE4
S I M O S E C O N D O. ii5
Nel tuo palagio e fuor ; nè a figli , 0 a figlie
jtfenare i dì sotto il iiat'io lor tetto.
CÀmsentirem , nè alla tua casta donna
D’Itaca soggiornar nella cit'ade.
Vie più a’accende a cosi fatte voci
r/lru (lì Palla, ed in rimbrotti scoppia
Contra Ulisse lanciati : io nulla , Ulisse ,
Di quel fermo vigor, nulla più veggio
Di quel ardire in te, che allor mostrasti ,
Che innanzi a Troja per le bianche braccia 280
Della nata di Giove inclita K'éna
Combattesti un decennio. Entro il lor sangue
Molti stendesti de’nemici , e prima
S’ascrive a te, se la datl’ampie strade
Città di Priamo in cenere fu vòlta.
Ed or , che giunto alle ^laterne case
Ea tua donna dilcndi e 1 beni tuoi ,
Mollemente t’adopri? Orsù, vicino
Sfammi , ed osserva , quale il figlio d’Alcimo,
Mentore , fra una genie a te nemica 2<jo
De’b'*ncnclÌ tuoi mertv rende.
Tal favellava : ma perchè i’mnata
Virtù del padre e del figlìuol volca
Provare ancor , per alcun tempo incerta
La vittoria lasciò tra loro e 1 Proci.
Quindi, montando rnphla , su trave
Lucido ed alto , a rimirar la pugna ,
Di rondine in sembianza , ella a’assise.
Frattanto il Damastoride Agelao,
Aniimedoiite , Eurinomo, e il prudente 3oo
Polibo , e Jlernoplolcmo , e Pisandro ,
Di Polittore il figlio , alla coorte
Spirti aggiungean ,,come color , che i primi
Eraiidi forza tra 1 rimasti in piede,
K l’alma difemlean: gli altiì avea domi
L’arco famoso e le frequenti trecce.
Parlò a tutti Ageluo : Compagni , io penso
Che le imioniite nicin frenare mi tratto
Costui dovrà. Già Mentore disparvo
Dopo il bravar suo vano , e su la soglia 3io
Quattro sono , e non più. Voi non lanciato
Tutti, io ven prlego , unitamente: sei
Aste volino in jirirnaì e il vanto Giove
Di colpire in Ulis.se a noi conceda.
Caduto lui , nulla del resto io curo.
Set , com’egli bramava , aste volaro |
E tutte andar 1<* feo Pallade a vóto.
L’un de’pungenti frassini la porta
Percosse , un altro su la soglia cadde 5
Bri un terzo investì nella parete. 3lO
Scansati i colpi , di Laerte il figlio ,
X-tnici , disse , nello stuol de’Pr<»ri ,
Che , non contenti alle passate offese ,
ideila vita .spogliar voglioiici ancora ,
lo crederei che saettar si debba.
Ciascun la mira di rincontro tolse,
E trasse d’nna lancia. 11 divo Ulisse
Dciiioptoleiiio uccise , e scagliò morte
TeietiiHcu ad Euriade , a Eiato Euméo ,
Ed a Pisandro il biit)n I'il»*zìo : tutti 33o
Del pavimento morselo la polve.
Gii altri nel fondo della sala il piede
firaro indietro : Ulisse e i tre compagni
Corsero , sveUer dagli estinti Paste,
Allor laiiciaru nuovuinente i Ptoci
Di tutta forza , e tutti quasi i colpi
Digitized by Googic
Ili ODI
Nuoramfnte sviò Pallade amica.
I. a gran soglia , la porta e la parete
3.i ricevette, o li respinse : solo
AivTnnedonte tanto o ijiiaiito lese 5io
3^a destra di Telemaco md polso,
K appena ne graOIò la somma rute:
!•) la iung'asta di Ctesippo, a Kaméo
Lo scudo rasentando, e lievemente
Solcandogli la spalla, il suo tenore
Segui , e ricadde sovra il palco morta.
Ma non cosi dalPaltra parte spinte
Tur contra i Proci le pungenti travi.
Quella del distruttor de’niuri Ulisse
Fulminò Buridamante , Anlimedonte 35o
Per quella giacque del suo figlio : Euméo
Scontrò con la sua Polibo, e Filczio
Ctesippo col-e con la sua nel petto,
K su lui stette alteramente , e disse i
Politcrside , degli oltraggi amante ,
Cessa dal secondar la tua staltvzza ,
Con vana pompa favellando , e ai Numi
Cedi , che dì te son midio pm forti.
Questo è il dono ospitai dì quello in merto ,
Che al nostro re , clie mendicava , lesti. 56o
Alla zampa dei bue l'asta risptt^e.
Così d’ITlisse Parmentario illustre.
In questo mezzo dì Laerte il figlio
Conquise il Daniastoride da presso
Di profonda ferita ; e a Le<icriio
Telemaco piantò nel ventre il telo ,
Cile delle reni fuor gli ricomparve.
J. ’Rvenoi ide stramazzò boccone ,
.IC la terra battè con tutto il fronte.
Pallade allor . che rivestì la Diva , 370
Alto levò dalla .sofiìtta eccelsa
La funesta ai mortali Egida , e infuse
Ne'sufierstiti Proci immensa tema.
Snitavan qua là , come le agresti
Madri talvolta del cornuto armento,
.Se allo scaldarsi ed allungar de’giornì ,
Le punge il fiero assdlo, e le scompiglia.
Ma in quella guisa che avoUorr il rostro
Jtìcurvi , e Puiigliia , piombano , calando
Dalla montagna , su i minori angtdli , 58
Clic trepidi vurriaiio ir vèr le nubi ;
E quei su lor ripiombano , e ne fanno ,
Quando difesa non rimane , o scampo,
strazio e rapina del villano agli occhi ,
Che di tale spettacolo si ||)asce :
Non altrimenti Ulisse e 1 tre compagni
Sì scaglìavau su i Proci , e tale strage
Ne men&vaii , che fronte ornai non vVra ,
Clic non à’aprìsse sotto i gran fendenti;
E un gemer tetro alzavasi , e di nero 3^ 1
Sangue ondeggiava il pariinento tutto.
Leode le ginocchia a prender corse
D**l tiglniol di Laerte , e in supplice atto
fili drizzò tali accenti : Eccomi, Ulisse,
Alle ginocchia tue , che di t»* imploro
Gli sgnartli e la pietade. to tl?lb* donne
In fatto o in detto non uH'esi alcuna :
Anzi gli altri alle sozze opre rivolti
Di ritenere io fea. Non m'obbcdiro :
Ferò una morte subitana e acerba 4*'*'
Delle sozze opre lor in la merrede.
Ma io , io , clic indovin tra i Proci vissi ,
S S E A
Io, che nulla commisi unqua di male;
Qui spento giacerò degli altri al paro ?
È questo il pregia , che a virtù si serba ?
E Ulisse , torvi in lui gli occhi fissando :
Poiché tra i Proci indovinar ti piacque ;
Snesso chiedesti nel palagio ai Numi ,
Che del ritorno il dì non mi splendesse ;
Che te segui:sse, e procreasse figli 410
I.a mia consorte a te : quindi e tu al grave
Sonno perpetuo chiuderai le ciglia.
Così dicendo , con la man gagliarda
Dal suol raccolse la taglienre spada ,
Che Agelao su la morte avea perduta ;
E di percossa tal diede al profeta
Pel collo , che di lui , che ancor parlava ,
ilotoló nella polvere la testa.
Ma di Terpio il figliuol , ^Ìnclito Femio ,
Che tra i Proci sciogliea per forza il canto, 420
Morte schivò. Della seconda porla
Con la sonante m man cetra d'argento
Vicino crasi fatto , e io due pensieri
Dividea la sua mente : o fuori uscito
Sedersi alPara del gran Giove Ercéo ,
Dove Laerte e il suo diletto figlio
Molte s*dean bruciar cosce taurine ;
O ad Ulisse prostrarsi , e le gìnoccliia
Stringergli , c supplicarlo ; e delle due
Questa gii parve la miglior sentenza. 4^®
Prima tra una capace urna , e un distinto
D’argentei chiovi travagliato seggio
Depose a terra l'incavata cetra :
Poi vèr l'eroe si mosse , e le ginocchia
Sfringeagli , e gli dicea con voci alate :
Ulisse , ascolta queste mie preghiere ,
K di Femio pietà l'alma ti punga.
Doglia tu stesso indi ne avrai , se uccidi
Uom che agli uomini cauta , ed agli Dei.
Dotto io 50U da me sedo , e non già l'arte, 44®
Ma un Di<» mi seminò canti infiniti
Wll'intelletto. Gioirai , qual Nume ,
D Ila mia voce al suono. £ tu la mano
Insanguinar ti vuoi nel corpo mio?
Xe domanda Telemaco , il tuo dolce
Figlio , ed pì ti dirà , die nè vaghezza
Di plauso mai , nè sc.arsità di vitto ,
fra i Proci alteri a musicar m’indusse.
Ma co' molti , co' giovani, co* forti ,
Uom che potea debile , vecchio e solo ? 4.S0
Tal favellava , c la sacrata possa
Dì Telemaco udillo , e ratto al padre ,
Ohe non gii era luntan , T’arresta , disse ,
F di questo innocente i dì rispetta.
Medonte ancor , che de’ miei giorni primi
Cura prendea , noi serberemo in vita :
Sol cli’ei non sia per man d’nn de’ pastori
Caduto , o in te dato non abbia , mentre
Ter la sala menavi in furia i colpi.
L’udì Medonte , il banditor solerte ,
Ohe sdraiato giacca sotto un sedile,
E , l'atro fato declinando, s’era
D’una fresca di bue pelle coverto.
Surse da sotto il seggio , e il bovìn riiojo
Svestissi , e andò a Telemaco , e , gittate
V'stioi ginocchi ambe le braccia , Caro ,
Gridava , eccomi qua : salvami , e al p.«dre
Di’ , che irato co* Proci , onde scemati
Digitized by Googic
1 1.)
LIBRO VENTE
Gli erano ì beni , e vilipeso il figlio , 470
Aon b^iiianpri in me ancora , e noti m’uccidu.
Sorrise Ulisse ^ e a lui , Sla di buon core.
Già di rischio Telemaco ti trasse,
K in salvo pose , acciocché sappi , e il narri p
(^Inatito più dei iar male il ben far torna.
Tu , araldo, intanto , e tu , vate immortale,
Fuor del palagio e della strage usciti,
Sedete nei cortil , fiiichMo di dentro
Tutta l'impresa mia conduco a riva.
Tacijuci ed uscirò, e appo Taltar del sommo
(»tove srdeaii , guardandosi all'intorno , 480
<^)ual se ad ogni momento, e in- ogni loco ,
Ùovessc ior sopravvenir la Parca.
Lo sguardo allora per la ca>a in giro
L’eroe mandò, se mai dc'Proct alcuno
Fuggito avesse «Iella morte il lato.
Aon rimanea di tanti un che nel sangue
Steso non fosse, e nella polve. Come
Gli abitatori del canuto mare ,
Che il pescator con rete a molti vani .
Su dali'ouda tiro nel curvo lido, 4^0
Giacr ioii , bramando le native spume ,
]*er l'arena odiata , e loro il Sole
Con gl'iuBainniati rai le anime tura :
Co&ì giaceaii l'un presso l’altro i Proci.
Subitamente Ulisse in questa torma
Si converse a Telemaco : Telemaco,
J.a nutrice Euricléa , su via , mi chiama ,
Ciò per udir ; che a me di dirle è in grado.
Ubbidì egli , e incaminossi , e , dato
ITurto alla porta, O d’anni carca , disse, 600
Sorgi , Euricléa , che nella nostra c.a.sa
Vegli sovra le ancelle. Il padre imo,
Che desia favellarti , a se ti vuole.
Aon seti portava le parole il vento.
Apiì Euricléa le porte , e in via con lui ,
Che precedeala , entrò veloce , e brutto
l)ì polve tra i cadaveri , e di sangue
Ulisse riirovò. Qual par leone.
Che vien da divorar nel campo un toro,
E il vasto petto , e l’una guancia e l'altra 610
Ae riporta cruenta , e dalle giglia
Spira terror : tale insozzati Ulisse
Jlìostrava i piedi , e delle mani i dossi.
Quella , come i cadaveri ed il mollo
Sangue mirò, volle gridar di ginja
A spettacolo tal : ma ei frenolla ,
jlenchè anelante , e con parole alate.
Godi dentro dì te , disse , ma in voci ,
Vecchia , non dar di giubbilo ; che vampo
Menar non lice sovra gente uccisa. 620
Questi domò il destino , e morte a loro
Le stesse lor malvagi tadi furo :
Quando non rispettaro alcun giammai ,
Buon fosse, o reo, che in Itaca giungesse*
Uuncjue a dritto perirò. Or tu nutrice,
Ui'delle donne a me, quai nel palagio
Son macchiate di culpa, e quali intatte.
K la diletta a lui vecchia Euricléa :
Figliuol , da me tu non avrai che il vero.
Cinquanta chiude il tuo palagio, a cui 53o
Le lane pettinar , tesser le tele ,
K sostener con animo tranquillo
La servitute, io stessa un giorno appresi.
Dodici tra costor tutta spogliare
S 1 M O S E C O A D O.
I. a verecondia, e , non < he me , la stesfa
Uispiegiaro Penelopi*. Non eri
Troppo innau^i venuti» aiicoi negli anni
Il figlio tuo , nè su le donne alciiiiu
Gli couseiilia la saggia madre ini|)ero.
Ma che fo io, rlie alle lucenti stanze 640
Non salgo di Penelope,, che giace
Da un Dio sepolta in un proloudo .sonno?
Aon la di*siare ancor, rispose Ulisse:
Bensì alle donne, il cui peccar t’è noto ,
Che a me si rappiesentiuo , dirai.
La balia senza indugio a invitar mosse
Le peccatrici , e ad esortarle tutte ,
Che si rapprvsentas.sero alTeroe.
E intanto egli , Telemaco a se avuto ,
E il custode de’verri , e quel de’loi i , 65 j
Tai paiole lor feo : Le morte saline
Più non si tardi a trasportare altrove ,
E delTiniide ancelle opra sia questa.
Poi con l'acqua, c le spugne a molte bocche
J bei sedili tergeransi e i deschi.
Tutta rimessa la magione in punto,
J. e ancelle ne trarrete , e poste in mezzo
Tra la picciola torre, ed il superbo
Kecinlo del cortil , Unto cohunghi
Le Cercherete feritori brandi , òGo
Che si tlìsciolgu dai lor empi l'alma ,
E dalle menti lor fugga l’iiiimomla
Venere , onde s'unìaii di furto ai Proci.
Ciò detto appena , ecco venire a un corpo
Le grame, sollevando alti lamenti ,
K lina pi«>ggin <1> lagrime versando.
Pria trasportar gTinaiiiniati corpi.
Che del cortile, aitandosi a vicenda ,
Sotto alla loggia collocaro. Instava
Co’suoi comandi Ulisse ^ e quelle il tristo 5;o
IVIinisturo compiean , beiichc a ma! cuore.
Poi con l’ac(|ua , e le spugne a molle bocche,
I bei sedili si tergeano e 1 deschi.
Ma Telemaco , e seco i due pastori
Con rigide scorrean pungenti .s«'ope
Sul pavimento del ben fatto albergo ^
E la bruttura ruccogliean le aflliUe
Donne, e fuoiì recavarila. Aè prima
Rimesso fu la niagioii tutta in punto ,
Che fra la torre eil il recinto poste 58o
Le malvage si videro , e in tal guisa
Serrate là , che del fuggir nulla era.
E Telemaco : lo , im, con morte onesta
Aon tori ò l'alma da coleste donne ,
Che a me sui cupo, ed alla madre , .schernì
Versaro j e che s'unìan d’ainor co’Proci.
Disse ; e di nave alla cerulea prora
Canape , che partìa da un gran pilastro ,
Gittò alla torre a tale altezza intorno ,
I Che le ancelle, per cui gittarlo piacque, 5i)o
Aon potesser del piè toccar la terra.
B come incontra , che o colombe , o tordo ,
Che il verde chiuso d’una selva entraro,
Van con ali spiegate a dar di petto
Nelle pendole reti , uv«? ciascuna
Trova un letto forai : tali a mirarle
Eran le donne con le teste in fila,
E con avvinto ad ogni colli» un laccio ,
Di morte infelicissima strumento.
Cuizzau co'piedi alquanto, e più non sono 6
Digilizod by Cooglc
ODISSEA
ai6
Telemaco indi , e i due pastori seco »
Nella corte per l'atrio il mal capraju
Conduceaii : recidean^li orecchie e nari,
£ i genitali , da buUarai crudi
Ai can voraci , gli svellt-ano , e i piedi
>loz2avangli , e le man ^ tanta i'u l’ira.
Punito al line ogni mistatto, e mani
Con pura onda di tonte , e piè lavati ,
llitorno ter nella magione a Ulisse.
Questi allor tai parole alla diletta 610
Nutrice rivolgea : rortami , o vecchia ,
]1 ^oltu salutitero ed il Cuoco ,
Perchè l^ulbergo vaporare io possa.
E Penelope a me con le tVdeli
Sue donne venga } e tu l'altre per casa
Femmine tutte a qua venir conl'orta.
£d ella : Figlio mio , quanto dicesti ,
lo lodo assai. Ma non vuoi tu , che prima
Manto a coprirti , e tunica , io ti rechi ?
Indegno fora con tal cenci indosso Già
Nel tuo palagio rimaner più a lungo.
Prima il zolfo ed il fuoco , ad Kuricléa
Rispose il pien d’accorgimenti eroe.
La nutrice, ubbidendo, il sacro zolfo
Portógli, e il fuoco, prestamente*, e Ulisse
La sala , ed il vestibolo , e il cortile
Più volte vaporò. Salì frattanto
Colei le ancelle a confortar , che franche
Vedere ornai si Ressero. Le ancelle
Delle camere uscirò, in man tenendo 63o
Lucide faci : poscia intorno a lui
Si spargeano , e abbracciavanlo , ed il capo
Baciavangii , stringendolo , e le spalle ,
£ PalFerravan nelle mani. Ulisse
Tutte le riconobbe ad una ad una
Nel consapevoi petto , e un dolce il presa
Di sospiri e di lagrime desio.
LIBRO V E jN T E S I M 0 T E R Z 0
ARGOMENTO
Euridra corre a destar Pcncli>pe , c a farle sapere die URmc è giuiitu , cil Iia uccisi i Proci. Peoelupe Imita
la vi-cchta da folle, e attribuisce la uccisione de’Pr«Jci a uu Dìo, parendole, che un uomo non potesse gmaj^cre
a tanto. Tutl.'tvia s<^«ndc , ma tiensi lontana da UUssc cui uoo r.ivvisa. Sdegno di Telemaco amtra la luadro ,
che si giuslifìca. Ulisse cuiuanda una festa d.a ballo , |)crdtè i vicini credano che la regina sia pssata a novelle
sozae , c resti occulta, frattanto la morte de'Prod. Poi, entrato od bigio, e rcstituìhigli da Minerva rantica
sembianza , si presenta di nuovo a Penelope, die mm vuol riconoscerlo ancora. Finalmente, uditolo ella parlare
del cunjugalc lur letto, di cui altri non potea aver contezza, dc|Nme lutti isuoidubhiì, e alla gi«>ja abluadonasi,
ed aU'aiiiore. Minerva prolunga la notte. Ragionamenti di Pencit^K; e Ulisse. SiirU l'Aurora , <^iì levasi c va
col figlio e co'due [ustori a trovar Laerte, [ussundo [«1 la città iu una nube, di cui gli avvolse, per occultarli,
la Dea.
XjA buona vecchia gongolando ascese
Nelle stanze superne , alla padrona
Ter nunziar , ch’era Ì1 marito in casa.
Non le tremavan più gì’invigoriti
Ginocchi sotto [ ed ella a salti giva.
Quindi le stette sovra il capo, e, Sorgi »
3^isse , Penelopéa , figlia diletta ,
Se il desìo rimirar de’gìorni tutti
Vuoi co’proprii occhi. Ulisse venne , Ulisse
Nel suo palagio entrò dopo anni tanti , 10
£ I Proci teinerarii , onde turbata
La ca.sa t’era , consumati ì beni ,
Molestato il figliuol ; ruppe e disperse.
E Penelo[>e a lei i Cara nutrice,
Gl’Jddii , die fanno , come lor talenta ,
Del folle un saggio, e dei più saggio un folle,
J.a ragion tì travolsero. Guastaro
Cutesta mente; che fu sempre intégra.
Senza dubbio glTddiì. Perchè ti prendi
Gioco di me , cui sì gran doglia preme, 20
Favole raccontandomi, e mi scuoti
J)a un sonno dolce, che abbracciate e strette
Le mie tenea care palpebre? Io mai,
Dacché Ulisse, levò nel mar le vele
Per la malvagia innorninanda Truja ,
Così , no , non dormii. Su via , discendi ,
Dalia , e ritorna, onde movesti , e sappi,
Che se tali novelle altra mi fosse
Delle mie donne ad arrecar venuta ,
E me dal sonno scossa, io rimandata 5o
Tostamente Pavrei con modi acerbi :
Ma giovi a le , che quel tuo crin sia bianco.
Diletta figlia , ripigliò la vecchia ,
Io per te gioco non mi prendo. Ulisse
Capitò veramente , ed il suo tetto
Rivide al fin ; quel forestier da tutti
Svillaneggiato nella .sala è Ulisse,
Telemaco il sapea : ma scoriamente
I paterni consigli in se celava ,
Delle vendette a preparar lo scoppio. 40
Giubbilò allor Penelope , e , di letto
Sbalzata , al seno s’accosto la vecchia ,
La.sciando ir giù le lagrime dagli occhi ,
E con parole alate, Ah ! non volermi,
Balia cara, deludere , rispose.
S’ci, come narri , in sua magione alberga,
Di qual guisa ]K>lè solo agli audaci
Drudi , che in folla rimarieanvi sempre ,
Le ultrìci far sentir mani omicide?
Io noi vidi , nè il so , colei riprese : 5 j
Solo il gemer di (|uei , ch’eran trafitti ,
L’orecchio mi feria. Noi delle belle
Stanze, onde aprir non potevam le porte ,
Nel tondo sedevam turbate il core;
Ed ecco a me Telemaco mandato
Dal geiiitor , che mi volea. Trovai
Digitized by Coogle
LIBRO VE N TE S IMOSECONDO.
Ulisse in piè tra i debellati Eroci
Che gìacean Euii su Taltro , il pavimento
Tutto ingombrando. Olt come ratto in gioja
La tua lunga tristezza avresti volto, 6o
Se (li polve e di sangue asperso e brutto ^
Qual feroce leon , visto l'avessi!
Or del palagio fuor tutti in un monte
Stannosi j ed ci con solforati fuochi ,
Li , che a te m'invi(i nutizia fedele ,
nobile niagion pur^a e risana.
Seguimi adurupie ; c uopo tanti mali
Ambo schiudete alla letizia il coro.
Già (luestu lungo desiderio antico »
Clic (listruggcati , cessa : Lli-^sse vivo 70
Venne al suo locolare , e nel palagio
Trovò la sposa e il figlio , e di coloro.
Che gli noceano , vendicossi a pieno.
Tanto non esultar, non trionfare,
Nutrire mia , Penelope soggiunse,
Perchè t'è noto , (]uaiitu caro a tutti ,
E sovra tutti a me caro, e al cresciuto
Suo figlio , c mio , capiterebbe Ulisse.
Ma tu il ver non |Utrla.>tÌ. Un Nume , un Nume
Pu , che dcll'opre ingiuste , e de’superbi So
Scherni indrguato , mandò all'Orco i Proci ,
Che dispregiavan sempre ogni novello
Siranier, buon fosse , o reo : quindi perirò.
Ma Ulisse lungi dall'.4raica terra
Il ritorno pcnlè , |>erdè la vita.
Dell quale , o figlia, ti sfuggì parola
Italia chiostra de denti ? a lei la vecchia*
11 ritorno perdè , perde la vila ,
)Uentre in dua casa , e al focolar suo sacro
Dimora? Il veggio: chiuderai nel petto 90
Un incredulo cor, finché vivrai.
Se non che un segno maniiesto in prova
Ti recherò: la cic4ilrice on»sta
Della piaga , die in lui di guerreggiato
Cinghiai fercKe il bianco dente impresse.
Quello , i piedi lavandogli , io conobbi ,
Pi volea palesartela ; ma egli ,
Con le mani ailèrrandomi ella bocca,
D'accortezza maestro, il mi vietava.
Seguimi , io dico. Picco me smessa io metto 100
Nelle lue forze : s’io t'avrò delusa ,
La morte più crudel fammi morire.
E di nuovo Penelope; Nutrice,
Chi le vie degli Dei conoscer puote? I
Kè tu col guardo a penetrarle basti.
Ogni modo a Telcmeico .si vada ,
E la morte dc’Proci , e il nostro Ìo vegga
Liberatore, un uomo ei siasi , o un xXiime.
Detto così, dalla superna stanza.
Scese con mente in due pcn.sier divisa : 1 10
Se di lontano a interrogar l’amato
Consorte avesse , o ad appressarlo in vece ,
E nelle man baciarlo e nella testa.
Varcata , entrando, la marmorea soglia,
Da quella parte, e contra lui s’assise ,
Dinanzi al fuco , che su lei raggiava ;
Ed ei, poggiato a una colonna lunga ,
Sedea con gli occhi a terra , e le parole
Semnre attendea della preclara donna ,
Poicnc giunti su lui n'eraii gli sguardi. Ilo
Tacita stette , e attonita gran tempo ;
11 riguardava con immote ciglia ,
H in quel che ravvisarlo ella credea ,
Traeanla fuor della notizia antica
Gli aliiii vili , onde scorgealo avvolto.
\'on si tenne Telemaco , che lei
Corte non rampognasse : O madre mia ,
iUadre inlelice, e barbara consorte,
Pcrcliè così dal genitor lontana ?
Che non siedi appo lui? che non glijxarli? i5o
A'uli'ahra fura così Iredda e schiva
Con marito alla patria , ed a lei giunto
•)opo guai molti nel ventesim'aimo.
'Ila unn pietra per cuore a tc sta in petto.
1^ a rinruntro Penelope : So.^pesa ,
Piglio , di stupor sono , ed un sol detto
Pormar non valgo , una dimanda sola ,
E Ite , (Uiant'io vorrei , mirarlo in faccia,
tìla s’cgli è Ulisse , c la sua casa il tiene ,
Nulla più reota che il mio stato inforsi. 140
Però die seguì v’Jian dal nuziale
Ricetto nostro im|ìenetrabil tratti ,
Cli'csser noti sappiamo a noi due solo.
iioi riso il saggio e paziente Ulisse ,
E converso a Tdemneo , La madre
La.scia , diceugli , a suo piacer tentarmi :
Svanirà , figlio , ogni suo dubbio in breve.
! ÌVrchò in vesti mi vede umili e abbiette ,
Sjiregiijini , e penetrar non san jkt queste
Sino ad l;lisse i timidi suoi sguardi. iSo
^^oì ((uel partito consultiamo intanto ,
Che ablirucciar .«ara mc'glìo. Uum , che di vita
S|jogliò tilt uum solo, e oscuro , e di cui poclii
Sono i vendirator , pur fugge , e il dolce
Nido abbandona , ed i congiunti cari.
Or noi della città tolto il sostegno ,
K il (ioi drllTtaccsc giovemude
.Vfietuto abbiamo. Oual è il tuo consiglio ?
E il prudente Telemaco , A te spetta ,
Diletto padre , il co)i'iigliar , rispose : 160
\ te, con cui non v'iia chi (l’acc'irtezza
Contendere osi. Io seguirotti pronto
In ogni tuo disegno , e men , cicil’io.
Le forze mi verian pria, che il cor-nggio.
Questo a me scambia , ripigliava Uhsse.
bagnatevi , abbigliatevi , e novelle
Prenda ogni donna , e piu leggiadre ve.stL
Poi con l’arguta edera il divino
‘Quntore inviti a una gioconda danza ,
.Vcciò chi di fuori ode, o ^>assa , o alberga 170
Vicln , le nozze celebrarsi creda.
Così pria non andrà per la cittade
'>el)a strage de'Pruci il sanguinoso
Grido , che noi non siam nelPombreggìata
Campagna nostra giunti, in cui vedremo
Ciò che inspirarci degnerà POlimpio.
Scollato , ed ubbidito ei fu ad un'ora.
Si bagnar, s'abbigliar, vesti novelle
l^rese ugni donna , e più fregiata ap[>ar?e.
Femio la cetra nelle man recossi , 180
E del canto soave , e dell'egregia
Danza il desìo svegliò. Titfa sonava
Quella vasta magìun del calpestìo
Degli uomini tresconti , e delle donne.
Cui bella fascia circondava i fianchi.
E tal , che udìa di fuor , tra sè dieca :
\lcun per fermo la coianto ambita
Regina ottenne. Trista ! che g]i eccelsi
Dìgìtized by
ODISSEA
118
Tetti di quel, cui vergine congiunta
S’era , nou custodi , fiuch'eì venisse. 190
Così parlava ; e di profonda notte
Lo strano caso rìinanea tra l’oinbre.
In questo mezzo Kurinome cosperse
Di lucid’onda il generoso Ulisse ,
E del biondo licor l’unse , ed il cinse
Di tunica e di clamide: ma il capo
D’alta beltade grilliistrò Minerva.
Ei da'lavacri uscì pari ad un Nume ,
E di nuovo s’ assise , ond’era sorto ,
Alla sua moglie di rincontro, e disse: soo
Mirabile , a te più , che alTaltre donnei
Gli abitatori deirOlimpie case
Un cuore iinp metrabile formaro.
Quale altra accjgUerìa con tanto gelo
L'iiom suo, che dopo venti anni di duolo
Alla sua patria ritornasse , e a lei ?
Su via, autrice , per me stendi un ietto ,
Djv'ìo mi corchi , e mi riposi anch'io:
Quando di costei l’alma è tutta ferro.
Mirabil , rispondea la saggia donna , 3iu
Io nè orgoglio <li me , nè di te nutro
N-^1 cor disprezzo, nè stupor soverchio
M’ingombra, ma guardigna i Dei mi fèro.
Ben mi ricorda , quale allor ti vidi ,
Che dalle spiagge d’itaca naviglio
Ti allontanò di remi lunghi armato.
Orche badi, Euricléa, che non gli stendi
Fuor della stanza maritale il denso
I.etto , ch’ei di sua mano un dì construsse ,
E pelli , e manti . e sontuose coltri 220
Su uon vi getti ? Ella così dicea,
Far volendo di lui l’ultima prova.
Crucciato ei replicò * D juna , parola
T’uscì da’labbri fieramente amara.
Chi altrove il letto collocommi? Dura
Al più saputo tornerìa l’impresa.
Solo un Nume potrebbe agevolmente
Scollocario : ma vivo uomo nessuno ,
Benché degli anni in sul fiorir, di loco
Mutar potrìa senza i maggiori sforzi i3o
Letto così ingegnoso , oiul’ìo già fui ,
Né compagni ebbi all’opra , il dotto fabbro.
Bella d’olivo rigogliosa pianta
Sorgea nel mio cortile i rami larga ,
B grossa molto , di colonna in guisa,
lo di commesse pietre ad essa intorno
Mi architet tai la maritale stanza ,
£ d’un bel tetto la coversi , e salde
Forte v’imposi , e fermamente aitate.
Poi vedovata del suo crin l’oliva , 34*>
Alquanto su dalla radice il tronco
Ne tagliai netto, e con le pialle sopra
Vi andai leggiadramente , e v'adoprai
La iniallibile squadra , e il succhio acuto.
Così il sostegno mi fec’io del letto j
£ il letto a molta cura io rìpolìi ,
L’intarsiai d’oro, d’avorio e argento
Con arte varia , e di taurine pelli ,
Tinte in lucida porpora , il rieinsì.
a me riman , qual fabbricailo, intanto, 25o
O alcun, succiso dell’oliva il fondo,
Portollo in altra parte , io , donna , ignoro.
Questo fu il colpo che i suoi dubbii tulli
Vincitore abbattè. Pallida , fredda , •
Mancò , perdè gli spiriti , e disvenne.
Poscia corse ver lui dirittamente ,
Disciogliendosi in lagrime ed al collo
Ambe le braccia gli gittava intorno,
E baciavagli il capo , e gli dicea :
Ah ! tu con me non t’adirare , Ulisse , 2C0
Che ili ogni evento ti mostrasti sempre
Degli uomini il più saggio. Alla sventura
Condannavanci i Numi, a cui non piacque ,
Che de' verdi godesse anni fioriti
L’uuo appo l’altro, e quindi a poco a poco
L’un vedesse imbiancar dell’altro il crine.
Ma , se il mirarti , e l’abbracciarti, un punto
Per me non fu , tu non montarne in ira.
Sempre nel caro petto il cor tremavami ,
Non venisse a ingannarmi altri con fole: 270
Che astuzie ree covansi a molti in seno.
Nè la nata di Giove Elena Argiva
D'amor sarìasi e sonno a uno straniero
Congiunta mai , dove previsto avesse
Che degli Achei la bellicosa prole
Nuovamente l’avrebbe alla diletta
Sua casa in Argo ricondotta un giorno.
Un Dio la spinse a una indegna opra , ed ella
Pria, che di dentro ne sentisse il danno,
Non conobbe il velen , voleri , da cui 280
Tanto cordoglio a tutti noi discorse.
Ma tu mi desti della tua venuta
Certissimo segnale: il nostro letto,
Che nessun vide mai , salvo noi due,
£ Attorride la fante a me già data
Dal padre mio , qiiatid’io qua venni , e a cui
DeU’incoocussa nuziale stanza
Le p irte in guardia son, tu quello adatto
Mi descrivesti j e al Hn pieghi il mio coro ,
Ch’esser potrìa , noi vo’uegar , più molle. 290
A questi detti s’eccitò in Ulisse
De&ìo maggior di lagrime. Piagiiea ,
Sì valorosa donna e sì diletta
Stringendo al petto. E il cor di lei qual'era ?
Come ai naufraghi appar grata la terra,
Se Nettun fracassò nobile nave ,
Che i vasti flutti combatteanu , e i venti ,
Tanto che pochi dal canuto mare
Scampar notando a terra , c con le membra
Di schiuma e sai tutte incrostate, e lieti 3uo
Su la terra montar , vinto il periglio :
C')sì gioia Penelope , il consorte
Mirando attenta, nè staccar sapea
Le braccia d’alabastro a lui dal collo.
E già risorta lagrimosì il ciglio
Visti gli avi'ìa la ditiro^ea Aurora ,
Se l’occhio azzurro di Minerva un pronto
Non trovava compenso. Egli la Notte
Nel fin ritenne della sua carriera ;
Ed entro all’Oceàn fermò l’Aurora, 3io
Giunger non consentendole i veloci
Dell’alma luce portator destrieri ,
Lampo e Fetonte, ond ò guidata ia cìelo
La figlia del mattin su trono d’tiro.
Ulisse allor queste parole volse
Non liete alla sua donna : O donna , giunto
Nen creder già de’miei travagli il fine.
Opra grande rimane , immensa : e cui
Fornir , benché a fatica , io tutta rleggio.
Tanto im disse di Tircsia l’Ombra
Digitized by Gougic
LIBRO vente:
Il (lì , ch’io, per saver del mio rit(jrno ,
E di quel dc’comnagni , al losco albergo
Scesi di Dite. Or basta. Il nostro letto
Ci chiama , e il sonno , di cui tutta in noi
Entrerà rineffabile dolcezza.
E Venelope a lui così rispose :
Quello a te sempre apparecch.alo giace,
Eoichc di ritornar tl dicro i Kumi.
iVIa tu quest’opra , di cui (jualche Lio
Risvegliò iute la rimembranza .dimmi. 33o
Tu non vorrai da me . penso, celarla
Voscia , c il tosto saperla a me par meglio.
Sventurata , perchè , l’altro riprese,
Tai nel tuo petto , e sì fervente brama ?
Trulla io t’8.‘'Condeiò ; benché goderne
Certo più , che il mio core, il tuo non depgia.
L’ombra ir m’imposse a cilià molte, un remo
Ben fabbricato nelle man tenendo ,
^'è prima il piè lermar , che ad una nuova
Gente lo non sia, che non conosce limare, 340
Rè cosperse dì sai vivande gusta,
Rè delle navi dalle russe guance,
O de’remi , che sono ale alle navi ,
Notizia vanta. E mi die un segno il vate.
Quel di , che un altro pellegrino, a cui
'abbatterò per via , me un ventilabro
Tortar diià su la gagliarda spalla ,
Alloro , inlitto nella terra il remo ,
E vittime perfette a re Nettuno
Svenate , un toro , un’ariete , un verro , 35o
Riedere io debbo alle paterne case,
K per ordine offrir sacre ecatombi
Agli Lei tutti che in Olimpo han seggio.
Quindi a me fuor del mare , e mollciuente
Consunto al fin da una lenta vecchiezza ,
JVlorte sopravverrà placida e dolce ,
E beale vivran le genti intorno.
Ecco il deslin che il tuo consorte aspetta.
Ed ella ripigliò: So una vecchiezza
Migliore i Lei proroetlontì , che tutta 56o
L’altra ctade non fu, t'allegra dunque,
O d’ogni angoscia viiicilor lelire.
Eurinome frattanto, ed Euricléa
Li molli coltri , e di tappeti il casto
Letto adornavan delle laci al lume.
Ciò in brev’ora compiuto, a’suoi riposi
Euricléa si ritrasse, ed Eurinómo
Inver la starza maritale Ulisse
Precedeva , e Penelope , tenendo
Fiaccola in man: poi rilirossi anch’ella ; 370
E con pari vaghezza i due consorii
Lei prisco letto rinnovato i patti.
Telemaco non meno , ed i pastori ,
Fatti i Jor piè cessar dalla gioconda
Lanza , e quei delle donne , al sonno in preda
S'abbaudonaro nell’oscura sala.
Ma Penelope e Ulisse un sovrumano
Le’inului lor ragionamenti varii,
Che la notte coprìa , prendean diletto.
Pilla narrava , quanto a lei di doglia 33o
Liè la vista de’Proci , ed il trambusto
In ch’era la mngion , mentre , velando
La loro audacia dell’amor col manto ,
Sempre a terra stendean pecora o bue,
y. dai capaci dogli il delicato
Vino attigneano. L’altra parte Ulisse
I M O S E C O N L O. nq
Que’mali , che in sè stesso, o a gente avversa,
Soflerli avea pellegrinando , u iidlilti ,
Le raccontava : un non so che di dolce
L’anima ricercavate , ed a lei 3^o
Finch’ei per tutte andò le sue vicende,
Non abbassava le palpebre il sonno.
Tolse a dir , come i Ciconi da prima
Vinse, e poi de’Lolofagi alla pingue
Terra sen venne j e rammentò gli eccessi
Lei barbaro Ciclo|>e , e la sagace
Vendetta fatta di color tra i suoi,
Ch’ei meiteasi a vorar senza pietade.
Come ad Eolo approdò da cui gentile
Accoglienza e licenza ebbe del pari ; 400
Ma non ancor gli coiicedeauo i futi
La contrada natia , donde rapillo
Subitana procella , e sospirante
Molto , e gemente , il ricacciò Dell’alto.
Quindi ramaro descriviate arrivo
Alla funesta dalle larghe porte
Cittade de’Lestrigoni , e gli ancìsi
Compagni tanti, e 1 fracassati legni ,
Fuor che uno , sovra cui salvossi appena.
Gli scaltrimenti descrivradi Circe, 410
K il viaggio impensato in salda nave,
Per coii&iiltar (lei Tebaii vate l’alma ,
Alla casa inamabile di Fiuto,
Love s’olTriro a lui gli antichi amici ,
Ombre guerriere > ed Aniicléa , che in luce
Fuselo, e intese alla sua jiifanzia cara.
Aggiunse le Sirene , innanzi a cui
Passare ardì con disarmati orecchi ;
K gl’mslabili scogli , e la tremenda
Cariddi e Scilla . cui non vider mai 4^^
I più destri nocchieri impunemente.
Nè l’estinto tacca del Sole armento,
E la vermiglia fulgore di G>ove
Altitonante , che percosse il legno,
£ i compagni sperdè. Campò egli a terra
Solo , e allerrò aU’Ogigia isola ; ed ivi
Calipso, che bruinava essergli sposa ,
II riieiica nelle sue cave grotte,
I/adagiava di tutto, e giorni eterni
Senza canizie proroelteugli : pure 43o
Nel seno il cor mai non piegogit. Al fine
Lupo inlinitì guai giunse ai Feaci ,
Che al par d'ua Nume Ponoraro , e in nave
Li rame ratea , e d’uro , e di vestiti ,
AU’aer dolce de’natìi suoi monti
Uimandàrlo. Quest’ultima parola
Lelle labbra gli uscìa , quando soave
Scioglitor delle membra , e d’ogni cura
Lisgombrator , sovra luì cadde il sonno.
Ma in questo mezzo la Pupilleazzuiia
Li Laerte il figliiiot non obblìava.
Come le parve ch’ei goduto avesse
Di notturna quiete appo la fida
Moglie abbastanza , incontanente mosse ,
E a levarsi eccitò dall’Oceàno
àSul trono d’òr la ditirosea Aurora ,
Perchè la terra illuminasse, e il cielo.
Surse allora l’eroe dal molle letto ,
E questi accenti alla consorte volse :
Consorte , sino al fondo ambi la coppa
Bevemmo del dolor \ tu , che piagnevi
il mul lilorao disastioso , ed 10 ,
Digitized by Coogic
O n I S S E A
110
Cui Giove f e gli altri }')eì « dalla bramata
Vatria volean ira mille alfànni in bando.
Or , che agli Eterni riunirci piacerne ,
Cura tu prenderai di quanto in ca^ia
Beatami ; ed io di ciò, che gli orgogliosi
Proci usurparo a me , parte co’doni
))el popol mio , parte co’miei conquisti ,
Bistorerommi a pieno , in sin che tutte 460
Si riempiali di nuovo a me le stalle.
Io nella folla di diverse piante
Campagna sua corro a veder l'antico
(ienitur, che per me tanto dolora.
Tu f benché saggia, il mio precetto ascolta.
Sorto il novello Sol , per la cittade
J)eila morte de’Proci andrà la fama.
Sali neU’alto con le ancelle , e siedi ,
Ed in guisa ivi sta, che non t’accada
Nè voce ad alcun volgere , nè sguardo. 47®
Detto , vestissi le bell’armi , e il prode
Figlio animava , e i due pastori , e a tutti
Prendere ingiunse i mar^iiali arnesi.
Quelli , obbedendo , armavansi , e , dischiuso
De porte uscìano : prccedeali l/iisse.
Già ai spargea su per la terra il lume:
]i\Ia fuor della citta tosto li trasse
Di nubi cinta PAtenéa Minerva.
LIBRO V E N J E S I J\I 0 Q U A R T 0
ARGO Al E N T O
McrcuriocomliiceaU’Iufcrno le animo «le'Prod. Colhwjnio tra Vaatmn <ì’ \^monnor>e eqncll:i d'Acìjllle; e racronfo
rlie il primo fa tle’fuocpdi )iiagninri del mcihuUi. Alti!* colliKpùo Ir' lo ^Icsau e An(ti ie«ioiitc « rhc
fu ilcTriri. Llissc (liiinKi: con TdcMiaoii e ì tliic p.<sl:iri al s*>f>:^iorHo «li I^crU? suo padre. UicunuariiHcnti» di
Lli;^, e gioja di l.aoiU*. Dolio, %cct:liio servilor di (luesl’uUÌMio , ritorna dal bvoni con sci ftgliuuii: altro
rùronusriiitCnUi. Frattanto, aose I» itdU ).«*'rtc dcTroci , Eupitc, il |v>dre d’Autinou, eccita il |iopulu A
vetuHcarla. Se gli op^iongono 'tlctloiile e Milerse. Egli noodi«>icno esce eo’suui s.'giMCÌ <lella città. Clisse armari
co'suui pochi, c va loro inconlrt», ctioibatU-'ulo lo stessi* Inerte, che, tMO'M^gialu da Atiaerva, lancia u»iitra
Eupite il prillili coljio, c ruccidc. Llissc c fcle«'t;ico i-ienano slrajjc. FimlMicnto Aliiierva , a cui Giu\e fi caliere
un fulmine iuuaiizt ai piedi, iciinine ùfi^K>ne al conilitto, c la ^vicc, sultu l,i iìgui-a di MenUn'e, ristabilUix’.
]\Jercuiijo intanto , di Cillene il Dio ^
D’alme de’Proci estinti a sè chiamava.
Tenea la bella in man verga deU’oro,
Onde i mortali dolcemente assonna,
Sempre che il vuole , e lì dissonna ancora.
Con questa conducca Palme chiamate ,
Che stridendo il segmano. E come appunto
Vispistrell» nottivaghi nel cupo
Fondo talor d’una solenne grotta ,
Se avvien che alcun dal sasso, ove congiunti 10
L'uno appo l’altro &'atteneano , caselli ,
Tutti stridendo allor volano in folla:
Cosi movean gli spirti , e i>er la losca
Via precedcali il mansueto Ermete.
I/Oceàn trapassavano , e la bianca
Pietra , e del Sole le lucenti porte ,
Ed il popol de’sogni : indi ai vestiti
D’asfodelo immortale Inferni prati
Giunser , dove soggiorno haii degli estinti
Le aeree forme e i simulacri ignudi. 20
L’alma trovaro del Pelìade Achille,
Di Patroclo , d’Antiloco e d’Ajace ,
Che i Danai tutti , salvo il gran Pdìde ,
Di corpo superava e di sembiante.
Corona fean di Pelco al figlio ; ed ecco
Dolente prcsentarsegli lo spirito
DelI’Atride Agamennone , cui tutti
Segu'ian coloro che d'Egisto un giorno
Nella casa infcdel con lui |>ei‘iro.
Primo gli volse le parole Achille : 5o
Noi credevamti sovra tutti, Atride,
Della Grecia gli eroi diletto ai vago
Del fulmin Giove , poiché a molta c forte
Gente imperavi sotto Palte mura
Di Troja, lungo degli Achivi aifanno*
Pur te assalir dorea piima tra qu.lh,
Che ritornaro , la severa Parca,
i)a cui scampar non lice ad uom che nacque.
Che non moristi almeno in quell’eccelso
Grado , di cui godevi , ad Ilio innanzi ? 40
Qual tornila i Greci , che al tuo figlio ancora
Somma gloria sarìa ne’d'i futuri ,
Non t’avrìario innalzata? Oh miseranda
Fine che invece ti prescrìsse il fato !
Felice te , gli rispondea l’Atride ,
Figìiu di Peleo , Achille ai Numi eguale ,
Te, die a Troja cadesti , e Innge d’Argo ,
E a cui de’ Greci e de’ 'Projanì i primi ,
Che piignavan per te, cadeano intorno !
Tu de’ cavalli immemore , e de’ cocchi , 5o
Cadaver grande sovra un grande spazio ,
Giacevi in mezzo a un vortice di polve ,
E noi combattevam da mane a sera,
Nc cessava col di , credo, l’atroce
Pugna ostinata , se da Giove mosso
Oli uni non dividea dagli altri un turbo.
Tosto che fuor della battaglia tratto,
E alle navi per noi condotto fusti ,
Asterso prima il tuo formoso corpo
Con tepid’acque e con fragranti essenze ^ 60
Ti di-puiiemmo in su funebre letto;
E molte sovra te lagrime calde
Spargeano i Danai , e recideansi il crine.
Ma la tua madre , il grave annunzio udito ,
Del mare usci con le Nereldi eterne ,
L un immenso clamor corse per Fonde,
'fai che tremarsi le ginocchia sotto,
Gli Achei tutti sentirò. K già salite
Precipitosi avnan le ratte navi,
S’uom non li ritenea la lingua e il petto 70
Pieii d’antico saver , Nestor , di cui
Ottimo sempre il consigliar tornava ,
Digitized by Googic:
131
LIBRO V E N T R S I M O Q U A R T 0.
Arrestatevi, ArgWi , non fuggite,
Disse il profondo del Nelide senno ,
O figli degli Achei : questa è la madre ,
Ch’esce deU’onda con l’equoree Dive ,
E al figliuui morto viene. A tal parole
Ciascun ristè. Ti circundaro allora
Del vecchio Nereo le cerulee figlie,
Lugubri lai mettendo , e a te cìivine 8o
Vesti vestirò. Il coro anche plorava
Delle nove sorelle , alternamente
Sciogliendo il canto or l’una , or Taltra; e tale
li poter fu delle canore Muse ,
Che un sol Greco le lagrime non tenne.
Dieci dì e sette , ed altrettante notti ,
Uomini e Dei ti piangevam del pari :
Ma il giorno che seguì , ti demmo al foco ,
£ agnelle di pinguedine fìonte
Sgozzammo , e buoi dalla lunata fronte. ( o
Tu nelle vesti degli Dei , nel dolce
Mele fosti arso , e nel soave unguento \
E , mentre ardevi , degli Acaichi eroi
Molti corser con l’arme intorno al rogo.
Chi sul cocchio , chi a piedi ; ed un rimbombo
Destassi , che salì fino alle stelle.
Come consunto la Vuteania fiamma ,
Achille . l’ebbe , noi le candide ossa ,
Del più puro tra i vini e del più molte
Tra gli migtienti irrigandole , su l’alba loo
Raccoglievamo ; e la tua madre intanto
Portò lucida d’oro nrfia , che dono
Dicea di Bacco , e di Vulcan fattura.
Entro quest'urna le tue candide ossa
Con quelle di Patroclo , illustre Achille ,
Giacciono , ed ivi pur , benché disgiunte ,
L’ossa posan d’Antiloco , cui tanto
Sovra tutti i compagni oiior rendevi.
Spento di vita il Meiieziade. Quindi
Massima ergemmo , e sontuosa tomba iio
Noi , de’ pugnaci Achivi oste temuta ,
Su l'Ellesponlo , ove più «porge il lido :
. Perchè chi vive , e chi non nacque ancora ,
Solcando il mar , la dimostrasse a dito.
I.a madre tua , che interrogonne i Numi ,
Splendidi in mezzo ilc|impoal fior dell’oste
Cviuochi propose. Io molte esequie illustri ,
Dove all’urna d'un re U gioventude
Si cinge i fiaiichi , e a lotteggiar s’appresta ,
Vidi al mio tempo: ma più assai, che gli altri 120
Certami tutti , con le ciglia in arco
Quelle giostre io mirai , che per te diede
Sì belle allor la piediargentea Teti.
Così caro vivevi agl’immortali \
Però il tuo nume non si spense teco :
Anzi la gloria tua pel inondo tutto
Rifiorirà , Felide , ognor più bella.
Ma io qual prò di cum lunga guerra
Da me finita , se cotal ruina
Per man d’P^gislo, e d'una moglie infame, i3o
Pronta mi teiiea Giove al mio ritorno ?
Cotesti avean ragionamenti, quando
Lor s’acrosiò P interprete Argicida,
Che de’ Proci leale da Ulisse vinti
L’alme guidava. Agamennone e Achille
Non prima gli sguardar , che ad incontrarli
Maravigliando mossero. L'Alride
Ratto coimbiie Antiineduiite , il caro
UUISSKA
Figlio di quel Melanio , onde ospizio ebbe
lo Itaca , e così primo gli disse : 140
Anfìmedonte per qual caso indegno
Scendeste voi soi terra , eletta gente ,
B tutti d’una età ? Sccrre i migliori
Meglio non si potiìa nella cittadc.
Nettuno forse vi annojò sul mare ,
Fieri venti eccitando , e immani flutti?
O v'ofFesero in terra nomini ostili,
Mentre buoi predavate , e pingui agnelle ?
O per la patria , e per le care donne
Combattendo cadeste? A un tuo paterno i5o
Ospite , che tei chiede , il manifesta.
Non ti ricorda di quel tempo, ch’io
Col divin Menelao venni al tuo tetto ,
Ulisse a persuader, che su le armate
Di saldi Danchi e ben velate navi
Ci accompagnasse a Tmja ? Un mese intero
Durò il passaggio jier l’immenso mare,
Puìcliè svolto da rnìi fu a stento il prode
Rovescialor delle cittadi Uiirse.
£ di rincontro Aniimedmite : 0 fìglio iGo
Glorioso d’Atreo , re delle genti ,
Serbo In mente ciò tutto ; e qual reo modo
Ci toccasse di morte, ora io ti narro.
U’Ulisse , ch’era di molt’anni assente ,
La consorte ambivamo. Ella nel core
Morte a noi macchinava, e , non volendo
Né rifiutar , nè trarre a fin le nozze,
Un cofnjienso inventò. Melica la trama
In sottile , ampia , immensa tela ordita
Da lei nel suo palagio; e , noi chiamati, 170
(iiovanetli , dicea , miei Proci , Ulisse
Senza dubbio morì. Tanto a voi dunque
Piaccia indugiar le nozze mie , ch’io questo
Lùgubre .mimanto ]>er l’eroe Laerte,
Onde a mal non mi vada il vano stame.
Pria fornir possa , cht|,la negra il colga
D’eterno sonno apportatrice Parca.
Volete voi che mordanmi le Achee ,
Se ad uom , che tanto avea d’arredi vivo.
Fallisse un drappo, in cui giacersi estinto? 180
Con sì fatte parole il core in petto
Gl tranquillò. Te.ssea di giorno intanto
l.’insigue tela, e la stessea di notte ,
Di mute faci al con.sapevol raggio.
Un triennio così nella sua frode
Celavasi , e tenea gii Achivi a bada.
Ma sorgiiinto il quart'anno , e le stagioni ,
Uscendo ì mesi, nuovamente apparse ,
E compiuta de’giorni ogni rivolta ,
Noi , da un’ancella non ignara istrutti , iqo
Penelope trovammo al suo iiotturuo
Retrogrado lavoro: e ripugnante
Pur (li condurlo la sforzammo a riva.
Quando ci mostrò al fin l’inclito ammanto.
Che risplendea , come fu asterso tutto,
Del Sole al pari , o di Selene , allora
Ulisse , non so donde , un Genio avverso
Menò al confiti del campo, uve abitava
Il custode de'verri , cd ove giunse
D’Ulisse il figlio , che ritorno fea aoo
Dairareiiusa Pilo in negra nave.
Morte a noi divisando, alla cittade
Vennero ; innanzi il figlio , e il [«idre dopo.
Questi in lacero arnese , e somigliante
Digitized by Google
122
O I) I
A un infelice paltoniere annoso,
Che sul bastone incurvasi , comIoUo
Fu dal pastor de’verri : i più me^chIni
Vestiti appena il ricoprìan, nè alcuno,
Tra i più flitempati ancor , seppe di noi ,
C'»mVi s’ofi'erse , ravvisarlo. Quindi 210
Motteggi e colpi le accoglienze iùro.
Colpi egli paziente in sua magione
Per un tempo sobria, non che motteggi.
Ma , come spinto dall'EgK»cii Giove
Sentissi, Tarmi dalla sala tolse ,
K con Thita del figliunl nelTalto
Le servò del palagio. Indi r^m molto
Frevedimeiito alla reina ingiunse,
Che Tarco proponesse , e il ferro ai Proci ,
Funesto gioco , che lini col sangue. 220
•Nessun di noi del valid’arco il nervo
Tender potea :chè opra da noi non era.
Ma delTeroe va in man Tarma. Il pastore
Noi tutti sgridavam , perchè alTeroo
Non la recasse. Indarno fu. Tehmiaco
Cmnandògli recarla , c Ulisse Tebbe.
FA , preso m man Tarco lamoso , il tese
Così , e il tirò , che ambo le corna estreme
Si vennero ad unir : poi la saetta
Per fra tutti gli anci sospinse a volo. 23o
Ciò fatto , stette in sa la soglia , e i ratti
Strali versosbi ai piedi, orrendamente
Guardardo intorno. Aiitiiioo colse il primo,
E dopo lui, sempre di centra or Tnno
Tolto , e or Taltro di mira , i sospirosi
X)ardi scoccava, e cadea Tun .hii Taltro.
Certo un Nume Taitava. I suoi compagni,
Seguendo qua e là Timpelo suo ,
A gara trucidavanci : lugubri
Sorgean lamenti , rimbombar s’udìa 240
Delle teste percosse ogni parete ,
E CxOrrea sangue il pavimento tutto.
Così : Atride , perimmo , e i nostri corpi
Giaccion negletti nel cortil d’Ulisse:
Poiché nulla ne san gU amici ancora ,
Che dalla tabe a te rgerci , e dal sangue
Non tarderìano , e a piangerci deposti ,
De'morti onor, sovra un funebre letto.
O fortunato, gridò allor TAtride ,
Di Laerte figliuol , con qual valore 25o
La donna tua riconquistasti ! E quanto
Saggia e memore ognor delTuomo , a cui
Nel pudico suo bore unita s'era ,
Visse d’icario la figliuola illustre!
La rimembranza della sua virtude
Durerà sempre , e amabile ne’canti
Ne sonerà per Tiiniverso il nome.
Non così la Tindaride, che , o>ando
Scellerata opra , con la man , che data
Vergine aveagli, il suo manto uccise. 260
Costei ha tra le genti un odioso
Canto perenne :che di macchia tale
Le donne tutte col suo fallo impresse ,
Che le più oneste ancor tinte n’andranno.
Tal iielToscure , dove alberga Fiuto ,
Della terra caverne , ivan quelTalme
Di lor vicende ragionando insieme.
Ulisse , e il figlio intanto , e i due pastori
Ginnser, dalia città calando, in breve
Del buon Laerte al poder culto e bello ,
S S E A
De’suoi molti pensler frutto , e de’molti
Studi e travagli suoi. Comoda casa
Gli sorgea quivi dì capanne cinta ,
Ove cibo e rip<iso ai corpi , e sonno
Davan famigli, che, richiesti alTtiopo
Delle sue terre, per amor più ancora ,
Che per dover , servìaiilo ; ed una buona
Pur v’abitava Siciliana fame ,
Che in quella muta solitudin verde
De'canuti anni suoi cura prendea. 280
Ulisse ai due pastori, e al caro pegno ,
Entrate , disse , nella ben construtta
Ca.sa , e per cena un de'più grassi porci
Subito apparecchiate. Io voglio il padre
Tentar, s'ei dopo una sì lunga assenza
Mi ravvisa con gli occhi , o «stinta in menlc
Gli abbia di me la conoscenza il tempo.
Detto , consegnò lor Tanni , c Telemaco
K 1 due pastor rapidi entrare. Ulisse
Del grande orto pomìfero alia volta 7^0
Mosse, nè Dolio, discendendo in quello,
Trovò , alcun de’figli , o degli schiavi ,
Che tutti a raccor pruni , onde il belTorto
D’ispido circondar muro campestre ,
S’erau rivolti ; e precedeali Dolio.
Sol trovò il genitor, clic ad una pianta
Curvo zappava intorno. Il cicopr'ia
Tunica sozza ricucita e turpe :
Dalle punture degli acuti rovi
Le gambe difendevangli schinieri 3oo
Di rattoppalo cuoio , e le man guanti :
Ma berretton di capra in su la testa
l’ortava il vecchio; e cosi ei la doglia
Nutriva ed accrescea nel caro petto.
Tosto che Ulisse Tavvisò dagli anni
Suoi molti , sicconi’era , e da'suoi molti
Mali più ancor , che dall’età , consunto.
Lagrime , stando sotto un alto pero ,
Dalle ciglia spandea. Poi nella mente
Volse, e nel cor, qual deMue fosse 11 meglio, 3io
*»e con amplessi a lui farsi , e con baci ,
K narrar tlel ritorno il quando e il come,
O interrogarlo prima , e punzecchiarlo
Con detti forti , risvegliando il duolo ,
Per raddoppiar la gioja ; e a ciò s’attenne.
Si drizzò dunque a lui, che basso il capo
Tenea , zappando ad una pianta intorno ,
K, Vecchio, disse, della cura ignaro ,
Cui domanda il verzier , certo non sei.
Arbor non v’ha , non fico , vite , oliva , 620
Che Tabi! mano del cultor non mostri ,
Xè sfuggì all’occhio tuo di terra un |>almo.
■Vitro, e non adirartene ; io dirotti :
Nulla è negletto qui, fuorché tu stesso.
Coverto di squallor veggioti , e avvolto
In panni rei , non che dagli anni infranti.
Se mal ti tratta il tuo signor , per colpa
Della pigrizia tua non è ciò , penso ;
Anzi tu nulla dì servii nel corpo
Tieni , o nel volto , chi ti guarda fisso. 33o
Somigli a un re nato ; ad uom somigli ,
Che dopo il bagno e la gioconda mensa
Mollemente dormir debba su i letti ,
Com’è l’usanza de’ vegliardi. Or dimmi
J’reciso e netto chi tu servi , e a cui
J/orto governi, e fa ch’io sappia in oltre,
270
LIBRO V K N T
Sf questa è rerameul»* linea , dove
S<m ^ìtmlu , qual teatè cuìiii tiarroiiiini «
Che III me scuiitro»BÌ, uoui di tiuii molto pernio
(pillando uè il tutto raccuiitat' , iic volle
Me udir, che il richiedra ae iii qualciie paitt
li'ltaca un certo vive ospite mio ,
C) morto il ('Illude la nid^ioii di Diir.
A te p.irleiò m ^rce , e lu Torrcchio
Non ricusar di danai. Ospite mi tale
Nella lina |Kitria io ricevei , di cui
Non venne di luiilauo al teico imo
Voreatier mai , che più nel cor niVntrassr.
Nato ei diceasi in Itaca , e Lari le ,
D’Arcesio il iiglio , a geiiitor vantava.
Il trattai , Roiiorai , l’acciireziuii
Nel niio di beni ridondante aibtTgo »
K degni ìn sul partir doni io gli porsi i
Sette di lavoralo oro talenti ,
Urna d’argento tutta , e a huri sculla ,
Dodici vesti , tutte sc« uipie , e tanto
Di tappeti , di tuniche c di manti ;
K quattro belio , oneste , e di lavori
LVniniine aperte , ch’egli stesso elesse.
Stianier, ris|x>se lagrimaiulu il padre, 3G.i
Sei nella terra dt cui cbirdi , ed ove
Una pessima gente ed oltraggiosa
Degna oggidì. Que’molti doni , a cui
Ei con misura eguale avrìa risposto ,
Come degno era bene, or, che qui vivo
Noi trovi più , tu gli spargesti al vento.
Ma schiettamente mi tavella : quanti
Passato anni dal dì che ricevesti
(^)ursto nelle tue case ospite gramo ,
Che, s ei vìvesse ancor, saria il mio tiglio? 371
Misero ! in qualclre parie , e dalia patria
Lungi , u tu in iiiur pasto de'peacj, o Ìii terra
De’volalori preda e delie Icre:
Nè ricoperto la sua madie il pianse,
Nò il pianse il gcnitur; nè la dotata
Di virtù , come d’ór , Penelupéa
Con lagrime onorò Testinto sposo
Sopra ìunebre letto , e gli occhi prima
Non gli compose con mal Irrnia destra-
dò palesami ancor: chi sei tu?ediinde? 38n
Dove a le U città ? la madre ? il padre?
A qual piitggia s'attieiie il ratto legno ,
Che te condusse, e i tuoi cuuipagui illustri ?
O passeggier venisti in nave altrui ,
D , te sbarcato , i giovani partirò?
Tutto , riprese lo scaltrito eroe,
Narrerò acconcia mente, lo iiglio sono
Del re Poljpemunide Abdante,
In Atibaute nacqui , uve ho un eccelso
Tetto, e mi chiamo disperilo. Me svolse 3qu
Dalla Sicilia un Genio avverso . e a queste
Piagge sospinse ; ed or vicino ai campi ,
Lungi della città, stassi il mio legno.
Volge il quint’amio ornai , chu Ulisse sciolse
Dalla mìa patria. Sventurato ! a destra
Gli volavano allor gli augelli , ed io
Lui , che lieto partì , coiigrdai lieto:
Quando ambi speravani die rinnovalo
D’ospìzio avremmo , e ricambiali i doni.
Disse , e fosca di (Jiiol nube coverse 4^*'
I-a fronte al padre , dio la fulva pulve
Prese ad ambo le mani , e il venerando
H S I M O Q U A R T O. ii3
Opo canuto se ne sparse , im'nire
Nel petto spesseggtavangli i sospiri,
l'iisse tutto coniinovrasi dentro ,
K un acre si senlia pungente spirto
Correre alle narici , il caro padre
Mirando attento : al fin su ini gittossì ,
K stretto il si recava in Ira le braccia ,
E li baciava più volte , e gli dicea : 4 10
Queii’io, padre , quell’io, che tu sospiri,
Ècco nel venlesinto anno in patria venni.
Cessa dui pianti , dai Jameiiti cessa ,
K sappi in bieve , perchè il tempo stringe ,
Ch’io tutti i Proci uccisi , e vendicat
Tanti e sì gravi torti in un dì solo.
Ulisse lu?così Laerte tosto,
Tu il figlio mio? Dammene un segno, e tale,
Che m lorse io non rtinanga un solo istamr.
K Ulisse : Pria la cicatrice mira 410
Della ferita , che cinghiai sannuto
M’aperse un dì sovra il Farna.so , quando
Ad Autòlico io fui per quei , die in luca
M'avea doni promessi , accutn|iaguaudo
Col muto della testa i detti suoi.
Gli arbori inoltre io ti dirò , dì cui
Neiraineno veizier dono mi festi.
Fanciullo io ti st'guìa con ineguali
Passi per l’orto, e or questo arbore, or quello
Chiedeati ; e tu , come andavam tra loro, 4Òo
Mi dicevi di lur Fimiole e il nume.
Tredici peri a me donasti , e dieci
Meli, e fichi quaranta, e promettesti
Peti cinquanta filari anco di viti ,
Che di U:lia vemiemtnìa eran già carchi;
l’uichè vi fan d’ogni sorta uve , e l Oie ,
J)el gran Giove ministre i lor tesori
Versano ìn copia su i fecondi tralci.
Quali dar gli potea segui più chiari?
Luerle , a cui si disteinprava il curo , 440
K vacillavan le ginocchia , avvolse
Subito ambe le mani al collo intorno
Del figlio; e il figlio lui, ch’era di spirti
Spento afìutto , a se prese , ed il sosieniie.
Ma come il fiato in seno , e nella mente
I dispersi pcrn>ieii ebbe raccolti,
O Giove padre, sdamò egli , e voi ,
Numi, voi certo su l'Olimpo ancora
Siete , e regnale ancor , se fa dovuta
Rena portar de'ior misfatti i Proci. 4^0
Ma uu timore or m’assai , non gl’ltacesi
Vengali ira poco a queste parti in folla ,
E messi qua e là iiiandinu a un tempo
De’Ceialeiii alle città vicine.
Sta di buon cure , gli rispose Ulisse ,
Nè ti prenda di ciò cura o pensiero.
Alla Qiagioii , che non lontana siede ,
Moviamo: io là Telemaco inviai
Con Fiie/.io ed Euinéo , perchè allestita
Prestaracule da lor fosse la cena. 4^0
In via , ciò detto, entraro , e , come giunti
Furo al rural non disagiato all>ergo ,
Telemaco trovar co’due pastori ,
Che incidea molte carni , ed un possente
Vino mescea. La Siciliana fante
Lavò JLaerte , e di biond’olio Funse ,
E d’un bel manto il rivestì : ma Palla ,
Scelga per lui di ciel , le membra crebbe
Digilìzed by Google
ODISSEA
12i
De’popoli al pastore , e di persona
Più alto il rese , e più ritondu in faccia. 470
Maravigliava Ulisse , allur che il vide
Slmile in tutto agl’linmurtali , e , Padre ,
Disse , opra fu , cred’jo , d’un (jualche Nume
Cutesta tua statura, e la novella
Beltà , che iti te dopo i lavacri io scorgo.
Oh, riprese Laerte , al padre Giove
Stato fosse , e a Minerva . e a Febo in grado ,
Che ^uale allora io fui , che su la terra
Continental , de’ Cefaieiii duce ,
La ben construtta Nerico espugnai , 4^^
Tal potuto avess’io con l’arme in dosso
Starmi al tuo fianco nella nostra casa ,
lì i Proci ributtar , quando per loro
Splendea l’ultimo Sul ! Di loro a molti
Sciolte avrei le ginocchia , e a te sarebbe
Infinito piacer corso per l’alma.
Così Laerte , e il figlio. £ già , cessata
Dell’apparecchio la fatica , a mensa
Tutti sedeansi. Non aveano ai cibi
Stese Pavide man , che Dolio apparve, 490
£ seco ì figli dal lavoro stanchi:
Poiché uscita a chiamarli era la buona
Sicula madre , die nudriali sempre ,
£ il vecchio Dolio dall’etade oppresso
Con amor grande governava. Ulisse
Veduto, e ravvisatolo , restaro
Tutti in un dì maraviglia culmi :
Ma ei con blande voci, O vecchio , disse,
Siedi alla mensa , e Io stupor deponi.
Buon tempo è già che, desiando ai cibi 5oo
Stender lo nostre mani , e non volendo
Cominciar senza voi , ceu rimanemmo.
Dolio a tai detti con aperte braccia
Mosse dirittamente incontro a Ulisse,
£ la man , die aflerrò , baciógli al polso.
Poi cooì gli dicea : Signor mio dolce,
S’è ver che noi , che di vederti brama
Più assai , che speme, chiudevam nel petto,
Te rimenaro al fin gli stessi Numi ,
Vivi , gioisci , d’ogni dolce cosa 5io
'l'i consolino i D^ù. Ma , dimmi Ì1 vero :
Sa la regina [>er indizio certo,
Che ritornasti , o vuoi , che a rallegrarla
Di SI prospero evento un nunzio corra ?
Dolio, ripigliò Ulisse, la regina
Già il tutto sa. Perchè l’aHànni tanto?
Il vecchio allor sovra un polito scanno
Prontamente sedè. Nè men di lui,
Festa feano ad Ulisse i suoi figliuoli ,
£ or Pun le mani gli afferrava , or l’altro: 620
Indi sedeatj di sotto al caro padre
Conforme all’età loro. £d in tal guisa
Della mensa era quivi ogni pensiero.
La fama intanto il reo destin de’ Proci
Per tutta la città portava intorno.
Tutti, sentite le funeste morti ,
Chi di qua , chi di là , cou urli e pianti
Venìan d’Ulisse a) tetto , e i corpi vani
Fuor ne traeano, e li ponean sotterra.
Ma quei , cui diede altra isola il natale, 53o
Mettcan su ratte pescherecce barche,
£ ai lor tetti mandavaiili. Ciò fatto ,
Nel Foro s’adunar dolenti e in folla.
Come adunati fur , surse tra g'i altri
Eupite , a cui per Antinóo sua prole,
Che pruno cadde della man d’Ulisse ,
Stava nell’alma un iiidelebil duolo.
Questi arringò , piangendo amaramente :
Amici , qual costui strana fortuna
Agli Achei fabbricò 1 Molti , ed egregi , 640
Ne addusse prima su le navi a Troja,
£ le navi perdette , ed i compagni
tSeppellì ili mar : poi nella propria casa ,
Tornato , altri ne spense , e d’Àide ai regni
Mandò di Cefalenia i primi lumi.
Su via , pria ch’egli a Pilo , e alla regnata
Dagli £pei divina Klide ricovrì ,
Vadasi } o infamia jiatiremo eterna.
Sì, l’onta nostra ne’ futuri tempi
Himbumbar s’udrà ognor, se gli uccisori 55o
De’ figli non puniamo , e de’ fratelli.
lo certo più viver non curo , e , dove
Subito non si vada , e la lor fuga
Non si prevenga, altro io non bramo, o voglio,
Salvo che riunirmi Ombra a queU'Ombre.
Così ei , non restandosi dui pianto ,
£ la pietade in ogni petto entrava.
Giunsero allor dalia magiou d’Ulisse
Medonte araldo , ed il cantor divino ,
Dal sonno sviluppatisi, e nel mezzo 5Co
Sì collocaro. Alto stupore invase
Tutti , e il saggio Medonte i labbri aperse :
O Itacesi , uditemi. Credete
Voi che Ulisse abbia tolto impresa tale
Contra il voler de’ Sempiterni ? Un Dio
Vidi io stesso al suo fianco, un D o . che affatto
Mentore somigliava. Or gli apparìa
Davanti , in atto d’animarlo , ed ora
Per l’atterrita sala impeto fea ,
Sgominando gli Achei , che l’un su l’altro 670
Traboccavano. Disse; e di tai detti
Inverdì a tutti per timor la guancia.
Favellò ancor ne) foro un vecchio eroe,
Aliterse Mastoride , che solo
Vedea gli andati ed i venturi tempi,
£ che , sentendo rettamente , disse :
Or me udite , Itacesi. Egli è per colpa
Vostra che ciò seguì : però che sordi
Agli avvisi di Mentore, cd a’ miei ,
Lasciar le brìglie sovra il collo ai vostri 58o
Figli vi piacque , che al mal far dirotti
La davano pel mtz/,o in ogni tempo,
Le sostanze rodendo , e ingiuriando
I.a casta moglie (l'un signor preclaro ,
Di cui sogno parea loro il ritorno.
Obbeditemi al fin , mossa non fate :
Onde pur troppo alcun quella sventura ,
Che sarà ito a ricercar , non trovi.
Tacque ; e s’alzaro i più con grida e plausi .
Gli altri uniti rimasero: chè loro 690
Non gustò il detto , ma seguiano Eupite.
Poscia , chi qua , chi là , correano ail’armi.
Ciuti c splendenti del guerrier metallo
Si raccolser davanti alla cittade
Quasi in un globo ; ed era incauto duce
Della stoltezza loro EupUe stesso.
Credea la morte vendicar del figlio,
I E lui , che redituro indi non era ,
I Coglier dovea la immansueta Parca.
I Pallide , il txittu visto , al Saturmde 600
J by Googlf
135
LIBRO VENTE
Sì converse in tal auisa : O nostro padre ,
Pi Saturno figliuor, re de* regnanti ,
Mostrami ciò che nel tuo cor b’abconde.
Prolungar vuoi la guerra e i fieri sdegni?
O accordo tra le parti , e amistà porre ?
Perchè di questo mi richiedi , o figlia?
Il nembilero Giove a lei risjHise.
Kon fu consiglio tuo ,che ritornato
Punisse i Proci di Laerte il figlio?
Pa, come più t’aggrada: io quelcheìl meglio 610
Parmi , dirò. Poiché Pillustre Ulisse
De* l'roci iniqui vendicossi , ei termi
Patto eterno con gli altri , e sempre regni.
X^oi la memoria delle morti aceroe
In ogni petto cancelliam : risorga
11 mutuo amor nella città turbata ,
£ >*abbondÌn, qual pria, ricchezza e pace*
Con questi detti stimolò la Piva ,
Ch’era per sè già pronta , e che dall’alto
D’Olimpo cime rapida discese. 620
Ulisse intanto , che con gli altri avea
Sotto il campestre di Laerte tetto
Rinfrancati del cibo ornai gli spirti ,
£sca , disse , alcun fuori , e attento guardi ,
Se alla volta di noi veuguu gli Achei.
Subitamente usci di Poiiu uii figlio ,
£ su la soglia stette, e non lontani
Scòrse ì nemici. All’arnii! Àll’aruii ! ei tosto
Gridò , vicini sono. Ulisse allora ,
Ed il figlio surgeano , e i due pastori , C3o
E Tarmi rivestiano : i sei figliuoli
Kiveslianle di Polio e poi gli stessi
Dolio e Laerte. In cosi pìcciola oste
Anco i bianchi caiieì premer dee Telmo.
Ratto che armati iur, le porte aperte,
Tutti sboccare: precedeali Ulisse.
Kè di muover cou lor lasciò la figlia
Pi Giove , Pdlla , a Mentore nel corpo
Tutta seiubiaiite , e nella voce. Ulisse
MÌrolla,e u’esultava, e vólto al figlio, C40
Telemaco , dicea , nella battaglia ,
Ove l’ imbelle si conosce , e il piode ,
Deh 110x1 disuuestar la stirpe nostra ,
Che per forza e valor fu sempre chiara.
E Telemaco a lui : Padre diletto,
Vedrai , s|>ero , se vuoi , xh’io non traligno.
Gioì Laerte , ed esclamò : Qual Sole
Oggi rispleude iu cielO | amati Numi l
I L
SIMOQUARTO.
Gareggian di virtù figlio e nipote.
Giorno più bello non mi sorse mai* 65o
Qui l’appressò con tali accenti in bocca
La Piva , che ue’ begli occhi azzurreggia :
O d’Arccsio figliuol : che a me più caro
Sex d’ogui altro compagno , a Giove alzati
Prima , e alla figlia dal ceruleo sguardo ,
Devoiamente i prieghi tuoi , palleggia
Cutesia di lunga umbra asta , e Tawenta*
Cosi dicendo , una gran forza iuftise
In Laerte Minerva. Il vecchio , a Giove
Prima, e alla figlia dal ceruleo sguaxdo ,* 660
Alzati ì prieghi , palleggiò la lunga
Sua lancia, ed avventolla, e in fronte a Eupxte,
Il iurte trapassando elmo di rame,
La piantò , e immerse: con gran suono Eupite
Cadde, e gli rimbombar l’armì di sopra.
Si scaglierò in quel punto Ulisse e il figlio
Coiitra i primieri , c con le spade scempio
Ne ieano , c con le lance a doppio filo»
E già nessuno alla sua dolce casa
Tornalo fora degli Achei , so Palla , vjo
DcirEgioco la figlia , un grido inesso ,
Non mutava i lor cuori : Cittadini
P’itaca, fine all'aspra guerra. Il campo
Lasciato tosto , c non più sangue. Pissc -,
Ed un verde pallor tinse ogni fronte.
L’armi scappiivan dalle mau trcinanti
D’aste coverto il suolo era , e di braudi ,
Levata che Mineiva ebbe la voce ;
E tutti avari della cara vita
Alla città si rivolgcano. Ulisse boo
Con un urlo , che andò sino alle stelle ,
Inseguia ratto ì fuggitivi, a guisa
D’aquila tra le nubi altovolanle.
•Se liou che Giove il fulmine contorse }
B alla Sguardoazzurrina innanzi ai piedi
Cascò Teterea fiamma. O generoso,
Cosi la Piva , di Laerte figlio ,
Contienti , e frena il desiderio ardente
Della guerre, che a tutti è sempre grave.
Non contro a te di troppa ira s’acceuda 090
L’ampìoveggenle di Saturno prole.
Obbedì Ulisse , e s’allegrò nell’alma.
Ma eterno poi tra le due parti accordo
l.a figlia striDse dcirEgioco Giove,
Che a Mentore nel corpo e nella voce
Uassomigliava, la gran Dea d’ Atene.
I N E*
Digitized by Coogle
NOTE
/
LIBRO PRIMO
Odissea. Questo nome viene tU Oilfisens Odisseo
ch'e il nome greco di Ulisse. Alcuni sostituirono quindi L
denominazione di Ulissea.
V. 1 3. IperHone passeggiante-rmll'-alto.
V. 10. Fiior lieU’oitde. Allude ai pericoli corsi nel mare
dai Greci che ritornaron da Troja.
T. 30. Casta dotuia. Penelope la cui castità è passata io
proverbio.
V. a3. Calipso. Questo nome in greco è il futuro di un
verbo che significa celare, /tosoorufere. Viveva , come dice
il v. I i9,neirisola Ogigia.
V. 38. Itaca |utria d'Ulisse.
V. 3i. Salvo jSeituno. Questo Dio, come dice poi il
poeta, era sdegnato contro Ulisse perchè aveva acciecato
Polifemo suo figliuolo.
V. 45.£giJio, figliuolo di Ticste uccise suo zio Agamen>
none ritornato da Troja, ajulatulolo in ciò Clilconestra mo-
glie di Agamennone stesso. Oreste poi vendicò il padre uc-
cidendo Egisto.
V. 56. Ar^icida cioè Uccisore di Argo ■ perchè Mercu-
rio uccise Argo a cui Giunone avea data in guardia lo per
custodirla da Giove
V. 77. L immortai Jìglia ec. Calipso ~ Atlante do-
vette essere un personaggio reale a cui i poeti attribuirono
poi molte parti Civolose. Da lui è venuto il nome al Mare
Atlantico ^ e probabilmente fu re di qualche isola , putente
in mare, ed esperto neUaslrunomia : donde poi lo fecero
figliuolo di Nettuno , e dissero che sosteneva il cielo sugli
omeri.
v. 107. Lo seiiotitor ec. Questo verso risponde allVpi-
lelo di EnosigeodsXo frequentemente a Nettuno ;comc non
guari dojio , tl verso Cm tinge gli occhi lui 'azztArrina luce
è una parafrasi dcU’epileto glaucopide od occhiazzurra
unito quasi sempre al nome di Minerva.
V. 135. Nel f gito. In TeWco figliuolo d’Ulisse —
Proci diconsi con voce latina coloro che aspiravano alla
mano di Penelope dopo che si credette che Ulisse fosse
morto , e intanto ne dissipavano le sostanze.
V. 195. Dapt. Vivande.
V. 34^. Ferro brunito ee. Glianticlii non conobbero i
contratU di colmerà c vendita i ma tutto U loro commerdu
fiicevasi per via di permute.
V. 35i . Su le ginocchia ee. E una espressione usati altre
volte da Omero , a significare che una cosa qualunque
pende tuttora indecisa ed incerta.
V. i3o. Alla magion ee. Alla casa di suo padre.
V. 4*9- NAVegregio vate. In Femio.
LIBRO SECONDO
V. 63. Di farsi a Icario. Di andare, di awidnarsi ad
Icario.
V. 1 36. Laerte. Padre d’Ulisse.
V. 176. Eritini. Le furie.
V. 178. Ch io liberiec. Ch’io pronumii, Ch'io melo
lasci uscir di bocca.
V. i85. Il Satumide o Saturnio è Giove, figKUolo di
Saturno.
V. 3i 3. Benché tra molti ec. ,cioè Quando beue avesse
con se multi combattenti.
V. 48 r . Tritonia dicevasi Pallide , perche nata lungo il
Tritone , fiume dcU'A&ìca.
LIBRO TERZO
V. 8. Al Dio dai crini ec. A Nettuno.
v. 4< • A dispetto ec. , due : Io non credo che tu sii in
ira agli Dei. £d è questa una figura usilata dai Greci ( la
chiamano Antifrasi) , per dire: Tu se’ loro carissimo.
v. 96. Da qtiailidi ea. Da qual (uese salpaste melteD-
dovi in mare.
V. 3 44* N degno fgliuol ec. Pirro.
V. 381. Non si ricatti. Non si Leda pagare il fio.
v. 4a3. Le lingue taglinsi. Le tioguo «Ielle vittime.
V. 493. Egioco e un soprannome dato a Giove per essere
stato nudrito del latte di capra nel monte Ida.
V. 5l6. Sedea. Cioè; Solea sedere giàprima. Nedeo fu
padre di Nestore.
V. 539. Ad inaurar le’corna. Ne’ sagrifizii solcvaosi jier
più onore indorar le corna delle vittime.
LIBRO QUARTO
V. I. Gi«/wcro. Telemaco e Pisistrato.
V. a3. Mentre vateee. Si raco^lie diqui rantìra usanza
di rallegrare i banchetti culla musica e colla daou.
v. 39. Secondo Atridtì. Menelao.
V. 45. Se pure ec. Cioè : Se pur Giove concederà che
d’ora innanzi cessiam dagli aj/liiuti.
V. 78. Poscia chi siete ec. Da queste parole si L inani-
fcslu quanta fosse appo gli antichi rospitilità. Accoglitr-
vano c banchettavano i forestieri prima di domjudarucjiur
: il nome.
V. 113. Utijuec. Stanno dubbiosi gl’interpreti se Mene-
lao accenni qui la propria cisa o quella dì Priamo. Ma pare
che qucsl'ullima opinione sia più ragionevole.
V. 338. Sostenendo il tnaU. Sopportandolo, Tolle-
randolo.
Digitized by Coogle
117
N O
V- 943* Cheti yrof^Z/ow. Anliliico. ucriiod* McnDonc
f)|;liiiulu drirAunira , Y4*nuln io kk-cuTsu de' Trojaui.
V. 9^1. La fijglta ee. KIen» era figiiuula di Ledacdi
Giuve.
V. 3oi. Peone. CrleJirc mc<Uco •• 11 Repente poi cr*
un Vrlia a cui attribuivB«i la faadta di tracciar la tristcxia,
«'onic itignifìca il suo nome etiniologicu mente considerato.
V. 3i6. // corpo ec. (Questo artìBiio imitato poi da iitolli
altri fu duu(|i)c primamente trovato da LUisse. K perù So-
lone disse a Fisistmto (che sene valse per ollcnere la tiran-
nia d'Aleae); Mal roppresenti l'L’lisse d'Omero; pe-
rocché (u ti se‘eonciato in tal modo ;ieri/ij^rt«»»rtre ipro-
prù concittadini , mentre egli volle inrece trarre in in-
ganno i »cimci. Dacieii.
T. 35 1 . Sospinta ee. Menelao riferisce qui diù rhe pò-
trehlie toglier fedeal |>entimciitodicuiEleDa davasi vanto,
in.i raUribuUcealla forra di una qualche divinità.
V. 4ao. Trasse il Monarca ec. IVon èsenra qualche an-
lìbohgia questa esprenioue. Uhiondo Menelao altamente
sospirando rispose.
V. 4'^. Filomelide. Fu ctvstui un re di Lesbo che pro-
vocava alla lotta quanti forestieri capitavano alla sua isola.
V. 44^- Proteo. Dio marino dutatodel dono della pni-
fer ia. Egli non soleva mai soddisfare airallmi curiosità se
non quando era a forra costretto ,c per sottrarsi a questa Car-
ta si tramutava io molle e variatissime Cirnie.
V. 448. Faro, Pretesero alcuni che Omero ignorasse la
ver:i dislanra di quest'isola dal liduj ma dopo quel die ne
disse Strabone nel primo libro, della sua Geograjia j fa me-
raviglia come nomini d'alto ingegno abbiano rinnovata sif-
Citla accusa. Sajiendo Omero che il Nilo produce a poco a
pegola spiaggia addentro nel mare, suppi'se che quest'isola
dovrà ai tein|ndi Mcnebo trovarsi più che a'suoi giorni di-
slantc dalla terra ferma \ e solo per quella tendenra die han-
no i pt«ii a magiiiCcarc ogni c<«a pose una diiTerenza sì
grande com'èda i so a i4oo o piu statlii.
V. ^39. Che da Giove ec. Tutti illumtchiamavansidai
Greci nati da Giove . ma rt^ilto poi più degli altri, jier-
clȏ DC ignurav'ano le fonti e lo vedevano crescere per le |*u>g-
ge , che secondo la mitologia vengono ila quel Dio adatta-
tore di tiembi.
V. 951. >^/eer/o, padre di Inerte, era figliuolo di Gio-
ve.—/remoli e/rmpi mentovati subito do[xj sono ipossc-
dimenti d'Llisse fuor d'itaca.
r. 978. Quel che ec. . Cioè il consiglia di tendere un ag-
guato a Telemaco.
LIBRO QUINTO
V. 8. j4ppo la yinja. Presso Calijwo.
V. i35. Mal il precetto ee.. Con queste parole Mer-
curio parlando di sè medesimo ammonisce Gali|>so e l'ap-
parecdiia ad ubbidire il comando di Giove, che sU per
esporle. D.
v. 196. Fon pungealo. Secondo la lesione più comune-
mente adottata dovrebbe dirsi non pungealo piu.
y. 359. L'isola de’Feaci. Corfù.
T. 437. Leueofea ; cioè Bianca Dea. Ino fu moglie di
Atamante , il i[uale per vendetta di Giunone divenuto fu-
riuso scagliù un proprio figliuolo contro un muro e Pucci-
te ; ed Ino allora si giltù in mare i^iraltro.
r E
LIBRO SESTO
V. 19. Sella Scheria. Ncirisub di Corfu. I Fenici enei
la chiamavano da Schera che nella loro lingua valeva /fingo
di commercio. Secondo Omero dunque fu Corfù popolata
dalle genti che ahitavano prima le pianure di Camarina
nelb Sicilia ^ remigrazione avvenne circa i tempi trojani,
gbcche ne fu caj|>oNausitoo pad re d 'A lei mx) il qua le regna-
va quando L lissc approdò a quell’isola. D.
V. 39. Dedalea statiza. 11 talamo egregiamente co-
strutto.
v. 49. E a quelli ee. . Era costume che le giovani spose
regalassero degli abiti agli amici dello spu«o nel giorno delie
nozze. Cosi Kustazio.
V. 934. Fuovo rampollo ee.. Racconta la favob, clic a
Deio Del luogo in cui loitooa doveva {tartorire Apollo, spun-
to d'improvviso una bella palma alla quale poi la Dea s ap-
poggiò.
V. 985. noi. S'intende a noi Feaei; altrimenti par-
rebbe una sconcordanza clic una fanciulla parbndood altre
fanciulle rlicesse : tanto agli Dei siam cari.
V. 4^6- Zio. Nettuno.
LIBRO SETTIMO
V. 87. Venerolla fieramente. Il dice: E /a onorò
quanto non é onorata sopra la terra alcun altra.
V. I o5. Eretteo celebre re d'Alene : a lui si dà lonore di
avere introdotta b civiltà nella Grecia.
V. i85. Da sezto. Mercurio, uccisore di Argo,erariiI-
tìmo Dio a cui si liba^'a da cliLsUva per mettersi a lutto.
Orazio dice di questo Dio : Dat somnos adimitque.
V. 990. Venerandi supplici. Non|yjtrebbeimmaginar-
si epiteto più bello. Questo roocelto Omerico concorda con
quello del Deut eroDomio ( X , i8e .Amat{Deus)pe-
regrinum et dai ei victumet vestitum-Etvos ergoama-
tc pcrrgrinos.
V. 398. Fè però il coree. . Ulisse (dice qui la Dacier )
sapeva che il farlo immortale non era in arbitrio delle mi-
luiri divinità alle quali Circe apparteneva : e che le jiersone
innamorale promettono scm|*re più di quanto© possono e
vogliono mantenere - Non c’entro dunque j»er nulla 1 anu^
della patria di cui loda.sÌ tanto quell’eroe? Pure sul princi-
pio del libro IX Ulisse dice altiincnti.
V. 4* 3- Tizio f tiranno crudele e ingiustissimo.
LIBRO OTTAVO
V . 49. Qttei che di bastone ee. . Il lesto dice : / re seet-
trati.
V. 95. 1/antiea tenzon ee. . Achille ed Ulisse » secondo
alcuni interpreti, contesero ilopolamorlediEttore, intor-
no al modo col quale dovesse espugnarsi Troja. Achille vo-
leva che si desse un a.ssalto : Ulisse coQSÌgUav*a che si ado-
jicrasse Tastuziaj e loracolo aveva profetato ad Agamen-
none che una somigliante contesa sarebbe indizio della vi-
cina vittoria dei Greci.
libro nono
V. 96. Ferito. Monte DelPisola d’Itaca.
V. 4"' Cfcofli. Abitavano lecoste<lolb TracbpressoMa-
Digilized by Google
N O T K
128
rooea ; ed arcano mandali «occorsi aiTrojani: perciò Ulis*
se f dopo la caduu|di|r[aella ciltà , andò ad assalirli. D.
V. 8*. Trcjìateee, Questa triplice chiamata de’morlì
tenera luogo di sepidlura , quando questa in terra straniera
non poteva effettuarsi. Però anche Enea dice a Deiiubo; Et
magna manc.t ter voce vocavi.
V. 356. egli tastommi. Cioè: Con questa domanda
il Ciclope cercò di sapere da Ulisse dorè fosse la sua nave
e il restante delle cose sue. Però qiundoper la risposta del*
l’eroe perde lasperauzad altro boUiuo, senz’altro dire ^ co-
mincia rorrendo suo ^tasU).
LIBRO DECIMO
a
y, 1 . Nell' Eolia. L'isola di Lipari , che Omero chiama
Eolia dal nome <lcl re Eolo.
V. 6. Dodici^gli. Eustaaio dice che Omero chiama figli
d’Kolo i dodici mesi dell’anno j c che Eolo e 1 anno stesso.
Meglio forse la Dacier intende per figli i venti princlfittli.
Ma sema dubbio è ottimo consiglio non iK*nlcre il temjio
in sifLUc congetture. Senza di ciò non v’ha forse poeta che j
non somministri materia di voluminosi commenti.
V. 1 06. Sei tù ce.. Sebbene dairisula d’Eolo alla città di
Lamo non bisognasse una navigazione di tanti giorni j Ome-
ro esagera le distanze ^ percliè ciò cuntribuisce airefietlu
jaxlico. Questa osservazione è di Strabone.
V. 181. Suoni germana cc.. Aniiie qui dice Strabone
che Omero y avendo avuta notizia dì Coleo e della fainnsa
impresa di Gia-sone , volle accrescere magnificenza c inte-
resse a quanto stava per dire di Circe , facemlola sorella di
Ecta padre di Medea.
V. 649. fiacca infeconda. Non immolavasi mai a’morti
vcrun fecondo animale. Però anche Vii^ilio disse : Steri’
ienujue tibij Proserpina , vaceam. D.
LIBRO UNDECIMO
V. •]. Dea veneranda. Circe.
V. 68. Elpenore. Di costui dice Ovidio :
j4t miser Elpenor teeto delapsus uh alto
Occurrit regi dehilis umbra suo.
Osserva poi lo Scoliaste che Ulisse non vede qui nessun:»
deVompagni mangiati dal Ciclope; perchè costoro (sog-
giunge ) erano stati sepolti , sebbene d’nn modo strano eif
illecito y considerando comesejwllura il ventre di Polilcmo.
V. i38- Pel figlio ec. . Per Polifemo.
V. 348. Epicasta. 1 tragici poi la cliiamarono Jocaita.
Scoi.
V. 355. Sui Cadmei. Sui discesi da Cadmo ^ foodatttre
di Tebe.
V. 6i5. Non consolarmi ec. . Platone condannava questi
versi parendogli che j)o tessero imUllare alla gioventù ut>
vile e immorale timor della morte. La Dacier lidifcmlcaf-
fermando , che Achille (rlieocbè egli dica ) non jiclrà m.ii
persuadere alcuno a dispregiare la gloria per la vita , egli
che ha dato un esempio del tutto op[wisto. Ma è ap^icna ne-
cessario di dire che questa difesa e debolissima. Finche l'c-
roc visse potè ingannarsi pooemlo a confronto la dolcezza
della gloria e il dolor della morte non ancora sperimentato',
ma dopo la tomba potrebbe crcilcrsi clx; le sue parole avis-
scru :ieqiii$tatz da una piena s|iurieuza una luolto muggiMri
autorità. Del resto assai mt^lio che sulla bocca tU Adiillc
ci pare die suoni questa sentenza su quella di Enea ^
.. . . Quam vellent aethere in alto
Ntmc et pauperem et duros perferre labores.
657. Non coastrutta ee. . 11 cavallo che servi ai Greci
per rovinar Troja era stato costrutto da Epco , che vi «
chiuse insieme cogli altri valorosi.
V. 68a* Nella contesa ee. Ajace ed Ulisiie si disputarono
le armi d’Achille , che poi furono aggiudicate al Laerziade.
Intorno alla quale sentenza cosi scriveva Ugo Foscolo :
. . .... y^i generosi
Giusta di gloria dùipensiera è morte.
Nèseiato astutOj nèfavordi regi
j4iritaeo le .spoglie ardue serbava ;
Che alla poppa raminga le ritolse
L’onda incitata dtgC infernii Dei. |
E quest'onda il poeta la sentiva
Mugghiar portando
j4lle prode Re tee l’armi d'Achille
Sovra Possa d'Ajace.
LIBRO DUODECIMO
V. za. D'Aide. DaU'inferno , casa d’Aide.
a. 8a. Non che ee. . Degli setoli Gianei (che Omero
chiama erranti ed altri dissero favoleggiarono i
|H)Cti che anticamente si menassero l'un contro l’altro con
tanta celerilà che gli uccelli stessi v'erano colti nel volo.
V. V71. D’Iperioae alfglio. Il testodice: lui la diva
Neera partorì al Sole Iperione. Esiodo (come nota lo
Scoliaste y lib. I , v. 8 } là il Sole figliuolo d'iperione ; ma
questa genealogia non {lare adottata nella }X>esia di Ornen»,
dove la voce ipenone èadoperala sempre come un semplice
c^Hteto del sole Che cammina al di sopra della terra.
LIBRO DEC1M0TER20
V. li. /f oo/e.Demodoco; o forze in generale i cantori
che non mancavano mai a’baocbetli.
V. ao. La città concorra. Cioè; Contribuisca a pagarne
il prezzo. È iMtabile ( dice la Dacier ) questo esempio di
I»rÌDcipi i quali vogliono regalare un ospite loro privalo,
alle spese di tutto il popolo , al quale perciò comandano un
tributo.
V. 1 19. La ratta nave ee. . Per compiere in una notte la
, navigazione da Corfù ad Itaca non abbisogna tutta quclln
oderitàdicui parla qui Omeru;ma è da considerare die r^U
I lia {ter una poetica finzione collocata la prima di queste isole
ncirOccano.
V. 130. Forca. Figliuolo dcU’Oceano c della Terra.
V. i44* Seppe-llito cc. . Se Ulisse fosse stato desto non
.sarebbe stato conveoicoU: ch’egli accomiatasse i remignutì
senza ufTorir loro un breve riposo nella sua casa; c quindi
non era più possibile ch’ali arrivasse soloed incoguiu*.
Questo espediente del sonno era dunque necessario, e la
necessità sola scusa quanto visi può ravvisare di assurdo e
improbabile.
V. 5ai. Del figlio in traccia ec. . Telemaco è rimasto a
S^iarta presso Menelao sin dalla fine del Ub. IVj c tutti <jue-
$ti nove oti finiti riguardano cose avvenute prima di c|ui>l
momento da cui comincia veramenta il ivieim.
Digitized by Google
X O T 72
155
LIBRO DECIMOQUARTO
V. 36. ì'idero ee. . La Dacier crede che Omero descriva
qui nume avveouto ad Llìase no cavo occorso a lui stesso.
r. 58. Ciò licito ce. . Questi versi ricordano quegli altri
di Virgilio.
Vijcit et anf^uiti snhtcrfasiigia tedi
I/if’rntern jEneam dujcii; statisque loeavit
Ejf 'ttUum foliie et pelle Liiy^stidis ursae.
LIBRO DECIMOQUINTO
V. 39. Defalt antanU ec. . Ciò a'e veduto sul lìue del
libro IV.
V. 1 79. La vergata biga. T^a biga variegata.
V. 191. Ih Giove alunno. Cosi chianumsi i represso
Omero.
V. 193. Oh 're ec.. Val quanto dire; Coailusse
colà anche Llisse mio padre f Ksrlamaaiunc naturalissima
ad un fìgiiO) c qui soprattutto, dove a Pisislrato è data
incunibeiiza di riverire Gestore suo gcnilorr.
V. 306. Pensa ec. . Telemaco e Pisulrato ( dice la I)a-
riir) erano troppo giovani j»cr arrogarsi d’iuterprvUrc da
loro un Ul giudiiio.
V. a46. Riirnermi il vecchio ec. . LVspresso comandi»
di Minerva , e il pro«ligio da Eleo» interpretato giustifìi^too
questa conilotta di Telemaco, la quale scoia di ciò parrebbe
iourl>ana e riprovevole. D.
V. a85. Filaco. Figliuolo di Dioneo re della Focitlc, e
jadre dTfUio.
V. 396. Jl Cielo ec. . Il ìc:Axì: Pose un eccelsa ma-
gione,
V. 3o4- Dalla pili avara ec. . Erifile plesò l'or una col-
Lina il luogo dove Anfiaraotenevasi celato per non andare
alla guerra di Tebe , dove saiwva che rimarrebbe ucciso.
V, 4u8. Ferrea atolta. Cosi il testo j ed c da notarsi che
la frase greca sidereo ( ferreo ) cielo , è jioi venuta anche a
noi , ma in signincaziooe diversa.
LIBIIO DECIMOSESTO
V. 4’* F nudo ec. . Fa oiscrvarc la Dacier che presso i
Greci e t Romani il letto delle priuu; nozic non serviva
mai alle seconde.
V.53. Stalli ^Jorestier, disse ee.. SoDoinlìnitiin questo
poema i luoghi dai quali sì vede manifesta la grande vene*
razione in clic gli antichi avevano gli ospiti.
V. 1 46. De" M timi su i ginocchi ec. . Cioè : questo è tut-
tora dubbioso: ed è un espressione usiUU dai poeti antichi
e propria dellanlica mitologia.
V. 179. h'armigera Dea. Minerva.
V. 348. In lagrime ee.. La Dacier cita a questo luogo
quel posso della Genesi : Elevavìtque (Joseph) oocerne/wn
Jletu, quam audÀerunt £gjptii omnisque donais Pha-
raonis.
V. 3.^9. Celerò il vero ee. . Elisse finora avea dato sem-
pre a tutti menzognere risposte; ap|>arct-chi:iDdosiora a dire
il vero , è ben naturale che il poeta awertisca il lettore dì
questa novità.
ODISSEA
LIBRO DECIMOSETTIMO.
V. 4^. Pari a Diana ee. . Cioè casta come Diana , e bella
come Venere.
V. 53. Dietro alla fama ee. . Ovidio dice in questo pro-
posito:
lite per insidias pene est mihi niiper ademptus
Dum parai ^ invitis omnibu.t , ire Pj'lon.
V. 73. Penelope ee. . Facea voto di sagrificare cento buoi
( nn' Ecatomlte ) a ciascun Dio.
V. 353. Mclanzio ee. . Questo capra jo rappresenti in se
la dannosa corruzione de 'servì che accelera e compie U ro-
vina delle famiglie disordinate : c tutto il dialogo è di tanta
vivezza die fluirebbe servir di modello agli scrittori dram-
matici.
V. 397. OA^oA ee. .Melanziodk il nome di jeo//rv Ca-
ne, ad Eumeo; e so{^iunge per ironia, che puicb'csso è si
astuto converrebbe valersi di lui uonpiùcume[iorcaio,ma
ai come guidator di una nave speibta a raccoglier ricchezze*
V. t)oi. Il nume ee.. Apollo.
V. (>58. Ruppe in un alto ee. . Gli antichi annoveravano
lo starnuto fra le cose di buon augurio ; c solevano anch'essi
dire a chi starnutiva. Giove ti salvi.
LIBRO DECIMOTTAVO
V. 9. Irò. L' noto che Iri o Iride si chiamava la messag-
gìera degli Dei.
V. 16. jimmiccar. Far cenno c<^lì occhi.
V. 68. Ma voiec.. Ulisse teme a ragione (diceU Dacier)
ebei Proci intenti a divorar essi come padroni ogni cosa,
non diano favore aU’ospite straniero contro il domestico.
V. 1 o4- Di questo Eebeto crudelissimo tiranuodeil'Epiro
non trovasi menzione presso gli stc^ci. Divìcn quindi assai
più probabile la tradizione, che Omero sotto questo nom«
abbia voluto infumare presso la posterità qualche suocon-
temporaneo.
V. 44®- A'onèee. .Eustazioossenrachene’versiscgueBti
Omero ci ha lasciato il più antico modello dalla poesia sa-
tirica.
LIBRO DECIMONONO
V. 39. Gineceo. L'appartamento destinato alle donne.
V. 65. Pari a Diana ee. . Questo verso di duplice loda
s’incontra anche tn alcuni altri luoghi del poema , e già sic
notato nel libro XVII.
V. Ila. Cagna. faeeiata. Questi è veramente Tespres-
sionc del testo, la Dacier traduce iuyoxinsolente: ma trop-
|>e sarebbero le modificizioni da farsi , chi volesse ridurre
le anticlic poesie dentro ì confini della gentilezza moderna;
cd allora come {>olrebberu ^xii trovarsi d'accordo illinguag-
giu c le costumanze ?
V. 3<)o. Ulisse intanio.ee.. H pericolo in cui Ulisse
si trova giustifica in gran porte la veemenza <U questi modi
e di queste minacce. D.
V. 63a. Di Pandaro ec.. Secondo la comune dei poeti
Filomela fu figliuola di Tcrco c sorella di Progne. Secondo
Omero essa è figliuola di Pindaro : si nomò prima Aedone,
ed uccise per errore Iti che una sorella di lei aveva parto-
rito a Zeto (rateilo di Anfione.
37
Digitized by Google
j3^ Is O
X. 6qo. Degli aerei sogni ee. CiXi Virgilio:
Simt geminae somiii portati , quariun altera ferunt
Cornea , (^ua veris facilrs datiir exitus umbris ,
Altertx , canderUi perfetta nitens elephante ,
Sedfalsa ad coelum rnittunt insontnia Maiies.
LIBRO VENTESIMO
V. 6j. 4SÌ? cinquanta ee. . La Dacìer cita a qu«to luogo
quel detto del SalmisUi: Siconsistunt cuU>ersuni me ca-
stra f non timebit cor menm.
X. 85. le Pandaridi. Mc«|»e, Cleotóra e Aeodooe fi-
gliuole di Pandaro.
V. pa. Àrtemi. Diana.
T. 366. Rwo sardonico. Cosi anche il testo^ «ì è noto
quel ch’s’inlcotLi |ier riso sardonico. In quanto allWigitic
di questa o-sprcsslone racojntasi fra le altre cose esservi stala
nella Sardegna l’usanza di uccidere tutti i vecchi die ollre-
jxissavanoi sessant’aiuii, obbligandoli a ridere nell atto che
erano uccisi.
LIBRO VENTESIMOPRIMO
T. 361. lapiti e Centauri ec.. Piritoo unude’Lapìti
mariUmlosi a I|>p«.tlaniia figliuola di Adrasto invitò alle
nozze gli altri Lajiili e iCcnUmri. Questi ultimi aveudoLc-
YuUi eccessivamente fecero nascere una rissa che mando sos-
snpra il banchetto e uc fra-siornò tutta la letizia; d'omle Ura-
sio jioi disse ^
At rw/jui.t modici munera Liberi
Centatirra monet cum Lapithis rixa super mero
Debellata.
Il primo \toi a provocar questa rissa fu il centauro Euriiio-
»e * mentovalo qui da Omero.
V. 5o6. Traea seduto. La Dacicr nota che Omero rap-
presentandoci Ulisse seduto , ha voluto mostrare l.i somma
Lcilità con cui egli sostenne questa provala cui le fmzc dei
Proci non erano bastate.
LIBRO VENTESIMOSECONDO
V. 56. Quando li vera ee. . I morti (dice piacevolmente
la Dacier ) hanno sempre il torto i e perciò Euriuiaco river-
sa la coljia di tutti i muli ùlti dai Proci nella casa di L liasc
«opra il solo Anlìwx) , che già è tolto di vita.
V. 1 14‘ Il prevenne ec.. Ad Eustazio non piace che Te-
lemaco ferisca nel tergo Anfinomò , )iareadogli clte t vaio-
firai debbano assalir sempre di fronte il nemico. La Dacici-
lo scusa) dicendo che in un combattimento cosi ineguale
i.oD è sempre necessario di osservare tutta quella delicatezza
che ti richiede nei ducUi. Potrebbe aggiuDgersi ancora che
T E
nel pericolo dei padre , Telemaco non jHJlcva punto esitare
su quello che fosse da farsi.
V. 3aa. Amici disse ee. . Anche qui la Dacicr cita quel
lui^o dei Paralìp[X)Uiem : Rex auter/i Sjrn'ae praecrpe-
rat dncibus equitaius suì,dicens: Nepugnetis cantra
minimum aut cantra maximum^ nisi contm solar» rvgent
Israel.la generale è una n*gola ue\'Ouibaltiuiculi di wtU-
nare ai soldati di volgersi contro coloro che più ixissouo iia-
|)odir la vittoria.
V. 5o8. Qual par leone ec.. Io questo luogo osserva
Eustazio che le iimiìitudi ni Unto frequenti neiriliadc sono
invece rarissime ncirOdissea ^ ciòche procededalia diveisa
natura degli arguuiculi.
a. 558. Xrt piccola torre. Propriamente il ro?o,ethfi-
zio rotondo e fioìenle in un comignolo, destiuato a ripoivi
gU ulcoailicasdlinglii.
LIBRO VENTESIMOTERZO
V. a3. Io mai ec. . Eustazio dice che Omero accenna que-
sta cin»stanza di un sonno più profondo del consueto i»er
rendere veriaìmilc che PeneloiH: non tósse svegliaU ihd
grande schiamazzo che la balUglia coi Proci aveva dovuto
produrre.
V.79, Un Nume ec.. Coex Omero dalla incrctlulUa di
Penelope trae argomento nuova lode ad Ulisse j quau«lo
la vittoria da Ini riporlaLa e creduta superiore a tuLUj
quanto un uomo può faro , e degna solo d un Nume. D.
V. 198. Kida lavacri ee. . Tutto quellocbeOmeroviene
dicendo di qui innanzi fino all abbracciamento di Penelope
c-on Ulisse è condotto con artificio luirabilc» c suol esser
citato ad esempio de 'cosi delti riconoscimenti.
V, 3ao. Tiresia. Celebre indovino.
LIBRO VENTESIMOQUARTO
V. I Mercurio ec. . Una sola os-scrvazione par necessaria
inlornoa questo libro, cioè che Omero vi ha comprese al-
cune rose le quali uon potevano entrar ndllUade , sebbene
siano il compimento della storia di quel iK>eina. Può notarsi
eziandio che se largomenlo «leU’Odissca fusa* il ritorno di
un privato e il suo riconoscimento, lutto questo libro p..-
Irobbc [varere soverchio j nia trattandosi di un princi|»e , la
storia del suo ritorno finisce sol quando egli abbia ripi-
gliata nel proprio |iaC8e la signoria di prima ; [lerciò questo
libro dove si racconta la vittoria di Ulisse siq^ra la fiiziouc
di Antinoo , è una \tarte essenziale dei poema. Sì aggiunga
cb’essu ci ia uonosccre alcune cose assai iutcre$.<iaDli ri-
guardo alla teologia ^lagana od omerica. Del resto i |ierso-
naggi dei quali [«aria, c i fatti a cui allude sono tutti di
fàcile iotelligcuza a chi ha letti i due poemi.
Digilized by Google
INDICE
Il numrro romano imUcn il libro, l'nrabico il rtrio
A
AcasloXlV.4''*-
Acheronte, fiume inCTiMle.X,fi3S. _ ,
Achillo , figlm <*> 1 ' l""'
111 1/(0. V, 39Ù. Vili, ()<). U !UU animu l«rU cou
liliie M , 591 . Comesi iwr le sue armi,0K3. liinmlro
rtella »ua anima cu. quelle ae'l'roci , e a Aga.nc.mone,
XXlV,aieaeg.
A croni'O. viii,i46-
Afia;ml«.X\IV,3»8.
Agauicam.ue , actto Auitle. Ili , 10. .Sua morte, .^17
c SCR. Xl,5a3. XIII, 448. Sua anima con qucUad’Achil-
Ic. XXIV, j6 c seg. Le narra le sue esequie, 5t)c«T;-
Ricorda U tradimento d’Egbto, i3o. Parla all auimad An-
fimeilonte, i4l. Lmia L’Usue e Pcnelode , 349 e
AgelaojCSorU Telemaco a tar ai cIk- la madre ti riina-
rili. XX, 4u4. Kinchiuso con gli altri Proci, tenia ili
muovere il i«opolo a rumore. XXII. l63 eseg. Sgrida Mi-
uer%a,cr«lendula McnUire, 36j.UIÌMe lo uccide, 3(U.
Ajacc d'OilA). IH, i4o- Affogato iu mare. IV, 639.
L'iistc ne vede l'anima ncinnlcriu».
Ajace di Telamone XI , 680 c scg. . |
Alcinfa», re dc'Feaci. VI, 17. Suo |wlaa*o. VII, 1 1 1-
RircveL'liMe. VH, 3a3. Parlai, lenU co Eeaci sopra Llisse
■Vili, 6. Celebra i giuochi , i3o. Ordina a'capi deT«m
il regalo da farsi a disse , SaS. E alla moglie di appresUrc
una cassa per ri|H,rvi i regali, 5Ga. Domanila L liste del*
Tesser suo, 717. E se abbia wluto neUlnfernoalruno de*
suoi corapgni nella guerra di Troja. XI , 477- .Sentito ila
LUissc il raocwito dc'suoi casi gli <ià un altro regalo. XII I,
1 6. Sagrifica un bue a Giove , 35. Fa distribuire lU l vino
a lutti i Feaci, che Ubano a Giove suj»plicandolo pel buon
viaggio d’UlUse,69. Accoinj«gna IjUsse fino alla nave, 83.
"Vede la nave, retlucedairavercaccomjagnatn UUtae, fer-
niatn in mare da X^cttuno , e mostra a'coiupaguì verificato
Un antico pronostico , 3 1 o ■
Alcmcna: sua aniiiu veduta ,la Ulisse. XI , 34>.
Alcroeóne, figliuolo d'Anfiarao. XV,.3o3.
Alfi^v, figliuolo di Dìocle. IH ,637. XV, 339.
AlibunU*. XXIV', 38g.
Alio , figliuolo d’Alciiioo : balla. Vili , 1 56 , 496.
Alilerse, figlio di Maslore, spiega a’Prori laugurio
delle due aquile mandate da Giove. Il , 3oa e scg. Euri*
maco locootn«ldice, 3 35. Telemaco. s,ansandoi Proci, va
da lui come amico |«terno. XVII, 85. Parla a faviM
d'UUsse nell asscuiblca degli Ilaccsi. XXIV , 573 c $c*g.
Aloéo. XI,4of».
Amfialu. VHI, 149.
Amfilrione. XI , 343.
Amitaone. Xl,33a.
.Amniso. Ivi e la grotta d'Eitia. XIX , s33.
Anabesiuw. Vili, i49-
Aucbialu. Vili, i47*
Aiidremone, |,adre di Toante. XIV, 596.
Anfiarao. XV,3ooeseg.
Aiifllocn. XV,3o3.
Anfimedonte, figlio di Melantio, unode’Proci r AgrUo
Io eonfortaa dtfendersida Ulisse.XXl l,3o7. Ferisce TpU**
maco leggiermente, ed e du lui uccìso, 35u. Sua anima
raoroota ad Agamvunune resterminiu de’Prod. XXIV,
iGocseg.
Anfioomo , uno de'Proct : vede la nave di Telemaco , già
tornato da cercar,* il padre. XVI , 38o. Hisponde ad Aulì-
noo, 4^8. Hegula due |uni a Llbse. XV IH, l5o. Alle
sue ginocchia sede Ulisse, quando Eurimacu gli fu sopra
con UDO sgabello, 487. Arringa a lavor deU'isicsso, 5i i •
Spiega raiigurio dell'aquila edella colomba. XX, 399. E
ucciso «U Telemaro. XXH, 1 15.
Aniìone. XI, 337,
Anflone. XI, 363.
Anlìtéa, avola d'UIisse. XIX , 5lo.
Anfilrile. XH , 80 , I a8.
Autìclcu figlia d'Autolico. XI, i (4*
Antifiile, la»trigoue. Sua figlia interrogata da'com{«gni
d'Llisse. X , t38. Uccide uiiutii loro, i53. Sua memoria
attrista gli altri compagni, 367 cscg. .
Antifate , fratello di Manlio e padre d'Oich'*o. XV, 198
Antifo. Telemaco va presso lui fuggendo da'Pruei
XVH,85.
Anliloco, figliodi Nestore, morto a Troja. Ili , i4s
Sua .mima è velluta lii U Ussc. XI , ,5<)3. Sue ossa riposte
con quellcd'.Acbillee di Patroclo. XXI V' ,107.
AntiuiKi' sua rùiKKla a Telenuco. Il, 109. Gli trama
insidie. IV , 796 e seg. . Si stupisce del ritornato Telemaco,
e pro)M>ne di ammauarlo. X VI, 4oi escg.. Esgridatoda
Peueloiw ,44^® cgb il PiU'caro , perchè aveva
coodoUo UUssc ad luca. XVII , 4^^* Risponde risentito
a Telemaco « minaccia Ulisse, 497- [wrcuote , 563.
Stimola Ulisse ed Irò a battersi. X Vin,5a.Mi»nccia Irò
che paventava del cimento , i o l e scg. . Ricala Ulisse d'ua
ventriglio, 1 4^ ® **(?• • consiglio a Penelojic 353. Cc.<i-
forta i Pnxù a soffrire il severo parlare di Telemaco. XX,
3a8. Ha speranta di vincere nel gioco dcirarco. XXI, 1 iG.
luiiwne a'Proci che jwr oniiiic cumincioo il giuooi , 1 75.
Riprende Lcode , perchè non jx>lè lemlcrc l'arco d'UUsse,
3u4‘ Comanda a Mclanziu che scaldi l’unto per facilitare
la lesa dcirarco, 3i3. Pro|Hjne differire allallro giorno il
giuoco fléli'aroj , e di sagrificare ad A|k)Uo arciero , 3o5. e
joqj.. Brava Ulisse per aver chiesto l’arco, 34*. E uociao
da Ulisse XXII, 19.
Antio|ia. XI, 33.5.
Apollo : uccise il piloto di Menelao. Ili, 364- Suo vati-
Digitized by Google
i3j IN]
dolo. Vili , 98. Uccise Eurito per averlo provocato a
saettare, 3o 3. ^el consìglio degli Dei parlaa Mercurio 45 1 .
Maestro de 'cantori, 6a8 e seg. . Sparviere, uccelloalui
sacro. XV, 653. È pregato da Mclanzio che ferisca Tele-
xnaco. XVII, 3o3. È invocato da Telemaco contro a'Proci
XVUI,394.
Arcesio. XIV, a 16. XVI, i3i.
Arete, moglie d’Alcinoo manifestata da Minerva aTJUsse
VII , 68. Per comando d* Alcinoo dà una cassa a Ulisse da
riporvi i regali. V III , 56a. Dice a'Feaci che Ulisse c suo
f«pite.XI, 44^- Ulisse le presenta unacopimdi rioo.XIII,
^5. Manda alcune donne condiversi oggetti mentr 'egli s av-
via alla nave , 84 e seg.
Areto. III.5a3.
Aretusa : sua fonte. XIII’, 47J).
Argo, riconosce Ulisse suo padrone dopo venti anni.
XVII. 35o. Muore , 3^7.
Argo, città. IH, 334. XV, 100, 394. XVIII, 3o6.
XXI, i33. XXIV, 47.
Argo , uomo di cento occhi: Mercurio, per averlo ucciso,
soprannominato Argicida. 1 , 56. Sua nave XII , y3.
Arianna. XI, 430.
Aribantc Sidonio. XV, 533.
Arpia. XIV, 439. XX, 100.
Artacia,X, 139.
Aslalione, servo di Menelao. IV, a8o.
Asopo , padre d'Aolio|ia. XI , 335.
Atene XI, 433.
Atrèo. XI, 553.
Altoride. XXni,285.
Aurora, rapila da dito. XV, 3o6.
AutolicOjCgliodi Mercurioe|ìadrc di Penelope. XI, 1 15.
XIX, 484. XXIV, 4a3.
Autouoe. XV11I,337.
B
Bscco. XI , 435. Anfora d oro donata da lui alla madre
d'AchUlc. XXIV, 103.
Boote. V, 35o.
Borea. XIV, agS, 566. XIX, 638.
C
Cadméì, popoli XI, 355.
Calipso, ritiene Ulisse che non tomi a casa. I, sS. IV
698, V, 17. Sua isola 71. Congeda Ulisse, 307. Giuiadi
non gli fare alcun male , s33 c seg. .Cour’cHa trattò Ulisse
nell’isola Ogigia, VII, 3o8 c seg.. VIU, 589 e seg.
IX , 36. Predisse ad Ulisse Tiogiuria che i suoi rom{ugui
avrebbero fatta al Sole. Xll , 496 e seg. . Lo accoglie dnjio
il naufragio, 585. XVll, 170. Bacconto di Ulisse a Pe-
nelope sopra la dimora ch’egli fece con Calipso. XXIII,
435 e seg..
Cariddi. XII, i36,3o9.343 554. XXIII, 430.
Cassandra , figlia di Priamo. XI , 536.
Castoro, figliuolo di Tindaro e di Leda. XI ,391.
Castoro llacide. XIV, a38.
Gefaleni, popoli. XX, 360. XXIV, 479, 545.
Cerere : (atto di lei con Giasone. V, i63.
Olio, iiola. III, 3ig.
ICE ^
Ciclopi: loro superbia, VI, 6. Dove abitavau», 5.
Messi al jari co’GiganU. VII, 36S. Loro costumi, ix]
134 e seg. . Soccorrono Polifeoio, 519.
Ciconi , po{K>li domali da Ulisse IX, 4?j ?5 309.
Cidoniì popoli. Ili, 376, XIX, 318.
Cimmerii , popoli. X 1 , 1 8.
Cipro isola. Vili, 484. XVII , 537.
Circe ; istruzione tlalu da lei a Ulisse. Vili, 593. È ri- ”
tenuto da lei. IX, 38. Alla sua isola ( Eéa ) , giunge Ulis-
se. X, 178. Incanta i coiii|Kigm d’Ulissc,3lo. Ulisse maucfit
a lei ì suoi cotupgui per seppellire Klpenore XII , 1 1 . Dà
loro da mangiare, c predice ad Ulisse alcuni pericoli , 49.
Si congetla da luì, 188. Suo comandamento dimenticato
da Ulisse, 396.8001 vaticinii palesati da Uliise ai coiii|>a-
gni,35l . Suo fatto raccontato da Ulisse a Penelo^ic. XXilX,
393 e seg. .
Citerà, IX, 104.
Climene, veduta da Ulisse neirinfcrno. XI, 497.
dimeno, padre d'Euridice. Ili , 576.
Clitennestra,moglied’Agamennone. III,3o3. XI, 537 .
Clito: rapì l'Aurora. XV, 3o6. e seg. .
dito : riceve in consegna i regali fatti da Alcinoo a Te-
lemaco. XVI . 349 e 35o,
Clitonéo, figliod’Alcinoo. Vili, 157.
dori, moglie dì Neléo. XI , 365.
Cocìto , fiume infernale. X , 638.
Cratei , madre di Scilla. XII , i6f .
Creonte, padre di Mcgara. XI, 345.
Creta, isola. IH, 347,375. XI , 431. XIII, 3o5. XIV,
s35, 373 ,355. XVI , 74. XVlI, 637. Ila novanta città :
sua descrizione, XIX, 33o , 4l3.
Cretéo. XI , 3o3.
Cromio. XI ,370.
Ctesio. XV, 5i4-
Clesippo.XX, 37 1 . Sgraffia coH’arme Eumco,ed è ucciso
da Filezio. XXII , 353.
Ctimcnc, figlia di Lacrlc. XV , 45a.
D
Damastorc , padre d’Agelao. XX , 390.
Dcuielore, tìglio dTaso, re di Cipro. XVII, .536.
Dcmoiloco , cantore. yill,5a. Cauta d’Ulisse, p<*i di
Marte c Venere, 35a. K regalato a mensa da Ulisse, 638.
Canta del cavallo di Troia, 647. Cauta nella («arlcuza
tl'Ulisse da Alcinoo. Xlll , 4o.
Domoptolemo. XXII, 3oi.
Dcucaliouc , Jiadrc d’Idomcnéo. XIX, 3s3.
Diana. XI, 334,4^4 693. XVU , 45- È pre-
gata da Peneloi>e. XX , lo4.
• Dioclc , re di Fera, riceve Telemaco. Ili, 636
XV, 338.
Diomede, figlio di Tidéo. Ili, 3i5.
Dite o Èrebo, regioue infornale. XI, 793. XXIII,
333, 4i3.
Dodona. XIV, 391. Oracolo lU Giove. XIX, 36a,
Dolio, 8cr\^ di I.aertc. XXIV, agS.
Dolio, padre di Melanzio. XVII , a5a.
Dorii, popoli di Creta. XIX, 319.
Dulichio (luogo). IX, 39. XIV, 4^**» 47'^' XVI,
i37 , 383, 495. WHI . 157 , XIX, 159 . 357.
Digitized by Coogle
indice
i53
K
Ebe. XI,763.
EcbiTruoe. HI, 533.
E*'lieQ(X) , il l'ìù aDziuoo dc’Fcaci. VII, 309. \I, 447
Echelo. re d'£pu~u, aUtr[iuUire XV lllj lu4,
i43.X\l,3tì7.
Edi^x). XI , 35o.
Eéa, isola. X , 17B. XII , 3.
£cta, fratrllu di Circe. X, 181.
Egisto uitide AgajuenDuuc . 1,53. Questo làlUi c rar-
conLitoda X’estore a Telemaco. Ili ,3o3. È urriso da Ore-
ste, 33a. Suo tradimento narrato dal veglio inanità. 1 V ,
656 c si^.. Anime degli uccisi io sua casa a[ipr«*ad l.lisse
con quella d’Agameonone. XI, 49^ ■ D’anima d’A-
gameuuuDC tte rauiuu’UJurailtradimcutuaquelJad'AiJliiile
XXIV, io6e scg..
Egitto. XIV , 387 , 3a3. XVII , 5i 5 e scg. .
I^uii , jio|K)li. IV, 107. XV 11 , 5a3.
Egisio . |tìdre d’ Antifo. LI , 3 1 e seg. .
EUto, uiiode'Pryci . ucciso da Euiucu. XXII , Big.
Elealrm. Vili,
Elcna, figlia di Giove, moglie di MeneUn: dopo aver
partorita Erm«jnc,<livcnne sterile. IV , 16. Viene doveù
il iiiaritu e Telemaco, i .57. A.ssisa wl suo lavoro |«irb con
Menelao di Telemaco 1 77. Piange io ravvisarlo , 339. Me-
Ac-oU il ncj’cnte col vino j»er tor via ogni tristotsa dagli af-
tìitli , a83. Narra alcuni fatti d’UHsse nella guerra trojana,
3io. Fa preparare i letti j>er Tclemaw» cPisistnito,378.
Caitta della morte di molli. XI , 554. E perciò maledetta
da Eunuk». XIV, 84- Cava fuori un b(dlis<iimo velo lavo-
rato. XV , i3a. Ibjiia un pploa Teiemaoj, i54. Spiegai!
vaticinio dellaquiU, 309.PI riferito da Telemaco a Penc-
lo|«,es.ser ella stata veduta da lui. XV H , i44 Penelo{« la
cita in esempio ad lilisse. XXliij, 373 es«‘g.
Elide. Xm,335. XV,36S. XM , 4i3. XXI V, 547.
P3isio( campo). IV ,706.
Kllada,citlà.XI,633.
£lles(H>ntu: sulla «ua spiaggia fu Citta la tonilu a* Greci
morti a Troia. XXIV , 112.
Eljìenore: sua morte. X, 683. Sua anima ap^iaread Ulis-
se , 68. E se|K>ltu. XII , 30.
Enipéo( fiume). Xi,3o5.
Euo|>e , (udre di Leodc. XXI, 178.
Eolia, isola. X, I.
Eolo : r^la Ulisse d'uo otre pieno di venti. IX , 39.
XXUI, 399.
Epi'i, popoli abitatori d'Elide. XIII, .126, XV, 36g,
XXIV, 547.
Epco, làbbricatore del ca V’alio trojanu. VT 1 1 ,648. X 1 ,657 .
imperito, nome preso da Ulisse per farsi cmlerc figlio
d’ABdantc re d’Alibante. XXI V ,.390.
Epicasta , madre d’Edipo. X l , 348.
Epiro. XIV, 1 34- XVI II , 104. XXI, i33.
Ercole. Vili, 396. XI, 346. Sua auima, veduta da
Ulisse in compgnia d’EbenellTuIcruo, 759cscg.. Uccise
Ilìlo. XXI , 3o c st^f.
Erembi. IV, I08.
ErelmiH) . V 1 1 1 , 1 48.
Eretlw) Alcuicse; Minerva nella casa di lui. VII, io.5,
Krilìle. XI, 4^^‘
Erimanto, monte- VI, 147-
Krmióne, 6gIiuoU d’KIcna. IV, i8.
Eriiiiii, Furia. XV, 388.
Esuue, figlio di Crcteec di Tiro. XI , 33i.
Eteuw: y. Eclieneu.
Kto>oi^ figlio di Boele, servo di MeneUu. IV, 49*^^
1 15, 175.
Etune, nome preso da tllinse per fìngersi a Pene-
lope figlio di Deitcaliimc , figlio di Minosse re di Creta.
\IX.334.
Piubt'-a. VII, 4n9*
Kumik), porcaro d'UIisse. XIV, 4. Dà da mangiare al
p idrone creduto un forestiero ,100 scg. . Narra i CitU de*
Proci ij3. Oumauda a Ulisse cbi egli sia, 333. Sagrifira
un l'orco, 499. Ciunsìglia Ulisse a non jartirsi da lui. XV
^|u4. Gli narra la sua etmdizione, 490 cscg.. Actxiglie
con festa Telemaro. XVT , 16. Avvisa P«neIo|>e del ritorno
del figlinolo, 36u. Torna ad Ulisse ed a Telemaco, 489 >
Conduce UlÌ!>sc alla città. XVTl, 335.£ seg.. ÈuuUratLaUt
da Melouaio caprajo d’UlUsc, 3D9. Porta vivande e or-
dini ad Ulis.se da parte di Telemaco, E sgridato «la
AnUnoo,457. Avvisa Ulwsc clic vada da PcuelojKijGóg.
Si licenzia daTeletnam, 7*4 - IXmianda a Ulisse, come
sia risi»cUaUMla‘Proci. XX, aio. Prega gli Dei che torni
Ulisse, a83. Reca l’arco a’Proci. X\i, i8. M««tra a
Ulisse il desiderio ebe Iwcb’egli torni, i46. Ia> rit»nosce,
367. Riceve ordine da lui di dargli il suo ano, c Gtr ser-
rare «falle donne tutte le porle di casa , 381 . V. ikmIo alU
guarda d’uoa |»orU. X.Xll, lÓa. Trova Melausio nell*
.stanza «lelParmadurc , e i>er ordine d’L li.s»e lo «..■.ivniic al
|»al<x) a35. Uccide Elato, 329. E sgraffiato daUuaip|>o,
c |icrcuotc Polibo, 343. Con Teiema«x) e Filezio impi«v.a
le d«>une malvage coinaudaudolo Ulisse, 60I. Gli ilc'«si
latmostraziodi Mclauzio,6o3. Fa restare il ballo. XX IH,
374* Parte con Uli«e d.iUa città, 476.
Eupitc, ladre d’Antiuoo: esorta grilaccsi a vcn«li<5irsi
di UIi«se per ruccisioue de 'Proci. XXIV. 5.15. Una (arte
dcgl ltacesi, lo segue, .591. E ucciso«laIoiert«,6fÌ3-
Euriade, uuudc’Proci .’c uccìso«la Telcimnxi.XXU, 3 39.
Eurialo, vince alla lotta. V HI, 168- Fa che Laoda-
mante sfidi Ulisse a provarsi uè 'giuochi, e di poi egli stesso
uiiTtlragU uou lo stimare in quclPairarc j onde Ulisse se ne
riscute, ao3. Gli è imposto da Alcinoo die afqiiacevolisca
con larolcecon doni Ulisse, 530.
Euribate , servo d’UIisse , gobbo. XIX, 3o9-
Euricb'a , fìgiiiuita d’Opi , figlio di Pisenore, comprata
«la Laerlc al ji?e7xo di venti buoi , cd onorata c couscrvaU
intatU ; balia d’UIisse. 1 , 348. Piange per la partenza di
'IVlamaco, 453. Coosola)Penelope, afflitta |k?I figlio.lV,
q34’ Xa incontro a Tel«!maco. XVH. 38. Lo loda , perche
comincia a prender cura dcirarmi dclpa«lre..XlX,:!y .Lava
i piedi ad Ulisse, 470. Lo riconosce , 574. M«wlra a Tele-
maco che Ulisse è stali» trattato bene da PeoelojK' ^ c di poi
dà alcuni ordini alle donne di casa. XX, 175. Chiude le
porle del palazzo. XXI, 4^3. Rivela a Ulisse quali donne
in sua cisa aleno state ree. XXll, 5a8. Porta zolfo ad
Ulisse |»er mon«bire b casa,635. Avvisa Peiiebipe ebe è
liirnato Ulisse ed ba uecìso i Proci. XXIII, i. Apparec-
chia per Online di Pcuelope il letto a«l Ulisse, 3i7eseg.
r,uriiUiiiante, uno de 'Proci ; suo regalo a Penebpe.
W HI, 366.
Digilized by Google
i34 I N D
figlia di Ciimcno, moglie di Nestore. I II, 57.1.
Eurìloco: gU tocca io sorte landare , a spiare l'isoLi di
Circe. X, 365. Disluglie gli altri compagui daliaodare
da Circe, e<l è minacciato da (Jlisse , 5^' e scg. . Tiene
le vittime pel sacrifizio. XI, 3Q. Lega Ulisse mentre passa
dalle Sirene. XII, a6a. Vuole smontare con gli altri
comjiagni neirisulu del Sole, 36o e sog. . Li consiglia
che nc ammazzino le vacche, 44^* K lulmiuato insieme
cogli altri da Giove, 536.
Eurimacu , contraddice aib dichiarazione dciraugurio
fatta da AUtersc. Il, aa6 e scg. . A lui il padre cd i fra-
telli vogliono rimaritare l*encloi>e. XV, a4- Oli c in-
viato Teoclimeno da Telemaco dopo il suo ritorno, 643.
Dà avviso a’Proci del ritorno di Telemaco. XVI, 3yo.
Ama Mclanzio. XVII, 3lo. Eletto da Tcleiuaco ad ap-
provare il suo parere nel fatto dTro. XVIII , 73 c scg. .
Loda Penelope, 3o5. Suo regalo a lei, 363. Amante di
Melanto, 4^^ ^ * Motteggia Ulisse, 443- Lo vuol
colpire, l'on uno sgabello , 467. Vuol cacciare dal palazzo
d'Ulisse Telemaco. XX, 44<^ ^ lagna di non [xv-
ler tendere Parco d’Ulis-se. XX 392. Mostra a Penelope il
disonore che risulterebbe à’Proci, se Ulisse tendesse Parco.
3Sl. Cerca placare Ulisse XXll , 55. Cou&iglia i Com-
pagni a combatterlo) resta ucciso, 100.
Eurimedusa , ancclb di Nausica. VII, ii.
Eurinome, dispensiera di Penclo]w : impreca a'Proci.
XVII, 6o3. Consola Penelo|>e. XVIII, aia. Reca una
sedia per Ulisse. XIX, 118. GetU im panno sopra lui,
che dormiva. XX, 6. Lo lava. XXllI , io3. Gli prepara
U letto, 363.
Eurinorao , XXII, 33o.
Euripilo, figliuolo di Tclefo, ucciso a Troja. XI,65o.
Euro. XIX , a5H.
Eurito, Ucciso da Apollo. Vili, 396 e seg. .
Eurìzione. XXI, 35o.
Evanti-o. IX, aSo.
Evenore. 1 1 ,3oa. XXII ,368.
F
Faetusa. XII, 171.
Fca, KFera.
Feaci, dominati da Alcinoo. VI, 3. XI, 436. Sono m
ira a Nettuno per aver ricondotto a casa Ulisse. Xlll,
i8a. Nominati, SS;. XVI, a6o. XIX, 345.
P'ebo. r. Apollo.
Fedra; sua anima \‘edutadaUllis5cnellTufcrno.Xl/|ao.
Femio, mitiga i Proci, col canto. I , aia XVII, 3l8
e scg. . Domanda la viu ad Ulisse. XXII, 419. Prega per
lui Telemaco, 453.
Fenicii. XIII, 3aa. XV, 587.
Fenicia. XIV, 343-
Fera, o Fca, città. III, 6a5. XV, 137,367.
Ferete. XI . 33i.
Fetonte , preso pel Sole. XXIII, 3 1 3.
FHlnae,rede’Tcsproti. XIV, 376. XIX, 353.
Filaco. X V, a85.
Filezio, bifulco d'Ulisse : non conosoindolo , manifesta
il suo sentimento sopra lui ed i Proci. XX, a33. Distribui-
sce il |unc a'Proci, 3 IO. Mostra desiderio che ritorni il |m-
dronc. XXI, s4‘- U» riconosce, 349 Per ordine <b lui
ICE
serra le porte del palazzo, 287. Insieme con Kumeo sc-
-sjiende Mclanzio al jxiloo. X.XII , a35. Uccide Pisaudru,
33o. Percuote Ctesippo,353 Nominato, 574-
Filomelide: vinto di Ulisse. XVII, 159.
FilottetePcanzio, figlio di Achille. Ili, 346. Valente
Urator d'arco. Vili, 390.
Forcine, e Forco) vecchio marino. Xlll, tao, 4*^4>
Ftia (città). XI, 6a3.
G
Geresto (luogo). HI , 339.
Gia.sone; passa da Scilla e Cariddi. XII ,97.
Giganti, ^11,269. Loro impresa dì jiorrei monti Puno
sopra l'allro. XI, 4i5.
Giove, figlio di Saturno, detto anche Saturnio. 1 , 16.
Suo parlamento con gli altri Dei, 43» Udito il parlar di
Minerva pel ritcrno d’Ulisse, determina die sia esaudita
93. £ autore delPinrenziotii dc'{>octi, 453. Manda due
arcuile per buono augurio a Telemaco nel parlimeiito de'
Proci. II, 190. Manda tempesta a ULìsse c a'suoi com[Ki-
gni. IX , 65. Detto Ospitale , 343. Di lui non curano i Ci-
clopi, 349. Da Antiojia genera Anfiune e Zelo. XI, 335
e seg. . Padre d’Ebe , ;63. Promette al Sole di vendicarlo
da'compagni d'Ulisse. XII ,49^* F ulmina la naved' U Usse,
e tutti sì ili.spnrdooo , 536. Gli è fatto sagrifizio d'un bue
da Alcinoo. Xlll, 35. E supplicato da *FeacÌ pel buon viag-
gio di Ulisse,70. Permette a Nettuno che fàccia impietrire
la nave de'P'caci che aveva ricondotto Ulisse alla ptria,
199 e seg.. Fulmine scagliato da lui nella nave d'Ulisse.
XIV, 366. Suo oracolo a Dodona. XIX, 36a. Manda du>
plicato augurio ad Ulisse, che ne Io ave\'a richiesto. XX,
la4. Pregato da Minerva, si mostra favorevole ad Ulisse,
XXIV, 606. Scaglia un fulmine avanti Minerva, accior-
diè faccia fermare Ulisse dal combattimento cogli lUi-
cesi, 684.
Circa, scoglio di mare. IV , 634.
. Giunone , iiuiglie dì Giove ; saU'a Menelao dalla tciupe-
sta. IV ,641. Madre d'Ebe. XI , 763. Fa jxi&sar libera la
nave d'Argo da Scilla e Curùkli [wramur di Giasone. XIX.,
9<^'97-
Gnosso, città iti Creta. XIX, aao.
Gorgone. XI , Sua.
Gurlina, città di Creta. III, 379.
I
Icario ) [«lire di Peneloiie. XI , 563.
Icmuli» .XIX , 68.
Idoiueuco, padre d’Orsilocu. XIII , 3lo. XIV , 377 ,
454- Fra figlio di Deucalitme. XIX, aafi.
Idott-a , figlia del Veglio marino ossia di Proteo; insegna
a Menelao come deliba pigliare suo [«tire , acciocché gli
inoltri il viaggio. IV, 463.
Ifialte. XI ,4o3.
lode , induviuo. XI , 3;6.
Ifimidca, moglie d'Aloeu, la quale di Nettuno jiarloit
Oloed Efialle. XI, 4oo.
Ifìlo . XXI , 36. Ucciso da Ercole , 3o.
Ilio. r. Pruja.
llttia o Lucina . ma grolla in .\mniso. XIX, a34.
Digitized by Google
I N n
Tao, fidili Hi Caiimo in di fulag» : toofurU
laisw nell» l«nj>e8tj. V . ti-ìCì e «Tf. .
I|ierc«ia(ciUii }. XV . a.
Ijicnube} 9oprannouic d«l Sole. I , H- XII j 17**
I|>|Hidami» . X\ 111 . 337.
irò , jHivero : cl« iosse. X\nijf)* ^ cacciare I.lis-
*e, la. Uisfi«la. Paveiila d’Llisse, 4o. Si batte, ed è at-
terrato , 1 1 5. Nominato , a84 « •
liiiuaru, città, §;icrheggiata il» l.livK. l\ , ^7 ?
Itaca, |utria U'L'Iìmc. 1 , 14 | i<?“^trove.
Itacrsi; lor jarLuneoto i*er la strage dc’Proci. XXIV ,
56.V.
Itaco unotle’fnndaturi d’IUca- XV li, a4^’
Iti, figlio di Zctu ucaso lUlU figlia di J'andarv. XIX ,
139.
L
I^redemonc. ì'. Sparla.
laicuDia. y. Sjwrta.
Lacere, cloratore. lU, 53S. Indora le corti a al loro che
Nestore fa sagrificarea Minerva, 55a.
taierto , figlio d*ArcÌsU) ,e ]u»lre d'Ulisse ; eoinpra Eiiri-
rléa. 1 , 55o. IìIìmc dumamlà di lui. XV , 4^9 I.eii«uolo
onde rivolgere il suo craclavero doj»o la morte. XIX , 180.
XXIV, lt>9. Alla sua magione giungono liln»sc, Telema-
co, li porcaro e ’l bifolco, a(>8. Desrruiooc del suo abito,
31)7. SuoccdlofiuiocoD Ulisse, 34^1. Lo riooQusce, c ino-
Mm timore del risrulimcuto drgritaresi j»er la strage de’
Proci, 45l- È confortalo da Uli^tcj trova Telemain»; c,
lavalo, apparisce jnù bello, per o|)eradi Minerva, 4^^*^
*rg. . S’arma coolra gli Itaccsi, 633. Gode del valori* del
ligi io e uijiote , fa prego a M iiicrva , c uccide Eupitc ,663.
LaiDu',casleIllo. X , 1 08.
I.ani|N-tÌr,ninlà, figliadclSoleediNccra. XII, 171,484
Laodamaulc, figliuolo di Alcinoo: dmuamla a L li.ise "c
sia esperto in alcuno de’ giuoclii , Vili, lyS. Liuse lo
escluilc dal cimento de 'giuochi , [»cr essere suoospilc ,
Balla, 499-
I^apiti. XXI, 36i.
I.alona , madre d'Apolloe di Liana. XI , 4*7 ? 7’^*
Leila : veduta da Ulisse Dcirinferno. XI , 390.
Lcnni> , castello, Vili , 378.
Leocrito, figliuolo d'Evenore , uno de Proci: riprende
Mentore, li, 3o3. È ucciso da Tcleinaco.XXll. 365 c w^.
Letnlc , ini|>otctito a tender l’arco d Ulisse, e parla a
com]>agni.X\I, 187 È ripitSMi da Antinoo , ao5. Si rac'
comanda a Ulisse. XXII , 393. K ucciso da lui , 4*^-
Lc»bo (città ). XV lì , 1 59*
Leslrigctnia, terra. X, 109. XXIII, 4**7*
libia, regione. XIV ,340-
Lotofagi , popoli. IX , * 08. XXIII , 394*
]\I
Malée o Maléa. IV , 643. IX , 1 o3. XIX , 333.
Manlio , fratello d’Antifate , padre di Polifidc c di Clito
AV,3o5.
Marcine d’Evanteo, sacerdote di .VpoUù; dona un otre
di vino ad Ulisse. 349>
Marte : suoi amori eoo Venere. Vili, 389 1 seg. .
Meduute , rivela a Penclo[K: rìnsidie tic 'Proci coolra
I C F.
Telemaco. IV ,854- Nominato. XV l , a88 , 438. XV II,
3o5. Gli c iun»etrala la vita da Telemaco. XXII , 4^3 c
cg. . Arringa a favor d’Ulisse tra glijluifsi. XXlV , 56a.
MegajicuU* , figlio ili Menelao. X V , J a3.
Megara, di Urcoule ; veduta da Ulisse ueirinicrno.
XI, 345.
Melaiiipo, uomo riceodi Pilo. XV, 377.
MeLnio, XV III ,3.>8. XIX, 80.
Melami», caprajo : malUalU,^ liwe suo ladrone e il
porcaro.XVU, sSa. Vad.-I Euriin3Co,3io. Parla a iWi,
/|5o. Maltratta di nuovo tlisv. XX , 3 3o. Distribuiste il
vino a Proci,3i3. Scalda runlo |<r ugnerc l’arrod’UliMe
XXI, 330. K«a a'Pit-ci dodici armaiiurc. XXII , i67«
aeg. . Sua morte, ai6. È lacerato da Telemaco, dai bifolco
c |iorca jo , 60 1 .
Menelao, fa ronvilc nutiajc , quando Telemaco giunge
a Laceilemone. IV, 33. Ix) riceve, 39 e seg.. Si sdegna
deU’iqierc de’Ptoci , e gli narra il fallo del Vi glio marino^
44a. l'roiiictlc doni a Telemaco, 7.43. Suoi falli a Troja
rjiilati da Demodeco. Vili ,655. Bicordali da tlusr.
XIV, 547 e seg . . Pregato da Tclemaivi di «ingnlo. \ V , 5 c
seg.. Gli risjiootlc bcuìgnauicnle, 63. l<o regala, i4a.
Mentre vuol chiarire Taugurio d'uu aquila , è prevcnulo
dalla moglie, 310. Snntrallamenlo a Teìcmarooi si narra
da lui alla madre. XVll, l44 « *^g- ■ Suo valoreramme-
inurato dairanima d'Agauicuoooc a quella d Aixbmedculc
XXIV, |35.
Mennoue, il |«ù bello de’G reri XI ,655.
Mentore, coin|wgno d'Ulisse: fa dogliaoaa nel parla-
mento de’Proci col iKqiolo d’itaca, «1 c ripreso da Ixroerito.
II , 379. Minerva , sotU» sembiauaa di lui , appare a Tele-
maco , 338. Con lui, siccome amico dolpailre, s'avside
Telcmact). XV J 1 , 84- Sotto sua sembiama fu veduta .Mi-
nerva da Mcdoole , XXI V , 567.
Mera : veduta «la Ulisse nell 'Inferno. XI, 436.
Mercurio , figliuolo di Maja e inviato da Giove atl P.gi-
slo. 1 , 56. IVoiKìsIo da Minerva a Giove per mandarlo a
Calipso, che dia libertà ad Ulisse, lao. Gli è wnimei^j da
Giove l’ambasciaU. V, 36. Va al consigltio degli Dei.
Vili 45l . Appare a Ulisse X , Bfig. Discentlc con Ercole
airioferno. XI, 759 e «*g. . Sagriliaio Dito a lui da Eu-
inéo. XIV,4«)6 e seg.. Pniletlore de* hidri. XLX, 486.
Guida ranime tlc’Preci all Inferno, XXIV, l.
Mesaiilio , com|wguo<l’Euméo. XIV , 53g.
Messene (città). XXI, 3o.
Micene (città ). XXI, i32.
Mimauta. 111,333.
Minerva ; prega Giove che assenta al ritorno d’UlUse.,
68. Va ad Itaca, ia4. IGcevuta da Telemaco jw ospite,
177. Si finge Mente figli» d’Aocbialo. a43. Consiglia Te-
lemaco, 333 e seg. . Parie da lui, 4 14. Gii appare in scm-
biaoM di Mentore. 11,338. Prende 1 aspetto di Telemac.>,
483. Fa addormenure iProcì, 498. Sotto forma di Men-
tore guj.b Telemaco alla nave, 533. GHiniione di andare
a Ne.store. Ili, 3i . Liba a Nettuno, 73. Lascia Telemaco
da Nestore , C parte simile ad a<iuiia , ed è ricooctìciuU i«cr
Minerva, 471. Consola Pencloiic. IV, io34. Difende
Uluse .«I con««o .Ugl. Dti. V.J. V. . d'Atónoo
re de’ Feaei VI. 3. Sotto varie scuibianrc a ^Nausica fi-
gliui.la d'Alciooe , 19 e «•((.. Ad Ulisse. XII , ao 1 l'ca-
ci. Vili, toc seg. . Pone i termini al gioco del disco, 356
Digitized by Coogle
i56
1 N n 1 c n
<* seg. . Arbitra tra Ulisse ed Ajacc contendenti l'urini
d Actàllc. XI, t>85. Fa che Ulisse non riconosce Itaca.
XIII , a3a. Api^reud Ulisse in forma di pastore, 368. S«*
gli manifesla , 354* Discorre con lui sopra i Proci , 4^8.
Ti-as6gura Ulisse, 5o4 ew’g. . Va a Lacedemone, Sai. Fjj.
noto a Telemaco il ritorno del pa<lre XV, 6 e seg. . Sagrì-
fiiio fatto a lei , 373. Ap|jaread Ulisse c a Teleuiacu sotto
forma di donna , cd è conosciuta solo da Ulisse. XVI, i83.
Addormenta Penelope , e trasfìgura Ulisse, 4^8, 4*)’^.
Bende piacevoic Telemaco. XVII, 73. {"a che Ulisse vada
ad accaUare da’Proci 44<>* Ingrandisce UUssc. XVIII , 8(>.
Induce Pcocloi'c apirarirc avanti a’P«id, 30. Addonuenti,
c abbellisce Ulisse, 33a e seg.. Me<nu strage a'Proci.
XIX, 3. Fa lume a Ulisse c a Telemaro.43. Riprende
Ulisse , perche è irresoluto a vendicarsi de’Prtwi. XX, 4 1 .
Ix) addurmcDla, (i(). Toglie il silenzio a’Proci, 4ai. In-
spira Penelope che pn.pjinga ai Pnici il giuoco di tirar
l’arco. XXI, i. Porta l’arood’UIissea’Pnici , 75. Fa ad-
dormentare Penelope, 4*7* Ap|iare a Ulisse in sembianza
di Mentore ; c ^data da Agelao , accende Ulisse alia Iwt-
taglia. XXII, 375. Piglia la forma di rondine, sqS. .Mo-
stra l’Egida a’Proci , cd essi si pongono in confusione, 873.
Bende beltà ad Ulisse. XXlll, 198 e seg. , Sotto sem-
bianza di Mentore fu veduta da Medontc. XXIV', 567.
Parla a Giove in (avere di Ulisse, 600. Fa fermare il com-
battimento fra Ulisse , c gl’Ilacrsi , 670 e .seg; .
Minosse, giudici dcirauime. XI, 710. Sua stirpe, Wll.
638. Begbù in Gnosso nove anni. XIX, 333.
Miriuidoni , III , a44- XI ,638
Muiio, ministro d'AnGuomo. XVlll, Ssi.
N
Kajadi. XIII ,138, 407.
Nausica , figliuola d'Alcinoo : Parole di Minerva a lei.
VI , 8a. Va a lavare i paoDi , g5 c scg. , Vcdelllissc. ao..
c Mg. , L’acteglie , a65 c seg. . Lu lascia. Vili , 6o(i
Nautco.VlH,l4;. •'
Neera: cnngiuuU col Sole, generi Facluja c Lam:»-
«ie.XU,j,3.
JVelà). IIl,5i7.XI,3a6,366,XV, aSa.
Jiico. I,a5i.
Aeottoiemo, figliuolo d’Achille ; sue prodezze a Troia.
XI, 687, 678.
.Nerico , XXIV , 480.
Nerito. XIII ,4i I.
Kerito , uno di coloro rhe fabbricarono la C,nle d'Itara
XVn,a47.
Ncasnoo, nome con cui Ulisse inganna il Ciclone IX
4G8.
Nestore (detto Gereoio), riceve Tclomaro e Minerva
sotto sembianza di Jlcntore. IH , 77. Gl'interrogn , gfi.
Narra quanto sa d’Ulisse, l3l e seg.. Regnò treot.ò d'ùo-
snini, 3t6. Narra la morte d’Agameunono , 3l8 c seg..
HiconoseeMinervs,53o. Come trattasse TeIcmaco.XVII
l33. Ritiene! Greci , che non vadano via dopo la morte
d’Achille. XXIV, 71 cseg.
Nettuno: cruceiato con Uliaae.c andaloagli Etiopi.non
interviene con gli altri Dei al piirkiuento di Giove. 1 , 3S.
K sdegnato con luì , per avergli amccato Ì1 Ciclop pJiif«*
mo, luo figliuolo , (jo e seg. k pietra Girti per
fsir iiffiigar AJace IV, 634' Muove tempesta a Ulisse. V,
873. A a al cuitsiglio degli Dei. \TH, 484- Gigione dej
suo stlcguo con U'iissc, inauilestatagli da Tiresia. XI, 134*
Io seuibuDza del fiume Eniiico genera da Tiro, moglie di
Urcteo, Pclia c NcU'o, 3oy. Poi da Ifimidéa genem Oto
ed EliaJtc , 4oo. SÌ lamenta con Giove del buon ritorno di
Ulisse iu Itaca. XIII, i54eseg.. Vuol maltrattare i Feaci
perche hanno ricondotto Ulisse alb patria , 183. Fa impie-
trire la lor nave, 199. Sagrifiziodi dodici lori fattogli da'
Fcaci, 3 3 3. Minerva noi» vuol contendere con lui eh c suo
zio jm terno, 4oo.
Niso , figliuolo di Arczio re e [OiIre d'.\nfiuumo. X VF
4^3. XVm,i'ì^.
Nolo, vento. XIII, i35.
Oceano, padre di Persa. X, i83. Omero gli dà il nome
<U fiume. XI. 809. XII, z.
Ocialii. Vili, 146.
Ogigia. XII , ,3i z. Vi approda Ulisse dopo la tempesta
XII,584.XXiII,4a6.
WcIi'‘o. XV, 399.
Olimpo, VI , 63. Detto invece del Ciclo , abitazione «lo-
gli Dei. XV, 56. XVIII. 348. a\LX,53.XX,o5, i33
XXIV, 448,630.
Opi. 1 , 549. II , 436. X.X , 100.
Orco, i’Infemo. X,624-
Orcoineuo. XI , 365 , 58o.
Oreste, uccise Egisto uccisore di suo padre. Ili 3q5
IV, 686. XI, 583. ^
Orione. V, l57,35a.Cacciatore: sua pena Belllnrertni.
XI, 716.
Orsa (costellazione). V,35o.
Orsiloco. XXI , 30.
Ossa ( monte ). XI , 4 13.
Oto , figliuolo di Nettuno e d’Ifimidéa. XI , 4o3.
Pafofelltà). Vili, 485.
Pallade. F". Minerva.
Pandaro : sua figlia. XIX , 63 j. Sue figlie. XX , 85.
Panopeo ( luogo ). XI , 7 z4.
Parrbe. Vll,a.58.
Parna.10. XIX, 48s.
Patrorlo. Ili, i4i .Sua anima veduta da Ulisse nclrin.
fcrno. XI, 593. Sue ossa riposte con quelle d'Achille.
XXIV, io5.
Pclasgi. a\IX, 319.
Peleo, Pauima d’Achille domanda di lui ad Ulisse
XI , 6.3.5.
Pelia, figliuola di Nettuno c dì Tiro. XI , SsG.
Pelio(monU?) XE,4i4*
Pcnelulie , figliuola d’Icirio : viene dove Femio canta T
4z5. Intende da M«lonte che i Proci vogliono ucciderle il
figlio. IV , 883. Suo lamento, 960. Fa prego a Minerva
gba.Sua pruilenza. XI,56a.Suoi Pr«»:i donde siano.X\ l|
1 16 e seg. , K avvisata del ritorno di Telemaco, 36o. Si
lagna >oo’Pr.ici ch'insidiano la vita «lei figliuiil suo 44i e
seg.. Va incontro a Telemaco. XVII , 46. Doma’ndagU
Digilized by Google
I N D
nuore d'Ulisce, i s8 e teg. . Sente dispiacere che Ulisse sia
auto percosso da Aotinoo , 598 e seg. . È inspiraU da Mi-
nerva che si presenti ai Proci. XYlll) aoo. S'addoriueuta,
e di poi appare davanti ai Proci) a34. Si duole col figlio
perchè Ulisse , creduto da lei forestiero , sia sUto ufieso in
sua casa, lyo e seg. . Kis^^ode ad Euriniaro, c narra ciò
che le disse il marito andando a Troia , 3i 1 c seg. . È con-
sigliata da Antioco ad arcettare i doni dc'Proci, 35a. Siede
al fuoco. XIX, 66. Sgrida raneella ,ctl interroga Ulisse,
fio, 1 aS. Raccontagii il fatto <lella tela , i8a. Comiuetle
alle ancelle che lo rivestano, 386. E ad Euriclt'a clic lo
lavi , 435. Narra un sogno a lui , Pensa di proporrea’
Prtxu il giuoco deirarco,636.Sua prece a Diana. XX, 708.
Persuade Aotinoo a non rrede-re che se Ulisse tenda Parco»
^li labbia ad avere per nuglic. XXI,3|^a.]lis|iuoilcad
Eurimaco* e vuole che Ulisse si cimenti n tender l'arco.
393. E ripresa dal figlio, 4<>8. Sente da EuricléacheUlisse,
era tornato , c che aveva ucciso i Proci. XXIII , i e seg..
N’on riconosce per la prima volta il marito, lay. Vededi
nuovo Ulisse , e impone ad Euricléa che gli rifaccia il letto
fuori deila sua camera, 31^. Riconosciutolo , Pabbraccia
33^. GU domanda qual sìa Pultimo travaglio pronostica-
togli da Tiresia , a3o. Va a letto con Ulisse , c discorre con
lui de’[uasati accidenti, 3^ a. È lodala dall'anima d'Aga-
inennone. XX I V , 3 49 e seg. .
Pereclimeno, figlio di JN'eléo. XI, 3yi.
Perimede, compagno d’Uiisse. XI, 39. XII, iSS,
Pero , figlia di N'cléo. XI , 3^ t .
Persa, madre di Ciw«. X, iSa.
Perseo, figlio di Nestore. Ili, 5a3.
Pilli (popoli). Ili, 43 e altrove.
Pilo (città). Ili , a36 e altrove.
Piréo. XV, 669. XVII , 67 , 93. XX , 454.
Piriflegctontc, fiume dcllTofcrno. X,654-
Piritoo. XI, 797. XXI, 35a.
Pisandro, figlio di PoliUoro, uno dc’Proci. Suo regalo
a Penehipe. XVIII, 370. E ronfortato da AgeUo a coni-
hattcrecoDtraUlis^jXXH, 33i.E ucciso daEìletio,33o.
Piscnore. ,1, 549- *90* '
Pisistrato, figlio di Nestore, riceve Telemaco, 111,53
Lo accompagna a I.acedem(iDe, 616. Giunge da Menelao.
IV, 37. Gli mostra che Telemaco è figlio d’UUsse, 199.
SolleciUtoda Telemaco alla {partenza, lo consiglia atratte-
ncre.tantocheMenelaogli faccia i regali. XV, 63. Ripone i
detti regali, l65. Domanda a Menelao la spiegazione del va-
ticinio dell’aquila, e dipoi si parte da lui con Telemaco,
ao5. Conduce Telemaco alla nave, aSo e s<^..
Pilo (dita). Vili, io3. XI, 733.
Plejjdi. V, 349.
Plutone , o Fiuto , ed Orco. X , 6a4 c altrove.
Polibo. Vili, Sor.
Polibo , padre d’Eurim^. XV, 644- XVI, 469.
XVIII, 436. XXII ,3oi. È percosso da Euméo, 353.
PolicasU. Ut, 593.
Folidamna. IV, 395.
Polifemo. I, io4- Trova Ulisse c i compagni nel suo an-
tro. IX , 3ao. Gli è ahbrudato l’occhio da Ulisse , 490.
Chiama in ajuto gli altri Ciclopi, 5a5. La memoria di lui
attrista i compagni d’Ulisse. X , 367 . Esempio di lui, ad-
dotto da Ulisse per confortare i medesimi. XII, 378. Suo
latto narrato da Ulisse a Penelope. XXlIl , 396.
ODISSEA.
ICE nX,
Polifidt. XV,3o6.
Polite. X, 391.
Pulitore. XVII , 347. XVUI , 370.
Polluce. XI, 391.
Pontco. Vili, i/|8.
PoDtonoo , civppiere d'Alcinoo. VII , a35. XIII , 69.
Priamo, redi Troja. XI, 536. X1U,373.
Primnik). Vili, 147.
Prod : loro parlamento con Telemaco. Il , 3 r . Lo bef-
fano, 3790 seg. . Si (Unno buon in casa d’Ulisse , e
intendono da Nfjemimechc Telemaco è andato a Pilo. IV,
79H. Mincn-a parla di loro ad Ulisse. XIII, 438. Consu-
mano i porri d’Uliise. XI V,3 13. Insidiano Telemaco, a i5.
I^airo numero. XVI, 383. S’attristano del ritorno di Tele-
maco, 366 e seg.. Vanno intorno a Trlcmaco. XVII, 80.
Si snilazzaoo, 199. Da essi accatta Ulisse in sembianza di
povero stimolato a ciò fare da Minerva . 44* • Gl» appella,
doi» raffronto ricevuto da Anlinw, ed essi sdegnaosi di
quel fiato, 575. Aizzano Ulisse ed Irò a combattere in-
sieme. XV'III. 54 e s<^. . Fanno accoglienza ad Ulisse per
la vittoria di’egli ebbe sud’Iro 137. Va Penelope ila loro,
359 c seg. . La regalano, 358 e seg. . Eurimaco parla a
loro conira Ulisse, 436. Sono sgridati da Telemaco, 5oi.
Assomigliali a venti oche , che sognò Penelope aver veduta
uccidere da un’aquila. XIX , 655 e seg. , Augurio contro
essi, XX, 145 e seg.. Ulisse giura che saranno uccisi in bre-
ve 379, Augurio sinistro per loro, 397. Telemaco pon freno
a’ lor fatti e parole conlra Ulisse , 370 e seg. . Si ridono del
funesto annunzio di Telemaco, 4a*. Biasimano Telemaco
d'aver dato ricetto ad Ulisse, 456. E lor proposto da Pene-
lope il trarre l’arco d’Ulisse, XXI, 90. Si provano a ten-
derlo.enon rie.sceloro, 334.Psrlano diversamente, veden-
do Ulisse aver preso l’arco in mano, 476 e seg . Sgridano
Ulisse perche uccise Antinoo, ed egli si manifesta ad essi.
XXII, 34. Sonosfiiiati da UlLsse a combattere, o a fuggire;
e , mosso rabbatlimcnto , molti ne restano uccisi , 83.
Sono confortali a combattere, 307. Prod ucdsì, assomi-
gliali a’pesci sparsi sul lido da*pe»:aturi , 4^3. Loro anime
guidate da Mercurio. XXIV , 3. Loro parenti muovono
guerra ad Ulisse , 691 e seg. .
Procri : veduta da Ulisse neirinfemo. XI, 4ao.
Proserpina. X, 6l3. XI , 63 , 494 j8o3.
Proteo. IV, 44o j 4^^- E preso da Menelao , e risponde
alle sue domande, 583. Racconta che cosa è d'Ulisse , 680
eseg.. XVII, 167.
Proto, uno de’Feaci che fecero i giuochi adUlisse. Vili,
148.
Psùria,Uola. ni,330.
R
Badamanto. VII ,4*3.
Rcsseoore , |iodre d’Arete , moglie d’Alcinoo. VII, 196.
Retro , porto. I , aSa.
3
Salmom'o. XI,3o3.
Samoo Samc, isola. IX, 39. XV, 4* « altrove.
Scheria , luogo de’Fead. XIII , 19G.
Scilla. XII, 1 15, i5a ,3o8. Dis^'erde i compagni d’U-<
lisse , 3a5 , 895 , 557.
i3
Dìgitized by Google
V
j3S I N B
Sciro. XI ,639.
Sicilia, y. Trioacria.
Sidone. XV, i47}533-
Sidonii. IV, 107,
Sintii. Vili ,394*
Sirene. XII, Sa, 306- Invitano tJliase, 9 16.XXHI, 417'
Siria ) isola. XV, 5o i .
Sisifo : sua jiena ncirinferoo. XI , J
Sole, padre di Ciroe. X, i8a. Sua uula. XII, 344* XIII,
988.
Sparviere , uccello sacro ad Apollo. XV ,65i.
Sparta, o Lacedemone, o Lacooia, città. XIII, 485,
5ai ,XV,i.XVI1,i46.XXI,I7.
Stnaio , figlio di Gestore.. Ili , 5a3.
T
Tafii , popoìi XIV , 536. XV, 534. XVI , 458.
'i'aigctu, monte. VI , 147.
Tantalo. Sua pena ncirinfemo, XI, 738.
Tebe. XI,34o,XV,3o4.
Telftb. Xl,65o.
Teleuiacu. porla a’Proci. 1 ,4?8' Propone d’andare a
Sporta. II , 361 c »pg. . P'a preparare il vino e la farina pel
viaggio , 4^ « • Giunge a Pilo. Ili , 5. Interroga Ke-
atore del padre , 1 ao. Si |urte da Nestore , e va a Fera da
J)iocIe,6i5. Arriva a Sparta.IV, 3. Ll«se è ragguagliato
seirinferno dalla madre de’ portamenti di lui XI , a34. E
ammonito da Minerva che ritorni alla patria. XV , 3. Do-
jnanda congedo da Menelao, 107, Vede laugurio duna-
<|uila, 198. Si porle da Menelao , lai. Giunge aFera,e
quindi a Pilo, 3 37e seg. . Se gli raccomanda Teoclimeno.
Iwndito d’Argo, 3i4 * • Sbarca in llaot , cmandai
comittgni alla città , ed egli va alla cainp^tgna , 6i6c srg. .
Vede uno sjwrvierc sj^enaare una colomba , 654< Giunge
ijovcsono Ulisse ed Euméo.X VI, i5. E accolto da Euim-o,
] 8. Non riconosce il podro , 54< Manda Euméo ad avvisare
la madre del pn>prio ritorno, 147. Non riconosce Minerva,
184. Riconosce U judre, a44- 'a alla città, XVll, 3i.
Vede Ulisse nel palaste , 39H. Lo manda a regalare di vi-
vande,e gli commette che vada ad accattare intorno a’Pnici,
417. Sgrida Anlinoo477« • Simula lostlegno perla
percossa dita da Antinooasuo padre, 593e»cg.. Starnu-
tisce gagliardamente. 659. CoofijrU il padre a combattere
con Irò. XYIU, 73.Bis[Hin«ìealla madre, 383. Sgridai
Proci, 5oi. Hinwve dalsolit» luogo Tarmi del padre. XIX,
4 e seg. Uojnamia ad Eurid' a , come sia stato IralUlo U li.s-
•c di mangiare e di dormire. XX, 168. \ a al parlamento
de’Prt*ci, l8ó. AUuogaa tivob Ulisse apparUto , 3 1 .5.
l»npnoe a’IVf’à che non Toff odano, 3t«4. Riprende Cte-
*ippo,35l , 371. EsorU i Proci a trarre l’arco d’Ulisse.
XXI, 139. Bice a Penelope di guardare al lavoro ddh*
doetne . • che egli avrà il pensiero dclTarco , 4«8. Uccide
Anfitiomo. XXllf, 1 14 armial pdre.al p<'rcaJoeal
bifolco, l36e seg.. Uccide Euriade,3i9 P'eritoda Anfi-
medonte , lo ripercuote , 34o e seg. . Impetra la vita a Fe-
Diioed a Mcilontc, 437 > 453. CoU*ajutodclbif'lroed- I
porca jo impicca le dimne maU-age di casa , 5S5 e seg, . Fa
«trario di Melan «io, 60 !. Sgrida la madre, perchè riinane
stupida la prim* volta che vede Ulisse. XXIII, 1 37. Gli c
Utostrato da Ulisse il modo di salvarsi per Tucclsiooc du'
I C E
Proci , 165. Fa restare il ballo . 3;3. Armatoti , parte col
padre dalla città, 471. Suoi fatti nella strage de’ Proci nar-
rati dalTaniiua d'Anfiinedonte a quella di Agamennone.
XXIV , 1 60 e seg.. Prepara da mangiare a suo padre , 4^o
S’armaooo esso contro gl’Itaoesì, 641 ) 645.
Telciuo. IX , 655.
Teoodo, isola. Ili, 3o4-
Teoclimeno , bandito d'Argo, s’appressa a Telemaco,
doj)o essersi imbarcato per Itaca ^ e narrasi la sua discen-
densa j domanda a Telemaco chi sia, e lo supplica di prò-
lesione. X V,3i4 eseg. . Gli pronostica in suo favore l’au-
gurio dello si»rviere, 656. Lo riferisce a Penelope. \ IH
180. Annunzia casi funesti a'Froci. XX, 4^7* Minacciato
da Eurimaco, parte , e va a Piréo , 445*
Teséo , amante d'Arianna. XI ) 4^t' Gump*gtu>di Pi.
ritoo, 797.
Tesproli. XIV, 376, e altrove.
Teli, interviene all'esequic del figlio Achille XXIV,
75 e seg. .
Tidtki , padre di Diomede. Ili , a 1 5.
Tiudaro, marito di Leda. XI, 390. Sua figlia. XXIV.
358.
Tiresia, Tebano, indovino. X, 616. Suo discorso eoa
Ulisse, XI, isB. Rainmcutato. \11 348. XXIll , 3ao
4I3.
Tiro , figlia di Sulmooéo , e moglie di Gretco. XI , 3o 1
3oa.
Tizio. VII ,4**' Sua pena nolTInferno. XI, 731.
Toante, figlio d’Andremóne, compgno d’Euuiéo. XI V
536.
Tono , marito di Pulidamna. IV , 396.
Toonc, uno de’Fcaci che fecero i giuochi ad Ulisse
Vili, 1 48,
Tracia. Vili , 483.
Trasituede, figlio di Nestore. 111,57, 534- Sacrihea un
toro a Minerva, 56o.
Trioacria , cioè Sicilia , isola. XI , l43.
Troja , o Ilio , città. 1 . 459 e altrove più volle.
U
Ulisse : Minerva s'interpone a favor suo nel parlamento
degli Dei, acciocché Giove gli faccia dare da Cali|^ » la
lihorlà.e p«'s.<a ritornare alla |vilria. 1 ,66 e seg. . V , i.> e
si’g. È conged.ito da Calipto, ao4- Fabbrica la nave per U
partenza , 3l3. Patisce tempesta, 3;3 c s<'g. . E sovvenuto
da Ino, 4a5 e seg. . Fa pn'go alla fin* d un fiume . 578.
S’addormenta. 64i. Si desta, Vi, 171. Parla a Nauricu,
da cui è Gito rivestire, aSo e seg. . Prega Minerva, 447.
Ella gli vico inoiotro in forma di vergim Ua. VII. 96 Egli
si prc«-uU ad Alcinoo e ad Arde . 189. Narra quanti, gli
avvenne dop*. essere approdato aU’isda Ogigia, fino che
giunse in Ftacia, 3o8 e seg . Fa pn-go a Giove, 410.
Giunca al disco. Vili. 3i9escf, . E regalato d.i Alcinr-.,
540. Si lava, 600. Regala a incns;kDeunKloco.638. Quello
che fece DclÌ’inr«uìiodi Troja, 655- Si manifesta ad Al-
cinoo, e narra i suni accidenti IX. 31 e seg. . Racconto de’
compagni , 78 e «eg, . E o^me accieca il Ciclope e ne s« »m-
pò , 4o.5 e seg. . Kilt nto in mare . insulu il Ciclope , Gl 4 .
Sacrifica a Giove, 704. Giugne alTis-da Eolia. X . t. Spinili
dalla temjieala rii'. itiu Ìu Eoli», 7V D sgridato da E<‘b> , e
Digitized by Google
»
/
I C E
Ottiene da Giove un augurio, 1 3 1. Risponde adEuméo in-
torno a’Proci, a 1 3. E di nuovo maltrattato da Melamio, a a a
Predice a Fileaio e giura che presto saranno uccisi i Proti,
a83. Scansa un colpo scagliatogli da Ctesippo, 364- Arco e
dardi donati ad Olisse da I6U>.X\I, i6. Esaminala fedeltà
del porcaro e del bifolco, asa. Ordina al porcaro di dargli
l'arco .quando lo chiederà, e di làr serrare dalle donne le
[torte della casa, a 8 a. Tende il suo arco e lancia il dardo sen-
ta lallire 490 e seg.. Uccide Antinoo. XXII, 19. Risponde
ad Euriniacu, sGdando a combattere tutti i Proci, 8a. Ucci-
de Eurimaco, 100. Uccide molti Proci. t47’ Uommellc a
Euméo c a Filctio di sospendere Melanzio al [talco, aoy e
scg.. È incoraggiato da Minerva , in sembianza di Mentore
360. Uccide Deiuoptolcmo , 3ay. Gli e chiesta la vita da
Lcode,392.L’uccide,4o6.La concede invece a Femio, 45 'j.
Domanda a Euricléa quali sieno state in casa sua le donne
ree , e le buone , 3a5. Fa portar via i morti e ordina che le
donne ree siano di poi uccise, 55i. Purga la casa col sullo
635. E accolto dalle donne , 63q, Si lascia vedere da Pene-
lope , che non lo riconosce. XXIII ,1 09 e seg. . Pro[tone a
Telemaco d'uscire della città , 1 5i . E lavato «la Eurinonie:
e, profumato, si presenta di nuovo a Penelope, 200. Si
meraviglia che «la lei gli sia fatto accoino«larc il letto fuor di
camera*, e le descrive il proprio letto, aaS. 1» racconta il
pronostico di T ircsia , 3 a o . Va a letto «xtn Pcuel«»[te , 3 i .
Le ra«xonla i passati travagli, 386. S addormenta, 4^9 •
DesUto, ordina a Pcnelo[ie che governi la casa : ed egli , ar-
matosi con Telemaco, il bifolco ed il [«oriajo, esce della
città , 456 e seg. .Giunto alla tenuta di Lacrte , manda Te-
lemaco e i servi a [irovvedere da cena j ed ei s accinge a far
prova se il padre lo ri«x>nos«ai. XXIV , 281. Risponde al
padre e si finge figliuolo del re Afidaute , 386. Si manif«»ta
al padre, 4**- Itacesi, che s«)tto la guida d'Eu|iiU;, si
muovono contro di lui; e Minerva prega Giove a favor.*
d'Ulisse, 600. Si batte con gl'Itacesi, 666. A' amai di
Minerva depone l'armi , e là 1^ col suo [>o[iolo , 693 .
I N D
di poi va nel paese de’Lest rigoni , g4e seg. . Arriva nel-
llsola di Circe , 1 78. Prende un cervo, ao3 e seg. . Mercu-
rio lo instruisce contro gl’incanti «li Circe, 359 ^ ^K* ■
è intimato da essa il viaggio all’inferno , 608 e seg. . Giu-
gne a’popoli Cimmerii , e sagrifica a'mcrrti. XI , 3o c seg. .
Gli ap[«ris«»no l’anime, 46. Gli appare Tiresia, i a3.\ ede
sua ma«lre che lo informa de 'fatti «li sua «asa , 186 c scg. ^
Gli ap[iariscono altre donne, 291. Vede rauiiiicd'Acliille,
Patroclo, Antiloco c A jace, 690. Fa scp[>ellirc Elpenore,
XII , 16. Tornato daU'Infcrno, è iucontrato da Circe, che
gli predice l’incontro delle Sirene, ai cscg. . Di Scilla c
Carridi , 1 1 3 e scg. . R’arra a’compagui qu«*llo ch«* gli ha
detto Circe, 201. Trova Scilla e Cariddi , 3o8. Vi.^laa
compagni di toc«arc gli armenti del Sole, 38a. Sta un
mese nell'isola del Sole, 4i8. Soffre tcui[H.*i!ta , 5a5. A[>-
[>ruda all’isola Ogigia , 584. 6i congetla «la Al«ànoo. XI lì,
79. S’addorinenU nella nave e così addormentato è [osto
sul li«lo d’Ilaca, « 00 e s«rg. . Destatosi , non riconosce la [la-
tria, 229. Gli appare Minerva da pastore, a cui diced’ess«*r
fuggitivo , per avere ucciso Orsiloco , a68 e seg. . Min«*rva
si mauifesU a lui , 389. Riconosce il suo [>aes«*, e prega le
Riufe Najadi, 4 13. Ri[one nella lor grotta i douidc'J*'caci,
439 E trasfigurato da Minerva, 5o4- Va «lai [orcaro. XIV,
4 . Finge essere spurio di Castore llacidc; e narragli un suo
tr«>valu , 3 36 c seg. . S’addonucuta , 62 1 . Fa prova del por-
caro. XV, 377. E veduto dal figlio, e creduto forestiero.
XVI , 65 C seg. . Parla minaccevolnieiite contro a’ Proci,
1 o3 e seg. . Vede Minerva in forma «li donna , che lo torna
nel suo primitivo sembiante e gI'im[one di [«alesarsi a]
figlio , 1 83 e seg. . Si manifesta ,316. Ordina a Telemaco
c«>me debba contenersi co’Proci, 3 16. Minerva di nuovo
trasformalo, acciocché non sia riconosciuto «lai porcaro,
495. Va alla città. XVII, 337. E maltrattato «la Melan.'.io,
suo caprajo ,216. Giunge al suo palazzo, 3i5. Gli è ordi-
nato «la Telemaco di accattare «la’Proci ; ed è stimolato a
ciò «la Minerva , , 44^* IX>nianda lim«>sina a Antino.i,
fio 3. Maltrattato da Irò, gli ris[H«nde coraggiosamente e si
batte con lui e lo vince. XVIII , i 3 e seg. . E regalatod’uo
ventriglio da Antinoo, l46. E sgrùlato da Melanto . ed ei
si risente, 407 5 4’ * • alterco con Eurimaco, 4 I6, 454.
Si rifugia da Anfinemo, 41^7* Grdina a Telemaco che ri-
veda le sue aruii XIX , 4. Sgridato un’altra volta da Me-
1 into, 80. Ri$[>onde a Pcnelo[«e che lo interroga di sua ani-
dizione, 138 e seg.. Rifiuta d'e.sscre lavaUi da damigello
giovani ; 4 ‘9- Mentre c lavato da Euricléa , questa lo rico-
nosce per la cicatrice d'un morso fittogli già da un porco
nella caccia, 480 c seg.. Le impone silenzio, 590. Mixlita
come debba punire i Proci , e le sue donne. XX, 8 e seg.. E
sgridalo da Minerva , 43. È fatto addormentare da h i ,
V
Veglio Marino. V. Proteo.
Venej« con Marte; Vili, 391. XavaU dalle Grazie,
487. Mentovata. XX , 89.
Vulcano, prende colla rete Marte e Venere. Vili , 36 1
c scg. . Suoi lavori! XV , 1 46. XXIV , io3.
Z
Zacinto , isola. IX , 3o e altrove.
Zefiro , vento. X , 38 e altrove.
Zcto,re.XI,337.XIX,638.
F 1 K E.
Digitized byGoogle
Digitized by Google
OPERE COMPLETE
DEL CAVAL.n:lU:
IPPOLITO PINDEMONTE
VOL. II.
ELOGI DI LETTERATI ITALIAISI
VUI.UME UNICO ’
Digitized by Google
Digitized by Google
I
ELOGI
D I
LETTERATI ITALIANI
SCRITTI
IPPOLITO PINDEMONTE
NAPOLI
R. MAROTTA E VANSPANDOCH
1834
Digitized by Google
Digitized by Google
ELOGIO
DEL MARCHESE
SCIPIONE MAFFEI
Digitized by Coogle
Digitized by Google
AVVERTIMENTO
L’autore àeWsi Letteratura Ilaliana nella seconda metà del secolo decìmottavo
dice nel terzo tomo , ove di Giuseppe Torelli ragiona, che questo letterato vero-
nese, da cui aspettavasi una Vita del suo immortale concittadino Scipion Maffei,
avea cominciato a fare un'esatta analisi delle opere di lui. Poi soggiunge. Questo
lavoro, e V adunare le necessarie materie lo trasse in lungo; nè sappiamo in
mano di chi ne cadessero i manoscritti , che le nostre indagini non riuscirono a
trovare. Giuseppe Torelli non si mise mai di proposito , qual ne fosse la cagione,
a scriver la Vita del suo immortale concittadino. 11 Seguicr bensì , ìntimo del
Maffei , come tutti sanno, stese intorno a lui aXcxrae Memorie , ove inserì lunghe
analisi delle sue opere, e diè da esaminare il manoscritto al Torelli. Questi gliel
rimandò con poche annotazioni , nelle quali accusa di confusione e disordine
l’estratto del libro della Scienza cavalleresca , e afferma , che questo e gli altri
estratti così diffusi e distinti non hanno luogo in una Vita, e sembrano trascritti
dai giornali. 1 suoi manoscritti poi caddero in mano all’erede Alberto Albertini,
e con quelli le poche annotazioni intorno alle suddette Memorie , e le Memorie
medesime , che al Torelli il Seguier consegnò ritornando in Francia.
Si aggiunge all’Elogio una difesa della Merope centra due lettere di Voltaire.
Digitìzed by Google
Digitized by Google
Quantukqve fila vero che gli uomini comu-
nemente bau più d’ inclinazione e più d’attiui-
dine a questo che a quello studio , o ciò vcn^a
dalla tempera naturale che ogmin sortì , u dalle
circostanze particolari in che si trovò , u dell-
l'uno e dall’altro ad un'ora; vero èi^ou tnaiico,
sorgerne alcuna volta di tali, che di tutte le
migliori discipline ìnvaghìscon di tratto , e sì
felicemente intendono a tutte, che la gioia si
fanno de' ^oro amici , ì'onor del paese loro , e
la maraviglia del mondo. Clie sarà poi se ne'
medesimi entrerà un desiderio lortissimo della
gloria, che là sospingali sempre dov'e’ credano
poterne molla ottenere ; diuioduchè non v'ab-
uia facoltà in voga , in cui non voglian rispleit'>
dere, non risplenda in alcuna un contempora-
neo , cui non emulare , una corona non si mo-
stri lor d’alto, acuì non istendere cupidamente
la mano? Di questi fu il marchese .Scipiun Maf-
fei. Nato e allevato per grandi cose, altro non
pensò, non bramò, non teiitòclie quanto potea
renderlo il primo nomo in Italia, e de' primi
in tutta l’Europa. Questo veemente amor di se
stesso, ove belle non sieno ed oneste le imprese
che altri si prefìgge, funestissimo riesce all'uni-
versa società umana ; ma Scipion Mallèi , die
per la falsa non ìscarobiava la gloria vera , non
solamente sè stesso in tè , ma la patria , la ua->
zione, la religione in sè amò; rivolse il suo pri-
vato piacere a utilità pubblica , c col proprio
lustro quel cercò sempre della patria, dr'lla na-
zione, della religione. Ciò di lui si vedrà lacil-
mente su queste carte, qual siasi l’aspetto sotto
cui io proporroDo , o di poeta , o di storico , o
d’antiquario, di hlosofu naturale, o murale,
di politico, e anche di teologo , novi per accre-
scergli fama , cosa nò agevole a me, nè a lui
necessaria, ma perchè, avendo io sentito più
volte (|uelle faville , che le memorie de' sommi
uomini destano in noi, spero che una vita sì
bella , benché debolmente scritta , potrà qiial-
chegiovanile e ben dispastoaninio rinliammare.
Le contrarie fazioni de' Guelfi e dc’Ghibel-
lini, cirerano spesso cagione del trasmutarsi da
una città all’altra delle famiglie, obbligarono
i Maffei a lasciar Bologna , di cui mi paiono
anzi , che di Volterra , come alcuni avvisano ,
originari, e a stabilirsi in Verona , donde più
rami in più parti d’Italia si trapiantarono.
Vanta la famiglia tre cardinali, Bernardino,
IVTarc'Antonio ed Orazio, e molli letterati; tra
i quali un Agostino, gran promotor degli stu-
di, e il primo a raccor museo d'anticaglie, pre-
cedendo il Colucci , cui ciò s’attribuisce meii
bene, e il suddetto Cardinal Bernardino, scrit-
ture in lingua latina molto pulito, che non
poco accrebbe il museo e l’amor delle cose ro-
mane , e degli antichi monumenti nel Manuzio
e nel Panviuio , per confessiuii loro , trasfuse.
In Verona un Giovan Francesco, do|>o seguito
in guerra il generale Alessandro da Monte suo
zio materno, ridottosi , morto il da M«>nte, alla
patria , impalmò Silvia Pellegrini, donna or-
uatissima , d’alto ingegno e di spiriti generosi,
e cresciuta in una splendida corte, com'era in
Italia quella di Mantova. Costei partorì a Gio-
van Francesco , oltre cinque femmine, maschi
tre: Antonio, che s'ammogliò, Alessandro che
militò con onore ai servigi dell’Eleltur di Ba-
viera , e il nostro Scipione , che ultimo nacque
nel 1675, e che la madre, scorgendo un'Ìndole
maravjgliusa, amò sopra gli altri, benché tutti
eli amasie fervidamente. Ella sola gl' informò
riutellelto ed il cuore, stillandogli per tempo
nell’animo quanto v’iia di più eccel>o e di più
gentile; e poi grandicello seppe da sè |>artirlu, e
mandarlo al collegio, che i Padri di Sant’lgiia-
zio reggexano in Parma con molto grido. Vi si
conserva il ritiatto di lui , c non già tra quelli
de' giovani sliiimi, il cui valore nei mondo non
risponde sempre alle speranze che di sè diedero
ne’ collegi: il ritratto è di lui molto innanzi
negli anni , e quando già rilucca di tanta ripu-
tazione, che non {Kitea non averne un rilampo
Duella palestra , ove riputazion tanta ei s’ad-
estrò a procacciarsi.
Uscitone dopo il corso di cinque anni , e ri-
tornato a Verona , non credette che il viver
nell’ozio fosse un privilegio di chi è nato no-
bile , e pressoché una macchia del grado la let-
teratura. Tutto si dava sul leggere e sul com-
porre ; e non restava di far della poesia Ialina,
che ad amare avta tolto , la sua delizia. Forse
torcerà il viso a queste parole alcun di coloro
che disapprovano il verseggiar nella lingua del
Lazio , tuttoché la lettura dei poeti ne racco-
mandino , e mostran così d’ignorare , che non
penetra^ che imperfettamente , al bello de’poett
del I^azio chi non verseggiò un tempo nella lor
lingua. Tra i coinponimenti merita considera-
zione, massimamente in sì fresca età, un'Arit-
metica , lavoro dilUciìe , ma non intentato,
com'ei chiamollo , giacendo inedito in più bi-
blioteche il poema di Giovanni di Sacro-Bosco
su i Numeri ; poema, cui non è da stupire, che
il Mafì'ei , che ne’ manoscritti non avea comin-
ciato a frugare ancora , disconoscesse.
Con la poesia latina , in cui scrirea secondo
i buoni dettami del suo maestro in Parma, Pa-
dre Beilati , non tardò ad accoppiar l'italiana ;
ma s'applicò a questa in diverso modo , rioà
giusta il pessimo vezzo che allor correa , spe-
6
ELOGIO DEL MARCHESE
zialmente nelle nostre contrade, ove fu mag-
giore , e durò più , quella barbarie ingegnosa ,
che il nume ha dal secento. Volentieri , io mi
persuado , sì leggerà qui uii de’ituoi sonetti, che
non ismonterebbe punto tra quelli di Ciro di
Pera , o deirAcliilliiii.
IVr fosca via con j»ìà c sosjxsi
V'ciiivd Amor di sua ùrètra carco,
lo ,qual uoiu ,che il acrilico attese al varco ,
Gii fui sopra , e quell armi empie gli preti.
Ma di QUova ira entro di me m'accesi
la trovar vóto il suo Bdalu iacarco :
Perch’ci perù sen gisse aucor piu scarco ,
Sjicxzailo , e ai boschi , troo.-o vii , Io resi.
Tuoto ,su l'auree corde , io poi gridìi :
Vo’ caoLir si , clic m'udirà fin l’etra ,
Che iiiib.dle sci , cht disarmato or vai.
Taci ,diss’ei, mrsschia, getti la cetra ,
Gli strali al petto tuo lutti io piantai ,
iùl or meco verrai tu per ùrètra.
£ :c > donde parti queiruomo , che giunse sin
dove a pochissimi è dato arrivare.
Già sì riaprivan gli occhi di qua degli Àp>
pennini eziandio: puerile, o eccessivo, comin>
ciuva quello a parere, che par fino reputato s'e-
la , o sublime; e la rivoluzione prendea sem-
pre più, o, meglio . la coutrorivoluzioae. Quel
coinmoviineQto, che dovea nascer negli animi,
e ne’più focosi singolarmente , congiunto ad
una certa naturale inquietezza, ch’è loro pro-
pria, portò II MdH'ei in varie città: in Milano,
]ii Genova, in Rniia. lu Milano conobbe Cirio
Maria M iggi , che levava grido a que^giorni; e
in Genova si strinse d’amicizia col gesuita Pa-
òtorini, die gli pose in mano il Chiabrera. Nel-
la Capitale del m indo cristiano trovò l'Arca-
dia, che si argomentava di rimettere iu piedi
il buon gusto , e che nomollo , assegnatogli to-
sto i suoi campi, Orilto Brenteatico; ed egli
nella prima radunanza , che da lei teunesi , re-
citò una latina composizione molto applaudita.
Veduta con qualche fretta la popolosissima Na-
poli, tornò per Firenze a Verona’, iu cui poco
ì'ard^fntc giovane si trattenne. C>nciossiachè
▼erso il bue del 1669 . e neU’aprire dell’anno
santo , di nuovo, e accoiupagnato dal Iratello
Alessando, sìcondusseallertvedel Tevere, chi
giù funnicolavaiio di forestieri d'ogni maniera
per gl’immiuenti giorni di perdono e di grazia.
Recato avea seco un oratorio, intitolato iliS.i/z
sorte , ch’eì, della musica intenditore, e suo-
nator del violino,- nell’abitazione sua si pìa-
que di far cantare. Mi che ? I versi sapeauo al-
quanto di quel secentismo, di cui l’autore non
era totalmente purgato ancora. È vero che sta-
va per essere. Roma, che sempre de’crocchi
letterari si dilettò , non n’ebbe mai un più no-
minato di quei che forni ivasi in casa prima di
monsignor Sevcroli, poi di Giovanni Filangieri
xiapoletaiio. Intervenivano il Gravina, il Fa-
bretd, il dei Torre, il Buonarroti, il Quarte-
roni, il Guidi, il Sergardi, il Bianchini , altro
lume delia mia patria , e il Riviera ed il Lam-
bertiui, che furono appresso l'uu del cappello,
ros&Oj e Taltro della maggior mitra iu^iguìih
I ragionamenti , ammesso tra cotanto senno il
s’aggiravano non di rado intorno alla
poesia italiana^ Qui le dispute grandi. Percioc-
ché, notandosi gli autori, e gli Stili contrappo-
ueiidosi, il Veronese preferia, secondo Tusanza,
uuello iu cui credea valer più, e alla contrad-
dizione, caldo, siccom’era al spiriti, s’inalbera-
va. M i non andò guari , che couobbe l’errore ,
e, ch’è più. il confessò, applaudendogli tutù,
e concependo di lui una speranza , che non in-
gaimolft; attesoché si gittò subito ai migliori
uostri poeti, e massime a Dante, che sol gli era
noto, per sua contessìoue, di nome, e ch’ei
prese a imitare felicemente con que’due suoi
Capitoli per la Nascita del Principe di Pie-
monte.
Con questi in mano, quasi con un documento
autentico della sua conversione , ricomparve in
Arcadia, meravigliando ciascuno, che un Lom-
bardo, cosi diceauo, avesse potuto sì presta-
mente far ritratto dall’Alighieri. La stessa pro-
va fec-j nel Petrarca, n#*l Casa, nel Costanzo,
e auchs nel Chiabrera. Ma poco stante s’avvidts
che non è così veramente che si sale in Parna-
so ; e si rammentò forse di quelle parole d’A-
gesitao , il quale , invitato a sentire chi perfet-
Umente il canto dell’usignuolo coritrafl'acpva»
rispose, che più volte sentito avea l’usignuolo.
Q lindi non si propose imitazione alcuna par—
ucolare nella Canzone in Morte del Principe
di B iviera, succedi turo al re di tutte le Spagne;
canzone eh sebbene arieggi alcun poco a quel-
la del Bembo in morte d’un suo fratello, pur
dice, che il Muifei, letti attentamente i mae-
rri, atringegiiostio s’abbandona; che per verità
óciò che vuol praticarsi da chiunque crede ave-
re uu iug-gii). Nè io stupisco, se Malatesta
Strinati, uU’udicla, predisse del nostro Scipio-
ne , che darebbe all'llalia una eccellente trage-
dia; poiché tanto già proinettea lo stjl gravo
ed eroico, il discorso pien di lagrime in bocca
del pidre, e Taifetto, che tutto riscalda il com-
ponimoijto, e che, non domestico, qual è nel
Bembo, ma straniero, palesa meglio la facoltà
di pisiioiiarsi sul liuto, come dimanda il co-
turno.
C »si egli dimorava in Roma , godendo nei
più verdi anni della fama di poeta non comuna-
le, e osservando le reliquie della romana gran-
dezza, e la cupola del San Pietro. Napoli , 9.
cut passò, e in cui ferinossi questa seconda volta
più a lungo , rapi Ilo assai più co’ portenti del la
natura che con quelli dell’arte*, giunti es.seiulo
più tardi a Oipo di Monte gli eruditi tesori
della casa Farnese , e sepolti rimanendosi tut-
tavia sotto la lava e la cenere ì Ponipeiani egli
Ercolaaetisi. Bensì visitò nuovamente il Vesu-
vio , su la cui cima tanto inoltrossi , che ì globi
di caldo fumo y suri parole sue, a tirarsi il co-
strinsero indietro. Non parlerò della soddisfa-
zione, con che rivide la Toscana, e in ispecie
Firenze, ove caro l'avea il gran principe Fer-
dinando, che mirabilmente, i vestigi calcando
de’suoi maggiori , vi favoria le belle arti. Dirò
più presto, che non prima rìmpatriossi, cheat-
tcàe a emeudarej couetto il suo proprio, il gu-
SCIPIONE
sto dei suoi Veronesi, e prò nta occasione gliene
ofieri un’accademia di vers i per un veneto Go-
vernatore, nella quale recitarono i poeti più
in fama d’una città, che al la billezra delle sur
colline quella sempre unì d egl’ingegni, ma non
fu delle prime, convien confessai lo, a spogliarsi
del Marinismo. Sovvenendo gli, thè
» ridiati ttnt acri
Fortius ac melius magnas plerunu/ue secai res.
scrisse la sera medesima , e divulgò il giorno
appresso un Centone tutto di emistithj e versi,
e oistici recitati , e stamjiati artifiziosamente
tessuto ; e conseguì più leggermente il suo fi-
ne, che se venuto fosse ai ragionamenti, per-
chè , promovendo il Centone , che fu come uno
specchio , quelle considerazioni che i netti poeti
fecero allor da per sè, e di cui secretamente
applaudironsi , sembrava loro, non tanto al
Mafiei cedere, quanto a sé stessi.
I primi passi , ch’egli diè nella prosa , paiono
essere state le Osservazioni so-^ra una tragtdia
di Cornelio , la Rodoguna , che si rappresentò
nell’estate dello stesso anno 1700 in Veruna.
Con queste osservazioni ei mirava , io credo ,
ad uno scopo maggiore, che ad ailèrrare, emet-
tere innanzi ai lettori il debole d’una tragedia.
Sdegnavasi l’egregio Italiano deH’incenso che
già oruciavasi a larga mano da’suoi connazio-
nali in onore della francese letteratura ; e pia-
cessi, quanto alla poesia drammatica, d’aver
ferito , dirò così , nella Rodegunaf che il Cor-
nelio antepone nell’iVomc all’altro sue favo-
le, tutte le tragedie di Francia ; se pur la Fran-
cia medesima, anzi ogni nazion moderna, non
venne a ferire , pronunziando in quella scrittu-
ra , che la poesia è mestier nostro. Le quali pa-
role il Salvini ebbe per sì ardite , che non potè
temperarsi dal postillarle in tal guisa: Jo mi
do a credere , che poesia buona esser possa in
tutte le lingue e nazioni. Non può negarsi che
il MalTei alquanto non eccedesse in tal parte:
ma temea le influenze straniere, e forse preve-
dea le settentrionali.
Da ivi,a non molto un’idea bizzarra, e non
però nuova , gli entrò nel capo. S’era rivolto
con gran calore a considerar le ragioni dell’e-
tica ; scienza , la quale , per non usare al par
della chimica , della botanica, e di parecchie
altre, un proprio linguaggio, tutti confidansi,
benché cercata hon l’abbiano, di possedere. Già
ne avea sbozzato un trattato , da cui si pare,
che tutta volesse in brevi proposizioni rinchiu-
derla ; e parte son del trattato cento Conclu-
sioni d’amore, che nell’Acraderaia Filarmonica
con pompa grande , e alla presenza di molta
nobiltà d'ambo i sessi , valorosamente sosten-
ne. Dissi che nuova ron era l’idea ; peri liè, la-
sciando quelle antiche e sì celebri corti d’amo-
re , a simil difesa pubblica s’accinse Torquato
Tasso nell’Accademia Ferrarese , (he divenne
in tale incontro un mirabil teatro , qual chia-
mollo egli stesso , di belle donne j e di cava-
lieri cortesi } senonchè nelle Conclusioni del
Maffei , oltre l’esser queste più numerose dei
M A F F E I. 7
doppio, vi si dichiara la natura e gli efietli
della terribil passione più largamcnic, e vi ,sl
tratta la materia più a londo. Il suddetto .Sal-
vini pensò , ma non ridusse in atto il jiensiero,
d’ilinstiarle ciascuna cunun Discorso, imitan-
do Vitale Zuccolo , che quelle illustiò, e non
■solameli le in fantasìa , di Torquato. Corse an-
che nn’alira difl'eienza, che uomini soli argo-
mentarono contra il primo , cioè il come Goni-
berlo Giusti , il conte Francesco Medici , e il
marchese Pietro Gnarientij laddove contra il
secondo si levò tra gli altri quell’Orslna Be rto-
laia Car alletti, da cui Torquato nomitiò il suo
Dialogo della poesia Toscana, che intitolar vol-
le la Cavalletta.
Mentre seguiano in Verona prr ojera del
Maflèi queste battaglie non sanguinose, e da
sdicrzo, ardra fieramente in Italia, e di V< ro-
lla non lunge, la guerra tra i Galiìspanic 1 Te-
deschi per la successione ad una delle maggiori
monarchie dell’Eiiropa. Una sete incredibile di
nuove cognizioni che il pungea sempre , spin-
selo a frequentare , all’< mbia della nentialità
veneta , or l’una e quando l’altra delle due ar-
mate nemiche. Narrò ei raKlesimo molto dap-
poi nel proemio alle Memorie del fratello gi-
nerale , che il maresciallo di Cutinat , accampa-
to a Rivoli , diss'egli, aver serrata la porla ,
ma che, se i Tedesdil volean gettarsi per le
finestre, non potcali impedire; alludendo al-
l’alpestra c diflicilc strada che dQ\can pren-
dere: Si getlaron di latto, e, per la saggia
condotta del principe Eugenio, senza far.si ma-
le ; come adoperarono a’dì no.«tri ngiialmente
sotto il comando del generai Wurmsi-r, te-
nendo la via stessa della Vaifredda. Ma il no-
stro Ma ilei , che quelle pratiche da molti ri-
guardi ristrette non appagavano, risolse di
trasierirsi in Germania, e faie ima campa-
gna in persona di volontario presso il fraiello,
il qual comandava le truppe bavare ai Fran-
cesi unite Contra l’impero. Arrivato a Bol-
giano , che i Gallobavuri invaso aveano il Ti-
rolo , non ci f u chi gli osasse , g‘à insoigendo
il paese, dar cavalli, ed accompagnarlo. Un
contadino si pre.sentò finalmente che metterlo
gli promise per istrado solitarie in Baviera,
e poi abbanuonollo tra via ; inianfochè gli
parve gran ventura ritornar salvo a Bolgiano,
donde non senza gravi difficoltà alla sua pa-
tria si ricondusse.
Ciò che di freno c agli uni, agli altri non
di rado è di sprone. Quindi ranno seguente
partì con cavalli propri , tolse la strada del
Frinii e della Stlria e Carintia , e penetrò,
col favore del conte di Castelbaico, vescovo
di Chiemsèe, in Baviera , recando all’Elettore
una lettera, che la gran Principessa di To-
scana, sorella dfll’Elettore', come udì del suo
viaggio , aveagli spedita per un corriere a Ve-
rona. Ciò fatto, 1 aggiunse iliratello a Slraii-
bing , e alla giornata trovo.ssi di Donavert,
nella quale una palla di cannone gli rasentò
il fianco, e vicino gli cadde un giovane ca-
valiere, di cui appresso lagrime in versi la
morte. Poco stante accompagnò il fratello, che
8
\
ELOGIO DEL MARCHESE
da Monaco, di cui era governatore, a scac-
ciare andava della Baviera le truppe imperiali
che dal Guttestein capitanate la devastavano.
Strano caso si vede in quella spedizione. In-
timato avendo il generale, per mancanza di
subordinazione, l’arresto a certo Boismorel,
colonnello de’granatieri rossi , costui montò
in collera , e a lui con la pi.stola in alto ve-
niva incontro ; ma strappata tosto di mano
l’arma gli fu da Scipione, che, scrive nelle
sue Memorie il generale stesso, se gli avventò
col cavallo. Continuavano intanto le opera-
zioni, quando Alessandro ricevè lettere da Ve-
nezia portanti , che, uscito di vita il mar-
chese du Hamel, comandante in capo dell’armi
venete, molti senatori gli occhi a lui rivol-
tavano. E lo stesso avviso ebbe da Verona per
mezzo della marchesa Silvia sua madre. Tanto
' bastò perchè Scipione abbandonasse subito il
campo, e si moves.se per alla volta di Vine-
gia rapidaniente.Ma sventura volle che la me-
desima sera che si doveva deliberare in senato
giungesse da Vienna l’annunzio falso, e forse
inventato ad arte, della morte del General ve-
ronese accaduta in duello col barone di Li-
zelburg: però s’elesse immediatamente il ge-
nerale Steinau, che servito aveva la Repub-
blica con molta lode nella guerra del Pelo-
ponneso.
Non tacerò che il nostro MafFei , sedendo a
mensa con gli uiHziali bavaresi e francesi , e
udendo dai francesi quelle lor canzonette , cui
danno il nome di Bacchiche, volle mostrar loro
che formar .«e ne pos,sono di non meno allegre
in lingua italiana , e più cantabili molto, e più
musicali. Fatta la pace, bel destro gli venne di
manifestare il suo buon giudicio e i’amor suo
per la venta. Il marche.->e di Priè , ministro
dell’Imperatore, proposegli, indettato daf prin-
cipe Eugejiio, di scriver la storia di quella
guerra , facendosi dalla mbrte del Re’di Spa-
gna; ed assicurollo che al titolo di storiografo
cesareo quello aggiungerebbe di con.sigliere di
stato. Rispose il Maffbi che tal proposizione
al principio soltanto delle ostilità pareagli ac-
cettabile ; perciocché allora bazzicato avrebbe
ancor più tra gli eserciti e le corti, procu-
rato d’intervenire a tutte le fazioni più gran-
di , o almeno i paesi osservato, ed i siti, e
ragionato dopo le battaglie co’generali d’am-
bo le parti. Sapea quanto gli storici per difetto
di queste cose , e per non essere stati a ca-
vallo e sotto le tende , prima d’entrar nello
scrittoio e pigliar la penna , pecchino co-
munemente ed anche gli antichi , eccetto Po-
libio tra i Greci e Cesare tra i^ Latini , co’
quali ardirei porre il moderno Bonamici , che
scrisse, soldato al par d’un antico. Sapea che
in tutta la Biografia di Plutarco non na rac-
conto di guerra meglio espresso o circostan-
ziato di quello della battaglia de’Cimbri nella
Vita di Mario , perché Plutarco vide i Com-
mentari di Siila, che mescolato s’era in quella
battaglia. Senzachò uno storico esser non do-
vrebbe nè storiografo cesareo, nè d’altra corte;
il che sapea puie, ma necessario non gli era
di dichiarare nè al marchese di Friè, nè al
principe Eugenio.
Contento ,,se non pago, alle cose vedute,
e rientrato dai pensieri delle armi in quei delle
lettere, s'avvitò di fondare in Verona, per
dare un nuovo impulso agl’ingegni, una co-
lonia d’ Arcadia, di cui fu egli il vicecustode.
Si raccolsero i novelli pastori la prima volta
nel superbo giardino, ed unico nel suo genere,
de’conti Giusti , del qual non è forestiero in-
tendente che non istupisca, veggendo un monte
dentro la città in cento guise abbellito , e
convertita in un luogo di delizia una rupe. Il
Mafiei apri la radunanza con una Prosa , in
cui si tesse brevemente una Storia della Poe-
sia nostra , e a maniera de’principali nostri
poeti giudiziosamente si tocca. Ciò tuttavia
che merita secondo me più attenzione, è il
dirsi che lo spirito della poesia nel secento
non usci d’Ilalia , conforme stimano alcuni:
ma che quegli elevati ingegni, a cui riparò,
o alla corrente un argine non si curarono,
o indarno tentarono contrapporre. È chiaro
che non essendo stato di quegli elevati inge-
gni , perchè lui ancora trasportò la corrente,
gli tornava il prescindere da tal considera-
zione ; e s’egli non se ne contenne , fu per-
chè l’onor dell’Italia più che il suo proprio
.slavagli a cuore. Di fatto molti si conservaron
sani in mezzo il contagio. Ricordami avere
udito nella mia giovinezza che il Ghedini in
Bologna si lasciava ridere in faccia nelle ac-
cademie poetiche, e tollerava pazientemente
quella vergogna, non dubitando che presto o
tardi se gU farebbe ragione. La Toscana poi
si mantenne pressoché intatta, che non fu l’ul-
tima certo delle sue glorie.
Del rimanente, s’ei non comparve tra i pri-
mi o condannar le punte, il falso lustro, o
le iperboli, sì scagliò il primo contra una nuo-
va depravazione, che, sorta in Milano, già
dilatavasi per l’Italia. Gran turba di seguaci
avea il Maggi , uom certo di mente vasta e
di dottrina uon ordinaria, ma il cui stile man-
ca di quella dote necessarissima, che il poe-
tico linguaggio, dal prosastico distinguendo-
lo, costituisce. Se molti dall’uua parte si met-
tono a scrivere in poesìa, che non han nulla
da dire, vero è dall’altra che non basta l’aver
cose da dire, ove dirle non si sappia conve-
nevolmente; anzi l’idea e l’espressione formano
Un tutto, non essendo lo stile al pensiero, come
affermano alcuni, quel ch’è la veste al corpo,
che resta il corpo medesimo sensa la veste, ma
ciò che la pelle, la fisonomia, il colorito. Se-
nonchè i pensieri del Maggi altresì , o i sen-
timenti che voglian chiamarsi, non approva
generalmente il Maffei, a cui sembrano acu-
ti , sentenziosi o riflessivi troppo, e per isfre-
natoamor di filosofia profondi soverchiamente
o remoti, onde anche molta oscurità; la quale
10 penso aver conferito non poco alla lama
di quell’autore , perchè d’un autore , in cui
ammiransi alcune cose che intendonsi, molti
quelle che non intendono ammirano ancora.
11 Maggi a quel tempo era su l’orlo della vi-
DIgitized byGoogle
s c I P I O X
ta , o già morln. Muover le sue ceneri? as*
salire chi non può dilemlersi? Cosi pur troppo
si suoi ragionare ; quasi criticar solo si po-
tesse un poeta tiiichVgli vive, e non fosse anzi
cortesia il non isfroudargli lu capo , mentre
cammina tra gii uomini , quella corona che
una gran parte forma per avventura delia ter-
rena sua contentezza.
Facendo ragione ij Maffel che alle sue cri-
tiche osservazioni più autorità acquisterebbe
s’ci mandasse lor dietro uii esempio luminoso,
immaginò un poema morale in ben cento can-
ti I di cui non abbiamo a 8tanii>a che un sag-
gio. Vi si doveva dimostrare che la felicità è
iiel diletto, e che il vero diletto non s’ha nel-
Fozio, ne* piaceri, nelle ricchezze, nel duini-
nio, e nè tampoco nella gloria. Convenir mu-
nirsi, la prima cosa cuntra il dolore e però
rendersi imperturbabile: non desiderar nulla
con ardenza; non temere, non adirarsi. Poi
si manifestava quanta dolcezza si trovi nel-
l'operazioni delle varie virtù e nell’esercìzio
dell’intelletto. Quindi passavasi a rappresen-
tar l’inganno di creder possibile qui una fe-
licità piena , ove la meccanica struttura dei
nostri corpi troppo ci dillìculta il dominio as-
soluto delle passioni, ove alcun bene non dura,
ed uve tutto è vallila. Noti si dar dunque vera
felicità in questa vita , nella quale non è il
nostro ultimo One; ma doversi tare ogni sfor-
zo, per godervi almen l’imperfetta, mediante
la direzione all’etenia. Questa dottrina sanis-
sima , che il succo può dirsi delle greche scuo-
le , dell’epicurea, della stoica e della peripa-
tetica, corretto dalla lilosofìa cristiana e per-
fezionato, aveasi ad esporre con perpetua in-
venzione maravigliosa. L’idea generale è un
viaggio alla luna , in cui abitar sì suppone
spinti di spezie diversa , anime di trapassati,
ed uomini dal nostro già trasmutati a quel
mondo. Giunge il poeta dov’eseguivasì annuo
sagrificio solenne, e sente come la grazia che
implora da Lio il sacerdote, si è, che i no-
stri voti non esaudisca. Maravigliandone, de-
scriver s’ode la vanità de’ desideri!, e quanto
spesso non cerchiamo che il nostro aanno.
Qualche luogo cuncedea pure, fuor della mo-
rale, a materie scìentiiirhe di più generi, ma
sempre favoleggiando. Per cagion d’esempio,
con un mirabil vetro che ottenne in dono,
vede gli elHuvii invisibili delle cose, e la fi-
gura loro ed Ìl moto. Gli episodi! viilevano es-
sere storici, e tratti dalla guerra della Succes-
sione segnatamente, svelandovi il poeta molte
particolai'ità non ben conosciute , ed il cam-
peggiare, il marciare, l’assediare, l’armi, e
j| combattere rappresentando de’nostri -tempi.
La battaglia di Lonavert, a cui intervenne,
apparia iu uno specchio per artifizio d’im ne-
gromante. Descrivea un conflitto navale nello
Stretto dei Lardanelli; e le ombre d'Ettore,
d’Achille, di tanti eroi sepolti sotto que’lidi,
uscivaii delle lor tombe, e disposte su la riva,
Eer veder lo spettacolo, rendevano ai com-
attenti quello spavento che dallo strepito
ignoto delle loro artiglierie riceveauo. E usava,
riNUEM. ELUOI.
: M AFFLI. 9
non che tutti gli stili, i metri altresì , acco-
modando questi non men che quelli, alle di-
verse cose a dipìnger tolte, a fin di meglio
dipingerle. Ogui sorta di versi usò Cheremune
tra i Greci nel suo Centauro , che i) tempo
c’mvolò interamente, a non parlare de’nostri
ditirambi ; e dopo la morte del MafiVi un let-
terato francese raccomandò la pluralità de’me-
tri , asserendo, che questa mescolanza di nu-
meri, analoga ai movimenti deU’animo e alla
qualità degli oggetti, sarebbe preferibile al-
l’uniformità de’trancesi distici , e dell’ottava
italiana. Cosi Marmontel nella sua Poetica.
Non mi par fuor di proposito il toccar qui
una nuova opinione che il rinomato lord By-
roti produsse in una sua lettera a dieci aste-
rischi, o stellette , indiritta , in cui prese a
difender Pope contra le appuntature del si-
gnor Bowles. Chi avrebbe creduto che un By-
ron, la cui scuola è così altra da quella dì Fope^
rompesse una lancia per lui? Egli pianta que-
sto princìpio, che la poesia didascalica, e quella
singolarmente in cui trattasi di morale , sia
di tutti i generi il primo; perchè ciò che rendè
Socrate il più grande degli uomini fu la sua
Etica, e ciò con che Gesù Cristo provossi fi-
gliuol di Lio poco meno che coi miracoli,
furono i suoi morali precetti. Peccato che il
sistema d’Epicuro guasti Lucrezio! Senza que-
sto noi avremmo un poema molto al di so-
pra d’ogni altro in qualunque lingua: come
mera poesia vai più àeW Bneide, Egli è una
moda corrente il tanto magnificar ciò che im-
maginazione chiamano , ed invenzione , doti
comunissime l’una e l’altra: un contadino d’ Ir-
landa con un po’ dì whiskey nel capo imma-
ginerà e inventerà più che non è mestieri ad
un moderno poema. Ma io , con pace del no-
bile liOrd , credetti sempre due cose : Puna
che il poema epico occupasse fra tutti i ge-
neri il primo luogo; l’altra, che parte rag-
guardevolissima e quasi divina della poesia
fosse l’invenzione. Nè mi parve per questo di
non onorar la morale di cui il poeta epico si
professa maestro, non come i filosofi iie’ior
trattati, ma sostituendo ai precetti gli esempi,
e rivolgendo in azione l’insegnamento. Di ciré
Francesco Maria Zanotti va sì persuaso che
i Sermoni , al cui genere tutte le bellissime
composizioni morali di Pope si posson ridurre,
non dubitò chiamar poesie imperfette rim-
petto alla tragedia ed alla commedia, non che
all’epopea, li poema del MaiFei , il quale ne
viene ad esser l’attor principale e quasi l’e-
roe, a quella guisa che del suo l’Alìghieri,
non può a rigore chiamarsi epico. Contuttociò
l’autore, andando sempre per via d’invenzioni,
dà a divedere di conoscer perfettamente il suo
uffizio ; e però merita senza dubbio e la lode
di avere assunto una scienza sì nobile per ar-
gomento , e quella d’essersi posto a trattarlo
secondo l’arte, cioè di tal mono, che il lettore
Tammaestramento ricevesse, mentre altro non
aspettavasi che il diletto.
Questo lavoro sì curiosamente concepito e
sì arditamente , non gli permise di compier
3
io
I-: 1, o r, I 0 D K r
mai le varie opere che successivamente intra-
{nese,'stcumiochò u la noviiù ^ o i'impurtanza
«Iella materia a scrivere l’invitnva. Il sog^etto^
<*htt primo staccò ila sì gran tela poetica la
Koa mano , fu quella strana dottrina cavalle-
iTsca che di tutie le piaghe, che nel bel corpo
lioiriialia impressero i Barbari, mostra la piu
{>rui'onda essere stata e la più insanabile. Chi
non sa, come dalle leggi de’I^ongobardi s^'n-
trodttccsse l’uso tra noi di deridere, non se-
«•ondo ragione , ma con la forza , le contro-
versie e le liti? qnai pazze maniere di prove
c! quali opinioni sciocche in proposito di onore
V (l’int'amia prendesser piede? qual travolgi-
inento si facesse della morale / e qual confu-
sione entrasse nelle idee del biasimo c delia
Inde, del male c del bene, del vizio c della
virtù? Sì leggiadra dottrina dalla Scandina-
via , ove nacque, portata in Italia, c auto-
lizzata qui da Botano e suoi successori, non
«he da’re Franchi e germani, e oppresso da
quei semibarbari jurìsperiti che si chinmavan
]>rQmmalici , caldamente promossa, i nostri
scriltori nel <le«:irnoquinto secolo ordinaroiila
»«cr«*bberlaed illustraronla. Perchè dove prima
scritto s’ era del solo duello, cominciossi a
trattare allora della mentita , di chi è attore,
«► reo , della negativa , della briga , del carico
e di tutte le alire parti, onde questa si com-
pone ridicola scienza ed assurda, sino al prin-
riplo del seco! passato d’ornare in Italia non
Sì restò e d’indorare. Vergogna sì fatta delia
linzìone potrà l’uUimo Italiano vederla rlmes-
^ame^tef Certa scrittura per una contesa tra
il suo maggior fratello e un altro cavaliere
ll.‘•cì fuori. Colse il Maffei l’opportunità, e
pubblicò quasi a preparar gli animi , dotto
(ihrrtto senza anno e luogo, intitolato La / <z-
KÌlà della scienza capalleresca y in cui par-
Um déir(»rigiiie sua, deira«3cresclmento , e de’
Mioi falsi principii; e a cui Sf'guì con breve
intervallo la grande opera scienza chia”
mata Cavalieresca, opera di cui l'iialia non
vanta in Hlos«dia morale nè la più utile certo,
nèja pili India.
K difiicile il dire chi meglio le parti sue
\'i sostenga, se il filosofo o l'erudito. Prova
il Mosoio, come questa scienza non è assistita
«lalla ragione, la quale niegherù sempre che
l’onor cavalleresco sia il supremo de’ beni e
«la preferirsi alla vita, al principe ed alla pa-
tria; e che q'ieht’onore intendasi che si vuole
e piglisi per l'onestà stessa, il tolga l’altrni
ingiuria , si ricnprri col risentimento e di sal-
varlo abbiati forza e Hi restituirlo, la men-
r ta , il duello e le soddlstazionì quali si sieno.
<.)nindi la necessità d'un fòro cavalleresco,
elm altro non fu sempre che immaginario.
Xc più che dalla ragione è soccorsa dal-
rantontà; il che si dichiara nella parte se-
••4inda, in cui l'erudito il principio n'espone,
il progresso e la (òrma, spargendo nuovi lumi
per tutto di antichità, di storia , di saper le*
e politico , e dimostrando quanto eran
più savi di noi gli antichi (Tceci e i Uonianì.
e il »ono i Turchi, Persiani eCinesi; perchè
MARCHESE
altni è venire a singoiar pugna, che può essere
inevitabile alcuna volta, altro aver libri rlie
.seriamente ne trattino, raccoglier consigli e
rasi, e ammazzarsi in regola, e giusta il ilet«
tato de’giurecnnsulti. Si scorge qui non esser
necessario il «lir Langobanll, contorme il Ma-
billon , c molti altri, die trovaron così ne-
gli originali dc’diplumi, insegnarono ; scri-
vendo , è vero, i 'rpileadii lang, ma long
prominziamlo cumuneuiente , cioè a riserva
de 'Sassoni. E l’origine si vede che indagata
non eresi aurora , dell’inimicizia, o vuoi delia
briga; poiché ristrettissima essendo nelle na-
zioni germaiiich’' anticamente la potestà regia,
si governavan le terre da signorotti partico-
lari , i quali , oltraggiandosi scambievolmente,
e un comune magistrato mancando, si ren-
dcan giustizia da se con la guerra, die in lor
linguaggio chiainaron faida, e suona inimi-
cizia , o briga nel nostro. •
T«>rna in i.'Cena nella terz;i ed ultima parte
il filosofo, e toccar fa con mano che nè tam-
poco dall’utiiilà la supposta scienza è difesa.
Xoii sì nianlenne in virtù di lei forse il duello
CRvaileresco e la fatai massima non invalse
dell’ obbligo della vendetta? Non furon da
lei stimolate e promosse ie ingiurie con aver
rendnta più vantaggiosa e onorevole la con-
dizione degl'ingìuriaiui ? Non ebbe principio
in lei ogni snperchieria ed assassinio, il por-
tare armi nascoste, il nodrire sgherri? Non
è «l-’ssa die inasprisce ed eterna le liti per le
inhiiite diihcoltà e lunghezze, e per le dili-
gentissime notomie d’ogui sguardo, d’ogui ge-
sto e d’ogni parola?
Ma non c verità che ora il filosofo in que-
s»o libro apparisca etl or rerudito. L’uno «
r.iliro vi campeggiano a un tempo, non an-
dan<lo mai nè il raziocinio dal sapere, nè il
saper disgiunto dal raziocinio. Non parlo di
una somma chiarezza e d’uii ordine e metodo
singolare, e non facile in opera, ove si coii-
rmano scrittori die non s’accordaii tra loro,
e che ordine o metodo non serbano alcuno.
K lo scrittore risplendevi ancora , lo scrittore
elegante, senza barbarismi o arcaismi che tra-
sportino il lettore o in un’altra nazione , o in
un altro secolo contro sua voglia. Vuoisi an-
che osservare che due requisiti nel Mallei era-
no, se non necessari , opportuni certo a trat-
tare un tale argomento. L’uno l’e.s.,er nato no-
bile , perchè di cosa die la nobiltà sola ri—
sguurdava , sexivea ; onde il motto ]Sos no-
stra corrigimus , tolto dal Cardinal Noris, che
Veronese ed Agostiniano, corresse il Panvinio
della ste.ssa patria con luì e della .sie.ssa re-
ligione. Al qual proposito noterò ch'io desi-
derare udii al celebre Alfieri la medesima qun-
liià nel Parini, senza la quale non gli per-
donava che fatto avesse nel suo bellissimo
Giorno la satira de’noblli del suo tempo. L’al-
tro requisito traealo il MaHei dulie prove «li
coraggio, che, prima di condannare sì aper-
tamente il duello, date avea in più occasioni,
c allora in particolare che militò col frutelU»
nella Baviera; lasciaiidij di' egli eia destro
V
vS C I P I O N E
delia persona e multo valente nello schermire.
Pi ima di'ei portasse a termine la sua t'a«
tiuu » cadde in furari debolezza di corpo , se
crediamo a una lettera di Apostolo Zeno ad
Ottavio Alecchi, dotto veronese , direttacela
ceiisettantesiina drlta Raccolta che l'abate
Morelli delle lettere di Apostolo pubblicò.
Qoesi'uUitno si cundtissea Verona nello stesso
anno 1707, come la lettera che succede , e va
al Horentino Francesco Marmi, c'insegna, nella
quale molto si stende sul diletto grandissimo,
di cui la dimora in Verona gli fu cagione.
J[o godalo in quella citlà , oltre Vamabilis^
jirna compagnia del marcUese Majfei, la beU
Uzza del stlOf la magmjìctnza delle strade
€ delle fabbriche , e sopra tutto le maesttse
reliquie della romana antica magmjicenza.
£ qui parla dell’atifitealro ch’era statua ve-
der più volte, e degli ultimi scoprimenti, ed
in ispecie d’un pozzo recentemente trovato,
riferetulo Topinione di alcuni , die fosse ad
uso d* innalzarvi un grande albero, per cui
sì sostenesse il velario. A/a , soggiunge , qval
probabilità , che il pià bel mezzo dell'arena
fosifC da cosi fatta macchina ingombrato, e
impedito nelfueo de'gtuochi e degli spetta-
coli? Fu il Zeno de’ più teneri e cosluiìti
amici del nostro òciplone , <Ìi cui scrisse molti
anni dappoi ad Annibale Olivieri , che non si
può conoscerlo e non amarlo. E perché l‘a-
cilissimu era il conoscerlo , tralucemlo nella
sua favella e nell'aria del volto con riiig**giio
anche l’animo , giudichi il lettore se molti-
quei che l'amavano , doveano essere : oltre che
il solo lasciarsi conoscere facilmente è purie
non piccìoia dell'amabilità.
Kè meglio della persona si sent'ia ranno
appresso, culpa probabilmente degli int>n->i
suoi studi, ne’ quali soli hi virtù gli lallia
della temperanza. Tuttavolta la sanità poco
ferma di cui lagnavusi , non Pimpedi <li.-cr-
vire il re di Danimarca Federico IV, che nel
dicembre 1708 onorò con sua dimora di dieci
giorni Verona, e ch'io iioii so qual dì due
cose si maravigliò più di trovare^ se un avanzo
su i nostri monti di Cimbri, tra la cui lin-
gua e la danese qualche aillui'à riconobbe, o
per la stagione die quell'anno rigidissima coese,
j1 danese inverno in Italia. Ma , venuta la
primavera c riscaldatasi alquanto l'aria , il
Madéi andò a Padova, ove con qucll’iinpetu
del suo spirito, che lu imlisposizion corpo-
rale non rallentava , cos'i a un dipresso mi
sembra mlirlo parlate al professor Vulliameri
ed allo Zeno, che in Padova era per caso:
Non vedete voi L'ingiiistizia e la negligenza
dei forestieri m riguardo aW Italia? ^e.gli Atti
di Lipsia i migliori nostri libri si passano
sotto silenzio , e nelle Memorie di T.ct^‘>u,x
gli scrittori rwstns’appuntanocontinnamente.
Ci staremo noi con le numi a cintala , quasi
non avessimo penne , inchiostro e intelletto?
O son forse qui divenuti ottusi gl'ingegni, e
il sole spunta , più che al tempo ae nostri
padri, lontano da questo clima? For di tal
loiza le sue paiole, 1 h(i uaiipie subito tia
M A r F E I. Il
quell’illustre triumvirato il pensiero di com-
pitare un buon Giornate Italiano , il (|ual. so-
verchiasse a gran lunga la corrente Galleria
di Minerva t di cui spiacer potrà sino al ti-
tolo , che le ricercatezze seccntistiehc ricoi-
dava. Ecco l'origine del famoso Giornale i\c'
Letterati, onde si diè alio Zeno la ilirezioiu ,
e nel qual basti , ch'ebbero parte, oltre i suoi
tre fondatori , un Morgagni ; uno Zcndniti,
un Puleni, un Muratori ed un Foiitanini; gior-
nale, che o si ponga mente al dettato, o albi
quantità delle notizie , o alla maestria degli
estratti , o alle dottrine delle dissertazioni, tm
ornamento sarà sempre delle biblioteche ch^
il serbano e un desiderio di quelle che noi
posseggono; e giornale, di cui priiuipal lino
non era il dar risulto con evidente parzialità
a tre o quattro hcrittori nostrali, mai colpi
degli avversari stranieri a un bisogno rihai •
tere; e sopra tutto nrj'tlcre in moaira le rie-
chf-zze letterarie, o scieutilirhe deiPltaiia.
Da Padova passò il Mailéi a Firenze , ove
ottenne <)al gran principe Ferdinando , che
spesso chiamavaio a corte, la permissione ds
dedicarglielo. Ma ei riuii uvea racqiiistato an-
cora il vigor perduto; per la qual cosa si con-
dusse ai Uagni di l.ucca , se in quelle rete-
brate acque il potesse mai rinvenire. Nc fu
della sua speranza iàilifo. Hiturno lieto a l'i-
reiize , donde spedi sollecitamente allo Z^no o
la Dedicatoria e Perudita Preiazion generale.
Si tesse nella medesima ima storia di tutti i
giornali , si parla dell’utilità di tuli opere pe-
riodiche; e si dichiara il metodo die i com-
pilatori preligevansi di tenere. Nè vi s’onicLio
di assennare quei di Trcvuux , ai quali ciò
non ostante piacque cotanto , che il nieglui
in una delle Prefazioni loro ne trasportarono,
lu avrei desiderato che visi accennassero an-
cora le qualità d’uti ottimo giornalista; di cui
detto s’avrehbe probabilmente die un intel-
letto non ordinario si richiede in lui fuor di
dubbio , ma che nulla vale la dottrina n il
giudiciu senza la virtù cd il candore; ch’egli
dee, mentre scrivo, non aver, per quanto o
possibile, nè patria, nè parenti , nè amici, <•
nemici ; che il primo suo scopo non sarà di
piantar nelle memi un concetto grande ilei
[iropriu criterio, abl>assaiido. gli autori più
accreditati, e ì meno accreditati innalzando;
che non si terrà da lodare ohiasimure un au-
tore , perchè di tal biasimo o lode olh-rid:»-
rebbesi un altro o più irritabile, o più po-
tente; che non dara nell'assurdo di laveliant
a lungo dell’opere meii preuevoii , e le f
importanti e gradite, nò registrar pure ; eli -
tieiimente, che parer non gli farà più o im u
bella un'idea, o uii'i-spressiune , 11 conviMiire,
o il dissentire da lui nelle credcnzi? pulitldiu
e religiose; dalle quali tutte cose vedrebbe''!
che non si disapproverebbe Tadoperar gingia-
mente così le ceiisurc, come gli eiicomii, con •
dizioii necessaria, per mm niiincare al prin-
cipale suo iiHizio ch’è di promuovere lu ci L-
ticH nella sim nazione ed il gusto.
Roma iiitaiilo aspettava il uoslio Malici tho
.lOU^Ic
13
ELOGIO DEL MARCHESE
Tolea stampar la sua Scienza Cavalleresca
in quella città e intitolarla a un punteHce di
facondia lodato e d’erudizione , a Clemente
Undecimo , cui egli stesso la presentò di sua
mano. Volò appena per l’Italia il bellissimo
libro , che levossi da tutte le parti un grido
d’ammirazione e d’applauso. Uscirono, è vero,
alcuni scritti in contrario , ma in breve mo-
rirono, perchè ciò non comparve che sol potea
qualche tempo tenerli in vita : le Mafieiane
risposte. Non so perchè il Maffei non colo-
risse quei suo disegno di ampliare alquanto
l’opera sua e trattarvi , secondo gli s’aggirava
per capo , dell'onore ad uso degli oltramon-
tani e delle armate. Cosa deplorabile che in
tempi che diconsi filosofìci , e in una nazione
che vanta i suoi lumi, il potere delle sue leggi
e la sua libertà , si sfìdino talvolta i legisla-
tori stessi a duello per un nonnulla , e cre-
dono non esser degni di vivere se non fan
d’ammazzarsi scambievolmente con una palladi
piombo nel petto 1 Quanto all’Italia , ardisco
affermare, che frutto sì pronto e sì grande
d’una scrittura mai non si vide. Se la furia
de’duelli non cessò, scemò certamente; e, non
sapendosi più con ragione alcuna difenderli,
altro non rimase che confessare la propria der
bolezza in cedere ad una usanza , che alla re-
ligion s’oppone, al buon senso ed al ben co-
mune, e cui nessun può col giudicio suo , al-
meno interiormente , non condannare. Ma ciò
che veramente formava la così detta scienza
cavalleresca, ricevè un colpo mortale; sicché
l’autore conseguì quello che potuto non avean
prima decreti di papi, editti di principi, ca-
noni di concili , e trasmutò, giusta l’espres-
sione del Bettinelli nel suo £ntusiasmo , il
pensare degl’italiani. Tanta è la forza , che
talvolta esercita sopra un’intera nazione la sa-
pienza eloquente d’un uomo solo.
Volea Clemente Undecimo ritenere in Roma
il nostro Veronese; ma cosa nè un papa po-
tea offerirgli, di cui ei non valutasse ancor
più la sua independenza. Si ridusse pertanto
alla patria , in cui poco restò , cercandovelo
io inutilmente nel 1711, e in vece nella ca-
pitale scorgendolo dei Piemonte. Con quella
facilità che un altro il suo giardino passeggia,
ei viaggiava pel giardìu dell’Imperio , qual
chiamò Dante l’Italia, che poi giardin dell’Eu-
ropa chiamossi, comechè or languido in alcune
parti e sfiorato. Era in Torino per affari do-
mestici, cioè per ricoverare il marchesato di
Farigliano dalla famiglia perduto, benché ne
fosse stato investito il padre dopo la morte
dello zio General da Monte che in premio lo
ebbe del suo valore. Così tuttavia non l’occu-
pavan gli affari che molte ore non passasse
nella reai biblioteca di curiosi libri e di ma-
noscritti talmudici e rabbicini, non che di greci
doviziosamente fornita. Ne mandò allo Zeno
una Relazione , in cui è da notarsi tra il re-
sto la notizia nuova dell’intera Epitome delie
Instituzioni di Lattanzio, creduta mancante
di due terzi, ed acefala, e appresso pubbli-
cata da Cristoforo Matteo FfalF, dottissimo
protestante che si trovava l’anno stesso in To-
rino col giovane priiici[)e di Virtemberga. Me-
rita considerazione altresì uii’antic» e fedele
version di Dante , la qual comincia :
jéii milieu du chemin de la vie presente
Me retrouvay pariny ime forét obscure ,
Ou m’estoy^e esgatv hors de la droicte sente.
è tutta nel metro stesso che l’originale, me-
tro che i Francesi non usano, come nè anche
gl’inglesi, tuttoché il sopraccitato lord Byron
l’adoperi nella sua Profezia di Dante : ma
quanto all’anno, essendo io in quella città e
nella biblioteca, non mi riuscì rintracciarlo,
e nè tampoco il nome del traduttore , che
certo precedè il Grangier, la cui versione vide
la luce nel 1697 in Parigi. Ricco il Maffei di
notizie bibliografiche, ma non del marchesato
di Farigliano, che di ricoverare non gli andò
fatto, si rimise in via per Verona, dove una
sciagura impensata e delle più gravi atten-
dealo ; la morte dell’incomparabil sua madre.
Notai già che amor singolare a questo figlio
portava , e d’uguale affètto rispondeale Sci-
pione ; il quale nel Proemio alle Memorie del
fratello Alessandro narra di lei ch’era dama,
quando si maritò , deW arciduchessa di Man-
tova , e che risplendea molto per le sue qua-
lità in quel tempo. E soggiunse : Riuscì que-
sta poi donna ardente nelVamor vero dé‘ fi-
gliuoli, piena di spiriti grandi , e dotata non
meno di molto ingegno che di gran cuore , e
che non conobbe paura. Costume raro nel
sesso , di cui non sembra propria virtù la for-
tezza : però Aristotile la disse avòfix quasi
non s’annidasse che in uomo.
Pianta una madre sì egregia e sì da lui ve-
nerata, cercò un sollievo al dolore nella sua
libreria, dettando una latina Dissertazione su
la favola, qual ei la chiama dell’ordine Co-
stantiniano. Asserito avea nella Scienza ca-
valleresca che tutti i cavallereschi ordini rico-
noscono il lor principio dalle Crociate : il che
spiacque a coloro che dall’imperator Costan-
tino, e da que’ciuquanta soldati che alla cu-
stodia del Labaro ei deputò, l’ordine Costan-
tiniano fean derivare. Nulla tanto denota la
forza delle passioni , quanto l’odio , che ha
l’uom talvolta per la verità, che pure ama s,ì'
ardentemente poiché sì avidamente la cerca.
Ma chi , nemico più che il Maffei, di tutte le
opinioni torte, e le chimeriche tradizioni? Chi
più animoso a combatterle, e in tempi ancora
non favorevoli e da disanimare ogni altro seri t-
tore ? Frasi in effètto avvisato il Duca di Par-
ma di assumer quell’ordine, e presentar ne avea
fatto a Clemenete Undecimo le regole da ap-
provarsi. Ma io non parlo , dicea il Maffei,
dell’ordine che un principe vuol dispensare:
parlo della favolosa istorietta che del mede-
simo si racconta , e tratto un punto d’erudi-
zione e d’antichità.
Circa la metà del secolo decimosesto alcuni
poveri Greci di rito latino , che nello stato
veneto dimoravano, si dicro a .‘spargere d’es-
DIgitized byGoogle
S C I r I O \ E M A f F K I.
s^r della famiglia Angela Comnena , e <li&cen*
dere da Cii^tantino il Grande. Divulgarono
stupende carte, che principi li dichiaravano
e duchi di varie province, e diritto lor da>
vano all'imperio di Costantino|Kjli. In oltre
lincierò una religione di cavalieri istituita da
Costantino , e s’iniitolarouo supremi mapistri
militiae Sancii Georgtì , con tacpltù di creare
milites Constantinianos , sive equites sub re-
gala Sancii Bastiti ei Sancii Georgii , e ti-
toli pubblicarono e documenti mnravigilosi.
Ma la commedia hni tragicamente. Punito ne
venne l’attor principale, che ai vide cangiato
improvisamente in vera galea il trono fanta-
stico di Bisanzio.
11 Maffei nella suddetta Dissertazione che,
in forma di lettera, a Gisberto Ciipero indi-
rizza, mostra su le tracce del Cangio, il ri-
dicolo di quelle carte, e il falso manifesta di
que'documenti. Nulla tanno i pontilicii brevi,
che tanto son validi , quando veri sono i pri-
vilegi , tenendosi per giudice supremo il Pon-
tefice nelle cose che la fede risguardano, ed
ì costumi, non in quelle che la storia o la fi-
lologia. Quindi l’approvazione di Papa Cle-
mente cade bensì su gli statuti che a quelli
si conformano degli altri ordini} su la favo-
losa novelletta non cade. K in riguardo al chia-
mar Costantiniano quest’ordine chiamisi, se
COSI aggrada, ma sol perchè instituitu in me-
moria del Labaro e delia Croce veduta nell’a-
ria dairimperatore.
Poma nondimi'iio disapprovò, e pose nel-
l’Indice un libro, in cui non si ragiona delle
pontificie bolle a quel modo che da lei si desi-
dera. Senonchè potrebbesi dire che nell'In*
dice non andava sedente il gran Lambertiiii,
il quale, scrivendo alTlnquisltor generale di
Spagna, che i libri del Cardinal Noris avea
cumlannati , opinò , non dover.si proibire le
opere degli uomini grandi , benché contengan
cose che spiacciono, e per cui meriterebbero,
uscite da minori penne, divieto. Il Mafìcl in
una Lettera all’abate Conti, che nella bibliu-
tei'a del nostro Capitolo si conserva, par non
dubitare , patisse la Dissertazione un simile
storpio per maneggio massimamente cU-’Ge-
siiiti che insinuati avessero al Duca di Parma
d'assumer quell’ordine. Nò fu il solo infor-
tunio quello a cui la stessa soggiacque. SJe-
gnossene il Parma , e bisognò per calmarlo,
raccorne molti esempla ri, e consegnarli al conte
Pighetti suo ministro in Parigi , ove fu stam-
pata. Lo stesso Pighetti schiccherò una con-
intazione, che rimase inedita. Ma inedita non
rimase quella dell’avvocato lazzari veneziano,
lo non so se la pubblicassero i Gesuiti, con-
forme credettesi : so, non far troppo buon
viso alla Dissertazion del Maffei il gesuita
Zaccaria, che gli scrìtti di lui portò sempre
ftinu alle stelle. Comunque sia, nulla rispose
l’.iutor veronese, cui anteriormente difesero
in certo modo tre personaggi che pesavano
a'quanto pivi dell’avvocato Lazzari e del di-
pfiimatico righetti : ciò sono il padre Mont-
iaucun , il monaco Quiriai, poi cardinale, e
il soprallodato Lambertini. Qiiest’ultinio avea
steso per la Congregazione deH’lndice un rap-
porto favorevolissimo che nulla giovò} e il
Muntl'aucon preso avea cura col Quirini, che
in Parigi allora stanziava, deiredizioiie, at-
tesoché in quella città, com’io scrissi, si stampò
il libro , benché questo dica con una menzo-
gna, ch’c la men rea che un libro dir possa
d’essere stato impresso in Zurigo.
Non era dunque tra i Lojulisti e il MafFei
quell’intima connessione che più tardi si vide.
Nè la cagion se ne vuole rintracciar solo nel-
l’opera soprammentovata. Io acrrnnai già cha
i suddetti Padri, che \e Memorie dì Trevoux
comjiilavaiio , avversavan non poco la nostra
letteiatura. Crebbe que?t’avversione , vendi-
cati eh'ebbero gl’ Italiani i classici loro che
nella Maniera di ben pensare del padre Bou-
hours , il quale .spe.*»o pensa sì male , stati
eran vilipesi ; e più anror s’aumentò per le
lodi date nel Giornale Italiano alla Difesa
degli antichi diplomi, lavoro del Fotitanini,
contro il Libro del padre Germon , che ad
abbattere tendea l’autenticità. Ma ctue) che il
MalFei annojò più, è che ai Trevolziani si uni
un Italiano , il gesuita Antonio Bernardi. Co-
stui pubblùò l'ima dopo l’altra tre Leitert
al Cavalteru erudito ,cWerd. il Veronese, »o-
pra li due iometit del Giornale d'Italia, nelle
quali accarezza il confratelfiiGermoii.efcchiaf-
leggia con incredibile audacia e sciocchezza
eguale il Fontanini e lo Zeno. Non mancò chi
sotto il nume appunto di Cavaliere erudito
rispose ; e più eruditamente per avventura
che il Bernardi non avrebbe voluto. Delle due
risposte , che sole comparvero , la prima .s’at-
tribuisce al Mafl'ei} il qual sembra essersi de-
gnato di scrivere anche la terza che non istam-
po?si. Sareblx.* stato meglio col silenzio rispon-
dere e col disprezzo, come risponder dovreb-
besi oggi altresì a tutti coloro che non bra-
mano clic magnis clarescere inimicitùs ^ far
parlare in qualche guisa di sè} chè per verità
ìncresce, quando uomini non mediocri gua-
stano tuttodì con nuovi e ingegnosi errori le
lettere, il veder taluni muovere una penna
elegante contra gli autori più dozzin^ili, imi-
tando Domiziano, che saettava con arco d’oro
le mosche, mentre i Parti questa provìncia o
quella invadevano dell'impero. Non tacerò che
il Padre Bellati , già maestro in Parma del
nostro Scipione, ^i scrisse con disapprova-
zione altissima del Bernardi , e gli comunicò
al tempo stesso una lettera che ricevuto avea
da un Gesuita, pur d’altro metallo , dal Tour-
nemine , che, sebben Trevolziano, di lodi Apo-
stolo Zeno, e il Giornale d’Italia colmava. Si
impara ciò dalla lettera dugentottantesimase-
conda di Apostolo e da un’altra non pubbli-
cata, ma che lesse e citò il valoroso scrittore
della sua Vita Francesco Negri,
Se è da commendarsi nel dotto Giornale ciò
che il Maii'ei dal suo lato vi pose dentro, non
mi par cosa da domandare. Senza le due De-
dicatorie, l’ una in testa del primo tomo al
gran principe Ferdinando, l’altra del deci-
i4 ELOGIO DEL MARCHESE
musetto al successor Gian Gastone, e la Pre-
fuzioii Generale, veti|>on da lui alcuni estratti,
tra i quali mi conteiiterò al nominare il l>el-
lissimo del libro del padre Bacchini su le Ori-
gini deirecciesiastica gerarchia , e V altro di
quel del Gravina su quelle del Gius civile,
di cui disse 11 Gravina stesso, che accende
d'invidia l'autore dell'opera originale. Kè meii
che gli estratti vi rìspiendou gli opuscoli di
sua inailo; i|ual sarebbe la sopraccitata Ilcla-
zinne della libreria di Torino; un’altra Rela-
zione dell’Accademia di San Luca che nacque
in Roma nel 1418, e di cui era capo allora
Carlo Maratta; e una Descrizione del primo
gravicembiio col plano e Iurte d’inv'enaiuue
di liirtoluunneo Cnstofali padovano; desiai
zioiie che dice, quanto avanti sentisse il Mal'-
iei nelle teorìe musicali. Si gloria il giornale
anche d’un Ra;^guagUo che a lui si dee, ddle
sperienze latte in Firenze con ottimo specchio
ustorio su le gemme e le pietre dure. Se n’e-
segiiirono eziandio sul calor della lun.i che
riimovaronsi ai nostri di, ma con nsultamenti
diversi ; perchè la luna , già restia tanto a con-
fessare i suoi moti , non è meii bizzarra ri-
spetto ai suoi raggi , dicendo all' uno speri-
mentatore, e tacendo all’altro che di scaldare
abbian forza: ii che tacque parimente a chi
tentolla di qne'giorni in Firenze. Lascio il
Rapporto d' una mirabile IVomba acustica
di Giuseppe Landitii, con cui, oltre il tavei-
lare ai lunraui , s’ode chi parla in distanza
grande, ed a voce bassa: tromba, cfie nè ai
conspiratorì aggradirà, nè agli amanti, (rran
male che in decorso di t<*mp«) alcune ragioni,
di cui toccherò , Io sforzassero a ritirarsi da*
suoi compagni \ che fu , come se in una cele-
ste costellazione sparisse improvvisamente i;n
de’p iù chiari tra gli astri che la compongono.
Giunto era intanto all'anno 58 dell'età sua,
quando rivolse le sue cure al teatro, ecìmeii>
tare avvisossi le proprie forze in ciò che quel lo
ha di più ragguardevole: la Tragedia. Gli do-
lca la condizioii trista della scena italiana, su
cui recitavansi o componimenti nostri , alU
morale contrari e al buon senso, o traduzioni
dalla lingua francese , ma tutto in prosa; re-
gnando r opinion falsa che a cercar s'avesse
una illusione imperfetta, qual certo più fa-
cilmente con la favella sciolta , che con la le-
gata, data nel resto la parità, si consegui-
rebbe. Applicò dunque l anìmo ad una rifor-
ma, e si valse di Luigi Rìccoboni ch’era te-
nuto pei Roscio de't^mpi suoi, e pizzicava non
poco di letteratura. Il Mali':! cavò fuori , e diè
a lui, che una coiupigiiia di comici dirìgi*a,
le tragedie, nostre migliori, da più di cento
anni sepolteediineiiticate;eccitò preclari amici
a comporne di nuove, e si pose a scriver la
Merope. Si disse, che a invaghirlo del coturno
ebb'i parte una comica illustre, Elena Bil-
letti , ch'io non veggio perchè Agata Calde-
roni sia chiamata dal Qiuidrio, più conosciuta
sotto il nome di Flaminia, come si conoscea
più sotto quel diL“lio il prefato Luigi, rh'^-
lasi a lei muto di vincolo luitrìmoaiale. Molto
la pregiava Scipione, che un argomerto scelse
in bello studio per lei al parer d’ali uni ; »c-
iioiichè sappiamo idie lèlice su tutti gli altri
parve a lui sempre il soggetto di >leropc, o
eh' ei mostrar volea , polersl coniinovor gli
animi fieramente senza intralciamento damori. .
Fu donna di bellezza più rlie mediocre, e non-
dimeno di rara savirzzu in iemmina di teatro:
lidie lettere non poco intinta , compunga versi
molto soavi: ed ita in Francia, ove all’ab<ilt;
Conti, che in Parigi dimorava, rai'comandolla
il Mallei, produsse alcune francesi operette,
che ottenner plauso, benché non U mettes-
sero in quella fama a cui salì appresso co’suoi
romanzi la nuora , cioè Madama de la Borraa
Riccoboni. Riporterò la lettera al Conti, av-
vegnaché stampata p ù volte. Incontro l'oc-
casione di rinnovarvi la niernoriu della mia.
stima , portandosi costà una compagnia di
comici italiani chiamali dai Duca Rr-ggente..
l capi d’essa, Luigi Riccoboni ed Kiena sua
moglie, sono miei amici in maniera più chts
ordinaria , perchè il costume loro è assai di--
verso da quello che aver soglia chi fa sunde
professione , e non manca (oro di nobile che
la nascita , quale però è molto civile. Del loro
spinto poi non potrei parlarvi abbastanza.
Èssi sono stati l'istrumento unico di cui mi
sono servito per riformare alquanto il nostro
teatro italiano , avendo fatto recitare da loro
le nostre buone tragedie antiche , delle (^uaU
non c'era p:à quasi memoria alcuna ne no~
tizia. Risi Jinalnienle possono contribuir som-
mamente a rendere la riputazione m questo
genere alla nostra nazione con sommo van-
taggio comune : ma tutto ciò essi noi potranno
fare senza il vostro appoggio , e senza la vo-
stra protezione. Essi già vi conoscono per
fama e vi venerano. Voi col farli noli a chi
ama il buon gusto in simili divertimenti, col
fare osservar ciò che gli stranieri non avver^
tirebbero { intende forse del recitare all’im-
p«‘(>vvi{io , die diciamo a soggetto ) col pro-
curar loro il concorso degl' intelligenti e ctd
proteggerli in ogni occasione , potrete giovarli
infinitamente. Si la nostra amicizia può danai
tanto merito, io vi prego di tutto questo in^
stantemente ; non negandovi che la sonver^
suzione di questa signora non sia stata una
delle care cose eh' io abbia provate in ima
vita , perchè il suo spirito e la nobiltà del
suo costume son singolari : per saggio di che
vi prego farvi mostrare alcuni de' suoi sonetti ^
in cut vi giuro che nè io, nè altri ha parte.
Non temerò d'alfermiire , essere stata im al-
tra Isabella Andreini, che Hurì un buon secolu
innanzi , e parimente all'arte delia declama-
zion teatrale congiunse quella de'versi , ft'cesi
ammirare in Italia ed in Francia , c lasciò ai
posteri in dubbio', qual fosso più , se costu-
mata u avvenente.
Finita ch’ebbe il Maffei la sua Meropc, noti
maudolla immediatamente dallo scrittoio ut
commedianti u ai tipograli , ma si trasferì a
Modena col suo manoscritto , e ([Uesto lessf»
111 un circolo d'iugegni prestanti, di cui lu
! b, (juogle
SCinONE MAFTEI.
fif>mpre ropìa in detta città, sedendo tra quelli
ìiii prode JJologiieiie , il Marchese Orsi , che
mollo di teatro si coDosceva. Una tragedia si
b^ne scritta , e in cui si toccano le corde più
(Udicate delle passioni e della natura, conve-
niva piacere cosi in quel circolo , come su le
scene, cuininciaudu dalle modenesi, ove fu per
la prima volta , o alla presenza di tutta la
corte e d iinineiiso popolo, rappiesuitata. L'au-
tore, a cui sempre in mente pm cose , e la-
lorn svariate assai, nel tempo stesso bollivano,
di Modena passò a lleggio; a fine di cònsuU
larvi il famoso padre JÌacrliiiii Benedettino,
sua guida nc'sacri studi, che avea già preso
ad accoppiare con gran fervore ai profani.
Beggio era sottoposto alla contumacia di qua-
ranta giorni ì ma egli non potendo fermar-
visi a lungo, seppe slnggìrja, valicando le mon-
tagne a cavallo, e nella Lnnigiana penetrando,
iiK-diante ima scorta che dal suo cognato Lo-
dovico Maiaspina spedir si lece. Giunto nel
cnor dellVstate ai castello di Fosdinovo . re-
.sidenza de’MaUispini , che una folta nebbia,
onde ingombrato era il cielo, già in pioggia
si risolvea , ed entrato in casa , e postosi, se-
d»*ndo in terreno , a ragionar col marchese
Lodovico, allor vedovo , e con la Marchesa
madre , nuovo e pauroso accidente colpì gli
occhi loro ed il cuore. Io vidi , così il MaQei
stesso, avvampar d’improvviso nella stanza
verso il paxnmento un fuoco vivissimo, e parte
hiiinchei^giante , parte azzurro. Inarca avere
in se grandissima agitazione e rivolgimento;
ma per altro il corpo della Jlamma , elicerà
di qualche estensione , stette qualche tempo
ssenzu moto proprio : avanzò poi alquanto
verso noi con una lingua più sottile , e parve
trattenersi di nuovo , dilatandosi ancora in
maggior fiamma; appunto come se dato fuoco
a un mucchio di polvere , si comunicasse per
una linea di essa ad un altro mucchio. Quindi
sentii passarmi dietro le spalle come una stri-
scia che parve alzarsi , e ci caddero in capo
alcuni pezzi di calcinaccio della volta : poi
udimmo rumore nella .stanza di sopra, forse
per un gran quadro che staccò dal muro , e
quasi nello stesso punto strepito e scoppio in
alto , difierente però dal rimbombo de'tuoni.
Il Maffei riprese la mattina seguente il suo
viaggio per la Toscana con quel fulmine, dirò
così , nella mente, rivide ratto ratto gli amici
tli Firenze, abbracciò in fretta, ritornando,
quei di Bologna, e arrivò in patria, mentre
tialla convpagnia comica , a Verona da Modena
ira.'mtitatasi, si rappresentava la sua tragedia '
iiKlPanfitealro a lume di sole. Il perchè, non
trovato in casa persona viva, c inteso che tutti
pelParena stavansi per la Merope , egli altresì,
tolto secondo l’iisaiiza un abito nero di ma-
schera, .cosi co'polverosi stivali in gamba co-
m’era, vi si conduàse. Fochi giorui appresso
mandò al Vallisnieri stampata la sua Lettela
SII \s. Fùrtnazione de* fulmini ; lettera, di coi
c da ringraziare quel di Fosdinovo che gli diè
1 occasioue e ad un tempo la lacoUà non gli
tolse di scriverla.
)5
Opinava lo scrittore da terreni efRiivii massi-
maineiite sullurei e nitrosi, si generassero i ful-
mini , e fosse di basso in alto il principio del
loro moto; intantochè non il cielo ci saetti, ma
sembriamo noi saettare il cielo. Or più non si
dubita che così salgano di basso in allo, come
di alto scendono in bassp, dirigendosi la mate-
ria elettrica non men volentieri alle nuvole
dalla terra, che alla terra dalle nuvole. Tutta-
via non aveati di que' dì le congetture di (^ray
annunziato, e mollo manco f esperienza di Fran-
klin e del Beccheria , ronièimalo che una si è
del fulmineo luoco e deiiVletirico la natuia.
Non era iàcilc adunque l’iniinaginare che ful-
mini vicino a terra si generassero, e il persua-
derne gli altri tornava tòrte, o.stando la iuve-
teiata e comune opinion contraria, e il più non
differenziandosi sottosopra nell’un caso e nel-
1 altro i fenomeni. Quanto poi ai fìsici , credeast
che dalle nubi con violenza compresse si spri-
gionassero i tiilmini ; e se Newton ricorse alfe-
salazioni sulfuree, volea per altro che queste
prima di folgorare fermentato avessero como-
damente con gli acidi nitrosi nell’aria. Ma, dan-
dosi i fìsici appunto ad osservar meglio queste
apparenze, moltissimi casi in piccloì tempo si
raccolsero di saette che mosser dal suolo , e
parvero , secondochè scrisse graziosamente al
solito il Segretario dell'lnstìiuto di Bologna,
Maffejo se accomodare , di cui praeclaram
chiamò la sentenza. Finalmente le moderne os-
servazioni così distrussero ogni dubbiezza, che
anzi ne risulta , ascendenti esser le saette ]>iù
frequentemente che discendenti, essendo nega-
tiva spesso felcttricità celeste, e positiva la ter-
restre nc’tcmporali; ond’ebbe Franklin a prof-
ferir parole che moltoa quelle delMalIèi rasso-
migliano, e dolce musica sarebbero state a’suoi
orecchi , cioè non le nubi nello scoppiamento
de'fulmìni colpir la terra, ma la terra, scari-
candosi , le nubi in vece colpire.
Veduto avea frattantoScìpioiie rappresentar
la tragedia sua in due città; e la lettera trecen-
vigeaimasettima di Apostolo Zeno ci avvisa che
neli’aniio susseguente, 17141 andò a vederla in
una terza, voglio dire in Venezia. Qui stampata
fu per la prima volta nello stesso anno, benché
la segnalata edizione veneta del 1747 citi nel
bugiardo suo frontespizio una prima edizìouedi
Modena deiranno antecedente. Ciò che indusse
in errore non pochi, e da ultimo il signor Coo-
per Walker nella sua Memoria storica su la
tragedia italiana, venne da questo, che non
badandosi ail avvertìmento deifOrsi nell'edi-
zion modenese, ch'è la seconda, si prese per
istampa il semplice manoscritto che nel giugno
del 1713 l’autore presentò in Modena al duca
Rinaldo, e la Bìbliotrca Ducale gelosamente
conserva. Divulgata con l’inipres.sÌone la JWero-
pe,\e iodi cominciarono a piovere: ma chi non
sa che alla pioggia delle lodi non tarda molto
ad unirsi, ove d’opera e.simia si tratti , la tem-
pesta delle censure? Si gridò in oltre che aperta
il nostro tragico iro\ ò la strada da tjuanti ma-
neggiato aseun prima lo stesso argomento: pc»-
vtTu usscrvaziuiie , quando egli col sulo inno-
>6 ELOGIO DEL
dur per caso, e ignoto a sè stesso, il giova-
netto Egisto, mo:»se por una via totalmente
altra da quella del Torelli, del Lìviera e del
Cavalierino , non che d'Euripide , se ò vero
che della tragedia di lui perdute rimangan le
tracce in Igino. La Merope del Torelli ricom-
parve tosto in una nuova edizione, e il Man-
fredi nelle Lettere Bolognesi dubita, se con
mira di far meglio risplendere o d^oscurare
Ja MaiTeiana. Rispetto alle censure, troppo si
celebrartm quelle del Lazzarini , che il Caval-
lucci combattè, e il Maflèi distrusse. Alla pa-
rodia del Valleresso, intitolata la Culicuti
donia, o Jiuzvanscad il giovine, in cui
del resto si lèrisce più ì’ eclisse del Lazzarini,
che non la Merope del MaiVei , questi contrap-
pose il Culicutidonio , ch’egli stese, diecsi,
in una notte, o comunicò solamente agli amici.
In Francia più tardi noi trattaron bene Faba-
te Desfontaines e Voltaire : contra il primo
sorse il cavalier di Mouhy, e chi scrive questo
Elogio contra il secondo. Lepida è la sco|>erta
deir inglese Goldsmith, che nel suo Stato pre-
sente a'ogni letteratura vuole che Milton col
Sansone gl' insegnasse a non intromettere a-
moreggiamenti. E non prima i Greci con le
tragedie loro? La diflicoltà non dimora nel
conoscere questa condizione, dimora nell’esc-
guirla. Nè men gioconda è l'altra del suo con-
cittadino Cooper sopraccitato, ch’ei sotto la
direzione delia marcnesa Silvia la tregcdiascri-
Tesse. La marchesa Silvia era morta da più anni:
ma risuscitiamola. Confessa, è vero , d Mallèi
che le smanie materne , in cui ebbe più volte
a vederla , gli suggerirono alcuni passi de'pìù
graditi j confessione, acni una simile ne fect
l'Àlfieri e che non domanda uno sforzo gran-
dissimo d’umiltà. Anche quel bellissimo luogo,
in cui Euriso consola Merope con l’esempio di
Agamennone che sagrificò Ifìgcnia, tirollo il
Maifei da una donna, la quale, udendosi nella
morte d’un figlio confortar da un ottimo reli-
gioso con i'esempiodi Abramo, rispose che Iddio
non avrebbe comandato mai un tal sagriiizio a
una madre. Si dirà per questo che la tragedia
fu scrìtta sotto la direzione di quella femmina,
o non più presto , che il poeta seppe coglier la
natura sul latto, ch’c ciò che da lui sopra tutto
ricercasi? Non parlerò del tedesco Lessing che
nella sua Drammaturgia il biasima ( vedi acu-
tezza di critica ! ) che non seguitò in ogni suo
passo Euripide , secondo il quale Egisto cono-
scea sè medesimo, ed entrava in Messene col
disegno bello e fatto di ammazzare il tiranno.
Io per me credo che più di tutte le critiche,
che da qual penna vengano, lasciano i parti
dell'ingegno neJl'esser loro , ciò dolesse a Sci-
pione, che dopo le prime rappresentanze la sua
tragedia patì, non fuori, ma dentro sè stessa.
Qui fu disciolta in prosa e recitata di tal modo
e stampata; là se le appiccarono aU’estremità
d'ogni scena, quasi ornamento necessario , le
rime; altrove si cacciò in mezzo, ingrediente
indispensabile, una faccenda d'amore. Nel re-
ato, se alcuni letterati il naso arricciaronleso-
pra, quauti all'opposto non mirajrouU di buon
MARCHESE
occhio e non la blandirono? Basti nominare, a
non ricordar gli stranieri , un Orsi, imo Zeno,
un Gravina, un Harullaldi, un Volpi, un Mar*
telli ed un Conti, Non era pubblico teatro , o
privato, ove non si recitasse la Merope, ove
alla Merope non si piangesse. In Vienna e alla
presenza deU’impcrator Carlo Sesto, cavalieri
e dame la rappre.sentiirono.Ristampatainfinite
volte: tradotta nelle lingue francese, spagnuo-
la, inglese, tedesca, illirica e russa. Tragedie
ascoltar si vede talvolta con approvazion tacita
e attenta; ma non commuversi, fremere, e di-
sfarsi in allctti una intera udienza. Qual fu il
secreto, per cui ad onta di quei difetti che
tlalle opere umane in&eparabìli sono , ebbe ski
la più partedegli animi tanta forza? Fuquella
viva espressione della natura, fu quel teneio
furor materno sì ben dipinto, lu quella sempli-
cità e verità, che il MalFei conseguì con lo stu-
dio della natura appunto, e de’Greci, e in par-
ticolare d'Omero , molte delle cui bellezze da
ambo i poemi seppe, non già servilmente, ma
con sommo accorgimento, e da gran maestro,
nella sua tragedia trasfondere. Fu lo stile an-
cora c il verseggiamento. È una certa maravi-
glia quel sentirsi dire ogni poco, che il verso
tragico non conosceasi in Italia prima dell'Al-
Heri. Ricordami che questi , essendo io in Fi-
renze e nella sua stanza , prese la tragedia del
Mallèi in mano, e , aperto il libro alla scena
sesta dell'atto secondo , lesse con grandissima
enfasi i seguenti versi che il poeta mette in
bocca di Merope :
Or Polifunte
Regacrà sempre , e regm*rà trjn(]uillo.
O ingiusti Numi? Il |>crtìdu,riuiquo,
11 traditur , Tusurpator, colui,
Che in crudeltà , che io empietà , che io frode
Qualunque sìa piu scellerato avanza ,
Questo vui proteggete : in questo il vostro
Fav«>r tutto versale ; c contra il sangue
Del buon Cresfouto , contro gl’lnfelid
Germi ÌDuoceuti,di scoccar v’c in grado
Gli strali : e duolvi forse ora , che ornai ,
Estinti tutti , uve scoccar non resti.
Convien confossare, disse rAstigiano, che tra-
gici veramente son questi versi. Mi permetta
Il lettore, che a questi io aggiunga il discorso
di Merope nell'atto quinto :
Si SI , o Mcsscni , il giuro ancora; e questi ,
Qu«*sti il luio terzo figlio; io ^ trafugai ,
lo l’occultai Gnor ; questi c Terede,
Questi del vostro buon Crejfontc c il figlio :
Di fjucl Cresfoulc che non ben sapeste
Se fosse padre, ore; di quel Gresfontc,
Che SI a luogo piangeste : or vi sovvenga ,
Qiiant’ei fu giusto , e liberale , c mite.
(À)Iui , che là dentro il suo sangue è involto ,
E quel tiranno , quel ladron , qucirenipiu
Ribelle usurjiator, che a tradimento
Del legiltiniu Re , de’figli imbelli
Trafisse il sen , sparse le membra ; è quegli ,
Che ogni dritto violò , che prese a scherno
leggi , e i Dei , che non fu sazio mai
Nc d oro, nè di sangue , die [>er vani
bus^ielti trucidò lauti iófelici ,
SCIPIONE
TjA il cencr ne sporse , e sin le mura
Arse , spiantò , (iislrusse. A qual rii voi
Padre , u fralel , figlio , congiunto ^ o amico
^'un avrà tolto? E dubitate ancora?
Forse non v'accertale aoocv , che questo
Sia pure il figlio uiio ? Mirate Ìl volto ;
Non ci vedete in quelle ciglia il padre?
Ma se pur non cnHlcte al suo sembiante,
Cmletelo al utiu cor : credete a questo
Furor d'alTetto, che m'ba invasa , e tutta
M'agita , e avvampa. Eccovi il vecchio, il cielo
Mei manda innausi , il vecchio j che nodrillo* !
i
I
Taccio il mirabile dì questo discorso per ciò
che di persuasivo contiene, e domando, »c in-
catenar si può meglio , e rompere più varia- ;
mente , e vibrar con più impeto i versi di una
tragedia? E quando bene altri passi a citare in |
MulFei non avessimo , come abbiamo , c sl'olgo- |
raiitissimi, non basterebber questi due a dima- |
strare che il verso tragico c’era, e c’era, mercè
di lui , perchè non ne appare che un’ombra >
nella Semiramide dì Muzio Manfredi , ch^è il
solo fra gli autori a lui anteriori da nominare
in questo proposito ?
lo lo ingiurierei a dir soltanto ch’ei compia-
ccasi del suo lavoro per la giuria che a lui ri-
dondavane} sen compiacea per quella nonmen
che ne ridondava all Italia , a cui di non avere
una tragedia eccellente non si potea più rin-
tacciare. Il concedettero gli stessi Francesi, e
tra gli altri il padre de la Santé che professava
la rettorica nel collegio di Lodovico il Grande,
e che in una sua Orazione, Dent Itali, esclamò,
dent saepe tragaedias , qualis ista est Merope,
cujus pater est Ma^ejus, Minerva mater, n«-
trix Melpomene ; famae plausui adjungernus ,
plausum,eximiaque prolem velnatamin Gal-
Ita f vel quasi nostram libenter coopiabijnus.
K notisi che il Maffei non era stretto allora
d’un legame con la Compagnia. Io avviso che
Sì pel consentimento universale di tutta Eu-
ropa, SI per quel segreto testimonio della co-
scienza, che, fuor del caso d’una presunzione
fltultissima, non inganna, gli fosse lecito di ciò
fare, che in Verona comunemente si crede,
ch’è di porre nel primo manoscritto , da lui
alla libreria Saibante donata , il non omnis
moriar di Orazio. Ma avendo io domandato
al coltissimo giovane Antonio Campostriiii ,
nelle cui mani passò il manoscritto , se tali
parole vi sieno, ei mi rispose deino. Così è
vero che non si sta mai troppo in guardia
contra certi racconti, massimamente ove attac-
chinai ad un gran nomo che loro acquista im-
portanza; e però spasimando ognun di ripeterli,
durano eternamente.
Ciò ch’io parlai della sua compiacenza per
l’onore che all’ltaUa venne dalla tragedia,
vuoisi per quello che alla cattolica religione da
quattro lettere in difesa della stessa, parlare
ugualmente; anzi più, perchè sovrapponessi
in lui all’amore d'ogni altra cosa , e dovrebbe
in ciascuno , quel della prima dì tutte, la reli-
gione. Il prefato Cristoforo Matteo Piali*, sco-
perti nella libreria di Torino alcuni greci Iram-
PIMIEAI. ELOUl.
MAFFEI. 17
menti sotto il nome di Sant’Ireneo, che ri-
sguardano la oblazione e consecrazione eucari-
stica, e il cattolico dogma combattono, comu-
nicolii da Parigi alMafl'ei; il qual non prima
gli ebbe esaminati, che dubitò della lor legitti-
mità , ed espose francamente i suoi duboi in
due lettere eVei diresse al suo padre Bacchini,
e all’erudito Protestante trasmise. Soii tratti i
frammenti dalle così dette catene deTadri,
alle quali chi non sa, non si poter Puomu pru-
dentemente fidare? 11 primo è quasi un tessuto
Hi passi del Nuovo Testamento che s’oppone
all’uso dei Padri antichi ; il secondo cita Je
Constituzioni degli Apostoli, Constituzìoiii ad
Ireneo posteriori, e più altri segni rinchiuda
di falsità; e il terzo ostenta un’aria di libertà,
che ì sentimenti accusa de’Navazìani assai più
che quelli del santo vescovo di Lione, o d’al-
tro scrittore ortodosso. Tuttavìa ilPlafFooa
s’acchetò, estampoili all’Aia tradotti in latino
e illustrati, studiandosi di distruggere le dif-
ficoltà che il Maffei gli avea erette contro*
Laonde questi si rifece nella terza lettera con
nuove osservazioni su le cose trattate; spogliò
d’ogni autorità la catena medesima del padre
Corderio, ch’è la più riputata , e dichiarò le
sentenze vere del greco vescovoMarguniu, con-
fondendo i Greci scismatici ed i Protestami ad
un tempo, e quelle parole nelle liturgie greche
spiegando intorno alle quali sommi uomini, un
Bessarìone , un Bellarmino , un Allacci, un
Bona ed un Bossuet, a&ticati s’erano senza
frutto. Non si perde ancor d’animo il PfafF, che
una Dissertazione apologetica poco tardò a
pubblicare. Nè io mi lagnerò d'una ostinazione,
che diè luogo al Maffei di meglio rischiarare e
convalidar tutto nella lettera quarta e di meri-
tarsi l’elogio del dotto padre Leoni , il quale,
ristampando le opere di Sant’lreneo, latiuizzò
le lettere sue, e più luminosechiamò della luce
di mezzogiorno le sue ragioni. Non so se a que-
sta luce il Tedesco aprisse in ultimo gli occhi;
so che ITtaliano scrisse con quella moderazione
ed urbanità, con cui avrebbe dovuto ogni cat-
tolico contra gli eterodossi, e in cui solamente,
bisogna dirlo, ìl Tedesco non si lasciò vincere.
Entrato era dunque il nostro Scipione nelle
parti più arcane e recondite della sacra lette-
ratura. Non contento al consultar da lunge su
questa il rispettabile Cassinense , spesso a rac-
cor ne andava dalla bocca le vive voci ed anche
la lettera Zeniana trecenquarantesimottava
metteloin Reggio. La stessa lettera gli fa spen-
dere alcuni mesi dell’anno stesso in Vinegìa :
ma nei settembre trovavasì in patria, dove ca-
pitò il celebre monsignor del Torre , che del
suo viaggio a Verona non avere avuto altro
fine di godere della compagnia del Maffei, dica
Inutore della sua Vita. £d in patria si fermò
l’anno appresso, quando venne in Italia il Prin-
cipe Elettorale della Baviera. Correan rumori
di peste ai confini della Germania; e però dovè
il principe solferire una contumacia di qua-
ranta giorni, ch’ei passò in comoda abitazione
nel Chievo, villaggio dalla città forse unmiglio.
Là ricevea continue visite di cavalieri veronesi
i8
ELOGIO DEI. MARCHESE
e talor (li dame che il Maffei pres^ntavagU; il
quale, spirato il termine, aimò con molta no-
biltà a levarlo del luogo , e a condurlo in Ve-'
rona , e nella propria casa, ove alloggiollo per
due giorni con tutta la sua corte. In tale occa-
sione suggerì a’suoicittadiui una splendida gio-
stra nelVaiifiteatro che a solenni armeggia-
menti a cavallo avea più volte servilo. Deside-
rava si rinnovassero a qtiando a quando di tali
eserciaì, parendogli che Tedifizio medpsimr> in-
vitar dovesse a celebrare y come scrisse molti
anni dappoi , alcun pubblico divertimento , in
cui virtù avesse parte , che uscendo delle infe-
lici costumanze de' nostri dì , non sembrasse,
con ispirare effeminatezza e mollizie , studi&-
samente ordinato ad anneghittire ed avvilir
sempre più la misera nostra nazione. Propose
adunque un’azione di lancia e corsa all’anello,
»* fu degli attori egli stesso. Non potrei dire se
l’anfiteatro quel di fosse tutto pieno: spettacolo
unico, che percuote l'animo in singoiar modo
e riunalza. Dirò, con permissione, bmsì , che
male or si lascia entrar la gcntenell'ai ea, donde
nasce, che la forma elittica dellVdifizio si vien
quasi a perdere: oltreché luogo degli spettatori
soli gli sc-alini , per cut deggiono spargersi dai
voDutori, e non l'area ch*è destinata ai giuochi;
e però si cade nell’inconveuiente tanto ripro-
vato ne’tealri di Francia, quando una porzione
degli spettatori stava sul palco. E superfluo il
cercare se il Mailei,chealle condizioni di lette-
rato acconniava tutte qtielle di gentiluomo,
trattato abbia con magnificenza il suo rigitar-
devoleospitee con eleganza. Parlasi ancor d'uria
rena, per cui fu egli Piuventore e il disegna-
tore di quegli artiliciosi e bizzarri macrliìna-
inenti , che su le mense usavanst allora ; che
utile ad ogni cosa è l'ingrgno, e s'apparecchia,
disse quel capitano, un convito col medesimo
senno che si schiera un esercito: Nè si perde la
memoria d’un bellissimo fregio di punto a rose
che tutta contornava la mensa , ed uscito era
dalle mani della marchesa Silvia , di ricami
rsperlissima. che sola alla piena contentezza del
figlio in .sì bella noltemancaVa.Sul fine la tavola
si mutò improvvisamente in giardino, di fiori
lieto e di frutti, con fontane c arboscelli, lutto
vero e fresco, benché nel cuor dell'inverno.
Queste particolarità s'hanno la più parte in un
giornale di allora intitolato ia des cabi-^
nets, in cui si registra eziandio che , nato es-
sendo al fratello primogenito poco innanzi uii
bambino , il Principe ricevettelo al fonte , e
monsignor Gradeuigo, vescovo di Verona, sa-
cramentoUo. I/iilustre viaggiatore nel suo ri-
torno, che ai primi cadde di agosto , onorò di
nuovo la casa Maffei , e regalò d’un suo ri-
tratto gioiellato colui che in tutte queste cose
non così al proprio mirava , che non mirasse
anche più al lustro della sua patria. In prò di
rpiesta e in decoro, egli stava continuamente a
pensare , a speculare , a fantasticare. K perchè
uno scritto recente spargea su l’antica condi-
zion di Verona una certa nebbia importuna ,
die lo splendor ne offuscava; s’aff>etto a dissi-
parla; sembrandogli per avventura che gli uo-
mini tanto più debbano ingegnarsi di conser-
var le glorie passate, quanto più scarse, co*
me si rivolge il mondo , son le presenti.
Un letterato bresciano, di merito non vol-
gare, il canonico Paulo Gagliardi, era l’autore
di quello scritto funesto. Se Brescia fu capo e
metropoli de’Cenoinani , e se della provincia
de’Cenomani fu Verona, ne segue che quest’ ul-
tima, benché tanto maggior città, all’altra do-
vrà sottostare. Ma vuole il Malici che Verona
nè Gallica mai, nè soggetta fosse ad altra città;
che il titolo di caput , che anticamente davasi
ad una, non importasse dominio su tutte Pai —
tre; che metropoli non s'instituissero in Italia,
dividasi questa in regioni o in province ; che
la residenza de’magistrati romani , come non
fissa in alcuna città, così metropoli non con-
stituissene alcuna ; e che , nel caso contrario ,
non Brescia, ma, e per la sua grandezza, e
per l’estension dei paese suo, capitale avesse
ad esser Verona , la qual sotto i re d’Italia in
, figiii a sempre di capitale più assai , che non di
j subordinata, comparve. Gli usi de’ tempi e delle
^ nazioni ,